Per la sete di profitto
Strage alla funivia Mottarone
14 morti, solo un bimbo si è salvato. Sotto inchiesta il titolare e i capi del servizio e della manutenzione, colpevoli di aver disattivato i freni per evitare il blocco della funivia

 

Domenica 23 maggio scorso, intorno alle ore 12:30, la cabina numero 3 della funivia Stresa-Alpino-Mottarone che collega Stresa (sul Lago Maggiore) alla vetta del monte Mottarone, in provincia di Verbano-Cusio-Ossola in Piemonte, è precipitata schiantandosi al suolo a 100 metri dalla stazione di vetta, causando la morte di 14 dei 15 passeggeri.
Otto vittime erano italiane, cinque israeliane e una iraniana, l'unico sopravvissuto in gravi condizioni è il piccolo di soli 5 anni Eitan Biran.
Lo schianto è stato causato da un cedimento strutturale della principale fune traente, causando il distacco di una delle cabine in servizio, che si è sganciata dalla fune portante in corrispondenza di uno dei piloni del tracciato ed è precipitata al suolo dopo un volo di oltre 20 metri, finendo in una zona boschiva lontana da strade carrabili, il che ha reso inizialmente difficile l'opera di soccorso.
La causa di tutto questo è stata la rottura della fune e la disattivazione dei freni di emergenza non funzionanti, cosa sottaciuta dai gestori e dal custode della funivia per impedirne il blocco per le dovute riparazioni, con perdita dei relativi guadagni derivanti dalla vendita dei biglietti.
È quello che emerge dalle indagini del procuratore di Verbania, Olimpia Bossi, che ha portato il 26 maggio all'arresto di tre persone: Luigi Nerini, amministratore delegato della società Ferrovie del Mottarone Srl che gestisce l’impianto, Gabriele Tadini, caposervizio sull’impianto ed Enrico Perocchio, dipendente della ditta Leitner di Vipiteno-Sterzing(Bolzano) che si occupa della manutenzione dell'impianto ma che è anche consulente per la società e direttore di esercizio della funivia.
Sono tutti accusati di omissione dolosa di cautele aggravata dal disastro, per via di alcuni forchettoni rossi inseriti in modo da disattivare del tutto i freni malfunzionanti.
A parlare per primo dei problemi dell’impianto sarebbe stato Tadini, il quale, dopo aver prima cercato di negare ogni responsabilità, poi di allontanare i sospetti dai dirigenti ha infine ammesso tutto, cioè di essere non solo a conoscenza del problema dei freni, ma di aver falsificato la perizia nel “Registro Giornale”, dove vanno segnalati quotidianamente gli eventuali problemi tecnici, parlando di “esito positivo dei controlli” in particolare sul funzionamento dei freni.
Cosa avvenuta sia il 22 che il 23 maggio, ossia il giorno della tragedia, tutto questo, secondo la Procura di Verbania, malgrado avesse “sentito provenire dalla cabina un rumore-suono caratteristico riconducibile alla presumibile perdita di pressione del sistema frenante” che si ripeteva “ogni due-tre minuti” e da molto tempo.
I tre fermati per la tragedia per la Procura dovevano rimanere in carcere perché continuando a lavorare in questo settore avrebbero potuto rimettere in pericolo la sicurezza pubblica, quindi reiterare il reato, inquinare le prove o addirittura tentare la fuga, ma sono state accolte le richieste della difesa da parte del Gip Donatella Banci Buonamici che ha concesso, il 30 maggio, i domiciliari a Todini e scarcerato gli altri due, cosa che lascia basiti, vista l'ammissione di colpevolezza e il quadro indiziario complessivo.
In ultima analisi le vittime sono morte per circa 140 mila euro, a tanto ammontano gli incassi della funivia dal giorno della riapertura dopo le restrizioni antiCovid, senza considerare gli utenti saliti a bordo in nero, cioè senza emissione di validi biglietti, si apre quindi anche un filone fiscale nell'inchiesta.
Non è chiaro come sia avvenuta la rottura delle fune, ma di sicuro si sapeva, da parte dei criminali, che in questo caso i freni non avrebbero funzionato e quindi la cabina sarebbe precipitata, sapevano che questo sarebbe potuto accadere ed è possibile che siano stati falsificati i controlli anche sulla fune, che in linea di principio era progettata per sostenere un peso sei volte superiore, ma hanno dato per scontato che ciò non sarebbe avvenuto, sacrificando così la vita di 14 persone per gli interessi del boss Luigi Nerini, l’uomo che aveva preso in concessione la funivia. Figlio di Mario Nerini, l’ultranovantenne ex patron del trenino a cremagliera che scalava la montagna fino alla metà degli Anni ’70.
