Calzando l'elmetto al vertice Nato
Draghi sostiene con forza il pilastro armato dell'imperialismo europeo nell'ambito dell'alleanza atlantica
Il leader italiano conferma di essere un atlantista ed europeista di ferro e svela la sua vocazione guerrafondaia in particolare verso la “regione mediterranea”

“Com’è andata? Bene, molto bene. Incontro importante, in cui tutti i leader hanno riaffermato la centralità dell’Alleanza Atlantica alla luce delle nuove sfide globali. La Nato si sta rafforzando dopo il periodo di debolezza dell’era Trump”. Così un Mario Draghi visibilmente soddisfatto ha riassunto ai giornalisti l'esito del vertice dei 30 Paesi della Nato appena concluso a Bruxelles sotto l'egida del nuovo “comandante in capo” degli Usa, Joe Biden.
Il premier italiano aveva diverse ragioni per essere soddisfatto, oltre a quella della ritrovata intesa euroatlantica grazie al nuovo inquilino della Casa Bianca. Prima fra tutte l'aver visto confermato al più alto livello possibile quell'“appartenenza del nostro Paese come socio fondatore dell'Unione europea e come protagonista dell'alleanza atlantica”, nel cui “solco” aveva orgogliosamente inscritto la nascita del suo governo col discorso di presentazione in parlamento. Adesso quella vocazione “convintamente europeista e atlantista” del suo governo, rivendicata in Senato il 17 febbraio per sgombrare risolutamente il campo dalle equivoche suggestioni filorusse e filocinesi emerse coi due precedenti governi in alcune delle forze della sua maggioranza dell'ammucchiata, la Lega e il M5S, è stata autorevolmente sancita da un vertice che segna il rilancio in grande stile della Nato e il tracciamento di una più netta linea di demarcazione con Russia e Cina, classificate ufficialmente come potenze nemiche.

Adesione totale al programma guerrafondaio Nato 2030
Questa sua totale adesione al rafforzamento, al rilancio e all'espansione dell'alleanza euroatlantica decisi al vertice del 14 giugno, Draghi l'ha sottolineata con enfasi quasi apologetica in apertura del suo intervento, proclamando che “la Nato è stata negli ultimi 72 anni la pietra angolare della nostra sicurezza e difesa comune”, e che nonostante “le condizioni di sicurezza” siano ancora in rapida evoluzione, “una cosa rimane la stessa: la centralità dell'Alleanza più potente e vincente della storia”.
“L'Italia sostiene pienamente le decisioni odierne di avviare – attraverso la NATO 2030 – un processo di ulteriore adattamento per il prossimo decennio e di aggiornamento del Concetto Strategico 2010, basato sui tre compiti fondamentali: difesa collettiva, gestione delle crisi, cooperazione in materia di sicurezza”, ha aggiunto infatti il banchiere massone schierando il nostro Paese risolutamente a favore della rinnovata postura aggressiva ed espansionista della Nato decisa dal vertice. Postura che non solo ribadisce il postulato della Russia come minaccia militare numero uno e il compito prioritario della guerra globale al “terrorismo”, cioè ai movimenti islamici antimperialisti, e in particolare allo Stato islamico, ma affibbia il concetto di “minaccia sistemica” alla Cina socialimperialista, estende il raggio d'azione della Nato alla regione Indo-Pacifica e all'Africa, e allarga i campi di intervento per l'articolo 5 del trattato Nordatlantico, che obbliga tutti gli aderenti ad intervenire in guerra in caso di attacco militare diretto ad un singolo Paese membro, anche agli attacchi informatici, al cyberspazio, alle reti satellitari ecc.
Draghi è talmente d'accordo con questa postura decisamente guerrafondaia, da calzare l'elmetto e proclamare con un piglio bellicista degno dei tempi della “guerra fredda”, che “i nostri obiettivi sono molteplici: mantenere la nostra superiorità tecnologica collettiva ed essere pronti ad affrontare tutti coloro che non condividono i nostri stessi valori e il nostro attaccamento all'ordine internazionale basato sulle regole e sono una minaccia per le nostre democrazie”. Non nomina esplicitamente la Russia e la Cina, allineandosi in questo alle perplessità dei partner europei, e in particolare della Merkel, sui rischi che una politica di contrapposizione frontale possa compromettere gli scambi commerciali e gli accordi strategici in corso con le due superpotenze orientali. Ma il riferimento ad esse è chiaro lo stesso.

