Le donne in piazza contro l'uscita della Turchia dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere

 
Il 12 marzo 2012 la Turchia era stata il primo paese a ratificare la Convenzione di Istanbul contro la violenza di genere; il 20 marzo 2021 Ankara revocava formalmente la propria partecipazione alla convenzione con un decreto firmato dal presidente Erdogan mentre in molte città decine di migliaia di donne scendevano in piazza contro la decisione del regime turco. Il quartiere di Kadikoy a Istanbul si colorava del viola delle bandiere della piattaforma turca “Noi fermeremo il femminicidio” con migliaia di mainfestanti che gridavano "ritira la decisione, rispetta la Convenzione", donne e uomini mobilitati dai gruppi femministi e dai partiti di opposizione turchi e curdi. Alle donne che gridavano "Non stiamo zitte, non obbediamo" la polizia del fascista Erdogan rispondeva con cariche per disperdere questa protesta delle donne turche e delle associazioni femministe che ripartiva con ancora più forza dopo le prime iniziative dello scorso anno scattate, nonostante la pandemia, alle anticipazioni di vari ministri e del dittatore fascista Erdogan sulla revoca.
La Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul perché firmata nella città turca nel maggio 2011 era stata promossa dal Consiglio d’Europa, l'istituzione da non confondere con la Ue, allargata a Georgia, Armenia, Azerbaigian e Turchia che si occupa de diritti umani, democrazia e stato di diritto. L'articolo 3 della Convenzione definisce la violenza di genere come una forma di discriminazione attuata attraverso violenza psicologica e fisica, stupro, molestie, stalking, matrimonio forzato, mutilazione genitale femminile, aborto forzato e sterilizzazione forzata, delitti d’onore.
L'argomento dei diritti delle donne non è tra i prioritari dei governi borghesi tanto che solo 35 dei 45 paesi aderenti al Consiglio d'Europa l'hanno ratificata, mancano all'appello diversi governi fascisti dei paesi dell'Est europeo. L'Italia l'ha ratificata nel giugno 2013 ed è entrata in vigore l'anno successivo, la Ue come istituzione l'ha firmata solo nel giugno 2017. Una serie di firme dal carattere sostanzialmente formale, non seguito da altrettanti atti concreti, a partire magari da quello della Danimarca che il 17 dicembre dello scorso anno ha rafforzato la legge contro le violenze sessuali per sancire che il sesso senza consenso è stupro.
Come nel luglio scorso quando il governo fascista polacco di Mateusz Morawiecki aveva definito la Convenzione di Istanbul "una fantasia e un’invenzione femminista volta a giustificare l’ideologia gay" perché conterrebbe "dannosi elementi di natura ideologica" e aveva assicurato che le leggi nazionali sono già sufficienti per contrastare e prevenire la violenza maschile contro le donne, anche il governo fascista turco sosteneva che compito principale della donna è quello di prendersi cura della casa e dei figli, un compito messo in pericolo dall’avanzata della propaganda Lgbtqi+; la ministra della famiglia, Zehra Zumrut, sosteneva che "a tutelare le donne ci sono già le leggi nazionali".
Una verità smentita dalla Oms, l'organizzazione mondiale della sanità, che denunciava che il 38% delle turche ha subito violenza almeno una volta, e persino dallo stesso governo turco che in un rapporto del 2014 rivelava che quattro donne su 10 hanno subito abusi fisici o sessuali, tre su 10 si sposano ancora minorenni, al 33% delle ragazze non viene permesso di frequentare la scuola e all’11% delle donne di lavorare. E smentita dati ufficiali dei femminicidi: 300 lo scorso anno, raddoppiati rispetto al 2012, e più di 170 casi definiti "suicidi" dalla polizia tra le proteste delle associazioni femminili.
La decisione di uscire dalla Convenzione ha compattato l’alleanza reazionaria al governo tra il Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) del presidente Erdogan e il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) e confermato sua politica liberticida contro i diritti delle donne, della libertà di informazione, della minoranza curda. Combattuta con coraggio in piazza dalle donne e dall'opposizione intanto con una serie di proteste che sono continuate nell'ultima settimana di marzo in molte città.

31 marzo 2021