Ma non c'è solo il problema dei freni e del cavo, ma anche quello della proprietà stessa dell'infrastruttura.
Agli atti della Regione Piemonte è scritto “è stata trasferita al Comune di Stresa”, ma l’operazione non risulta ancora perfezionata “perché nonostante i solleciti l’amministrazione comunale non ha fornito tutti i documenti" sostengono dalla Procura e fanno sapere anche che in realtà su questo punto non ci sono molti dubbi: “La proprietà dell’impianto è in capo alla Regione Piemonte”. Si tratta di capire per gli inquirenti come mai dal lontano 1997 ad oggi non sia mai stato sciolto il nodo della proprietà e come mai la Regione non abbia vigilato come avrebbe dovuto anche sugli aspetti tecnici.
Nell'intreccio perverso e criminale dello scaricabarile istituzionale che avviene di solito in casi come questi, sulla pelle dei viaggiatori, ci sarebbe da chiedere come mai lo stesso Comune ma anche la Provincia non abbiano mai sollecitato un bel nulla, per non parlare della deputazione nazionale ed europea espressa dal Piemonte e quindi dai governi di questi ultimi decenni.
La verità è che i vari livelli istituzionali e le forze politiche della destra e della "sinistra" borghese hanno di fatto lavorato per non disturbare coloro i quali hanno lucrato per decenni (circa 2 milioni di euro l'anno il giro d'affari prima del Covid, senza considerare il nero) e avrebbero sicuramente continuato a fare se non fosse avvenuta la tragedia che costituisce l'ennesimo terribile crimine, palese conseguenza del profitto, dell'incuria e delle false relazioni tecniche.
Pietro Vallenzasca, ex consigliere comunale a Stresa, da sempre in guerra con Nerini, lo ritrae come un ladro: “Si faceva dare i soldi pubblici per ristrutturare gli impianti ma poi se li intascava.
E siamo davvero sicuri che questa storia del forchettone per disattivare il freno per evitare problemi, sia stata la follia di una domenica di sole? Magari lo faceva sempre, per lucrare sui turisti”… “La concessione sarebbe durata fino al 2028. Altri sette anni che gli garantivano di andare ampiamente in pensione, incassando ancora 910 mila euro solo di aiuti dal Comune di Stresa”.
Concessione che gli fu tolta nel 1997 per “grave incuria nella gestione della funivia” e poi ridata dopo appena un anno, vi furono voci di problemi tecnici sull'impianto anche nell'anno 2001.
Insomma che razza di delinquente sia e in che modo ha gestito la funivia per decenni è chiaro da tempo.
Lo descrivono come un imprenditore vorace e ingordo anche molti degli abitanti di Stresa, che hanno il dente avvelenato anche con Todini, che tra l'altro fu consigliere comunale della Lega a Stresa tra il '93 e il '97.
Noi marxisti-leninisti ci stringiamo con forza ai familiari delle vittime e chiediamo alla magistratura borghese di fare piena luce sulla vicenda, anche se non ci facciamo illusioni su questo, visto e considerato il marciume di quest'ultima e il suo totale assoggettamento al governo, palese espressione del regime neofascista imperante e conseguenza della realizzazione del piano della P2.
Occorre comprendere che la causa ultima di tutto questo è rappresentata dalla legge della ricerca del massimo profitto, la legge fondamentale del capitalismo monopolistico arrivato al suo stadio ultimo e finale: l'imperialismo. Una legge che governa ogni aspetto della vita economica e sociale del Paese e condiziona l'operato dei padroni e delle istituzioni borghesi che li coprono e li rappresentano: sono costoro, padroni e responsabili dell'impianto insieme ai vertici politici della Regione (Cirio in testa), della Provincia e del Comune che devono pagare fino in fondo per questo ennesimo, gravissimo crimine.
Le pandemie, le devastazioni ambientali, le guerre, il razzismo, il fascismo, le sciagure come questa o come quella del Ponte Morandi di Genova, l'ecatombe dei morti sul lavoro, le mafie e tutte le infinite "delizie" del capitalismo sono un prodotto di questa marcia società e potranno essere liquidate e distrutte definitivamente solo abbattendo l'ordine sociale esistente, sulla Via dell'Ottobre, con la conquista del socialismo e del potere politico da parte del proletariato, che è poi la madre di tutte le questioni.
 

2 giugno 2021