Secondo l'avvocato Amara, corruttore di giudici e lobbista
Esiste una loggia massonica “Ungheria” per condizionare processi e nomine di magistrati
Indagare su eventuali manovratori di Amara, fare luce rapidamente sulla loggia segreta e rendere pubblici i nomi dei magistrati, militari e politici affiliati. Certo è che la magistratura è marcia fin dal CSM di cui è presidente Mattarella, che tace

 
Un nuovo scandalo travolge la magistratura del regime neofascista.
A fare da detonatore anche questa volta, come nel caso Palamara, l’avvocato siciliano Piero Amara, già condannato per illeciti commessi in Sicilia e a Roma e per aver corrotto magistrati nelle Procure e al Consiglio di Stato. È accusato anche dal 2019 dal sostituto procuratore Paolo Storari per un caso di evidente malaffare riguardante episodi di depistaggio nell'ambito delle inchieste sulle vicende Eni-Nigeria.
Il pm Storari è poi entrato in rotta di collisione con vertici della sua stessa Procura perché questi ultimi non avrebbero perseguito Amara con incisività, arrivando a recarsi per questo motivo nell'aprile del 2020 dall’allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo con la copia dei verbali milanesi delle dichiarazioni di Amara, non firmati ma probabilmente autentici.
Qui la situazione si ingarbuglia perché Davigo condivide, per sua stessa ammissione, le preoccupazioni di Storari, ma non deposita le copie al Csm sostenendo però che ne informò “chi di dovere”, a cominciare dal vicepresidente del Csm Davide Ermini, lasciando intendere che ne fosse a conoscenza lo stesso Presidente Mattarella che ha però fatto smentire il tutto, con un formale comunicato, dai canali ufficiali della Presidenza della Repubblica.
Secondo "Il Fatto quotidiano " il vice-presidente del Csm, David Ermini, ne fu effettivamente informato ed è poi salito a sua volta al Quirinale a riferire a Mattarella.
In quei verbali Amara parla dei suoi rapporti con politici, imprenditori e magistrati, che avrebbero chiesto aiuto per ottenere promozioni e favori, fra i tanti c’è anche il nome dell’ex premier Giuseppe Conte, dell'ex deputato Udc Michele Vietti e del consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita, con Amara che rivela apertamente di essere membro di una loggia massonica, chiamata ‘Ungheria’, di cui farebbero parte numerose toghe, tra le quali appunto Ardita, esponente della ‘'corrente'’ Autonomia & Indipendenza di cui fa parte lo stesso Davigo.
I verbali finiscono a giornalisti e ad altri magistrati che informano della vicenda rispettivamente la Procura di Milano e di Roma, temendo di essere finiti al centro di una attività di dossieraggio.
A spedire i verbali ai giornalisti, sarebbe stata Marcella Contrafatto (ex segretaria dell’allora consigliere Davigo e moglie del magistrato Fabio Massimo Gallo con il quale Luca Palamara iniziò il suo percorso in magistratura da uditore, vicino prima a Mi e poi ad Aei, le correnti di Cosimo Ferri e Piercamillo Davigo), che è ora indagata per calunnia, la quale è stata oggetto di perquisizioni sia a casa che in ufficio da parte dei pm che nel suo computer hanno trovato copie degli atti spediti.
Il verbale fu inviato anche al togato Nino Di Matteo, come ha detto lo stesso ex pm di Palermo nel Plenum del Csm del 28 aprile scorso, annunciando appunto che nei mesi precedenti aveva ricevuto un “plico anonimo, tramite spedizione postale, contenente la copia informatica e priva di sottoscrizione dell’interrogatorio di un indagato risalente al dicembre 2019 dinanzi a un’Autorità giudiziaria”… “quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto”… “Nel contesto dell’interrogatorio l’indagato menzionava in forma evidentemente diffamatoria, se non calunniosa, circostanze relative a un consigliere di questo organo”.
