“Il Manifesto” trotzkista
50 anni di riformismo e di inganni
“Il Bolscevico” l'ha denunciato fin dal 1970 quando è apparso come rivista mensile
Mattarella e Fico applaudono

Preceduto e salutato da un'ampia risonanza sui media borghesi, “Il Manifesto” trotzkista ha celebrato il cinquantenario della sua prima uscita come quotidiano, avvenuta il 28 aprile 1971, con un numero speciale contenente in allegato una raccolta scelta di prime pagine pubblicate tra il 1971 e il 1979, e un inserto di 24 pagine contente i saluti di diverse personalità, con al posto d'onore quelli del capo dello Stato, Mattarella, e del presidente della Camera, Fico, con due messaggi pieni di elogi e di riconoscimento del ruolo svolto dal “quotidiano comunista” in questi decenni.
In questo inserto, pieno solo di chiacchiere su se stessi e niente contro il capitalismo e il governo Draghi, è particolarmente nutrito il numero dei giornalisti ex “rivoluzionari” da salotto, come Paolo Mieli, Lucia Annunziata, Gad Lerner, Michele Santoro e come l'ex direttore di “Repubblica” ed editorialista Ezio Mauro. Notevole anche la presenza di politici, in alcuni casi anche giornalisti, come la trotzkista storica Luciana Castellina, l'ex Lotta continua, ex senatore PD ed editorialista del “Foglio”, Luigi Manconi e l'ex ministro craxiano Rino Formica; o leader opportunisti e riformisti di partiti che sono o sono stati al potere come Pablo Iglesias e Alexis Tsipras.
Tanta risonanza sulla stampa e sui media borghesi e tanta considerazione da parte dei suoi più celebrati rappresentanti, e addirittura da parte di due delle tre più alte cariche dello Stato, si spiegano solo con la funzione che ha avuto “Il Manifesto” nella storia della “sinistra” borghese in questi 50 anni, a partire già dalla sua prima uscita come rivista mensile nel giugno 1969, quale organo politico della corrente di sinistra del PCI, di ispirazione ingraiana e trotzkista e di millantato “maoismo”. Il cui gruppo originario aveva come esponenti Luigi Pintor, Rossana Rossanda, Luciana Castellina, Aldo Natoli, Valentino Parlato, Lidia Menapace e alcuni altri. Cinque mesi prima della radiazione di Pintor, Rossanda e Natoli dal PCI per “frazionismo”, al cui nucleo originale si uniranno poco dopo Lucio Magri e l'ex segretario di Togliatti, Massimo Caprara.
 

Un imbroglio per coprire il PCI e ingannare i rivoluzionari
Il PMLI (allora OCBI m.-l.) comprese subito l'operazione politica che stava dietro alla nascita del “Manifesto”, e la smascherò sul suo organo “Il Bolscevico” già alla sua seconda uscita, sul numero del gennaio 1970, con un articolo dal titolo “Il 'Manifesto' controrivoluzionario”, con l'occhiello “Nuova copertura del PCI”. Quell'articolo denunciava che “la radiazione dal PCI del gruppo trotzkista del 'Manifesto' è parte integrante di una sporca manovra borghese revisionista”, avente lo scopo di “tentare di impedire che la classe operaia sappia individuare la propria avanguardia rivoluzionaria”. E sottolineava che insieme all'allora PSIUP il “Manifesto” si proponeva di riunificare i vari gruppi che ruotavano intorno al PCI (trotzkisti, economicisti, spontaneisti, codisti e falsi marxisti-leninisti) per fungere da copertura a sinistra del partito revisionista e per ingannare i sinceri rivoluzionari.
