Bologna non dimentica la strage fascista alla stazione di 41 anni fa e reclama la condanna dei mandanti piduisti appoggiati dai vertici dello Stato e dei servizi segreti

Il 2 agosto centinaia di manifestanti hanno preso parte a Bologna al corteo cittadino per commemorare il 41° anniversario della strage fascista del 2 agosto 1980 alla stazione ferroviaria che causò 85 morti e oltre 200 feriti.
In testa al corteo, davanti ai taxi della Cotabo e dietro all'autobus 37, è sfilata per la prima volta anche la autogrù dei pompieri: il mezzo che supportò le squadre dei Vigili del Fuoco impegnate nelle attività di ricerca e soccorso delle persone intrappolate sotto le macerie.
Lungo il percorso, da Piazza Nettuno a Piazza Medaglie d'Oro, sono stati posati anche gli ottantacinque sampietrini della memoria per ricordare le vittime della strage.
Nel corso delle celebrazioni i manifesti, con alla testa l'Associazione delle vittime e i familiari, hanno chiesto a gran voce la condanna dei mandanti piduisti appoggiati dai vertici dello Stato e dei servizi segreti alla sbarra dal 16 aprile scorso nel nuovo processo in corso di svolgimento a Bologna.
Una ricorrenza particolare perché per la prima volta dopo 41 anni di depistaggi, coperture politiche, false testimonianze e tanta omertà, si affaccia finalmente all'orizzonte la possibilità di arrivare a smascherare in sede processuale anche i mandanti piduisti annidati fin dentro ai vertici dello Stato, dei servizi segreti, del governo, delle istituzioni dei circoli finanziari ed economici e dei partiti borghesi a cominciare dalla Dc e MSI, di quella che è considerata la più grave strage fascista compiuta sul territorio italiano e europeo nel dopoguerra.
"Sarà un processo epocale, – ha commentato Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione delle vittime – l’ultimo passo per la verità totale che svelerà chi organizzò e finanziò la strage".
Dal 16 aprile scorso Infatti, ogni mercoledì e venerdì davanti ai giudici della Corte di assise di Bologna, proseguono le udienze del nuovo processo che si svolge a porte chiuse per l'emergenza sanitaria e che vede come principale imputato Paolo Bellini: ex esponente di Avanguardia nazionale, ritenuto dalla procura generale tra gli esecutori della stage. Secondo i giudici Bellini agì come "quinto uomo in concorso" con gli ex Nar già condannati in via definitiva: Francesca Mambro e Giusva Fioravanti (ergastolo), Luigi Ciavardini (30 anni) e Gilberto Cavallini (ergastolo, primo grado).
Bellini, 66 anni, risulta fra l'altro coinvolto in una lunga scia di omicidi, collegato alla ‘ndrangheta e implicato nella trattativa Stato-mafia.
Nell'udienza del 21 luglio, la ex moglie di Bellini l'ha riconosciuto in un video amatoriale girato alla stazione da un turista straniero poco prima dell’esplosione e acquisito solo nelle recenti indagini. La donna ha ammesso di aver mentito, nel 1983, e di essersi inventata l'alibi per salvare il marito. "Nel 1983 gli fornii l’alibi – ha confessato la signora Bellini - dissi che alle 9 Paolo e io, con i nostri figli Silvia e Guido e la nipote Daniela, ci eravamo visti a Rimini per andare insieme in vacanza al Tonale. Non è vero: Paolo arrivò molto più tardi, forse a mezzogiorno. Ho detto una bugia, mi avevano detto che volevano incastrarlo e io ero certa della sua innocenza. E invece ha ingannato tutti, me per prima. Ho sbagliato, chiedo scusa a tutti. Avevo 25 anni, era mio marito e io non immaginavo che lui avesse una doppia vita... Se avessi avuto anche solo un dubbio, avrei parlato prima".
Sul banco degli imputati ci sono anche l’ex ufficiale dell’Arma, Piergiorgio Segatel (accusato di depistaggio) e Domenico Catracchia (per falso ai Pm e reticenza), ex amministratore di una società immobiliare usata dal Sisde nonché del famigerato condominio di via Gradoli a Roma, covo prima delle sedicenti Brigate rosse e poi dei Nar.
Insieme a loro doveva esserci anche l’ex generale del Sisde di Padova, Quintino Spella, 91 anni, indagato per depistaggio ma è deceduto alcuni mesi fa.
Secondo i sostituti procuratori generali del capoluogo emiliano Umberto Palma e Nicola Proto, fu la loggia massonica Propaganda 2 a organizzare e finanziare la strage. E alla sbarra sarebbero dovuti comparire anche i mandanti e i finanziatori a cominciare dal capo della P2 Licio Gelli, il suo braccio destro Umberto Ortolani già condannato per il crac del Banco Ambrosiano, il potentissimo capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale Federico Umberto D’Amato, e il direttore de “Il Borghese” e senatore del Msi, Mario Tedeschi. Tutti piduisti e tutti ormai deceduti da anni.
Il nuovo processo è nato grazie al dossier presentato dall’Associazione dei familiari delle vittime che in un primo momento viene ritenuto “poco interessante” dalla Procura ordinaria di Bologna che nel marzo del 2017 aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo di inchiesta sui mandanti rimasto contro ignoti.
A ottobre scorso, il giorno dopo la decisione del Gup di rinviare a giudizio l’ex Nar Gilberto Cavallini (condannato poi in primo grado a gennaio scorso) per aver offerto supporto nella strage, la Procura generale di Bologna avoca a sé il fascicolo e grazie al meticoloso lavoro degli investigatori riesce a ricostruire tutti i passaggi di denaro attraverso cui Licio Gelli e Ortolani finanziarono i Nar per compiere la strage.
Nel dossier dell’Associazione c’era anche un fascicolo con gli atti del processo sul crac del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi, il “banchiere di Dio” trovato “suicidato”. C’è un atto chiamato “documento Bologna”, sequestrato nel 1982 a Gelli quando fu arrestato in Svizzera. In uno dei fogli c’è l'intestazione “Bologna - 525779 – X.S.”: un numero corrispondente a un conto corrente acceso dello stesso Gelli presso la Ubs di Ginevra in Svizzera. Nel 2013 il figlio di Calvi, Carlo, riassunse in un dossier i flussi di denaro di Licio Gelli, considerati per lui importanti per scoprire chi uccise il padre. Tra gli altri sono riportati diversi bonifici dell’estate 1980, quella della strage di Bologna, per 15 milioni di dollari. Il primo movimento di denaro che ha interessato la Procura generale però è un altro, quello del febbraio del 1979, molti mesi prima: una data che indicherebbe secondo gli inquirenti l’inizio dei preparativi per la strage di Bologna.
Una verità che il PMLI denunciò fin da subito con un comunicato dell'Ufficio politico dal titolo “Fermare la belva fascista” pubblicato sul numero 34/35/36 del 22-29 agosto/5 settembre 1980 de “Il Bolscevico” in cui fra l'altro indicava proprio la matrice golpista e neofascista della strage e i “mandanti annidati fin dentro ai vertici dello Stato, dei servizi segreti, del governo, delle istituzioni dei circoli finanziari ed economici e dei partiti borghesi a cominciare dalla Dc e MSI”.

8 settembre 2021