Il decreto Draghi sui sostegni non è soddisfacente
Il condono premia gli evasori fiscali

Il 19 marzo il Consiglio dei ministri ha varato il decreto contenente i “ristori” per sostenere imprese, lavoratori autonomi, professionisti e operatori del terzo settore (cultura, spettacolo, sport ecc.) messi in ginocchio dalla perdurante pandemia. Il provvedimento è stato chiamato decreto Sostegni, per marcare il “cambio di passo” dai decreti Ristori del precedente governo, anche se in realtà ricalca l'ultimo già annunciato da Conte e Gualtieri prima della crisi di governo, e per il quale avevano chiesto e ottenuto dal parlamento lo scostamento di bilancio da 32 miliardi. Solo che da allora sono passati altri due mesi senza che i milioni di persone interessate abbiano visto arrivare un euro, e bene che vada dallo scorso gennaio i primi soldi li vedranno dopo la metà di aprile. Ma né i partiti dell'ammucchiata governativa né la stragrande maggioranza dei giornali borghesi hanno avuto stavolta nulla da ridire, vista l'intoccabilità di cui gode il governo del banchiere massone Draghi voluto da Mattarella.
Come per i precedenti decreti Ristori anche questo destina la stragrande maggioranza delle risorse alle imprese, sia sotto forma di contributi diretti a fondo perduto che indiretti, come sgravi fiscali, cassa integrazione senza costi per le imprese, facilitazioni per i contratti a tempo ecc. Mentre destina molto meno per la sanità e la scuola, che pure sono i due servizi sociali più colpiti dalla pandemia, e pochissimo per sostenere la povertà e le categorie sociali più disagiate. E anche stavolta non stanzia neanche un euro per il Sud, mentre in compenso contiene un bel condono per gli evasori fiscali.
Insomma, è cambiato il governo ma la filosofia di questi provvedimenti è sempre la stessa: tenere a galla la barca del capitalismo finché passi la bufera, e facendo pagare il conto della crisi alle prossime generazioni, giacché di una tassa progressiva sui patrimoni non se ne vuol neanche sentir parlare. Non per nulla Draghi ha detto nella conferenza stampa di presentazione del provvedimento: “Questo è un anno in cui non si chiedono soldi, ma si danno soldi, verrà il momento di guardare al debito, ma non è questo il momento di pensare al Patto di stabilità”.
 

Aiuti a imprese, lavoratori autonomi, professionisti
Sono oltre 11 i miliardi destinati direttamente a “ristorare” queste categorie, per un totale di circa 5,5 milioni di attività fino ad un massimo di 10 milioni di fatturato (prima il tetto era di 5 milioni); e stavolta senza alcuna distinzione in base ai codici Ateco come avveniva prima, ma solo in base alla perdita di ricavi, come da tempo chiedevano i tre partiti del “centro-destra”. Potrà fare domanda chi ha avuto infatti un calo di fatturato superiore al 30% tra il 2019 e il 2020, e i contributi saranno proporzionali al calo rapportato alla media mensile, in percentuale decrescente a seconda di 5 fasce di fatturato: dal 60% per ricavi fino a 100 mila euro, fino al 20% per ricavi da 5 a 10 milioni di euro. Per circa 3 milioni di attività il ristoro medio dovrebbe ammontare a circa 3.700 euro.
Per quasi un intero anno di mancati introiti si tratta comunque di un palliativo. Anche perché l'aver allargato la platea dei beneficiari oltre i codici Ateco, e per di più alzando i massimali da 5 a 10 milioni di ricavi, senza però aumentare le risorse stanziate, ha giocoforza ridotto i sussidi pro capite medi. Secondo uno studio pubblicato da “Il Fatto Quotidiano” ciò comporterà anche un effetto redistributivo dei sussidi che penalizzerà le piccole attività a vantaggio di quelle della fascia alta con ricavi tra i 5 e i 10 milioni; anche di quelle che magari non hanno fatto neanche un giorno di chiusura. Non a caso Draghi, già prevedendo il forte malcontento delle categorie interessate dal provvedimento, si è affrettato a dire che questo è solo “un primo passo”, promettendo un altro decreto Sostegni in aprile. E ha stanziato un pacchetto di 500 milioni a disposizione dei partiti che lo sostengono per i loro emendamenti clientelari in parlamento.
Sono previsti inoltre 600 milioni di indennizzi per gli operatori del comparto neve, inclusi i maestri di sci, e altri 1,5 miliardi per l'esonero dei contributi per i professionisti, da ripartire anche qui in base alle fasce di reddito. Ci sono 200 milioni per un fondo destinato a prestiti agevolati riservati alle grandi imprese in “situazione di temporanea difficoltà finanziaria”. E c'è poi un fondo da 2,5 miliardi per la decontribuzione a favore dei lavoratori autonomi, incluso il settore agricolo. E sempre in ambito fiscale è concessa alle partite Iva che abbiano subito perdite di almeno il 30% un'ulteriore rottamazione delle cartelle esattoriali 2017-18, più la proroga al 30 aprile del blocco delle notifiche delle cartelle, così come del blocco dei pagamenti per chi usufruiva delle rateizzazioni: tutto questo per un mancato introito per l'erario di 1,3 miliardi nel 2021 e di 817 milioni nel 2022.
 