In quel momento non era scontata un'analisi così lucida e lungimirante. Il “Manifesto” si presentava come una rottura a sinistra del PCI, spacciava suggestioni “maoiste” e operaiste, vendette 30 mila copie del primo numero e godeva già allora, come denunciavamo nell'articolo, di un'ampia risonanza e di una larga simpatia da parte della borghesia e di tutti i suoi mezzi di informazione, nonché dell'appoggio della “sinistra” DC, del PSI e persino dei falsi partiti marxisti-leninisti, tra cui il PCd'I di Gracci e la cosiddetta “Unione dei comunisti”, che allora aveva molta presa sui sinceri rivoluzionari.
Cinquant'anni dopo è lo stesso “Manifesto” a rivelarlo involontariamente, attraverso i messaggi di saluto di Formica e di Mieli. L'ex ministro craxiano ricorda infatti “il rispetto e l'attenzione” con cui i socialisti seguirono la nascita del gruppo trotzkista; anzi la “simpatia, attenta curiosità e vigile aspettativa verso quel movimento 'ereticale'”; e più ancora “l'amicizia non strumentale dei socialisti per i compagni del manifesto e, anche, la convergenza realizzata in momenti straordinari della vita del Paese”: tra cui – ricorda Formica – la posizione trattativista con le “BR” durante il sequestro di Moro. Più tardi, come denunciato sul n.46 del 1996 de “Il Bolscevico”, emergeranno anche i finanziamenti erogati dal PSI a “Il Manifesto”, già a partire dalla prima crisi finanziaria del quotidiano trotzkista nel 1983, in piena era craxiana, rammentati dallo stesso neoduce a un imbarazzato Valentino Parlato in una trasmissione televisiva.
Da parte sua Mieli ricorda che “i più importanti giornalisti dell'epoca accolsero l'evento con commenti positivi”, citando a questo proposito l'editorialista del “Messaggero” e della “Stampa” Vittorio Gorresio, l'editorialista del “Corriere della Sera” ed ex ministro Alberto Ronchey, il fondatore di “Repubblica” Eugenio Scalfari e Giorgio Bocca. Mieli rivela anche che nel 1969 Rossanda aveva fatto vedere a Berlinguer i prestampati del primo numero del “Manifesto”, della cui imminente uscita l'aveva già informato, ottenendone la rassicurazione che non ci sarebbero state conseguenze disciplinari. Inoltre aveva anche accettato la richiesta dell'allora vicesegretario del PCI di ritardare l'uscita della rivista fino alla conclusione del suo viaggio a Mosca per non fornire argomenti ai sovietici, dovendo egli sostenere le ragioni di Dubcek. Ciò conferma che Berlinguer approvava tacitamente l'operazione capendone l'utilità nel quadro dello sganciamento del PCI revisionista dall'URSS e del progetto della sua integrazione nel sistema capitalistico e occidentale.
 

Le tesi truffaldine del “Manifesto” smascherate puntualmente da “Il Bolscevico”
Dopo quel primo articolo “Il Bolscevico” ha sempre continuato a smascherare puntualmente le tesi trotzkiste e truffaldine del “Manifesto”, via via che si rivelavano: come quella del “contropotere”, formula che denunciammo come il tentativo di “distogliere la classe operaia dalla rivoluzione e dalla dittatura del proletariato” (cfr “Dittatura del proletariato e contropotere”, su 'Il Bolscevico' del settembre 1970). E come le tesi “per l'unità della sinistra rivoluzionaria e la costruzione di una nuova forza politica”, criticate approfonditamente e battute in breccia con l'articolo “200 punti per sabotare la rivoluzione”, su “Il Bolscevico” del novembre 1970.
