“L'Espresso” svela il retroscena della parcella milionaria di Acqua Marcia per Conte
L'ex premier e nuovo capo M5S era in rapporto col lobbista Centofanti e l'ex magistrato Di Marzio e faceva parte di una comitiva di professionisti solidali tra loro

Un'inchiesta esclusiva di “Domani” del 27 aprile scorso, basata sui verbali delle deposizioni ai giudici milanesi da parte dell'avvocato faccendiere Piero Amara, e un approfondimento corredato di foto inedite de “L'Espresso” del 19 maggio, hanno portato alla luce i rapporti di vecchia data dell'ex premier e attuale capo politico del M5S Giuseppe Conte con alcuni personaggi risultati poi coinvolti nell'affare “toghe sporche” con al centro il pm ex membro del Csm, Luca Palamara, insieme a una vicenda collegata di parcelle assai consistenti incassate alcuni anni fa dall'ex premier da parte del gruppo Acqua Marcia del finanziere Francesco Bellavista Caltagirone.
L'inchiesta de “L'Espresso” parte da un filmato amatoriale girato nel dicembre 2012 in una galleria d'arte di via del Babuino a Roma, in cui si vedono conversare e scherzare come vecchi amici il futuro presidente del Consiglio con due personaggi: uno è Fabrizio Di Marzio, un magistrato appena approdato alla Corte di Cassazione dopo aver lasciato il tribunale fallimentare di Roma. L'altro è Fabrizio Centofanti, ex missino, imprenditore e lobbista, che nel 2018 verrà arrestato per frode fiscale, corruzione e associazione a delinquere, in merito alle inchieste sulle nomine di capi delle procure pilotate da Palamara, da altri magistrati e da alcuni politici come Luca Lotti.
A quell'epoca Centofanti era anche capo delle relazioni istituzionali e consigliere con delega agli affari legali di Acqua Marcia spa, e fu lui tra il 2012 e il 2013 a dare l'incarico a Conte e ai suoi soci di studio, il suo mentore e professore di diritto civile, Guido Alpa, e gli avvocati Giuseppina Ivone ed Enrico Caratozzolo, di svolgere una complessa consulenza sulle 26 società del gruppo, che allora si trovava sull'orlo del fallimento per centinaia di milioni di debito con le banche, per cercare di salvare il salvabile con un concordato preventivo con i creditori. In ballo c'erano le numerose proprietà del gruppo come aeroporti, immobili di pregio, strutture turistiche e alberghi di lusso, come il Villa Igea di Palermo e il Molino Stucky sull'isola veneziana della Giudecca: transazioni per centinaia di milioni di euro che comportavano parcelle stabilite per legge in proporzione. Si parla una parcella totale di 1,6 milioni di euro per i tre professionisti e di 400 mila euro per Conte.
 

Conte “raccomandato” da Vietti e Amara?
Secondo quanto riportato da Emiliano Fittipaldi, nell'articolo “Consulenze e hotel di lusso: ecco gli affari segreti di Giuseppe Conte” pubblicato da “Domani”, nelle deposizioni fiume rese ai magistrati di Milano, in cui fra l'altro ha parlato dell'esistenza di una fantomatica loggia massonica denominata Ungheria in cui sarebbero coinvolti avvocati e magistrati, Piero Amara ha detto anche che a raccomandargli Conte presso Centofanti fu Michele Vietti, già sottosegretario alla Giustizia nel governo Berlusconi, che in quel momento era vicepresidente del Csm. Caratozzolo era un suo consigliere. “Vietti – avrebbe detto Amara - mi chiese così di parlare con Fabrizio Centofanti”, il quale avrebbe dovuto assumere anche Alpa e Caratozzolo, e disse anche che questi nomi erano condizione fondamentale “per riuscire a ottenere l’omologazione del concordato stesso”.
Come riporta Fittipaldi nell'articolo, Conte interpellato ha smentito categoricamente quanto rivelato da Amara, annunciando anche una querela per calunnia, precisando di non aver mai visto l'ex avvocato dell'Eni in vita sua e di non aver avuto nessun rapporto professionale nemmeno con Vietti. Anche quest'ultimo ha escluso categoricamente “di aver mai raccomandato nessuno per Acqua Marcia”, mentre su Amara è stato un po' meno categorico dell'ex premier, dichiarando di “non ricordare” di averlo mai conosciuto o di aver avuto rapporti con lui. Fittipaldi insiste però che al netto dell'attendibilità delle dichiarazioni di Amara, da documenti e testimonianze incrociate risulta che Centofanti ha confermato ai pm di Perugia (dove l'inchiesta Amara è ora approdata per competenza) che l'ex consulente Eni gli chiese di assumere Conte e che quest'ultimo ottenne da Acqua Marcia consulenze per centinaia di migliaia di euro. “Affari (probabilmente del tutto leciti) di cui però finora nessuno sapeva nulla”, precisa il giornalista. Il quale aggiunge anche, per dovere di cronaca, che Centofanti avrebbe precisato che in ogni caso il nome di Conte era già sul suo tavolo, in quanto proposto dagli altri tre avvocati da lui precedentemente contattati per lavorare al concordato. Conte cioè sarebbe stato chiamato comunque anche senza la “raccomandazione” di Vietti per tramite di Amara.
 

