Viaggio tra le bandiere nere della Campania
Nella consueta diretta del venerdì sera il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, svestiti i panni dello sceriffo si è affacciato dal balcone mediatico per rilanciare in pompa magna i discriminatori “pass vaccinali”, la riapertura “senza vincoli” dei cantieri edili e sopratutto la stagione turistica alle porte. Nel promuovere “le meraviglie del nostro territorio” non ha mancato di vantarsi del fatto che la Campania anche quest'anno ha ottenuto un gran numero di “bandiere blu”, conquistando il secondo posto nella classifica nazionale dietro la regione Liguria.
Di fronte a queste dichiarazioni, più che polemizzare sui discutibili criteri di assegnazione degli ambiti riconoscimenti, vale la pena di intraprendere un breve viaggio virtuale che ci ricordi, semmai ce ne fosse bisogno, quanto drammatico sia il livello di inquinamento e quanto incancrenita sia rimasta la questione ambientale nella nostra martoriata regione.
Percorrendo la costa campana da nord a sud, incontriamo subito il litorale domizio, una striscia di terra un tempo ricoperta da rigogliose pinete, da lunghe spiagge incontaminate e corsi d'acqua cristallini. Oggi questa terra è ridotta a una landa desolata, per colpa sopratutto dei mafiosi locali, i quali hanno fatto, e in molti casi continuano a fare, i loro affari in tutta tranquillità, potendo contare sul controllo capillare delle istituzioni in camicia nera, nel migliore dei casi sul silenzio-assenso degli assessorati e dei ministeri competenti. Ricordiamo per inciso che gli occupanti americani e i loro lacchè presero possesso del comprensorio di Licola-Varcaturo, a sud di Mondragone, già nei primi anni '60, prima cioè che i boss di “mafia capitale” legati alla loggia P2 trasformassero l'intero territorio della provincia di Caserta nel feudo del clan dei Casalesi, in pratica una specie di “agenzia di servizio” a disposizione dei padroni del Nord per lo sversamento di rifiuti di ogni tipo, dal Garigliano al Volturno ai cosiddetti “regi lagni”, ma anche sotto i campi coltivati oppure impastati nel cemento e nell'asfalto.
Proseguendo il nostro viaggio, sorvoliamo virtualmente l'immensa colata di cemento che congiunge, senza soluzione di continuità, le città di Napoli e Salerno soffermandoci sul colore marrone della foce di quello che è ancora il fiume più inquinato d'Europa, il Sarno, il quale attraversa come una grande fogna a cielo aperto tutto l'Agro-Nocerino-Sarnese, famoso per il suo Sammarzano dop. Superata quindi la spettrale città di Pontecagnano, arriviamo a Battipaglia, che può essere considerata l'ultima grande città della Campania e che, insieme alla confinante Eboli, domina sull'altra pianura a vocazione agricola della regione, la cosiddetta Piana del Sele. Qui, dove il caporalato e lo sfruttamento schiavistico dei braccianti non è molto diverso da quello che insiste nel giuglianese e nel foggiano, sono proliferate negli anni le discariche a cielo aperto (una di recente è stata scoperta in un'area compresa tra l'oasi del WWF e l'area militare di Persano), ma anche gli allevamenti intensivi altamente inquinanti che spesso sversano i prodotti di scarto delle lavorazioni persino nei corsi d'acqua che affluiscono nei fiumi, come il Calore e il Sele. Quest'ultimo in particolare rappresenta lo spartiacque, anche dal punto di vista orografico, tra la provincia a sud di Salerno e il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni istituito nel 1991 e che abbraccia un lungo tratto di costa tra la fine del golfo di Salerno e il golfo di Policastro fino a Sapri.
È questo il cosiddetto “Cilento selvaggio” (quello che sia detto per inciso non ha mai gradito di dipendere dalla provincia di Salerno) un territorio a cui, per la bassa densità abitativa nei mesi invernali, va ascritto per intero il merito di avere trascinato in alto il numero delle bandiere blu della Campania sbandierate ai quattro venti dal nostro governatore in camicia nera, per l'occasione camuffato da maldestro tour operator.
Enrico - Cilento (Salerno)

19 maggio 2021