Continua la protesta in piazza del popolo libanese
Al grido: Ve ne dovete andare tutti

Il 16 marzo centinaia di manifestanti bloccavano le strade nel cuore commerciale di Beirut, a due passi dalla sede della Banca centrale, così come altri dimostranti davano vita a blocchi stradali dalla città di Tripoli nel nord del paese a quella di Sidone nel sud, alla valle della Bekaa a est. Le nuove proteste e gli scontri con la polizia era la risposta immediata alla notizia di una nuova svalutazione della moneta nazionale, la lira libanese, nel cambio col dollaro e il conseguente rialzo dei prezzi di merci e servizi in una situazione già di profonda crisi economica, con una inflazione al 90% e arrivata fino al razionamento di elettricità e benzina. Nonché riflesso di una crisi politica segnata da uno stallo che dura da quasi cinque mesi nella formazione del governo che il presidente Michel Aoun ha affidato all'ex premier Saad Hariri.
Le nuove proteste del 16 marzo sono la continuazione di quelle che già dagli inizi del mese hanno visto il popolo libanese rilanciare la lotta al grido di "Ve ne dovete andare tutti". Una protesta iniziata nell'ottobre 2019 quando milioni di libanesi scesero in piazza con questo slogan che chiedeva le dimissioni di tutta una classe politica corrotta, schiacciata dalle pressioni dei paesi egemoni locali vicini e con una parte di territorio nazionale occupata dai sionisti di Tel Aviv, più attenta a garantire gli interessi delle grandi banche private che controllano le finanze del paese e incapace di evitarne il collasso una volta esplosa anche la crisi sanitaria.
Da mesi si ripetono periodicamente le esplsioni di rabbia popolare che mettono anzitutto in discussione il sistema istituzionale ereditato dai colonialisti francesi e centrato sulla spartizione delle poltrone in base alla divisione etnica e religiosa che non tiene più anche di fronte alle pressioni esterne.
Guarda al Libano e ai possibili sviluppi della crisi, l'imperialismo americano che proprio il 16 marzo sbarcava a Beirut con una delegazione governativa guidata dal generale Kenneth McKenzie, capo del comando centrale Usa (Centcom), che incontrava il comandante dell'esercito libanese, il generale Joseph Aoun. Nello stesso momento una delegazione degli Hezbollah filo-iraniani era in visita Mosca per un incontro col ministro degli esteri Serghiei Lavrov, al tavolo dell'imperialismo russo che si è conquistato un ruolo determinante nella spartizione del controllo della regione. Restano apparentemente a guardare i sionisti di Tel Aviv, arrocccati sulle alture del Golan occupate e con lo sguardo puntato più lontano, verso l'Iran.
Lo scorso 20 ottobre Hariri, leader del Movimento Futuro e molto legato all'Arabia Saudita, aveva ricevuto per la quarta volta l'incarico di capo del governo libanese col favore anche degli sciiti di Amal e dei drusi del Partito socialista progressista e l'astensione del partito del presidente, il partito del Movimento patriottico libero guidato e di Hezbollah. La soluzione di rimettere sulla poltrona governativa colui che era stato cacciato dalla protesta popolare solo un anno prima testimonia quanto sia difficile una soluzione alla crisi politica del paese e evitare anzitutto quella che Hezbollah e Amal hanno definito "un’esplosione sociale" incontrollabile.
 

17 marzo 2021