All'insegna dell'europeismo e dell'atlantismo e dell'ammucchiata dei partiti della destra e della “sinistra” borghese
Il parlamento in ginocchio vota il governo del banchiere massone Draghi
Coro unanime di osanna per il nuovo premier, dalla Lega fino a LeU. Opposizione “responsabile e patriottica” di FdI. 50 tra deputati e senatori del M5S votano contro o si astengono, subito espulsi da Grillo. Fratoianni (SI): “Non siamo tutti e tutte sulla stessa barca”
Lottiamo per il socialismo, il potere politico del proletariato e per difendere gli interessi del popolo

Il 17 febbraio Mario Draghi si è recato in Senato e il giorno successivo alla Camera per presentare il programma e chiedere la scontata fiducia al suo governo, nato all'insegna dell'europeismo e dell'atlantismo e dell'ammucchiata dei partiti della destra e della “sinistra” borghese. Fiducia che ha ottenuto in forma plebiscitaria, con 262 sì su 320 componenti del Senato e 535 sì su 630 componenti della Camera.
Hanno votato no i fascisti storici di FdI, ma solo per calcolo elettoralistico e con tutt'altri toni rispetto a quelli riservati al defunto governo Conte 2. E hanno votato no anche parecchi dissidenti del M5S, circa una cinquantina tra Camera e Senato, includendo anche gli assenti ingiustificati e gli astenuti, tra cui Barbara Lezzi, Nicola Morra, Matteo Mantero ed altri esponenti di spicco del Movimento di Grillo. Infine ha detto no a Draghi, a nome di Sinistra italiana, il deputato Nicola Fratoianni, in netto dissenso col gruppo parlamentare di cui SI fa parte, LeU, che invece si è unito convintamente all'ammucchiata draghiana.
Il banchiere massone è stato accolto dal parlamento in ginocchio con la sottomissione e la deferenza degne di un “salvatore della patria”. E il suo discorso è stato esaltato, sia negli interventi in aula che dai mass-media del regime capitalista neofascista, ad un livello di piaggeria senza precedenti nella storia del parlamento, a parte quello riservato ai discorsi di Mussolini durante il regime fascista: “Discorso di altissimo profilo!”, “La formidabile lezione del professore!”, “Draghi ha una visione!”, “Finalmente uno statista!”, erano solo alcuni dei titoli sparati dalla stragrande maggioranza dei giornali. Mentre negli interventi in aula si è sentito di tutto, da “lei è il vaccino per l'Italia!” (Gallone, FI) a “non abbiamo più bisogno del Mes perché è lei il nostro Mes, presidente!” (Faraone, IV); da “lei è un fuoriclasse” (Romeo, Lega), a “sono felice di esprimere la fiducia a un Governo, il suo” (Bonino, +Europa-Azione), e via laudando.
 

Una serie di banalità tipiche di tutti i governi borghesi
In realtà non soltanto Draghi ha tenuto il suo discorso con la stessa freddezza e perentorietà di un manager che parlasse ai dipendenti della sua azienda (“oggi l'unità non è un'opzione, è un dovere”, li ha bacchettati in chiusura del discorso), ma riguardo ai contenuti programmatici del suo discorso ha evitato per ora di scoprire le sue carte, limitandosi a formulare una serie di banalità già sentite e risentite da tutti i suoi predecessori, consistenti nel fare un elenco pedissequo dei problemi sul tappeto e degli obiettivi da raggiungere, anche perché ben consapevole dell'eterogeneità della sua maggioranza e soprattutto per non provocare ulteriormente i parlamentari del M5S già spaccati drammaticamente sul voto di fiducia
Così per esempio, per quanto riguarda l'emergenza pandemia, ha invocato un'accelerazione della campagna vaccinale, ottenendo il vaccino “nelle quantità sufficienti” e distribuendolo “rapidamente ed efficientemente”. Ma non ha spiegato come fare ad averlo da aziende private che pensano solo al profitto e vendono al migliore offerente fregandosene dei contratti farlocchi con l'Ue. Come non ha spiegato come fare a “rafforzare e ridisegnare la sanità territoriale realizzando una forte rete di servizi di base”, superando l'attuale assetto in gran parte privato e regionalizzato della sanità, e in cosa differisca in questo il suo governo rispetto a quello che è stato fatto appositamente cadere per sgombrargli la strada.
Lo stesso vale per le chiacchiere vuote circa l'obiettivo di “proteggere il futuro dell'ambiente conciliandolo con il progresso e il benessere sociale”, garantire “una vera parità di genere” (con un governo come il suo con pochissime donne), “aumentare l'occupazione, in primis femminile, nel Mezzogiorno”, “aumentare l'efficienza del sistema giudiziario civile”, garantire un “processo equo e di durata ragionevole”, e simili altre banalità buone per tutte le stagioni e tutti i governi.
 