Interventi su lavoro, cassa integrazione, blocco dei licenziamenti
Sotto la voce “lavoro” il decreto comprende misure come la proroga della cassa integrazione Covid e quella dei contratti a tempo senza causale, che in realtà dovrebbero essere considerate anch'esse come sostegno alle imprese, dato che con queste misure il governo scarica sulla collettività spesso anche i costi della “flessibilità” di cui con la scusa della pandemia approfittano le imprese, che oltretutto non pagano nemmeno un euro di contributo per la Cig-Covid. Per le imprese che hanno la cassa ordinaria la proroga della Cig vale fino al 30 giugno, mentre per le piccole imprese, che hanno la Cig in deroga o il Fondo di integrazione salariale (Fis), è previsto un massimo di altre 28 settimane nel periodo fra il primo aprile e il 31 dicembre.
Per quanto riguarda il blocco dei licenziamenti la proroga è solo fino al 30 giugno per tutte le imprese, indipendentemente dal numero di dipendenti. Solo per le piccole imprese con la Cig in deroga o il Fis e quelle del settore agricolo il blocco è esteso fino al 31 ottobre. Si tratta palesemente solo di un breve rinvio della bomba sociale per non intralciare la partenza del governo Draghi, alle prese con la campagna di vaccinazione e la messa a terra del Recovery plan, le due missioni più urgenti per le quali è stato creato. Ma è chiaro che compiute queste il banchiere massone non mancherà di applicare appieno la sua ricetta ultra liberista della “distruzione creativa”, per ripulire il capitalismo italiano dalle aziende fuori mercato e ristrutturare e rafforzare quelle “sane”, anche a costo di sacrificare milioni di posti di lavoro: “Arriviamo fino a giugno, poi si vedrà”, ha detto sibillinamente Draghi in conferenza stampa.
Per il lavoro vero e proprio, cioè per il sostegno all'occupazione, scontata la solita assenza di investimenti strutturali di una qualche consistenza, men che meno al Sud, ci sono solo pochi spiccioli o quasi, come i 400 milioni per il rifinanziamento del Fondo sociale per l'occupazione e formazione, i 56 milioni per prolungare fino a fine anno i contratti dei 2.680 navigator, e i 75 milioni per i centri per l'impiego.
Il decreto Sostegni prevede anche un'ulteriore proroga fino a fine anno della possibilità per le imprese di rinnovare o prolungare i contratti a termine, per una durata massima di 24 mesi, senza bisogno di indicare una causale come prevederebbe il decreto Dignità: un evidente trucco per evitare le assunzioni a tempo indeterminato e continuare a sfruttare lavoro precario con il pretesto dell'emergenza pandemia.
 

Misure per il “contrasto alla povertà”
Sotto questa voce il decreto comprende il rifinanziamento per 1 miliardo del Reddito di cittadinanza e il rinnovo per tre mensilità del Reddito di emergenza, a cui vengono agganciati anche quei lavoratori che hanno finito i sussidi di disoccupazione Naspi e Discoll. Mentre 960 milioni sono destinati ai lavoratori più precari già beneficiari nel 2020 dell'assegno Inps da 600 euro, tra cui 400 mila stagionali, autonomi occasionali, precari dei settori dello sport, del turismo e dello spettacolo: per questi lavoratori l'assegno sale a 800 euro e varrà per tre mesi. Un'elemosina, in sostanza, se si pensa che molti di questi lavoratori, in particolare quelli del mondo dello spettacolo, sono a reddito zero da più di un anno.
 

