A Torino, Firenze e Bari
In piazza per il lavoro
Le lavoratrici e i lavoratori vogliono lottare. I leader di Cgil, Cisl e Uil abbaiano ma non mordono
A Firenze parte dei manifestanti rilanciano la parola d'ordine del PMLI sullo sciopero generale

Finalmente Cgil, Cisl e Uil si sono decisi a scendere in piazza. Lo hanno fatto in maniera molto parziale evitando lo sciopero e proclamando manifestazioni di sabato. Era più che doveroso richiedere la proroga del blocco dei licenziamenti ma, anche in questo caso, si son ridotti a chiedere di spostare semplicemente tale data al 31 ottobre.
Quasi la stessa proposta del governo, che prevede un'ulteriore proroga per i servizi, il terziario e particolari settori manifatturieri in grave crisi, come il tessile e il calzaturiero, mentre i sindacati la chiedono indistintamente. Non a caso pochi giorni dopo le manifestazioni del 26 giugno Cgil-Cisl-Uil hanno vergognosamente trovato l'accordo, tradendo così la disponibilità alla lotta dei lavoratori.
Alla fine la “grande mobilitazione” annunciata dai confederali per “correggere” le linee guida del Piano Nazionale di Rinascita e Resilienza (PNRR) è tutta qui, si è conclusa con la capitolazione confederale quella “controffensiva” per scongiurare le centinaia di migliaia di licenziamenti che sono all'orizzonte dopo che la Confindustria ha chiesto insistentemente la fine del blocco. La richiesta confederale è stata immediatamente soddisfatta dal governo del banchiere massone Draghi, sostenuto dalla disgustosa ammucchiata di partiti della destra e della “sinistra” borghesi.
Ma quello che è ancor più inaccettabile, al di là delle limitate rivendicazioni fatte dai sindacati al governo, è l'impostazione cogestionaria e neocorporativa che Cgi-Cisl-Uil hanno dato alla loro iniziativa, a partire dalle parole d'ordine che campeggiavano dietro ai palchi utilizzati dagli oratori: “Ripartiamo, insieme. Con il lavoro, la coesione e la giustizia sociale per l’Italia di domani”. In sostanza si sposa la ricetta dei padroni e del governo, che si lamentano della bassa produttività delle aziende italiane, a cui si vuole rimediare con imponenti ristrutturazioni utilizzando i soldi del Ricovery Fund e spremendo ancor di più i lavoratori. Una ricetta che per essere efficace non può fare a meno della “collaborazione” dei lavoratori e della pace sociale.
Una linea che si è ben percepita in tutti gli interventi dei segretari generali delle tre sigle sindacali. Dal palco di Torino Landini è stato forse il più chiaro di tutti: “È il momento di unire non di dividere e non è il momento di ulteriori fratture sociali”. Nel suo intervento il segretario della Cgil si è mostrato molto comprensivo verso le aziende, capisce bene la necessità delle ristrutturazioni e comprende “la difficoltà a mantenere i livelli occupazionali”, solo che si appella al Governo per non far ricadere tutte le conseguenze sui lavoratori.
Chiarissimo anche il segretario generale della Cisl, che ha parlato in piazza Santa Croce a Firenze . “Mandiamo un messaggio forte e unitario al governo e alle associazioni datoriali sulla necessità di ripartire insieme - ha detto - una grande discussione per arrivare a negoziare un nuovo e moderno patto sociale per la crescita lo sviluppo e l’equità”. Un intervento collaborazionista e totalmente appiattito sulle posizioni del governo Draghi e dell'Unione Europea imperialista, dove ci si è spinti addirittura al punto di elogiare l'UE per “l'inversione di tendenza della sua politica”.
Contestando alcuni passaggi del suo discorso la combattiva delegazione del PMLI ha fischiato Luigi Sbarra e ha gridato ripetutamente: “sciopero, sciopero,generale”, seguita da un importante settore dello spezzone Cgil, che poi ha iniziato a contestarlo fino a quando buona parte della piazza ha coperto le conclusioni del suo intervento intonando “Bella Ciao ”(vedere l'articolo a parte).
A Bari era presente il segretario generale della Uil, ma anche questo intervento non si è discostato dagli altri, rimanendo sulla stessa linea collaborazionista. Bombardieri ha soltanto messo l'accento sulla possibile “bomba sociale” rappresentata dai licenziamenti, calcolati in circa 600mila, che saranno sbloccati dalla fine di giugno. I segretari confederali si sono limitati più che altro a chiedere “comprensione” al governo, preoccupati delle tensioni causate al Paese, anziché proclamare immediatamente uno sciopero generale, che difatti nei loro interventi non viene mai nominato.
In sostanza Cgil-Cisl-Uil chiedono al governo la proroga del blocco dei licenziamenti fino al 31 ottobre, di non creare nuovo lavoro precario, di non insistere sulle cosiddette “semplificazioni”, che altro non sono che meno tutele verso la sicurezza, agevolazioni alle infiltrazioni mafiose, meno tutele per ambiente e territorio, e la richiesta di una riforma degli ammortizzatori sociali. Dai palchi delle manifestazioni è stata ricordata anche la morte del sindacalista Adil Belakdim, schiacciato e ucciso da un tir durante un picchetto organizzato dal SiCobas nel corso dello sciopero della logistica.
Ma tutto questo non ha nessuna ricaduta concreta se ci si limita a chiedere di essere invitati ai tavoli della concertazione con il governo e i padroni. Occorre sbarrare la strada alle ristrutturazioni capitalistiche che per mantenere inalterati e accrescere i profitti non si faranno scrupoli di sacrificare migliaia di posti di lavoro e le condizioni di vita delle masse. Già adesso, nonostante le limitazioni ai licenziamenti durino da più di un anno, attraverso il mancato rinnovo dei contratti a termine sono stati gettati sul lastrico quasi un milione di persone.
E per fare questo occorre subito uno sciopero generale nazionale con manifestazione a Roma, che già doveva essere indetto da tempo, per chiedere il blocco illimitato dei licenziamenti, il ripristino dell'articolo 18 e l'abrogazione della legge Fornero. Serve una lotta dura e radicale per pretendere che i soldi del PNRR anziché essere dirottati, in una forma o nell'altra, per il 75% verso le aziende, siano indirizzati per mantenere e sviluppare l'occupazione, il mezzogiorno, la sanità e la scuola, i servizi pubblici, pensioni dignitose, per assicurare un adeguato sostegno economico a chi non ha alcun reddito.
Non basta piangere per la morte di un sindacalista se non si denuncia la repressione delle lotte operaie da parte del governo, attuata attraverso la violenza privata dei padroni e dei crumiri e la repressione governativa delle forze di polizia. Non si può denunciare il precariato se come sindacati confederali si è avallato la flessibilità e la liberalizzazione del mercato del lavoro, e si continua tutt'ora a firmare contratti che vanno in quella direzione. Non basta chiedere più democrazia sui posti di lavoro se poi si promuovono leggi che limitano la rappresentanza dei lavoratori e perfino il diritto di sciopero.
È questo l'abisso che divide i lavoratori che sono scesi in piazza per il lavoro dai vertici confederali che si limitano tutt'al più ad abbaiare timidamente, e non certo a mordere il governo del banchiere massone Draghi.

7 luglio 2021