Il nazista e sionista Netanyahu bombarda Gaza
La Resistenza palestinese aveva risposto col lancio di razzi al violento tentativo di sfrattare quattro famiglie palestinesi da Gerusalemme est
Il governo Draghi si schiera con Israele

 
La prima settimana dei bombardamenti quotidiani ordinati dal nazista e sionista Benjamin Netanyahu sulla striscia di Gaza a partire dal 10 maggio con l'operazione “Guardiani delle mura” hanno ucciso oltre 200 palestinesi, molte donne e bambini, e causato oltre 1.200 feriti; altri morti e diverse centinaia di feriti si contano nella rivolta palestinese in Cisgiordania e degli arabi israeliani. Gli attacchi con aerei, missili, droni e proiettili di artiglieria dell'esercito di Tel Aviv al ritmo di centinaia al giorno sono i più intensi dall'operazione "Margine Protettivo" del 2014 contro la popolazione di Gaza. Come sei anni fa, ma anche come nell’operazione "Piombo fuso" del 2009, si ripete su larga scala il quotidiano e criminale tiro al bersaglio sia contro le sedi della resistenza palestinese e del governo di Hamas che contro infrastrutture civili o umanitarie, da case nelle città e nei campi profughi a ospedali e scuole, a sedi dell'Onu anzitutto per terrorizzare i due milioni di palestinesi rinchiusi nel lager di Gaza. E contro le strutture degli organi di informazione presenti nella Striscia che non dovrebbero testimoniare i massacri dei civili, che sono la maggioranza delle vittime sotto le bombe; l'ultima è l'abbattimento il 15 maggio del grattacielo di al-Jala che ospitava le redazioni di media internazionali tra le quali la rete televisiva qatariota al-Jazeera e da 15 anni la sede dell'agenzia americana Associated Press.
Il responsabile della rete televisiva del Qatar, il paese arabo che negli ultimi anni finanzia il governo di Hamas, denunciava che "la distruzione degli uffici di Al Jazeera e di altri media a Gaza è internazionalmente considerata un crimine di guerra", e chiedeva a tutti i media di denunciare questo crimine. Un appello snobbato dalla maggior parte degli organi di informazione dei paesi imperialisti impegnati a suonare la grancassa diretta dal regime di Tel Aviv che vorrebbe passare da aggressore a aggredito, impegnato a difendersi dal lancio dei razzi palestinesi. Invece è stato Netanyahu ad accendere la miccia a Gerusalemme con gli attacchi della polizia ai musulmani che partecipavano alle cerimonie del Ramadan fino all'assalto dell'esercito e all'uso delle armi contro uomini e donne in preghiera all'interno della moschea di Al Aqsa, considerato dalle leggi internazionali un crimine di guerra, mentre dava il via libera a quasi tutte le manifestazioni antipalestinesi dei coloni e delle organizzazioni della destra sionista per conquistarsi la loro alleanza nella formazione del prossimo governo dopo il fallimento della trattativa del Likud con il partito Yamina di Naftali Bennet. Soffiava sul fuoco soprattutto con la procedura di sfratto di famiglie palestinesi dalle case nel quartiere di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, assegnate nel 1967 dall'allora amministrazione giordana ai profughi cacciati da Israele e regalate dal regime di Tel Aviv a coloni israeliani grazie alle leggi sioniste e razziste che discriminano gli abitanti palestinesi; nella legge sullo “Stato della Nazione ebraica” approvata nel 2018 sono cancellati o messi in secondo piano i diritti delle altre minoranze. Dal rifiuto di Netanyahu di ritirare il dispiegamento militare dalla Spianata delle Moschee fin dentro al-Aqsa, gli assalti ai fedeli e la militarizzazione del quartiere di Sheikh Jarrah chiesto da Hamas partiva la reazione della resistenza palestinese col lancio dei razzi. Cui seguiva l'immediata rappresaglia dei nazisti sionisti con i bombardamenti indiscriminati e le truppe schierate attorno al filo spinato del lager dove sono sigillati i due milioni di palestinesi di Gaza.
La rappresaglia scattava il 10 maggio nel giorno in cui i sionisti celebrano la "Giornata di Gerusalemme", in ricordo dell'occupazione della città dopo la Guerra dei Sei giorni nel 1967. Il 15 maggio i palestinesi invece ricordano l’anniversario dei 73 anni dalla ‘Nakba’, la catastrofe, coincisa con l’espulsione di centinaia di migliaia di famiglie dalle loro case e villaggi per far posto allo Stato sionista.
