In nome della “coesione sociale” svenduta la lotta di classe per un piatto di lenticchie
Respingere il patto sul lavoro pubblico tra il governo Draghi e i sindacati confederali
No a smartworking, flessibilità e meritocrazia

È stato firmato a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio Mario Draghi assieme al ministro per la Pubblica amministrazione, Renato Brunetta, e ai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil il “Patto per l'innovazione del lavoro pubblico e la coesione sociale”. Molti giornali e siti d'informazione hanno osannato questo accordo spacciandolo come un grosso passo avanti verso la “modernizzazione”, il ringiovanimento e la maggiore efficienza della macchina pubblica del nostro Paese.
Alcuni commenti apparsi sui media si sono spinti fino al punto di descrivere Brunetta come un ministro che oramai ha archiviato gli attacchi ai lavoratori pubblici, che ha sempre apostrofato come fannulloni, per sposare la politica della concertazione, del dialogo e dell'apertura verso le organizzazioni sindacali, che da parte loro hanno salutato l'intesa con grande soddisfazione: “bene nel merito e nel metodo” si legge nel comunicato della Cgil. Per Maurizio Landini “si tratta di “un accordo importante perché indica la centralità del lavoro pubblico e del ruolo della pubblica amministrazione come motore per lo sviluppo del nostro Paese, e la necessità di investimenti sul lavoro che avviino un processo di migliore efficienza anche nel sistema della pubblica amministrazione”.
Naturalmente non c'è stata nessuna “conversione” da parte di Brunetta, né concessioni da parte del governo del banchiere massone Draghi. Basta andare a leggersi il testo dell'accordo per convincersene. Poche pagine, otto, che non stabiliscono ancora dei punti precisi, ma le linee generali; si tratta più di un prologo, di un pre-accordo, dove però appare chiara una cosa: la “riforma” della pubblica amministrazione sarà cogestita assieme ai sindacati confederali. Il succo dell'intesa è questo: il governo riconosce a Cgil, Cisl e Uil l'esclusività della rappresentanza nella contrattazione; questi in cambio assicurano la loro collaborazione e l'impegno a non mettersi di traverso all'esecutivo nella gestione del Ricovery fund .
Dobbiamo superare la cortina fumogena degli annunci vuoti sulla “valorizzazione”, sulla “buona occupazione” e via discorrendo e andare ai passaggi chiave del documento, laddove afferma di voler superare il “dualismo tra settore pubblico e settore privato”, naturalmente in favore di quest'ultimo, che negli ultimi decenni ha visto una fortissima riduzione dei diritti dei lavoratori, di pari passo con la perdita di salario reale e potere d'acquisto. L'obiettivo è quello cambiare l'amministrazione pubblica seguendo la logica aziendalista e di conseguenza mettere al primo posto “efficienza” e profitto e in secondo piano gli interessi e i bisogni delle masse popolari e dei cittadini.
E poi la flessibilità, da sempre cavallo di battaglia dei neoliberisti, che in poche righe viene ripetuta per ben tre volte. Una flessibilità per stare “al passo dei tempi” e dei cambiamenti del mercato, come se la sanità o la scuola fossero delle aziende di abbigliamento sensibili alle mode o ai cambiamenti stagionali. Non ci sembra proprio d'intravedere cambiamenti: aziendalizzazione del pubblico, “meritocrazia” e flessibilità sono proprio i cardini della controriforma Brunetta del Pubblico Impiego portata avanti dall'attuale ministro quando sedeva sulla stessa poltrona ma con il governo Berlusconi negli anni 2008-2011.
Per quanto riguarda il cosiddetto lavoro agile, il segretario generale della Cgil Landini ha sottolineato con favore il fatto che lo smartworking , per evitare “una iper-regolamentazione legislativa”, sia disciplinato dalla contrattazione. Sempre però, ci ricorda il testo dell'accordo, con l'obiettivo di favorire l'aumento della produttività e il raggiungimento dei risultati. Infatti il lavoro a distanza si configura come una forma di supersfruttamento dei lavoratori e di ulteriore allungamento dell'orario di lavoro, che finisce per allargarsi alle intere 24 ore giornaliere, all'intera settimana e sbriciola ogni separazione tra tempo di lavoro e tempo libero. Non condividiamo neppure gli apprezzamenti sindacali a un nuovo inquadramento professionale che, come per quanto è avvenuto nel privato con i metalmeccanici, sostituisce gli avanzamenti basati sull'esperienza con parametri vaghi e a discrezione dei dirigenti aziendali.