La vendita dell'Hotel Molino Stucky di Venezia
Una situazione, come si vede, abbastanza ingarbugliata e che si può prestare a diverse interpretazioni, come anche l'altra che Fittipaldi rivela sulla vendita dell'hotel extralusso da 379 stanze Molino Stucky a Venezia, di proprietà della Ghms srl, una controllata di Acqua Marcia. Un hotel ancora molto redditizio, che valeva almeno 300 milioni e che faceva gola a grandi fondi americani e di Singapore, ma finito a sorpresa nelle mani di uno sconosciuto imprenditore pugliese, tale Leonardo Marseglia, che se lo aggiudicò attraverso un'operazione di cartolarizzazione sborsando solo 145 milioni, più 25 di azioni e un mutuo di 120 milioni finanziato dalle stesse banche creditrici dell'immobile: un “capolavoro” finanziario nel quale ci dovette essere anche lo zampino di Conte, visto che è proprio a lui, nel novembre 2015, che Marseglia affida la presidenza del Cda della nuova società di gestione dell'albergo, la Ghsm Venezia, incarico durato fino al dicembre 2017.
Conte ha smentito di aver avuto un conflitto di interessi in questa vicenda, precisando sia telefonicamente a Fittipaldi e poi in un post su Facebook indirizzato sempre al giornalista, che quando ha assunto nel 2015 la presidenza di Ghms la consulenza con Acqua Marcia era già finita da un pezzo, cioè con l'approvazione del concordato nel giugno 2013. Nel post, oltre a ribadire di non aver mai conosciuto Amara e di non aver avuto rapporti personali o professionali neanche con Vietti, Conte si scaglia contro l'editore di “Domani”, Carlo De Benedetti, che “mi sta ripagando amabilmente, ragionando di me - in tutte le occasioni pubbliche che gli sono offerte - con pertinace livore”, probabilmente come ritorsione per non averlo voluto incontrare privatamente, quando era presidente del Consiglio, “pur sollecitato varie volte a farlo”.
Che il magnate torinese-svizzero non fosse un estimatore del trasformista liberale Conte e soprattutto dell'alleanza di governo tra il PD e il M5S, che ha contribuito ad affossare partecipando col suo giornale alla cordata politico-finanziaria-mediatica che ha sostenuto il killeraggio renziano e acclamato il “salvatore della patria” Draghi, è ben noto, e se ne sente l'eco nel post alquanto risentito dell'ex dittatore antivirus. Ma è troppo facile cavarsela derubricando tutto ciò che è emerso a normali prestazioni professionali e insinuazioni senza fondamento.
 