Via libera ai licenziamenti e alla chiusura di aziende “decotte”
Per capire qual è il vero programma del banchiere massone e perché è stato insediato con un golpe bianco da Mattarella bisogna leggere tra le righe del suo discorso e delle due repliche, e interpretare i segnali che vi ha disseminato e che sono rivolti selettivamente alle forze economiche che egli rappresenta e a quelle politiche che lo sostengono in parlamento. E allora si verrà a capire che cosa intende fare coi lavoratori, quando si lascia sfuggire (segnale a Confindustria) che le gravissime conseguenze del virus sull'occupazione sono “un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il divieto di licenziamento”, dando con ciò per scontato che ad aprile non sarà rinnovato il blocco dei licenziamenti, salvo temporaneamente e per pochi casi particolari; e che anzi la pandemia, che finora ha colpito soprattutto giovani e donne, “presto potrebbe iniziare a colpire anche i lavoratori con contratti a tempo indeterminato”.
Non a caso infatti, confermando la tesi liberista già espressa in passato che gli aiuti pubblici devono andare solo alle aziende competitive, lasciando morire invece le “aziende zombie” fuori mercato, in un altro punto del discorso Draghi ha sentenziato: “Il Governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche; alcune dovranno cambiare anche radicalmente e la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento (leggi chiudere, ndr) è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi”.
 

Il liberismo draghiano su scuola, Mezzogiorno e fisco
La stessa visione liberista e aziendalista emerge sul tema della scuola, dove Draghi invoca “una transizione culturale”, che poi consiste nel puntare sugli istituti tecnici come in Francia e Germania, dove “sono un pilastro importante del sistema educativo”, e nei “continui adeguamenti nella formazione universitaria”, per stare al passo con la globalizzazione e le trasformazioni del mondo del lavoro.
Emerge anche sul tema del Mezzogiorno, che Draghi si guarda bene dal mettere come priorità del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) da 209 miliardi, ma liquida con quattro parole dicendo che occorre “sviluppare la capacità di attrarre investimenti privati” e puntare su incentivi come il credito d'imposta “e altri interventi da concordare in sede europea”, escludendo quindi a priori un robusto piano di investimenti pubblici diretti nell'industria, nelle infrastrutture, nell'agricoltura e nel turismo, il solo che potrebbe garantire la rinascita del Sud dal sottosviluppo e dalle mafie.
Anzi, il banchiere massone rovescia la frittata, e a chi gli contestava lo scarso spazio dedicato al Sud, ha replicato stizzito: “Nella replica di ieri, a proposito dello sviluppo nel Mezzogiorno, ho detto, sì, sì certo, c'è il credito di imposta, ma la prima cosa è assicurare legalità e sicurezza; gli altri strumenti si possono usare, si devono usare, ma se manca quella base …”. Lo stesso rovesciamento causa-effetto lo ha fatto con la corruzione, quando per appoggiare la “semplificazione” burocratica per le opere infrastrutturali, già invocata in aula da Salvini con la cancellazione del codice degli appalti, Draghi ha detto che sono proprio i “numerosi adempimenti” che finiscono “per alimentare, più che prevenire, fenomeni di illegalità”.
Il programma marcatamente liberista di Draghi fa capolino anche in diverse altre parti dei suoi interventi, come per esempio sulla riforma del fisco, che affronta in un lungo passaggio, copiato pari pari da un editoriale sul “CdS” del maggio scorso dell'economista ultraliberista Giavazzi, in cui annuncia una commissione di esperti per una “revisione profonda” dell'Irpef sul modello danese, “riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività”. Cosa che è stata interpretata come un no alla flat tax chiesta da Salvini, ma che in realtà gli va incontro, perché si può “preservare” la progressività anche riducendola oltre il livello già basso attuale (l'aliquota massima è al 43%). E la riforma danese in questione si basò appunto su una forte riduzione dell'aliquota massima del 5,5%, che Draghi omette però di citare.
 

