Occorre il blocco generale permanente dei licenziamenti
Respingere il patto tra governo e confederazioni sindacali sui licenziamenti

Erano passate poche ore dalle manifestazioni del 26 giugno, appena il tempo di riporre le bandiere, e Landini, Sbarra e Bombardieri hanno tradito spudoratamente le migliaia di lavoratori che erano scesi in piazza, mostrando la volontà di lottare, convinti che Cgil, Cisl e Uil avessero finalmente e seriamente intrapreso la via della mobilitazione.

Capitolazione completa dei confederali
Gli slogan e le parole dette in piazza al sabato sono volate via come il vento e in men che non si dica si è passati da roboanti annunci di battaglia, pressioni sul governo, dai “non va bene”, “non retrocederemo di un millimetro” e “lavoro e diritti al centro”, alla capitolazione più completa. Dopo una domenica di “riflessione”, il lunedì si è riunita a Palazzo Chigi la “cabina di regia” del governo, presieduta dal banchiere massone Draghi che, dopo aver preso le sue decisioni, il martedì ha incontrato i segretari confederali, i quali hanno subito dato il loro nullaosta alle misure prese sulla fine del blocco dei licenziamenti.
“Avanti uniti fino al risultato” si leggeva in questi giorni su tutte le pagine social della Cgil, ma chi è che “porta a casa il risultato”? Indubbiamente Confindustria, e questo era prevedibile perché già nelle piazze di Torino, Firenze e Bari del 26 giugno, al di là dei toni e di certe frasi ad effetto, Landini e company avevano impostato i loro interventi sulla concordia e sulla coesione sociale, sul “ripartire insieme” che lasciavano già presagire un epilogo in cui i sindacati avrebbero assecondato governo e industriali, per il “bene comune” del Paese.
Non si riesce nemmeno a capire come abbia fatto questo incontro tra Draghi e i ministri del Lavoro Andrea Orlando e dell'Economia Daniele Franco da una parte, e i segretari confederali dall'altra, a durare sette ore, come narrano i giornali e le agenzie di stampa che parlano di “una trattativa vera”. Visto che in pratica i sindacati non hanno ottenuto niente ed è passata in toto la linea del governo e dei padroni, con quest'ultimi che, tramite il filo diretto tra la Confindustria e il capo del governo, vigilavano affinché non fosse presa qualche decisione a loro sgradita. Ma non c'è stato alcun bisogno d'intervenire direttamente perché la situazione di fatto è rimasta quella del decreto del governo Draghi di marzo, il Sostegni uno.

Nessun impegno per le imprese
Il breve testo dell’accordo firmato dai sindacati e condiviso da Confindustria recita che “le parti sociali alla luce della soluzione proposta dal governo sul superamento del blocco dei licenziamenti si impegnano a raccomandare l’utilizzo degli ammortizzatori sociali che la legislazione vigente ed il decreto legge in approvazione prevedono in alternativa alla risoluzione dei rapporti di lavoro”. Poi si aggiunge: “Auspicano e si impegnano, sulla base di principi condivisi, ad una pronta e rapida conclusione della riforma degli ammortizzatori sociali, all’avvio delle politiche attive e dei processi di formazione permanente e continua”.
S'impegnano, raccomandano, auspicano? Praticamente non è neanche un accordo, ma un “avviso comune”, cioè un impegno condiviso da governo, sindacati e associazioni padronali a usare il più possibile gli ammortizzatori sociali. A tal fine vengono messe sul piatto 13 settimane aggiuntive di Cassa integrazione totalmente gratuite per tutte le imprese, sia per le crisi nazionali al Mise sia per le piccole e micro-vertenze regionali e provinciali. Unica vera proroga, ma già prevista, 17 settimane di cig per i settori tessile, abbigliamento e pelletteria, ovvero il tempo necessario per arrivare al 31 ottobre.
Un impegno che non costa niente alle imprese perché non hanno nessun vincolo da rispettare che non vada oltre la “raccomandazione”, in più potranno usufruire di ulteriore Cig a costo zero. “Si torna al mercato” ha esultato Brunetta, del resto per il ministro berlusconiano anche le più blande misure che tutelano i lavoratori sono “leggi sovietiche”, mentre i padroni invocano il ritorno “alla libertà”. Libertà di licenziare tanto che, mentre gli industriali parlano di ripresa, a pochi giorni dalla firma dell'accordo sono già partite centinaia di lettere di licenziamento e nella sola Lombardia ci sono a rischio migliaia di posti di lavoro, specialmente nel settore metalmeccanico, chimico e della cosmetica.

Draghi e i partiti fedeli scudieri di Confindustria
Non ci meravigliamo più di tanto dell'atteggiamento del governo; com'è scritto nel Manifesto di Marx ed Engels, nel capitalismo i governi sono “comitati d'affari della borghesia ”, e questo vale in generale. Tuttavia, se gli esecutivi Conte I e II andavano spesso in fibrillazione per contraddizioni interne e per la strumentalizzazione delle illusioni sparse in campagna elettorale, quello guidato dal banchiere massone Draghi si dimostra essere l'espressione diretta del capitalismo, della grande finanza e della UE imperialista, che lo hanno ritenuto più affidabile dei governi precedenti.
Un governo “tecnico” che va avanti come un rullo compressore, imposto saltando tutte le consuete procedure costituzionali e parlamentari, a riprova che nei momenti di grande difficoltà, la classe dominante borghese non ha alcun pudore a ricorrere a qualsiasi mezzo, costituzionale o incostituzionale, pur di mantenersi al potere. Governo a cui tutti i partiti borghesi, in una disgustosa ammucchiata bipartisan, si sono prontamente allineati, con l'“opposizione patriottica” della Meloni che quando c'è da togliere diritti e sostegni ai lavoratori diventa “responsabile” e spesso, come in questo frangente, supera in atteggiamento filopadronale la maggioranza. Non a caso tutti hanno salutato con giubilo il via libera ai licenziamenti.

