Tregua tra Israele e Gaza
Scontri sulla Spianata delle moschee tra palestinesi e polizia

 
L'operazione “Guardiani delle mura” lanciata dal nazista e sionista Benjamin Netanyahu sulla striscia di Gaza a partire dal 10 maggio ha seminato immani distruzioni, sangue e lutti nel martoriato popolo palestinese e si è fermata dopo 11 giorni per la tregua "reciproca e senza condizioni" concordata con Hamas attraverso la mediazione dell'Egitto. Il 21 maggio cessavano i bombardamenti di Tel Aviv sui principali bersagli della resistenza all'occupazione, ossia le case palestinesi, ospedali e scuole, e il regime sionista riprendeva la pratica della quotidiana e "ordinaria" repressione con la polizia che attaccava manifestanti palestinesi sulla Spianata delle Moschee, al termine delle preghiere del venerdì; negli scontri ci sarebbero stati almeno 15 feriti palestinesi secondo l'agenzia Wafa.
All'annuncio del cessate il fuoco migliaia di palestinesi sono scesi in piazza a festeggiare per le strade di Gaza, il capo del movimento, Ismail Haniyeh, e altri dirigenti di Hamas parlavano della "gioia della vittoria, dell’orgoglio e della dignità”, assicuravano che il loro arsenale di razzi era ancora operativo e sottolineavano l'unità raggiunta dalla resistenza palestinese "per difendere Gerusalemme". Una unità dimostrata col successo dello sciopero generale e delle manifestazioni del 16 maggio nella Palestina storica.
Il bilancio di 11 giorni di guerra dei sionisti contro i palestinesi, dai dati del ministero della Salute palestinese, registrava a Gaza 243 morti, tra cui 66 bambini e 39 donne, 1.910 feriti e oltre 60 mila sfollati cui si sommano almeno 20 morti e oltre 4 mila feriti tra i palestinesi in Cisgiordania. Le vittime civili palestinesi della macchina bellica di Tel Aviv sono venti volte quelle della resistenza all'occupazione e già di per sé dimostrano che quello invocato da Netanyahu non è affatto un diritto a difendersi quanto una misura di rappresaglia nazista presa per buona e appoggiata dai paesi imperialisti alleati per perpetuare l'occupazione sionista della Palestina.
Il presidente americano Joe Biden ringraziava Netanyahu, col quale ha una amicizia personale di trenta anni, per la decisione di "mettere la fine alle ostilità in corso" e intanto confermava l'invio di nuove armi a Tel Aviv per rafforzare il sistema antimissilistico Iron Dome contro i razzi lanciati da Gaza. Prometteva aiuti per la ricostruzione di Gaza attraverso l'Onu ma "in piena partnership con l'Autorità Nazionale Palestinese e non Hamas, per non permettergli di rifornire il proprio arsenale militare". Aiuti solo per il compiacente presidente palestinese Abu Mazen per tamponare la sua perdita di consensi in Cisgiordania, niente a Hamas che pure ha la direzione del legittimo governo eletto nel 2006 e ha tenuto testa all'aggressione a Gaza.
In una intervista da Doha in Qatar dove è rifugiato, il membro del politburo di Hamas Husam Badran dichiarava che "abbiamo ottenuto dei risultati non solo per Hamas, ma per tutto il nostro popolo: in primis la connessione dei diversi fronti delle forze di resistenza a Gaza, a Gerusalemme e ad Al Aqsa: è la prima volta che ciò accade. Poi, la creazione di una deterrenza nei confronti dell'occupazione. E l'unificazione del popolo palestinese a Gaza, Gerusalemme, in Cisgiordania e nei Territori occupati nel 1948 intorno alla resistenza, l'unica soluzione reale per liberarci dell'occupazione". Ricordava che "abbiamo più di 5.000 prigionieri palestinesi, comprese donne, bambini e malati, alcuni detenuti da 40 anni" e sottolineava che "lo Stato occupante merita di essere punito e scoraggiato dalla comunità internazionale, perché l'occupazione commette crimini contro il nostro popolo e viola tutte le leggi e le alleanze internazionali, e continua a farlo perché la comunità internazionale glielo permette ogni volta. Chiediamo a tutte le persone e ai paesi liberi, in particolare agli Stati europei, di proteggere la nostra gente dai crimini dell'occupazione". Un appello finora caduto nel vuoto.
Dopo il cessate il fuoco, "serve un'immediata iniziativa politica basata sul diritto internazionale e le risoluzioni ONU, che metta fine all'occupazione israeliana dei Territori Palestinesi del 1967 con capitale Gerusalemme Est, e risolva la questione dei rifugiati sulla base della Risoluzione ONU 194 del 1948, che garantisce il diritto al ritorno", chiedeva l' ambasciatrice della Palestina in Italia Abeer Odeh, perché il cessate il fuoco non deve "semplicemente riportare la lancetta al giorno prima dei bombardamenti israeliani, questo non comporterebbe la fine delle sofferenze del popolo palestinese. Se la comunità internazionale non si metterà duramente al lavoro per individuare le responsabilità dell'occupazione israeliana chiedendo a Israele di rispondere dei suoi crimini, saremo di nuovo al punto di partenza". Non è possibile, denunciava l'ambasciatrice, che venga dimenticato "quello che va avanti da anni in tutta la Palestina, cioè l'espandersi delle colonie illegali, la demolizione delle case palestinesi, le detenzioni arbitrarie, le uccisioni ingiustificate, le condizioni di vita miserabili alle quali sono condannati i palestinesi, l'Apartheid, l'impossibilità di avere un nostro Stato". E avanza invece, col sostegno dei paesi imperialisti, con alla testa gli Usa, la Ue e l'Italia di Draghi, la realizzazione dello "Stato-nazione del popolo ebraico" proclamato a Tel Aviv il 19 luglio 2018, con l’ebraico come unica lingua ufficiale e Gerusalemme unita come capitale di uno stato che comprende anche il Golan siriano e la Cisgiordania, calpestando i diritti dei 7 milioni di palestinesi nella Palestina storica.
Non si arriverà mai alla pace se Israele non rinuncerà alla sua politica nazisionista di aggressione e annessione ai danni dei palestinesi con la nascita di un nuovo solo Stato con due popoli.
 

26 maggio 2021