Pestaggio dei detenuti anche in altre carceri italiane

 
Il violentissimo pestaggio dei detenuti da parte della polizia penitenziaria nel carcere campano di Santa Maria Capua Vetere dell’aprile del 2020 non sembra essere un caso isolato. Esso fu commesso circa un mese dopo che in numerose altre prigioni italiane ci furono violente rivolte tra i detenuti a causa del timore della diffusione della pandemia negli istituti penitenziari, rivolte cui fecero seguito dure repressioni, tanto che tra il 7 e il 10 marzo 2020 ci furono 13 morti: tre detenuti del carcere di Rieti, uno di quello di Bologna, e nove di quello di Modena.
Basandosi esclusivamente sulle relazioni di servizio della polizia penitenziaria Andrea Romito, Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Modena, ha stabilito lo scorso 17 giugno che “unica ed esclusiva” causa del decesso dei carcerati fu “l’asportazione violenta e l’assunzione di estesi quantitativi di medicinali correttamente custoditi all’interno del locale a ciò preposto”, una spiegazione che, come per i casi di Aldrovandi e di Cucchi, non convince nessuno, tanto che gli avvocati delle famiglie dei detenuti morti, e altri esperti che hanno seguito la vicenda, temono che i reclusi siano stati assassinati, tanto da sollecitare altre indagini per chiarire le vere cause della morte.
La rivolta scoppiò in 70 carceri italiane a seguito della diffusione delle notizie circa la contagiosità del coronavirus in ambienti affollati, perché non bisogna dimenticare che gli istituti di pena italiani soffrono tutti del problema del sovraffollamento, e anche a seguito della sospensione delle visite dei familiari e dell’ingresso dei volontari, sempre per ragioni sanitarie.
La rivolta del carcere di Modena iniziò l’8 marzo e fu particolarmente violenta, tanto che fu appiccato il fuoco ai materassi e in un’ala del carcere si sviluppò rapidamente un incendio, poi alcuni detenuti effettivamente assaltarono la farmacia sottraendo una modesta quantità di metadone e altri farmaci ivi presenti, ma è impossibile pensare che tali farmaci abbiano potuto provocare la morte, tra l’8 e il 10 marzo, dei detenuti Hafedh Chouchane, Erial Ahmadi, Slim Agrebi, Ali Bakili, Lofti Ben Mesmia, Ghazi Hadidi, Artur Iuzu, Abdellha Rouan e Salvatore Piscitelli.
Secondo la versione ufficiale, alcuni di essi sono morti all’interno del carcere di Modena, altri durante il trasporto oppure quando già erano arrivati in altri istituti, ad Alessandria, Parma, Verona e Ascoli Piceno.
Per la vicenda di Piscitelli, che morì il 10 marzo nel carcere di Ascoli Piceno, due detenuti, che furono trasferiti con lui da Modena al carcere marchigiano, hanno scritto altrettante lettere all'associazione fiorentina Perunaltracittà - La città invisibile nelle quali raccontano che tutti i carcerati, tra i quali loro due e lo stesso Piscitelli, subirono un violento pestaggio a Modena prima del trasferimento: “Ci hanno messo in una saletta – si legge in una delle due lettere - dove non c’erano le telecamere” e gli agenti della polizia penitenziaria hanno percosso i detenuti “con botte, manganelli, calci e pugni”.
Le botte, secondo i due detenuti, continuarono durante il trasferimento all'interno del veicolo che ospitava uno dei due autori delle lettere e Piscitelli, tanto che quest'ultimo, quando giunsero a destinazione nel carcere marchigiano, appariva completamente debilitato. L'altro detenuto, che non viaggiò insieme a Piscitelli ma che giunse con un altro veicolo ad Ascoli Piceno, afferma di averlo visto all'arrivo e che “lui non riusciva a camminare”.
Sulla vicenda di Piscitelli e sui pestaggi denunciati dai due detenuti la Procura di Modena ha aperto un'indagine, per ora contro ignoti.
Luca Sebastiani, avvocato della famiglia di Hafedh Chouchane, ha dichiarato alla stampa di avere riscontrato numerose e macroscopiche contraddizioni nelle relazioni di servizio della polizia penitenziaria, tanto da mettere in dubbio il referto autoptico, in base al quale il detenuto sarebbe morto per overdose da metadone.
Simona Filippi, legale dell'associazione Antigone, ha affermato in un'intervista ad Huffington Post che su alcuni detenuti morti a Modena ”sono stati riscontrati segni di violenza”.
Ci sono pesanti dubbi anche sulla vera causa della morte di Haitem Kedri nel carcere di Bologna e di altri tre detenuti nel carcere di Rieti, soprattutto ora che parecchi carcerati di ogni parte d'Italia stanno iniziando a scrivere a varie associazioni e testate giornalistiche per denunciare violenti pestaggi avvenuti a seguito delle proteste del marzo 2021.
“Mentre dormivo nella mia cella - scrive un detenuto del carcere di Melfi al Corriere della Sera riferendo avvenimenti del 17 marzo 2020 - sono stato svegliato da quattro persone che avevano il volto coperto da un passamontagna. Mi bloccavano le braccia con delle fascette intimandomi 'stai zitto, non parlare e abbassa la testa'. Mentre mi trovavo ancora in pigiama e con le ciabatte venivo accompagnato presso un pullman e lungo il tragitto sono stato percosso con calci e con l’utilizzo di un bastone”.
Vista la molteplicità degli episodi, è difficile non pensare a un vero e proprio coordinamento nazionale del corpo della polizia penitenziaria nella perpetrazione di tali atti criminali nei confronti dei detenuti.

7 luglio 2021