Discorso di Giovanni Scuderi, a nome del CC del PMLI, per il 45° Anniversario della scomparsa di Mao
Applichiamo gli insegnamenti di Mao sul revisionismo e sulla lotta di classe per il socialismo

Care compagne, cari compagni, care amiche, cari amici,
come voi sapete, ogni anno il Comitato centrale del PMLI commemora pubblicamente Mao, in occasione dell'Anniversario della sua scomparsa. Ma perché lo fa? Anzitutto perché è stato Mao che, attraverso il suo pensiero, la sua opera e il suo esempio, ci ha attirato nella lotta di classe contro il capitalismo e per il socialismo e che ci ha ispirato per fondare il partito del proletariato. Lo commemoriamo anche per tenere vivi i suoi insegnamenti universali e trasmetterli alle nuove generazioni rivoluzionarie, per porre all'attenzione del proletariato e delle masse sfruttate e oppresse alcune delle questioni da lui trattate e che noi riteniamo di viva attualità, infine per apprendere nuove cognizioni utili al nostro lavoro rivoluzionario e marxista-leninista.
Come fedeli allievi di Mao, e degli altri grandi Maestri del proletariato internazionale Marx, Engels, Lenin e Stalin, dobbiamo cercare di imparare quante più cose possibili dai suoi insegnamenti per fare con successo la lotta di classe e per essere in grado di spiegare ai fautori del socialismo e a chi aspira a una nuova società il pensiero di Mao, che costituisce lo sviluppo del marxismo-leninismo.
Mao ci ha insegnato che bisogna commemorare le compagne e i compagni scomparsi di qualsiasi livello siano, non solo i dirigenti col più alto grado. In un discorso dell'8 settembre 1944, pronunciato in una riunione per onorare la memoria di Chang Szu-teh, un soldato del Reggimento delle Guardie del Comitato centrale del Partito comunista cinese, Mao ha detto: “Tutti devono morire, ma non tutte le morti hanno uguale valore. Un antico scrittore cinese Sruma Chien, disse: 'Tutti gli uomini muoiono, ma la morte di alcuni ha più peso del Monte Tai, e la morte di altri è più leggera di una piuma'. La morte di chi si sacrifica per gli interessi del popolo ha più peso del Monte Tai, ma la morte di chi serve i fascisti, di chi serve gli sfruttatori e gli oppressori, è più leggera di una piuma. Il compagno Chang Szu-teh è morto per gli interessi del popolo; la sua morte ha più preso del Monte Tai” . Mao concluse il discorso con queste parole: “Da oggi in poi, chiunque di noi muoia, sia un combattente o un cuciniere, purché abbia svolto un lavoro utile, sarà da noi accompagnato all'ultima dimora e commemorato in una apposita riunione. Questa deve diventare una regola” .(1)
Questa regola l'abbiamo fatta nostra da sempre e ci regoliamo di conseguenza, a seconda dei casi concreti, delle forze e dei mezzi di cui disponiamo e delle circostanze.
 
Mao e il revisionismo moderno
Quest'anno il Comitato centrale del PMLI, a nome del quale mi onoro di parlare, ha pensato di trattare il tema Applichiamo gli insegnamenti di Mao sul revisionismo e sulla lotta di classe per il socialismo.
Mao ha dato un contributo fondamentale di carattere universale nella lotta contro il revisionismo moderno, che è lo snaturamento opportunista, riformista, parlamentarista e borghese del marxismo-leninismo. Il revisionismo è un mostro, che, se non si uccide appena viene allo scoperto, divora boccone dopo boccone i partiti comunisti e i paesi socialisti, come dimostra la storia dell'allora movimento comunista internazionale. Chi non si oppone ai revisionisti, chi lascia correre, chi non dà loro importanza è destinato prima o poi a soccombere, a distruggere quello che in buona fede ha creato, salvo che non sia un revisionista mascherato.
Mao è divenuto leader del PCC nel 1935, dopo 14 anni di dura lotta contro i revisionisti di destra e di “sinistra”. In tutta la sua vita marxista-leninista ha guidato undici lotte contro i revisionisti cinesi. Rilevante quella del 1958-1959 contro il ministro della Difesa Peng Dehuai che si opponeva al Grande Balzo in avanti e alle comuni popolari, speculando su alcuni errori di “sinistra” in alcune zone agricole. L'ultima è stata quella contro la cricca revisionista di destra di Deng Xiaoping, che dopo la morte di Mao, una volta reintegrato nel Partito, ha diretto la restaurazione del capitalismo in Cina.
