Il Sahel nel mirino dell'imperialismo russo
Putin lavora per prendere il posto di Macron nella regione strategica africana

 
Il ministero delle Forze Armate francesi, che significativamente non si chiama più della Difesa per una delle prime decisioni del governo appena insediato nel 2017 sotto la presidenza di Emmanuel Macron, annunciava il 2 luglio di aver ripreso le attività militari in Mali, sospese per un mese dopo l'ennesimo colpo di stato, dopo quelli dell'agosto 2020 e del maggio scorso, che aveva rimescolato le carte al vertice di Bamako a favore del colonnello Assimi Goita. Quelle che sono presentate come operazioni militari "congiunte" e missioni di "consulenza" in Mali sono in realtà una parte della guerra imperialista della cordata europea che vede in primo piano anche l'Italia e guidata da Parigi, che schiera circa 5 mila soldati nell'operazione Barkhane e col centro di comando a N'Djamena, la capitale del Ciad, contro i gruppi islamisti antimperialisti in gran parte affiliati a al Qaeda e allo Stato islamico nella regione africana del Sahel. E con i quali la nuova giunta militare di Bamako aveva dichiarato di voler aprire un negoziato.
L'imperialismo francese non poteva certo chiudere la presenza militare in Mali proprio tre mesi dopo aver avviato con gli stessi scopi di Barkane la nuova missione denominata Takuba che coinvolge molti Paesi europei. A cominciare dall’Italia che anche sotto il governo Draghi aumenta gli impegni militari per sostenere le ambizioni dell'imperialismo italiano nella regione del Sahel dove non vuol essere semplicemente a rimorchio di Macron, come confermano le varie prese di posizione da Draghi a Di Maio nei recenti vertici dalla Nato a quello della Coalizione anti-Isis.
La ragione principale che ha spinto Macron a non andarsene dal Mali è probabilmente quella espressa dal Capo di Stato maggiore François Lecointre, che guida l'operazione Barkane, "se Parigi se ne andasse, Mosca potrebbe riempire il vuoto". Infatti i galletti imperialisti che si contendono l'egemonia in Africa e nello specifico nella regione del Sahel si moltiplicano a vista d'occhio e non è un caso che in Mali dopo il golpe dell'agosto 2020, condotto da ufficiali che frequentavano le accademie militari di Mosca fino a pochi giorni prima, si siano visti a Bamako il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, e dopo il secondo golpe dello scorso maggio le manifestazioni di fronte all'ambasciata russa che invocavano l'intervento di Mosca e la cacciata dei militari francesi. Anche il nuovo leader, il colonnello Assimi Goita, ha studiato nelle accademie di Mosca. Erano i segnali dei nuovi attori imperialisti sempre più protagonisti nel Sahel, nella regione strategica africana oramai esplicitamente nel mirino dell'imperialismo russo con Putin che lavora per prendere il posto di Macron. Sfruttando a proprio vantaggio il sentimento contro la ex potenza coloniale francese tra le popolazioni del Mali, del Burkina Faso e della Repubblica Centrafricana.
La base di partenza degli interventi dell'imperialismo russo nella regione del Sahel è quella costruita a Sirte in Libia, per concessione del generale Haftar sottratto alla precedente influenza francese. I militari russi hanno a Sirte la disponibilità di un aeroporto militare e di basi logistiche, utilizzate anche dai mercenari della Wagner che sono stati determinanti nei successi militari di Haftar fino all'intervento della Turchia in appoggio al governi di Tripoli che ha determinato l'attuale tregua in Libia. Nonostante le pressioni dei concorrenti imperialisti, Usa e Italia in testa, per il ritiro di soldati e mercenari Mosca non sposta quelli della Wagner, utilizzati quantomeno come istruttori delle formazioni che nell'aprile scorso hanno fatto fuori il presidente ciadiano Idriss Deby, uno dei migliori alleati della Francia nella regione. Soldati e mercenari russi sono e presenti in forze anche nella Repubblica Centrafricana per "l'addestramento" delle forze di armate locali e la protezione del presidente Faustin- Archange Touadéra fino all'assassinio degli oppositori, in applicazione dell'accordo fra i due paesi che ha assicurato al Cremlino lo sfruttamento delle risorse minerarie centrafricane.

7 luglio 2021