Draghi rimarca agli alleati gli interessi italiani in Libia
Altrettanto entusiastica è la sua adesione all'espansionismo dell'alleanza fuori dai confini geografici del trattato del 1949, già abbondantemente praticato di fatto da diversi anni, a partire dall'Afghanistan e dall'Iraq, e che adesso Biden vuole sia su scala globale e perfino nello spazio, sia fisico che informatico. Adesione che a Draghi serve anche per reclamare l'appoggio degli alleati alle mire espansionistiche dell'Italia nel Sud del Mediterraneo e in Nord-Africa. É questo il senso del passaggio in cui il premier italiano ha sottolineato che “la deterrenza e la posizione di difesa della NATO devono essere attuate attraverso un approccio di ampio spettro. Dovremmo guardare a tutte le direzioni strategiche, dalla regione indo-pacifica a un focus costante sull'instabilità della regione mediterranea”.
Draghi non ha nominato esplicitamente la Libia, non era quello il contesto giusto per avanzare richieste specifiche in tal senso, però intanto ha piantato una bandierina italiana su uno scacchiere importante come quello mediterraneo per rivendicare che è di nostro precipuo interesse nazionale. Le richieste specifiche le ha fatte invece direttamente al segretario di Stato Usa, Blinken, durante la sua visita del 28 giugno a Roma, dove ha incontrato lo stesso Draghi, il ministro degli Esteri Di Maio e il presidente Mattarella, prima di recarsi in Vaticano per la visita al papa. Nel comunicato di Palazzo Chigi, dopo aver richiamato il “rinnovato clima di forte sintonia e collaborazione fra l’Unione Europea e gli Stati Uniti”, si sottolinea infatti che sono state affrontate “le principali sfide globali e sistemiche, quali la lotta alla pandemia, il rilancio economico e sociale e il contrasto ai cambiamenti climatici, nonché le più importanti crisi internazionali, con specifica attenzione all’instabilità nella regione mediterranea e alla Libia”.

Deciso sostegno all'esercito imperialista europeo
In sostanza l'Italia chiede agli Usa di impegnarsi per favorire il processo che dovrebbe portare alle elezioni in Libia a dicembre e all'allontanamento delle forze militari straniere, in particolare russe e turche, che al momento ostacolano la nostra presenza politica e militare in quel Paese. Anche Mattarella ha ribadito a Blinken che la Libia rappresenta un “punto centrale per gli equilibri del Mediterraneo e per la politica estera e di sicurezza dell’Italia”. In cambio dell'appoggio di Washington agli interessi egemonici italiani in Libia, Di Maio ha ribadito il ruolo italiano a fianco degli Usa nella guerra allo Stato islamico e ha confermato l'impegno dell'Italia a mantenere il suo corpo di oltre 800 uomini in Iraq e Kuwait, e anzi ad incrementarlo e ad assumere il comando delle truppe Nato a Baghdad alla fine del turno della Danimarca: “Nella lotta al terrorismo internazionale nessuno può farcela da solo, per questo la cooperazione con gli Stati Uniti è strategica e l’Italia svolge un ruolo di primo piano in questa coalizione”, ha dichiarato il ministro M5S.
Nei soli tre minuti assegnategli per il suo intervento, Draghi non ha mancato tuttavia di spezzare una lancia a favore di un pilastro armato autonomo dell'Ue imperialista, sia pure nell'ambito della Nato: “Stiamo costruendo un'UE più forte anche nel campo della sicurezza e della difesa – ha detto il premier - nella ferma convinzione del positivo contributo basato sulla complementarietà che l'architrave europeo può fornire per rafforzare ulteriormente la NATO. Vorrei sottolineare a tutti i nostri alleati non appartenenti all'UE che questo è ciò che inequivocabilmente intendiamo per 'autonomia strategica dell'UE'”.
L'atlantista di ferro Draghi è infatti anche un europeista di ferro, e si schiera quindi con forza con Merkel e Macron nel sostenere la necessità di un esercito europeo per supportare le ambizioni geopolitiche della superpotenza europea, specie dopo l'uscita della Gran Bretagna dall'Ue, pur cercando di rassicurare Biden che esso non nasconde una volontà di sganciamento dall'egemonia Usa, ma anzi costituisce un “rafforzamento” della Nato.
 

7 luglio 2021