Tra queste tesi, fortemente ispirate dall'allora “maoista” Rossanda, ci dedicammo particolarmente a smontare quelle sul “comunismo nel suo senso radicale” come “possibile programma concreto”; quelle sul proletariato che “in un sistema capitalistico avanzato” non sarebbe “una realtà sociologicamente definibile”, e in particolare “non può più essere identificato con i tradizionali operai di fabbrica”; quelle sul partito, che non doveva più essere inteso come “coscienza esterna” bensì “luogo di unificazione della classe”, contrapponendo così la concezione trotzkista, spontaneista e movimentista a quella leninista del partito del proletariato; e quelle sulla rivoluzione, che “può di nuovo essere, com'è per Marx, fatto 'sociale' prima che 'politico'”, per cui la conquista del potere statale virava sul concetto gramsciano di “egemonia sociale” in contrapposizione a quello marxista-leninista di dittatura del proletariato.
Finita l'onda lunga delle stagioni del '68 e del '77, anche “Il Manifesto”, che nel frattempo si era costituito in partito, il PdUP, raccogliendo i socialisti e azionisti del PSIUP e spezzoni dei movimenti trotzkisti in riflusso, nel 1984 rientra nel PCI avendo ormai compiuto la sua missione di imbroglio e di sabotaggio nella sinistra anticapitalista. Tuttavia continua come giornale la sua opera di copertura a sinistra del partito revisionista, seguendolo dappresso nella sua inarrestabile parabola verso destra, dopo aver gettato alle ortiche ogni residuale finto “estremismo di sinistra” del passato ed abbracciato sempre più apertamente il liberalismo, il riformismo, il parlamentarismo,il pacifismo, il femminismo, l'ecologismo. E ancora oggi copre a sinistra il PD liberale, europeista e atlantista, tanto da aver sponsorizzato apertamente il governo Conte 2 e appoggiare di sottobanco il governo Draghi.
 

Rintuzzati colpo su colpo i velenosi attacchi ai Maestri del proletariato
Anche “Il Bolscevico” però non ha mai smesso in tutti questi anni di seguirlo e di smascherarne gli imbrogli con articoli e corsivi puntuali: dalla sua compiacente e truffaldina negazione dell'esistenza del regime neofascista, arrivando a sminuire come “bonapartismo” il presidenzialismo fascista di Berlusconi, fino a chiedersi “se il fascismo può tornare” (e rispondersi in sostanza di no) in pieno governo Salvini-Di Maio dei fascisti del XXI secolo. Dalla sponsorizzazione dei governi di “centro-sinistra” dell'economista privatizzatore e democristiano Prodi (loro che non volevano “morire democristiani”!), agli attacchi viscerali contro gli astensionisti di sinistra ad ogni tornata elettorale, fino ad arrivare per la penna dell'ex “maoista” Sergio Staino ad ammonirli apertamente con l'ordine “votate e zitti!” (cfr “Il Bolscevico n. 15 del 1996).
Non si contano poi gli attacchi velenosi de “Il Manifesto” trotzkista ai Maestri del proletariato internazionale, e in particolare a Lenin, Stalin e Mao, (ma anche a Pol Pot e alla rivoluzione cambogiana, unendosi per questo al coro dei calunniatori al servizio dell'imperialismo), nonché di riabilitazione sistematica del revisionismo, dal kruscioviano XX Congresso del PCUS, alla controrivoluzione ungherese del 1956, fino a sostenere, nel 2017 in occasione del Centenario, il primato di Trotzki nella Rivoluzione d'Ottobre e attaccare il ruolo leninista dei Soviet per l'edificazione della dittatura del proletariato in Russia. Articoli tutti puntualmente controbattuti e smascherati sulle pagine dell'organo del PMLI.
In quest'opera di sistematici e subdoli attacchi ai capisaldi del marxismo-leninismo-pensiero di Mao, come sulla concezione del partito, la dittatura del proletariato, la rivoluzione, l'edificazione del socialismo in Russia e in Cina, cercando anche di strumentalizzare Mao contro Lenin e Stalin, si è particolarmente distinta fin dall'inizio Rossana Rossanda. Per esempio nell'editoriale scritto per la morte di Mao pubblicato su “Il Manifesto” del 10 settembre 1976, in cui cerca di deformare e ridurre il pensiero e gli insegnamenti di questo gigante del proletariato internazionale a una sorta di pragmatismo spontaneista e anarcoide, strumentalizzando la sua parola d'ordine “è giusto ribellarsi” (sottacendo però che l'originale aggiungeva “contro i reazionari”), per contrapporre Mao a Lenin e Stalin poiché questi avrebbero perseguito “un concetto di rivoluzione come eminentemente politica nel senso di statuale ”, mentre Mao “il senso della rivoluzione come eminentemente politica nel senso di sociale ”.