L'espulsione dei palestinesi da Gerusalemme, la terra e le case rubate ai profughi palestinesi a cui i sionisti negano il diritto al ritorno o agli sfrattati durante la guerra del 1967 è una delle pratiche quotidiane della progressiva annessione formale della città e di buona parte della Cisgiordania allo stato sionista codificato dagli accordi di Abramo, il piano presentato dall'allora presidente americano Trump sottoscritto da Israele per la normalizzazione dei rapporti con gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain, il Marocco e il Sudan. Per facilitare la realizzazione del piano che avrebbe solo una opposizione di facciata da parte di Abu Mazen, Netanyahu non ha dato il permesso di voto ai 200 mila palestinesi di Gerusalemme, che è la legittima capitale dello Stato di Palestina, e ha fornito al presidente palestinese la scusa per rimandare ancora, dopo ben 15 anni, le elezioni legislative del 22 maggio, le presidenziali del 31 luglio come concordato con Hamas nel settembre scorso sotto la mediazione della Turchia. Elezioni che prospettavano una vittoria di Hamas non solo a Gaza ma anche in Cisgiordania sulla formazione del presidente, di Fatah che è divisa e sempre meno rappresentativa per le sue collusioni col regime sionista, a parte qualche esponente rinchiuso nelle carceri israeliane.
La "democrazia" borghese teleguidata dagli occupanti sionisti sui territori occupati palestinesi non prevede una sconfitta dei partiti amici e va di pari passo con la politica razzista contro la minoranza palestinese in Israele lasciata peraltro in balia delle scorribande e dei pestaggi delle squadracce della destra sotto l'occhio complice di esercito e polizia. Non è quindi un caso che la nuova fiammata di proteste ha interessato sia la Cisgiordania che le città arabe israeliane, da Led a Haifa e Jaffa, fino ai quartieri arabi di Tel Aviv. E invocata e sostenuta dalle formazioni della resistenza palestinese a Gaza, Hamas e Jihad, che con i pochi mezzi a disposizione affrontano l'esercito sionista.
A mani nude il Davide palestinese ha a disposizione una fionda, poche migliaia di razzi, e la solidarietà dei popoli confermata nelle manifestazioni in tutto il mondo e difende il diritto di vivere sulla propria terra e all'autodeterminazione del suo futuro contro il gigante Golia, la macchina bellica convenzionale e nucleare dei sionisti appoggiata apertamente o di fatto da una lunga lista di paesi imperialisti tra cui si distinguono Usa, Ue e Italia.
A una settimana dall'inizio del nuovo attacco sionista a Gaza si chiudeva con un nulla di fatto il terzo incontro in pochi giorni dell'inutile Consiglio di sicurezza dell'Onu, bloccato come di consueto dal veto dell'imperialismo americano a protezione del regime sionista che nel frattempo chiudeva il valico di frontiera di Kerem Shalom e il gasdotto che alimenta la centrale elettrica di Gaza; l'assedio del lager di Gaza era completato dall'altra parte della striscia dallo stretto controllo del valico di Rafah da parte dei guardiani egiziani del golpista al Sisi.
"L’Iran sta dalla parte della resistenza palestinese e del suo popolo”, dichiarava Ali Akbar Velayati, il primo consigliere della Guida Suprema dell’Iran l’Ayatollah Ali Khamenei, che già in un discorso di venerdì 7 maggio in occasione della Giornata al-Quds aveva dichiarato che “Israele non è un paese, ma una base terroristica contro la nazione palestinese e le altre nazioni musulmane. Combattere questo regime è dovere di tutti”. Khamenei attaccava la normalizzazione dei rapporti fra Israele e “alcuni deboli governi arabi” e esortava i palestinesi a continuare la loro resistenza e i governi musulmani a sostenerli.
Le prime parole del presidente americano Joe Biden erano a sostegno di Tel Aviv, dopo che aveva appena firmato e tenuto nascosto per alcuni giorni il documento che autorizzava la vendita di nuove armi ai sionisti per un valore di 735 milioni di dollari; dalla Casa Bianca usciva una flebile protesta solo dopo la distruzione della sede dell'agenzia Ap a Gaza. L’Alto rappresentante Ue per la politica estera, il socialista Josep Borrell, convocava l'ennesimo e innocuo per i sionisti vertice straordinario dei ministri degli Esteri; il ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio telefonava per l'ennesima volta a Borrell per sollecitare una posizione comune della Ue ma intanto nell'incontro del 17 maggio a Roma al collega iraniano Zarif che condannava “le azioni razziste e belligeranti del regime sionista contro la popolazione dei Territori occupati e di Gaza” rispondeva che anzitutto “vanno fermati i lanci di razzi (di Hamas, ndr), sono inaccettabili". Neanche una parola contro un’occupazione illegale dei territori palestinesi e 14 anni di criminale assedio a Gaza.
Il governo Draghi si schierava con Israele, come ribadito dai leader dei partiti governativi schierati in parata dietro la bandiera dei sionisti all'evento organizzato dalla comunità ebraica di Roma il 12 maggio. Mentre nelle piazze italiane e in altre parti del mondo cresceva la solidarietà col popolo e la resistenza palestinese e la condanna dei bombardamenti e comitati di base degli arabi israeliani rilanciavano la lotta con la proclamazione per il 18 maggio dello sciopero generale in tutta la Palestina storica, dal Mediterraneo alla valle del Giordano, per "portare avanti la nostra rivolta finché ci sarà occupazione. La resistenza sarà continua finché non libereremo tutta la terra di Palestina". Una iniziativa appoggiata unitariamente da tutte le formazioni e i partiti palestinesi.
Fermare i criminali nazisti e sionisti. Con la Resistenza palestinese fino alla vittoria.


19 maggio 2021