Mao è emerso come campione e leader antirevisionista mondiale nella lotta contro il revisionismo moderno che aveva al centro la cricca revisionista di Krusciov. Con ciò acquisendo gli stessi meriti storici dei grandi Maestri del proletariato internazionale che l'hanno preceduto, che hanno ripulito le file del proletariato dai non marxisti e dai revisionisti, travestiti da comunisti. Marx ed Engels hanno smascherato e combattuto i sedicenti comunisti Proudhon, Saint-Simon, Fourier, Owen, Babeuf, Dühring, Bachunin e altri. Lenin ha smascherato e combattuto i primi revisionisti del marxismo nel mondo, Bernstein e Kautzky. Stalin ha smascherato e combattuto Trotzki, Bucharin, Kamenev, Zinoviev e altri. Mao ha smascherato e combattuto Liù, Deng, Krusciov, Breznev e i loro simili come Togliatti, Thorez, Tito, Dange e altri. Battaglie inevitabili e necessarie per non far deviare la rivoluzione mondiale dal suo corso naturale.
Ci sono due frasi di Mao che spiegano cosa è il revisionismo e qual è la sua natura e i suoi scopi, entrambe sono del 1957. Una dice: “Negare i principi fondamentali del marxismo, negare le sue verità universali questo è il revisionismo. I revisionisti cancellano la differenza tra socialismo e capitalismo, tra la dittatura del proletariato e quella della borghesia. Ciò che sostengono di fatto non è la linea socialista, ma quella capitalista” .(2) L'altra dice: “Il revisionismo, opportunismo di destra, è una corrente ideologica borghese, è ancora più pericoloso del dogmatismo. I revisionisti, opportunisti di destra, approvano a parole il marxismo e attaccano anch'essi il 'dogmatismo'. Ma i loro attacchi sono diretti in effetti contro la sostanza stessa del marxismo. Essi combattono o snaturano il materialismo e la dialettica, combattono o tendono di indebolire la dittatura democratica popolare e il ruolo dirigente del Partito comunista, come anche la trasformazione e l'edificazione socialiste” .(3)
Mao si è accorto subito che il revisionismo non era presente solo in Cina ma anche in Urss, dove aveva preso il potere attraverso il colpo di Stato di Krusciov nel febbraio 1956. E cominciò a denunciarlo, all'inizio all'interno del Partito, con queste parole: “Vorrei dire qualcosa sul XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica. Secondo me ci sono due spade: una è Lenin, l'altra è Stalin. Adesso i russi hanno gettato via quella spada che è Stalin. L'hanno raccolta Gomulka e certi ungheresi per colpire l'Unione Sovietica, per combattere il cosiddetto stalinismo. I partiti comunisti di diversi paesi europei criticano anche loro l'Unione Sovietica. Il loro leader è Togliatti. Anche l'imperialismo ha raccolto questa spada per lanciarsi all'attacco. Dulles l'ha presa e se n'è servito per qualche manovra. Questa spada non è stata data in prestito, bensì gettata via. Noi in Cina non l'abbiamo gettata via. Noi in primo luogo abbiamo difeso Stalin e in secondo luogo abbiamo criticato i suoi errori, abbiamo scritto l'articolo Sull'esperienza storica della dittatura del proletariato. Non abbiamo fatto come certuni che hanno screditato e distrutto Stalin, abbiamo agito in base alla situazione reale.
Si può dire che alcuni dirigenti sovietici hanno in qualche misura gettato via anche quella speda che è Lenin? Secondo me l'hanno fatto in misura notevole. La rivoluzione d'Ottobre è ancora valida? Può costituire o no un modello per tutti i paesi? Nel rapporto di Krusciov al XX Congresso del Partito comunista dell'Unione Sovietica si dice che si può conquistare il potere seguendo la via parlamentare, ossia che i vari paesi possono fare a meno di prendere esempio dalla rivoluzione d'Ottobre. Una volta aperta questa breccia, sostanzialmente si è gettato via il leninismo” .(4)
La difesa della via dell'Ottobre e del leninismo diventa quindi il cavallo di battaglia di Mao in Cina e all'interno del movimento comunista internazionale. Proprio per questo partecipa alla Conferenza di Mosca dei 12 partiti comunisti al potere e dei 64 partiti comunisti di tutto il mondo che si è tenuta nel novembre 1957, dove interviene per ben tre volte. Nell'ultimo intervento pone il seguente quesito: “Chi è più forte? I paesi arretrati o i paesi sviluppati? L'India o la Gran Bretagna? L'Indonesia o l'Olanda? L'Algeria o la Francia? A me pare che gli imperialisti siano tutti come il sole alle sei del pomeriggio e che noi siamo come il sole alle sei del mattino. È per questo che dico che siamo arrivati a una svolta, che i paesi occidentali sono rimasti indietro e che siamo noi a guidare il movimento. Non è più il vento dell'ovest che prevale sul vento dell'Est, il vento dell'ovest si è indebolito. È il vento dell'est che prevale sul vento dell'ovest, perché noi siamo oramai i più forti.