Un governo “convintamente europeista e atlantista”
Draghi tradisce la sua visione liberista soprattutto quando a proposito del PNRR dice che “il ruolo dello Stato e il perimetro dei suoi interventi dovranno essere valutati con attenzione”, e che il compito dello Stato “è utilizzare le leve della spesa per ricerca e sviluppo, dell'istruzione, della formazione, della regolamentazione, dell'incentivazione e della tassazione”: in altre parole lo Stato non deve intervenire direttamente nell'economia ma essere solo al servizio dell'imprenditoria privata, come va infatti proclamando da tempo Bonomi.
Riguardo al PNRR stesso, il premier ha chiarito che sarà rinforzata la “dimensione strategica” di quello del governo uscente (qualunque cosa ciò voglia dire), in particolare riguardo all'alta velocità ferroviaria, la digitalizzazione, la larga banda e le reti 5G. La sua gestione sarà accentrata nelle sue mani e in quelle del ministro dell'Economia, e quanto al parlamento “verrà costantemente informato sia sull'impianto complessivo sia sulle politiche di settore”. E tanti saluti a chi aveva aperto la crisi perché Conte voleva accentrare la gestione dei 209 miliardi, senza coinvolgere i ministeri, il parlamento, i sindacati, le Regioni ecc.
In politica estera Draghi ha sancito la liquidazione della parentesi “sovranista”, trumpista, e di appeasement con Russia e Cina praticata in vario modo dai due precedenti governi Conte, ribadendo solennemente che “questo Governo nasce nel solco dell'appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all'Unione europea e come protagonista dell'Alleanza atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori. Sostenere questo Governo significa condividere l'irreversibilità della scelta dell'euro e la prospettiva di un'Unione europea sempre più integrata”. Anzi ha rimarcato che ci potranno essere ulteriori cessioni “di sovranità nazionale per acquisire sovranità condivisa”.
Con Draghi il governo “sarà convintamente europeista e atlantista”, e l'imperialismo italiano accentuerà la sua “proiezione verso le aree di naturale interesse prioritario, come i Balcani, il Mediterraneo allargato, con particolare attenzione alla Libia, al Mediterraneo orientale e all'Africa”. Quanto all'immigrazione, ha chiarito il banchiere massone strizzando l'occhio a Salvini e alla Meloni, “cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale”.
 