L’ex pm aveva quindi spiegato di aver subito contattato la Procura competente, quella di Perugia, guidata da Raffaele Cantone, per riferire i fatti per paura che “tali dichiarazioni e il dossieraggio anonimo” potessero “collegarsi a un tentativo di condizionamento” dell’attività del CSM.
In effetti sulla vicenda sta effettivamente indagando la procura del capoluogo umbro.
L’ipotesi è inquietante: l’esistenza di una loggia in stile P2 capace di condizionare i processi e le nomine non solo nella magistratura ma anche in altri settori, in palese violazione della Legge Anselmi.
A quanto si è appreso, sarebbe stato un altro degli indagati nell’inchiesta milanese sul “falso complotto Eni”, l’ex manager del gruppo Vincenzo Armanna, a dire ai pm durante un suo interrogatorio di avere a disposizione quel verbale di Amara, che confermò l'esistenza della loggia segreta chiamata ‘Ungheria’. Armanna non sarebbe riuscito a spiegare nei dettagli in che modo era riuscito ad ottene il verbale.
Vergognoso il rimpallo di responsabilità e le dichiarazioni contrastanti di Davigo, Ermini e del Pg e del presidente della Cassazione, Giovanni Salvi e Pietro Curzio, che sulla vicenda si contraddicono palesemente tra loro.
Oltre alla procure di Roma e Perugia sta iniziando l'attività investigativa anche quella di Brescia in particolare in riferimento "all'intera filiera della circolazione sotterranea dei verbali" e sul cosiddetto "corvo" interno alla magistratura.
Secondo il giornalista Francesco Grignetti de "La Stampa " Amara avrebbe indicato il capo della loggia "Ungheria" nell’ex procuratore capo di Caltanissetta Giovanni Tinebra, che fu l’istruttore dell’indagine sull’omicidio di Paolo Borsellino e fece raccogliere e seguire la pista delle false confessioni del falso pentito Vincenzo Scarantino che causarono la condanna all’ergastolo di sette innocenti.
Come poi accertato da una serie di sentenze quel processo e soprattutto la sua istruttoria furono una gigantesca opera di depistaggio e inquinamento delle prove, tant'è vero che oggi sono a chiamati a risponderne a giudizio tre poliziotti agli ordini dell’ex questore Arnaldo La Barbera, deceduto nel frattempo come lo stesso Tinebra.
I pm di Messina, nella richiesta di archiviazione della posizione di due magistrati che seguirono le indagini agli ordini di Tinebra, scrissero che “il silenzio, ineccepibile in punto di diritto, del quale si sono avvalsi” i tre poliziotti “non ha consentito di comprendere quale effettivo ruolo hanno svolto il dottor Giovanni Tinebra – a quell’epoca Procuratore capo della Repubblica di Caltanissetta – e i suoi sostituti nella gestione di Scarantino, né quale direzione effettiva essi hanno avuto delle indagini. Senza dire che la scomparsa di Tinebra e La Barbera ha impedito, oggettivamente, di acquisire le conoscenze che gli stessi direttamente avevano o potevano avere dei fatti”.
Fra l'altro Tinebra ha lavorato con Sebastiano Ardita al Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria di cui Ardita era responsabile dell’Ufficio detenuti.
Questa vicenda è l'ennesima, scandalosa riprova del marciume in cui è sprofondata la magistratura borghese del regime neofascista, assoggettata al potere politico e al governo secondo i piani della P2, come già è accaduto per il caso Palamara, mentre c'è il rischio concreto e paradossale che divenga il pretesto per andare nella direzione opposta a quella dello smantellamento delle controriforme di fatto e di diritto della magistratura borghese, scatenando, come in passato, vere e proprie compagne denigratorie contro quei magistrati e quei settori della magistratura non ancora assoggettata al regime neofascista per invocare una nuova controriforma giudiziaria per assoggettare definitivamente il potere giudiziario al potere politico attraverso la separazione delle carriere proprio come indicava appunto il piano della P2.

12 maggio 2021