Il fattore decisivo non è la quantità dell'acciaio, ma anzitutto la volontà del popolo. È sempre stato così, in tutto il corso della storia. È sempre successo che il debole ha sconfitto il forte e che la gente senza armi ha sconfitto gli uomini armati. Un tempo i bolscevichi non avevano neanche un fucile che è uno. I compagni sovietici mi hanno detto che al momento della rivoluzione di febbraio il partito aveva solo 40.000 membri” .
In quella Conferenza del 1957 si scontrano duramente le delegazioni del PCC e del PCUS. La principale divergenza fu quella del passaggio dal capitalismo al socialismo. Come doveva avvenire? Per via parlamentare o per via rivoluzionaria? (kruscioviani erano per il passaggio pacifico e parlamentare. Alla fine fu trovato un compromesso ammettendo entrambe le possibilità, ma privilegiando il passaggio senza guerra civile. Tuttavia Mao, assieme a altri, ottiene che nella Dichiarazione finale sia inserita la seguente frase: “Nelle attuali condizioni, il pericolo principale è il revisionismo, o, in altre parole, l'opportunismo di destra, manifestazione dell'ideologia borghese che paralizza l'energia rivoluzionaria della classe operaia e postula il mantenimento e la restaurazione del capitalismo”.
Le divergenze di allora tra i marxisti-leninisti e i revisionisti riguardavano i principi fondamentali del marxismo-leninismo circa il Partito del proletariato, il materialismo storico, il materialismo dialettico, lo Stato, la via per la conquista del socialismo, la rivoluzione proletaria, la dittatura del proletariato, il revisionismo, l'imperialismo, la guerra di liberazione nazionale, la coesistenza pacifica, la guerra e la pace, la lotta di classe nel socialismo. A essi si aggiunse la questione Stalin, la questione Tito, l'aggressione del Vietnam da parte dell'imperialismo americano.
Su tutti questi temi Mao, direttamente o indirettamente tramite il PCC e i media cinesi fece sentire alta e forte la sua potente voce marxista-leninista. In un primo tempo però non rese pubbliche le divergenze con Krusciov sperando di poterle risolvere con la discussione e il convincimento e di tenere così unito il movimento comunista internazionale.
Per la prima volta furono portate allo scoperto quando l'Urss di Krusciov nel 1959 appoggiò il governo Nehru e non la Cina nello scontro di frontiera con l'India, alla vigilia dell'incontro di Krusciov e Eisenhower a Camp David in Usa, che, secondo il capofila dei revisionisti del mondo, segnava “una nuova era delle relazioni internazionali” e una “svolta nella storia”.
In occasione del 90° Anniversario della nascita di Lenin, nell'aprile 1960 “Bandiera Rossa”, rivista teorica del Comitato centrale del PCC, e il “Quotidiano del popolo”, organo del Comitato centrale del PCC, pubblicano rispettivamente “Viva il leninismo” e “Avanti sulla via del grande Lenin”, sintetizzando e rilanciando punto per punto il pensiero di Lenin e smantellando, di riflesso, le teorizzazioni revisioniste di Krusciov. Nel dicembre dello stesso anno, promossa dal PCC si tiene la Conferenza di Mosca degli 81 partiti comunisti di tutto il mondo, l'ultimo consesso unitario mondiale dei marxisti-leninisti e dei revisionisti. Mao sosterrà tatticamente per un certo tempo la Dichiarazione di Mosca del 1957 e del 1960, nonostante contenessero delle concessioni di rilievo ai kruscioviani. Le contraddizioni non erano ancora pubbliche, si sviluppavano all'interno del movimento comunista internazionale e non si sapeva chi alla fine l'avrebbe spuntata, i marxisti-leninisti o i revisionisti.
Un passaggio fondamentale della lotta tra le due linee, quella del PCC e quella del PCUS, ancora non pubblica, si ha nello scambio di lettere tra i due Comitati centrali, quella del partito sovietico porta la data del 30 marzo 1963 e quella del partito cinese porta la data del 14 giugno 1963, quest'ultima è nota come “La linea generale del movimento comunista internazionale”.