Le furbizie di Salvini e Meloni e la spaccatura del M5S
La discussione in aula sul suo intervento è stato tutto un coro generale di osanna, perfino da parte di Salvini e dei suoi mastini “sovranisti” Borghi e Bagnai. Il duce dei fascisti del XXI secolo, ora “fulminato sulla via di Bruxelles”, non ha mancato comunque di incalzare Draghi sui temi dell'immigrazione, dell'abbassamento delle tasse, delle grandi opere a partire dal ponte sullo stretto, degli inceneritori, della “tutela della famiglia e della vita sempre e comunque”, di tappare la bocca ai virologi, di riaprire tutto e così via, confermando la sua strategia di stare con un piede nel governo e con l'altro all'opposizione, per non regalare troppo spazio alla sua alleata ma anche rivale Meloni.
D'altra parte quest'ultima, pur confermando il no alla fiducia a Draghi (perché “non avevamo scelta”), gli ha assicurato comunque un'opposizione molto “responsabile e patriottica”, garantendogli che “avrà il nostro stimolo e il nostro supporto per ogni decisione che reputeremo giusta”. E strizzando l'occhio agli alleati di FI e Lega al governo, ha promesso che “ci saremo per dar loro una mano e che, in ogni caso, anche quando questa parentesi sarà terminata, ci troveranno qui, sempre dalla stessa parte”: si dividono i compiti tra governo e opposizione, insomma, ma restano sempre alleati, in barba alla presunta spaccatura del “centro-destra” attribuita all'”effetto Draghi”. Insomma un'opposizione di sua maestà.
La spaccatura c'è stata invece, e consistente, nel M5S, con una cinquantina tra deputati e senatori, della destra e della sinistra interne, che hanno votato no o si sono astenuti, e che sono stati colpiti da procedimento di espulsione dal Movimento, dal quale era già uscito in dissenso Alessandro Di Battista. Potrebbero anche costituire un gruppo autonomo in parlamento, con o senza di lui alla testa. Da loro, oltre che da alcuni ex M5S già espulsi in precedenza, sono venuti anche gli unici attacchi diretti al banchiere Massone. Dall'ex M5S Nugnes (questo governo deve dimostrare “che la politica non serve, che la tecno finanza deve farsi Stato, che si è già fatta Stato”), all'ex M5S Fattori (“lei parla di giustizia sociale, ma lei è stato responsabile del disastro greco”); dall'ex M5S Paragone (“lei è un incappucciato della finanza”, “ormai lei è il governatore dell'Italia”), al dissidente del M5S Crucioli (“lei ha chiarito la sua ostilità per l'ingresso pubblico nell'economia, così come ieri si è reso protagonista della distruzione delle imprese di Stato italiane”).
 

Non siamo tutti nella stessa barca
L'attacco più qualificato da sinistra a Draghi è venuto dal leader di SI, Fratoianni, che nel rendere l'onore delle armi all'ex premier Conte ha definito “un omicidio politico premeditato” la caduta del precedente governo e usando un'appropriata parola d'ordine già coniata un anno fa dal PMLI, ha contestato il “dovere dell'unità” invocato dal premier dicendo che “non siamo tutti e tutte sulla stessa barca, nemmeno davanti al virus”, perché non stanno insieme “l'interesse di Confindustria che vuole sbloccare i licenziamenti, con quelli dei lavoratori e delle lavoratrici”, perché “le tasse non si possono abbassare a tutti preservando la progressività, così la si riduce”, e perché “serve un'imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze, per ridistribuire ciò che è stato sottratto”.
Per il PMLI non ci potrà mai essere l'unità tra le masse popolari e il governo Draghi del capitalismo, della grande finanza e dell'UE imperialista, tra il proletariato e la borghesia, tra oppressori e oppressi, tra sfruttatori e sfruttati. L'unità è sacrosanta e necessaria, ma tra tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali, e religiose antidraghiane, a cominciare dai partiti con la bandiera rossa e la falce e martello e quei parlamentari che si opporranno con coerenza da sinistra all'ammucchiata governativa attorno al banchiere massone, per buttarlo giù e difendere esclusivamente gli interessi del popolo.
 
“L'opposizione del PMLI al governo Draghi -indica acutamente il Documento del CC del PMLI- non potrà che essere netta, intransigente, senza esclusione di colpi, sconti e soste. Ma da sola non basta per rendere dura e difficile la vita a questo governo. Occorre costruire il più rapidamente possibile un largo fronte unito di tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali, religiose antidraghiane. Pertanto lanciamo cinque calorosissimi appelli.” Noi ci auguriamo che questi cinque appelli siano raccolti dagli interessati: Partiti con la bandiera rossa e la falce e martello; il proletariato; le anticapitaliste e gli anticapitalisti; le ragazze e i ragazzi di sinistra dei movimenti popolari; le intellettuali e gli intellettuali democratici antidraghiani. Perché come ricorda il suddetto Documento: “L'Italia di Draghi, del capitalismo e della dittatura della borghesia non è la nostra Italia”.
Fare gli interessi del popolo e lottare insieme al PMLI per creare le condizioni soggettive necessarie al passaggio dal capitalismo al socialismo per via rivoluzionaria e conquistare il potere politico del proletariato: questo è il compito di ogni sincero anticapitalista che voglia cambiare davvero l'Italia.
 

24 febbraio 2021