Anche nel pubblico, come nel privato, non manca il ridimensionamento del contratto nazionale di lavoro in favore della contrattazione di secondo livello. La “produttività” e le “specificità di contesto” sono le paroline magiche su cui dovrà concentrarsi la contrattazione decentrata. La ricetta del falco di Confindustria Bonomi trasferita nel pubblico impiego, dove la maggior parte degli eventuali miseri aumenti salariali sarà legata alla mole di lavoro svolto e alla particolarità territoriale e di settore, per cui i lavoratori di Regioni dove le amministrazioni e i servizi pubblici sono storicamente più arretrati, pur senza averne alcuna colpa, percepiranno uno stipendio più basso.
Nel documento non si fanno cifre ma per gli aumenti medi sappiamo che sono di 107 euro lordi, come stabilito già con il precedente ministro, Fabiana Dadone. Ma dopo il blocco dei salari per 10 anni che ha sottratto migliaia di euro dalle tasche dei lavoratori pubblici, e un ultimo contratto che ha portato in busta paga solo pochi euro che non sono neppure bastati a coprire la pur bassa inflazione, si tratta poco più di un'elemosina. Quella stessa cifra non era stata respinta dai sindacati confederali che l'avevano giudicata insufficiente proclamando lo sciopero lo scorso 9 dicembre? Quindi sono stati i vertici sindacali e non il governo e il padronato a cambiare.
Non dobbiamo inoltre sottovalutare che l'inquadramento privatistico del Pubblico impiego delineato nell'accordo avrà un impatto anche sulla modalità della retribuzione. Sarà favorito il lavoro accessorio a discapito di quello fisso con la detassazione degli straordinari, sulle quote di welfare aziendale e spingendo sulla previdenza complementare, con il paradosso di avere lavoratori dei servizi pubblici universali retribuiti con servizi promossi da concorrenti privati, tagliando le entrate fiscali che sostengono il loro lavoro. Infine ingenti risorse saranno riservate ai livelli più elevati, aumentando il divario tra i salari della maggioranza dei lavoratori, tra i più bassi d'Europa, e le posizioni dirigenziali, che sono invece tra i più alti.
Nell'accordo non c'è nessuna traccia di quello che era veramente necessario: un piano straordinario di assunzioni a tempo indeterminato e la regolarizzazione di tutti i precari; ricordiamoci che in un paio di decenni nella Pubblica amministrazione si sono persi oltre 300mila posti di lavoro, mentre riguardo al salario, un aumento almeno triplo rispetto a quello promesso.
Del resto i sindacati confederali hanno scelto la strada della “coesione sociale”, svendendo la lotta di classe per un piatto di lenticchie. Si prosegue a tutto regime sulla linea del sindacato istituzionale anche da parte della Cgil, linea che con la segreteria Landini si è ulteriormente rafforzata. Come avvenuto in passato per altri governi imposti dall'alta finanza e dalla UE come quelli presieduti da Ciampi e Monti, Cgil-Cisl-Uil si sono legati mani e piedi offrendo il pieno sostegno all'esecutivo guidato dal banchiere massone Draghi, in nome della “responsabilità” e “dell'interesse del Paese”.
La stessa logica di privatizzazione e aziendalizzazione che ha portato alla destrutturazione del servizio sanitario nazionale e alla trasformazione della loro ramificazione territoriale in Aziende sanitarie locali con l'obiettivo della riduzione della spesa e del bilancio a cui sono subordinate la salute delle masse popolari, la stessa che ha portato la scuola e l'università all'asservimento alle aziende e ai capitalisti italiani, adesso viene estesa a tutta la pubblica amministrazione. Per questo ci opponiamo al patto della coesione sociale del lavoro pubblico che spalanca le porte alla cogestione, alla meritocrazia, alla flessibilità e al precariato, allo smartworking, e invitiamo tutti i lavoratori pubblici a fare altrettanto.

17 marzo 2021