I complessi intrecci delle amicizie di Conte
Sono troppe infatti le coincidenze e i rapporti di conoscenza, di lavoro e perfino di amicizia che legano il nome di Conte a personaggi coinvolti in vicende giudiziarie tutt'ora da chiarire. Dalla ricostruzione de “L'Espresso”, per esempio, risulta che l'avvocata Ivone, come consulente di Acqua Marcia, nel corso del concordato, tra il giugno 2013 e il 2016, si è trovata come controparte Roberto Falcone, suo amico di vecchia data, nominato dal tribunale di Roma come commissario giudiziale di una controllata del gruppo. E Falcone e Ivone condividono lo stesso studio con Di Marzio, che nel 2019 ha lasciato la magistratura e fa l'avvocato. Nel 2010 Ivone fu nominata curatrice fallimentare del gruppo di cliniche Villa Pini di Chieti, incarico affidatole dal giudice Ceccarini, anche lui grande amico di Di Marzio.
Di Marzio, che attualmente è responsabile giuridico di Coldiretti, ha conosciuto Ivone quand'era giudice nel 2006, mentre l'amicizia con Conte risalirebbe al 2013, quando entrambi assunsero la direzione della rivista giuridica “Giustizia civile” (con Ivone nel comitato scientifico). Qui avrebbero incrociato la strada di Centofanti, che con la sua società Cosmec (finita sotto processo per gli intrallazzi del lobbista) organizzò una serie di convegni, conclusi da Alpa, per celebrare l'edizione digitale della rivista.
Interpellato da “L'Espresso”, Di Marzio ha smentito di essere un suggeritore occulto di Conte, e in particolare di aver interferito, come gli è stato attribuito, alla mancata nomina di Nino Di Matteo alla guida del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, proposta in un primo tempo al pm siciliano dall'ex ministro Bonafede e poi improvvisamente ritirata perché “a qualcuno” quella nomina non stava bene. Ed era stato Bonafede, come si ricorderà, a introdurre Conte nel M5S, che lo nominò prima ministro designato della Pa e poi lo candidò a Palazzo Chigi dopo l'accordo con la Lega.
Di Marzio ha detto anche di aver “vissuto con Giuseppe i giorni delle consultazioni nel maggio 2018” e che in quell'occasione avrebbe potuto “ambire a molto”, ma che “aveva preferito restargli lontano”. Ma ciò non gli impedì di accettare la nomina nel Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura da parte dello stesso Bonafede.
 

Conte non era spuntato dal nulla
Insomma, anche ammesso che non ci siano gli elementi per sospettare interferenze e conflitti di interesse nel concordato per l'Acqua Marcia, tra incaricati del tribunale di Roma, la lobby di avvocati intorno a Conte e Di Marzio e faccendieri inquisiti come Centofanti e Amara, e anche prendendo per buone le dichiarazioni di Conte, nonché le rivelazioni de “Il Fatto Quotidiano” secondo cui lo stesso Centofanti avrebbe detto ai pm che Conte, riguardo alla parcella di 400 mila euro, “mi sembra ci abbia trattato molto bene” tenuto conto di un concordato da circa 2 miliardi, resta il fatto dell'esistenza di questa congrega di professionisti, di cui non si sapeva nulla, tutti solidali fra loro non solo per fare affari nel loro ambito professionale, ma anche nel coltivare concreti collegamenti con il mondo della politica, fino ad approdare al governo con uno di loro e andarci vicino con un altro.
In conclusione emergono via via sempre più elementi che dimostrano come il futuro capo politico del M5S in liquidazione non sia quel “marziano” estraneo al mondo della politica e piovuto non si sa da dove tra i palazzi romani, come lui e i suoi sostenitori vorrebbero far credere. E il motivo per cui è stato fatto fuori per insediare Draghi non è perché lui “non rispondeva a nessuno”, come asserisce il suo sponsor Travaglio, ma semplicemente perché la posta in gioco dei 200 miliardi dei fondi europei era troppo alta per l'Ue e per i “poteri forti” nostrani per non affidarla nelle mani super sicure del banchiere massone Draghi: una ben più solida garanzia per il capitalismo italiano, la grande finanza e l'Ue imperialista, oltreché per la nuova amministrazione Usa di Biden.


9 giugno 2021