Solo il 23% dell'elettorato algerino è andato alle urne
In Cabilia l'1%. Un milione di schede nulle

 
Si è insediato il 7 luglio il nuovo esecutivo algerino guidato dal premier Ayman Benabderrahmane, in sostituzione di quello dimissionario di Abdelaziz Djerad che lasciava dopo i risultati delle elezioni parlamentari del 12 giugno "vinte" dal Fronte di Liberazione Nazionale che ha ottenuto un quarto dei 407 seggi, pur con un tracollo dei consensi. Il presidente Abdelmajid Tebboune aveva indicato queste elezioni come "la conferma di un paese nuovo, grazie alla spinta del movimento Hirak e al coinvolgimento dei giovani, per restituire legittimità alle istituzioni dopo la caduta di Abdelaziz Bouteflika" ma il risultato delegittima completamente le istituzioni dato che la diserzione dalle urne promossa dal movimento Hirak e dai partiti dell'opposizione ha raggiunto il 77% dell'elettorato, con punte del 96% tra gli algerini all'estero e del 99% in Cabilia e in città come Tizi Ouzou, Bouira e Bejaia. Se i votanti sono stati solo il 23%, con una caduta significativa dal 35% del 2017, ossia 5,5 milioni di elettori sui circa 24 milioni di aventi diritto e ci sono state almeno 1 milione le schede nulle neanche il più incallito sostenitore della democrazia borghese può ritenere rappresentative le istituzioni elette.
Tra i partiti partecipanti al voto, il primo è stato il Fronte di liberazione nazionale (Fnl) con 105 seggi, seguito dalle liste indipendenti con 78 seggi, dagli islamisti del Movimento per la società e la pace (Msp) con 64 seggi, dal Raggruppamento nazionale democratico (Rnd) con 57 seggi e dal Fronte al Moustakbal con 48 eletti. Una misera pattuglia con la quale i vertici militari tentano di tamponare la crisi politica innescata dalla mobilitazione popolare e dal movimento Hirak per una maggiore democrazia e contro il sistema governativo di corruzione, clientelismo e repressione, iniziata il 22 febbraio 2019 e che ha portato alal caduta del regime dell’ex presidente Abdelaziz Bouteflika. la successiva elezione del presidente Tebboune il 12 dicembre 2019 non ha affatto dato il via la cambiamento chiesto dalla mobilitazione popolare che avuto la forza, grazie al contributo soprattutto dei giovani, di tenere da allora la piazza con manifestazioni che si sono ripetute ogni venerdi sfidando la repressione governativa e gli arresti di attivisti e giornalisti indipendenti.

21 luglio 2021