Promossa da Biden capofila dell'imperialismo americano
Conferenza internazionale sul clima dei distruttori dell'ambiente

 
Cogliendo l'occasione per ribadire al mondo la svolta verde e democratica rispetto all'era Trump col rientro degli USA nelle proiezioni dell'accordo di Parigi, il nuovo capofila dell'imperialismo americano Biden ha convocato il Major Economies Forum on Energy and Climate , unendo attorno a un tavolo i 17 Paesi più inquinanti al mondo, e riservando opportunisticamente la formale presenza anche a quelli più colpiti dagli impatti climatici.
 

Biden rilancia il ruolo di leadership degli USA
Biden assieme ai membri più stretti del suo staff ha annunciato che gli USA dimezzeranno le proprie emissioni di gas serra entro questo decennio, ripetendo come un mantra “le grandi opportunità economiche” che il riassetto energetico porterebbe con sé, strizzando l'occhio alle banche e alle grandi industrie come vedremo meglio più avanti.
In tutti gli interventi ha messo al centro il nuovo ruolo di leadership internazionale degli USA che col pretesto di coordinare quella decarbonizzazione che non si percepisce minimamente all'orizzonte (ed è Biden stesso che parla di eliminazione “graduale” e non immediata dei sussidi ai combustibili fossili), declama accordi con Svezia, India e Emirati Arabi, sostenendo anche di “non veder l'ora di lavorare con la Russia” probabilmente per spartirsi qualche altro confine d'influenza.
Inoltre ha proposto agli altri capi di Stato di raggiungere collettivamente l'obiettivo di finanziare con 100 miliardi di dollari all'anno i Paesi in via di sviluppo per renderli “resilienti”, rimarcando l'importanza della finanza agevolata per sfruttare “somme molto più grandi di capitale privato”; un chiaro riferimento anche ai recenti impegni delle banche statunitensi che investiranno 4,16 trilioni di dollari in “soluzioni climatiche”. Una questione finanziaria insomma; eccola qui l'opportunità che vedono i capitalisti americani, altro che “occupazione di qualità” come accennato timidamente in qualche passaggio del suo intervento.
Infine, ma non certo per importanza, il Segretario USA alla difesa Austin, assieme al Segretario generale della NATO Stoltemberg e a funzionari della difesa irachena, britannica e di altri Paesi che sono intervenuti nel format sulla “sicurezza climatica”, ha sì parlato della pericolosità degli eventi meteorologici estremi legati ai cambiamenti climatici ad alto impatto nelle aree più povere, ma solo per dire che essi “influenzano le capacità militari, aumentano la concorrenza geopolitica e minano la stabilità provocando conflitti regionali”. In sostanza l'impoverimento ulteriore di certi Paesi oppressi da decenni di occupazioni militari imperialistiche, potrebbe portare a “estremismo violento e al movimento di massa della popolazione”.
Il rischio dunque, che vale un intero capitolo dell'incontro, è il preservare dei paesi imperialisti nelle guerre di occupazione ovunque nel mondo. Ecco perché nel summit è stata evidenziata la necessità di un piano di “sicurezza climatica” della NATO che abbia come pilastro “le missioni di mantenimento della pace della Nazioni Unite”.
 