Per Rossanda il “maoismo”, in fondo “riducibile alle parole 'ribellarsi è giusto'”, andava interpretato come “il più secco ritorno all'origine marxiana, al radicalismo di Marx”, e alla “rivoluzione ininterrotta” (anche se allora non aveva il coraggio di citare espressamente il suo teorizzatore, Trotzki). “Questo – concludeva nel suo farneticante editoriale – ne ha fatto un comunista così diverso dai bolscevichi, pur così straordinari: l'eretico, l'insopportabile perturbatore d'ogni assetto acquietato”.
 

Che cosa resta di 50 anni di falsità e inganni
È curioso, ma non poi tanto, che Luigi Manconi riesumi pari pari le assurdità della trotzkista Rossanda nel suo saluto per il cinquantenario: ragionando su come sia oggi “totalmente vuoto” il termine comunista che ancora compare nella testata del quotidiano, l'ex trotzkista di “Lotta Continua” dice infatti che il termine da usare al posto di comunista sarebbe piuttosto “radicale, nell'accezione marxiana dell'andare alla radice delle cose e dello scavare in profondità: e l'essere radicali spesso ha significato essere a-comunisti o anticomunisti”.
Certamente, aggiungiamo noi, ciò vale per l'ex “maoista” Rossanda, che nella sua continua svolta a destra, prima di uscire da “Il Manifesto” e ritirarsi a vita privata, arrivò nel 2003 a proporre di togliere una volta per tutte l'etichetta di “quotidiano comunista” dalla testata del giornale. Ad un lettore che chiedeva se fosse giusto chiamarsi comunisti ancora oggi, così rispondeva quasi con fastidio: “Non mi pare, nessuno oggi si sogna di proporre tutto il potere ai soviet. Probabilmente l'aggettivo è rimasto lì perché è più facile tenerlo che toglierlo: se cadesse domani sarei l'ultima a dolermene”.
E oggi? Che cosa resta del “quotidiano comunista”, delle “Cinquanta splendide primavere”, come le ha chiamate nel suo editoriale autocelebrativo la direttrice Norma Rangeri? Resta un quotidiano liberale e riformista, inconfessabilmente filodraghiano, che non attacca il capitalismo e non si propone di abbatterlo, ma solo di “resistere alla sua prepotenza” e “assistere alle alterne fortune del liberismo”, come dice la stessa Rangeri. Che non indica al proletariato e a tutti i lavoratori la meta del socialismo, ma si limita a dichiarare con lei di stare “dalla parte dei lavoratori meno tutelati, persuasi che un welfare non di risulta, bensì asse centrale dell'economia, sia insostituibile”. Che tanto meno propugna la rivoluzione socialista e la dittatura del proletariato, ma risponde sempre costei che “crediamo nella democrazia rappresentativa, ma ci appassiona la democrazia partecipata, che abbia inizio nel quartiere dove abitiamo, e poi si estenda”, e così via.
“Crediamo ancora – conclude l'editoriale della direttrice de “Il Manifesto” – … a una condivisione dei diritti e del benessere più equa, e naturalmente a una progressiva eliminazione delle barbarie guerrafondaie... e questo significa per noi, al di là del suo senso più tradizionale, essere un 'quotidiano comunista'”. Cinquant'anni di riformismo e di inganni, per approdare a un così miserevole programma liberal-democratico borghese: altro che comunista!


12 maggio 2021