Sanità e scuola in fondo alla lista
Per la “salute e sicurezza” il decreto stanzia circa 5 miliardi, di cui 2,1 serviranno per l'acquisto di vaccini e 700 milioni per l'acquisto di farmaci anticovid, compresi farmaci monoclonali. Poi ci sono 200 milioni per l'avvio della produzione nazionale di vaccini. Il resto delle risorse va alla logistica e altre spese in gran parte gestite dal nuovo commissario per l'emergenza, generale Figliolo. Ancora una volta niente o quasi per i medici e gli infermieri delle strutture sanitarie pubbliche, per nuove assunzioni e la medicina territoriale, se si eccettuano 350 milioni che serviranno però anche per i medici di medicina generale coinvolti nella campagna vaccinale, estesa anche alle farmacie.
Per la scuola sono stati stanziati solo 300 milioni, per l'acquisto di “strumenti e servizi per la sicurezza e per le attività formative”. E all'Università e alle scuole di alta formazione vanno appena 78 milioni per “l’acquisto di dispositivi digitali per gli studenti” e altre spese di supporto alla ricerca e alla didattica a distanza. Altri 35 milioni andranno a finanziare progetti per colmare il divario digitale al Sud riguardo soprattutto alla Dad. In pratica non solo le risorse destinate alla scuola sono scandalosamente basse, ma si continua a puntare sulla didattica a distanza rigettata in massa da studenti, docenti e famiglie.
 

Un condono fiscale mascherato
Ciliegina sulla torta di questo decreto Sostegni è il colpo di spugna su 16 milioni di cartelle esattoriali fino a 5 mila euro ed emesse negli anni tra il 2000 e il 2010. Un bel condono fiscale mascherato come avevano chiesto nel governo Lega, FI e M5S, e dall'“opposizione” la fascista Meloni, tanto che per diversi giorni ha rappresentato lo scoglio che ha ritardato il varo del provvedimento. Lega e FI chiedevano infatti lo stralcio delle cartelle fino a 10 mila euro e fino al 2015, e la vice ministra all'Economia, Laura Castelli del M5S, chiedeva addirittura lo stralcio di tutte le cartelle inesigibili, senza limite. Mentre PD e LeU chiedevano di limitare lo stralcio a 3 mila euro e solo per i crediti veramente inesigibili (fallimenti, decessi, ecc.).
Nel braccio di ferro che ne è seguito Salvini era arrivato fino a minacciare di non votare il decreto, costringendo Draghi ad un supplemento di trattativa e ritardare il cdm di approvazione e la conferenza stampa. Alla fine l'accordo è stato trovato su cartelle fino a 5 mila euro, dal 2000 al 2010 e col limite di 30 mila euro di reddito. Ma c'è da dire che in questo tetto dichiarato rientra circa l'83% dei debitori. E inoltre Salvini ha ottenuto anche una clausola nel decreto che impegna il governo a riesaminare in parlamento le cartelle fino al 2015 e rivedere il sistema di riscossioni.
“Sì, è un condono – ha ammesso tranquillamente Draghi rispondendo alla domanda di un giornalista, mentre altrove Salvini esultava sottolineando l'“accelerazione targata Lega” – ma era necessario e abbiamo contenuto l'importo. Si tratta di multe e altre cartelle più vecchie di 10 anni... è chiaro che sulle cartelle lo Stato non ha funzionato. Ne ha permesso l’accumulo di milioni e milioni che non si possono esigere: bisogna cambiare qualcosa”.
Un pessimo segnale, il suo, per i contribuenti onesti e un incoraggiamento agli evasori, che vengono pure assolti moralmente dal capo del governo, oltreché premiati materialmente, perché la colpa non è di loro che non pagano le multe aspettando l'immancabile condono, ma dello Stato incapace. Oltretutto c'è anche la beffa che di questo colpo di spugna beneficeranno anche i debitori che stavano pagando regolarmente le rate, per un mancato introito calcolato dalla stessa relazione tecnica al decreto in circa 450 milioni, che magari avrebbero potuto andare a incrementare i ristori per chi ne ha davvero bisogno.
Contro questo decreto Sostegni, tanto insoddisfacente per i lavoratori e le masse popolari colpiti dalla crisi pandemica, quanto compiacente verso gli evasori e le classi più abbienti, è più che mai necessario perciò rivendicare il blocco permanente dei licenziamenti, il salario pieno per la cassa integrazione covid e la sua prosecuzione finché dura la pandemia, il ripristino dell'articolo 18, estendendolo anche alle aziende con meno di 15 dipendenti, un sostegno di 1.200 euro al mese per tutti i soggetti senza reddito e ammortizzatori sociali, “ristori” adeguati per tutte le piccole e medie attività colpite dalla crisi, il diritto di sciopero e di manifestazione e l'abrogazione dei decreti sicurezza.
 

31 marzo 2021