Gli interventi dei leader degli altri Paesi
La parola “urgenza” è rimbalzata in quasi tutti gli intervenuti; ma chi ricorda le COP scorse, a partire proprio da Parigi, sa bene che questo non è un elemento nuovo, ma una parola che finora ha dimostrato tutta l'inefficienza nell'attuazione di misure effettivamente “ecologiche”; l'unica cosa che non si è arrestata sono stati gli astronomici profitti realizzati proprio da quelle aziende maggiormente colpevoli del riscaldamento climatico come le estrattive o le automobilistiche.
Infarcendo il suo discorso di dialettica bonaria e conciliatoria di circostanza, Il leader socialimperialista cinese Xi Jinping ha concordato con lo slogan di “agire con senso di responsabilità e unità”, sottolineando il parallelismo fra ambiente e produttività e auspicando anch'egli un rafforzamento dell'ONU al fine di centrare gli obiettivi di Parigi. Il nuovo imperatore cinese plaude al rientro degli USA nel “fronte” internazionale per il clima e concorda anch'egli sulla necessità di “aiutare i paesi in via di sviluppo” con interventi diretti, naturalmente, alla loro “resilienza”, ovviamente sotto il tallone imperialista di turno.
Anche il leader russo Putin si è unito al coro generale e si è gonfiato il petto vantandosi che la produzione russa di energia si basa per il 45% sul nucleare e il gas, spacciate come fonti “verdi” benché i rischi del nucleare ne annullino tutti i benefici, e il gas – del quale la Russia è il secondo produttore al mondo dietro agli USA – resta comunque una fonte fossile altamente inquinante.
Alla conferenza è intervenuto il banchiere massone Mario Draghi, unitosi al coro demagogico del “compiacimento globale”, e ha scambiato reciprocamente stima e apprezzamento con gli altri capi di Stato, rilanciando l'atlantismo dell'Italia e il ruolo centrale delle banche multilaterali di sviluppo.
 

Per i distruttori dell'ambiente il “clima” diventa una nuova grande opportunità imperialista
Insomma, quello al quale abbiamo assistito è stato un incontro surreale, una ripetizione delle stesse dichiarazioni che abbiamo potuto ascoltare in tutte le trascorse conferenze sui cambiamenti climatici, in particolare da Kyoto in poi.
“Vogliamo agire ora, non pentircene più tardi”, ha chiosato Draghi nel suo intervento. Eppure negli anni, nonostante l'allarme della scienza, nessuno ha fatto nulla di buono per il pianeta, pensando soprattutto a profittare di più con ogni mezzo, a continuare a sfruttare a pieno le energie fossili, a produrre e a utilizzare armamenti che sono quanto di più inquinante vi possa essere, a insistere sulla via più redditizia dell'agricoltura e dell'allevamento intensivi e così via.
Infatti l'accordo di Parigi è stato disatteso in ogni sua parte, e oggi i piani ambientali delle maggiori economie mondiali viaggiano con proiezioni di ben 3 gradi di aumento climatico, il doppio della soglia massima che le stesse potenze economiche si erano date in quella occasione. Ma sono proprio i Paesi del G20 che emettono il 75% delle emissioni globali quelli che si compiacciono, dicendo di aver “già fatto tanto per salvaguardare il Pianeta” che in realtà stanno distruggendo.
Draghi ad esempio ha presentato il piano europeo da 750 miliardi di euro dei quali però appena il 10% (70 miliardi) andrà in investimenti “verdi”, economia circolare e mobilità sostenibile nel nostro Paese. Nulla in confronto al necessario, e infatti il neonato PNRR italiano mette a nudo questa insufficienza proponendo tempi estremamente lunghi per una transizione che rimane confacente ai profitti delle multinazionali petrolifere. Un piano nazionale insomma che assicura anche lunga vita al gas e alle sue infrastrutture, continuando sulla strada già intrapresa dai governi precedenti.
Questo convegno internazionale in realtà dice ben altro, e cioè mostra le mire imperialiste delle maggiori potenze economiche che gli USA, nel solco della “lotta al riscaldamento climatico”, vorrebbero coordinare, senza però aver fatto i conti con Russia, la Cina e con la stessa Europa che hanno ambizioni di ruoli di primo piano altrettanto importanti. Che bisogno c'era altrimenti di anticipare in USA nei fatti la prossima conferenza ONU di Glasgow che si terrà il prossimo novembre?
Biden, con una dichiarazione solenne infarcita di riferimenti religiosi, ha dichiarato il 22 aprile 2021 “Giornata della Terra”; un paradosso che sia proprio lui, leader del Paese maggiormente responsabile in proiezione storica dell'inquinamento globale a erigersi a paladino della giustizia climatica, fra gli applausi degli altri capi di Stato complici di questa catastrofe ambientale il cui responsabile è proprio il sistema di produzione capitalistico e le sue dinamiche produttive.

2 giugno 2021