Cgil, Cisl e Uil complici
Ben più complicato e difficile per Cgil, Cisl e Uil presentare la capitolazione completa alle richieste padronali e alle misure governative come “vittoria” e “grande risultato”. Qui, se non stessimo trattando questioni che hanno ricadute drammatiche per migliaia di persone, ci sarebbe da ridere a sentire le dichiarazioni dei leader sindacali. “Un ottimo e importante risultato frutto dell'intensa fase di mobilitazione che da settimane come sindacati sosteniamo nei luoghi di lavoro e nei territori che è culminata sabato scorso con tre grandi manifestazioni” è il commento di Luigi Sbarra, segretario della Cisl, contestato dalla parte più combattiva della piazza di Firenze (a partire dal PMLI).
"Il governo si è speso con le associazioni datoriali per firmare questo avviso comune e far accettate la nostra proposta”, ha detto invece il segretario della Uil Bombardieri. "Vi è l'impegno del governo ad affrontare le altre riforme, dalla riforma fiscale e le politiche industriali perché è necessario che il mondo lavoro sia coinvolto nei cambiamenti e nelle scelte del Paese", ha aggiunto il segretario della Cgil. Le affermazioni di Landini si spingono perfino oltre, sostenendo la politica economica e sociale del governo nel suo complesso.
Non occorre molto per capire come Cgil, Cisl e Uil non abbiano avuto il coraggio e la volontà di andare allo scontro, proseguendo sulla strada del collaborazionismo, accettando tutte le condizioni e le misure messe in campo dal governo e dal padronato. Perfino un riformista incallito come l'ex segretario della Cgil Sergio Cofferati, attraverso un'intervista al Fatto quotidiano , ha criticato l'arrendevolezza dei sindacati confederali con queste parole: “Quale accordo? Il testo firmato non lo è di certo, si fa fatica perfino a definirlo”.
Se governo e padronato hanno la responsabilità di aver eliminato quei vincoli che hanno contribuito a contenere l'ondata dei licenziamenti (anche se solo di quelli a contratto indeterminato), ai sindacati confederali va senza ombra di dubbio il ruolo di complici, e non solo su questo tema specifico. Cgil, Cisl e Uil si sono subito uniti all'ammucchiata della destra e della “sinistra” borghese, sostenendo nei fatti il governo Draghi, assecondando tutte le sue misure e offrendo la propria collaborazione.

Respingere i licenziamenti e il “patto sociale”
Una linea tanto più grave se si pensa che Draghi è stato chiamato a pilotare l'uscita dalla fase più acuta della crisi economica capitalistica iniziata 10 anni fa e poi deflagrata con il Covid, attraverso profonde ristrutturazioni che prevedono il sostegno alle aziende che hanno più possibilità di competere a livello europeo e mondiale e il taglio di quelle più obsolete e in declino, con la conseguente perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro e la sostituzione della manodopera stabile con nuovi precari. Tendenza già evidente nel trimestre marzo-maggio 2021 dove i rapporti a scadenza sono saliti di 188 mila; gli stabili sono scesi di 70 mila. In primavera le imprese hanno sì assunto, ma senza impegno.
Questa firma è una pugnalata alle spalle per tutti quei lavoratori che quotidianamente lottano per non essere gettati in mezzo a una strada, per i loro diritti, per migliorare le proprie condizioni di lavoro che in certi settori rasentano lo schiavismo, per non morire sul posto di lavoro. Cgil, Cisl e Uil accreditano il governo Draghi come “affidabile” e guidato da una grande personalità”, quando fin dal suo insediamento si è scagliato contro le lotte operaie attraverso la repressione privata dei padroni o “pubblica” delle forze di polizia. Ricordiamo le aggressioni agli operai della Texprint di Prato, ai lavoratori della logistica a Piacenza e in Lombardia, l'assassinio di Adil a Novara, le indagini giudiziarie a danno dei portuali di Livorno, Genova e Trieste e dei sindacalisti del SiCobas, “colpevoli” di organizzare la lotta di classe.
Occorre rivendicare il blocco generale e permanente dei licenziamenti e respingere il patto tra governo e confederazioni sindacali che invece offre piena libertà di licenziare, oltretutto con la pandemia ancora in corso e senza quei nuovi ammortizzatori sociali di sostegno che erano stati promessi. Una misura che unita ad altre che scatteranno quasi in contemporanea, come lo sblocco degli sfratti e l'aumento delle bollette di luce e gas, si abbatteranno come uno tsunami sulle condizioni di vita e di lavoro di milioni di proletari.
Tutti i lavoratori combattivi presenti nei sindacati di base e in quelli confederali, in particolare nella Cgil, devono fare pressione sulle proprie organizzazioni affinché si trovi il modo di unirsi per sviluppare la lotta di classe e respingere gli inviti alla pace e alla coesione sociale lanciati continuamente da Draghi, Bonomi, Mattarella, papa Bergoglio, Landini, Sbarra, Bombardieri e da tutti i partiti del parlamento borghese.


7 luglio 2021