Consiglio europeo
I paesi dell'Ue ostaggi delle multinazionali che producono vaccini
Draghi propone un nuovo patto e eurobond sul modello americano

 
"L'immunità di gregge dal coronavirus dovrebbe essere ottenuta entro metà luglio" assicurava il francese Thierry Breton, commissario Ue al mercato interno e capo della task force sui vaccini, in una intervista del 28 marzo, "ora abbiamo la capacità di produrre e fornire ai nostri concittadini europei i 360 milioni di dosi del vaccino previste alla fine del trimestre e i 420 milioni di dosi previste per la fine di luglio" così da poter permettere anche gli spostamenti all'interno dell'Unione Europea muniti del cosiddetto passaporto sanitario, sbandierato davanti alle telecamere. Tutto sotto controllo è il messaggio che vorrebbe far passare la Ue come se d'un colpo avesse risolto quella montagna di problemi creati dalla sua sudditanza alle case farmaceutiche, la inquietante ingenuità nel sottoscrivere contratti senza impegni precisi di consegna dei farmaci e senza sanzioni per le mancate consegne come è emerso chiaro anche al vertice in videoconferenza del Consiglio europeo del 25 marzo.
Esemplare la vicenda delle 29 milioni di dosi della società anglo-svedese AstraZeneca "scoperti" il 20 marzo nei magazzini di Anagni della Catalent, una società americana che li confeziona in fiale; una parte dei quali erano destinati al centro di smistamento in Belgio per la distribuzione nei paesi europei mentre circa un terzo per il programma Covax dell'Oms per i Paesi in via di sviluppo. La società era già nel mirino della Ue per aver tagliato di brutto tra gennaio e marzo le consegne promesse, delle 120 milioni di dosi previste dal contratto per il primo trimestre e già ridotte a 30 milioni ne sono state consegnate solo 18 milioni, e mentre annunciava altri tagli alle forniture aveva almeno il tesoretto nascosto a Anagni; senza contare che la Catalent è sotto controllo da parte dei doganieri italiani per alcune sospette bolle di esportazione tra gennaio e febbraio che non riguardano farmaci ma un carico di cassoni di ferro e acciaio spediti alla casa madre di Philadelphia, una possibile copertura di un giro di fiale tenuto occulto.
Nel corso del vertice europeo si è fatto sentire in videoconferenza anche il presidente americano Biden per confermare che gli Stati Uniti sono determinati a rivitalizzare l'alleanza con l'Europa e pronti a lavorare insieme sul fronte della distribuzione globale dei vaccini. Eppure si è guardato dall'ordinare alla Catalent di non partecipare al giro di triangolazioni che nei viaggi del prodotto tra sedi di produzione, di confezionamento e di smistamento aiuta le multinazionali farmaceutiche ad aggirare finanche i contratti già firmati.
Le dosi prodotte nella Ue saranno destinate alla Ue, assicurava la presidente Ursula Von der Leyen, con un piglio decisionista che non riuisciva però a coprire le responsabilità sue e della Commissione europea nella finora deficitaria distribuzione dei vaccini che si è ben presto arenata dopo le pompose cerimonie che lo scorso 27 dicembre avevano dato il via a una campagna vaccinale che al momento ha messo al sicuro della doppia dose solo poco più del 4% degli oltre 446 milioni di europei.
Il vertice anglo-svedese della società AstraZeneca ha certamente le sue responsabilità nell'aver promesso un numero di consegne di vaccini che non poteva mantenere, che intanto le permettevano di occupare una fetta di mercato che sarebbe andata alle multinazionali concorrenti, o peggio ancora nel simulare difficoltà di produzione e tagliare le consegne mentre vende altrove parte delle dosi prodotte a un prezzo molto più alto di quello pattuito con la Ue. Questo è il gioco del capitalismo e della ricerca del massimo profitto che i paesi dell'Ue tutelano e organizzano come compito istituzionale, tanto che non hanno nessuna intenzione di fare il primo passo necessario ossia eliminare i brevetti sui vaccini per necessità pubblica, e non possono cavarserla scaricando le colpe unicamente sui manager delle società colpevoli di crimini contro l'umanità in nome del profitto invece di chiamare in causa quanti, al vertice della Ue, hanno permesso tutto questo. La prima fase della campagna vaccinale ha infatti tagliato fuori la maggior parte dei paesi poveri o a basso reddito con i tre quarti dei vaccini concentrati in una decina di paesi del mondo.
La Ue si è messa in ginocchio davanti alle multinazionali farmaceutiche, ha firmato contratti tenuti inizialmente segreti e in seguito resi noti pieni di cancellature per nascondere le informazioni più importanti su prezzi, consegne e clausole di responsabilità. Dopo tra l'altro che le ha aiutate con un fiume di denari per finanziare la ricerca dei vaccini, una ricerca rimasta indietro rispetto alla certa evoluzione dei virus dai primi Covid all'attuale Covid-19 perché preverrebbe la malattia e non renderebbe gli alti profitti garantiti dai medicinali che curano le malattie. Il primo comma della legge capitalistica del profitto per le multinazionali farmaceutiche recita che curare rende meglio che prevenire.
Nella seconda parte del vertice del 25 marzo, chiuso peraltro in anticipo rispetto ai due giorni previsti, l'intervento del presidente del consiglio italiano Mario Draghi ha toccato temi che riguardano il modo per l'Ue di uscire fuori dalla crisi per lanciarsi nella sfida con le altre potenze imperialiste mondiali, magari senza tornare al puntuale e certosino rispetto di vecchie regole quali quelle di un troppo rigido patto di Stabilità, un cappio al collo per molti paesi Italia compresa, e ritenute intoccabili per i paesi del centro europa guidati dall'Olanda di Rutte. Lo sguardo di Draghi è puntato oltreoceano e la sua proposta riguarda un nuovo patto e eurobond sul modello americano, come se fosse una panacea alla crisi, come se le masse popolari americane non pagassero al pari di quelle europee il conto della crisi alle rispettive classi borghesi al potere. Negli Stati Uniti "c’è un solo mercato dei capitali, un’unione bancaria completa, un safe asset comune" ossia un titolo di debito comune di cui nella Ue si discute da tempo immemore col nome di eurobond, che ha un maggior credito e quindi paga meno interessi sui mercati finanziari rispetto ai singoli titoli dei paesi coi bilanci disastrati. Il primo passo per Draghi dovrebbe essere quello di "disegnare una cornice per la politica fiscale in grado di portarci fuori dalla crisi", prendere l'impegno e cominciare a incamminarsi su una strada che è certamente lunga. Una strada sulla quale i paesi della Ue si sono impegnati a progredire col consolidamento dell'euro e verso una più profonda unione economica e monetaria, il completamento dell'unione bancaria e una autentica unione dei mercati dei capitali. Draghi chiede una velocità maggiore di quella voluta dalla cordata dei paesi del centro europa guidati dall'Olanda di Rutte e ancora dipendente dal permesso della corte costituzionale tedesca di Karlsruhe che deve decidere la legittimità del progetto Recovery Fund appena approvato a larga maggioranza dal parlamento di Berlino e pronto il 27 marzo per avere il definitivo via libera del presidente Frank-Walter Steinmeier. Senza la ratifica di tutti i 27 membri il piano da 750 miliardi di euro non parte.

31 marzo 2021