In essa si afferma subito, all'inizio, che “la linea generale del movimento comunista internazionale dev'essere fondata sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista circa la missione storica del proletariato, e non deve allontanarsene”. Vengono trattati i seguenti 25 punti: 1 – Difendere fermamente i principi rivoluzionari delle dichiarazioni del 1957 e del 1960 è compito urgente del momento attuale. 2 – La linea generale del movimento comunista internazionale nella fase attuale. 3 – Non si deve ridurre la linea generale del movimento comunista internazionale alla 'coesistenza pacifica', alla 'competizione pacifica' o al 'passaggio pacifico'. 4 - Le contraddizioni fondamentali del mondo contemporaneo. 5 – I punti di vista sbagliati sulle contraddizioni fondamentali del mondo contemporaneo. 6 – Il giusto atteggiamento da adottare nei confronti del campo socialista. 7 – Creazione del più largo fronte unito contro l'imperialismo americano e i suoi lacché. 8 – La grande portata del movimento rivoluzionario dei popoli dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. 9 – La questione della lotta rivoluzionaria delle nazioni e dei popoli oppressi dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina. 10 – Il problema della lotta rivoluzionaria dei popoli dei paesi imperialisti e capitalistici. 11 - Il problema del passaggio dal capitalismo al socialismo. 12 – Le esperienze e gli insegnamenti del movimento comunista internazionale e del movimento di liberazione nazionale. 13 – I rapporti tra i paesi socialisti e le lotte rivoluzionarie dei popoli e delle nazioni oppresse del mondo. 14 – La questione della guerra e della pace. 15 – La questione delle armi nucleari. 16 – La questione della coesistenza pacifica. 17 – Le classi e la lotta di classe nei paesi socialisti. 18 – Lo Stato di tutto il popolo. 19 – A proposito del “Partito di tutto il popolo”. 20 – La lotta contro il 'culto della personalità'. 21 – La questione dell'appoggiarsi sulle proprie forze, dell'aiuto reciproco e della cooperazione per i paesi socialisti. 22 – A proposito delle relazioni fra paesi fratelli. 23 – La lotta contro il revisionismo, principale pericolo per il movimento comunista internazionale e contro il dogmatismo. 24 – Il partito rivoluzionario proletario. 25 – Il dibattito pubblico in seno al movimento comunista internazionale”.
Per quanto riguarda la rivoluzione proletaria, il documento afferma: “Pur dirigendo attivamente le lotte di interesse immediato, i comunisti dei paesi capitalisti devono legarle alla lotta d'interesse generale e a lungo termine, educare le masse nello spirito rivoluzionario del marxismo-leninismo, elevare incessantemente la loro coscienza politica e assumersi il compito storico della rivoluzione proletaria”.
Per quanto riguarda il socialismo, si avverte la mano di Mao che esprime la sua inedita teoria in embrione della continuazione della rivoluzione sotto la dittatura del proletariato, usando queste parole: “Per un periodo storico molto lungo dopo la conquista del potere da parte del proletariato, la lotta di classe continua secondo una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell'uomo, solo la sua forma differisce da quella che era prima della presa del potere (…) È sbagliato, contrario alla realtà e al marxismo-leninismo, negare l'esistenza della lotta di classe nel periodo della dittatura del proletariato, e la necessità di compiere fino in fondo la rivoluzione socialista sui fronti economico, politico e ideologico”.
Per quanto riguarda il revisionismo, viene messo in rilievo che “Per condurre il programma comune del movimento comunista internazionale che è stato oggetto di un accordo unanime tra tutti i partiti fratelli, occorre condurre una lotta intransigente contro l'opportunismo, in tutte le sue forme, che è una deviazione del marxismo-leninismo.
Le due dichiarazioni (il riferimento è alle Dichiarazioni di Mosca del 1957 e del 1960) hanno indicato che il revisionismo, o, in altre parole, l'opportunismo di destra, costituisce il principale pericolo per il movimento comunista internazionale. (…) Bisogna in ogni momento attenersi alla verità universale del marxismo-leninismo per non cadere nell'opportunismo di destra o nel revisionismo”.
Da rilevare anche che in questo importante documento per la prima volta si prospetta la necessità di costituire nuovi partiti marxisti-leninisti nel seguente passaggio del punto 12: “Se il gruppo dirigente del partito adotta una linea non rivoluzionaria e fa del partito un partito riformista, allora i marxisti-leninisti dentro o fuori del partito si metteranno al suo posto per condurre il popolo a fare la rivoluzione”.
Il 14 luglio 1963 il Comitato centrale del PCUS per la prima volta attacca pubblicamente il PCC e Mao attraverso una “Lettera aperta alle organizzazioni di partito e a tutti i comunisti dell'Unione sovietica”. Il Comitato centrale del PCC reagisce anch'esso pubblicamente pubblicando nove articoli su il “Quotidiano del popolo” e su “Bandiera rossa” tra il 6 settembre 1963 e il 14 luglio 1964. Il primo di questi articoli ha per titolo “Le origini e lo sviluppo delle divergenze tra i dirigenti del Partito comunista dell'Unione sovietica e noi”, l'ultimo ha per titolo “Lo pseudo comunismo di Krusciov e gli insegnamenti storici che dà al mondo”.
Nel pieno della lotta ideologica e dello scontro politico contro i revisionisti in Cina, in Urss e nel mondo, Mao scrive, tra il 1961 e il 1965, quattro splendide poesie antirevisioniste, i cui titoli sono i seguenti: Replica al compagno Kuo Mo-jo (17 novembre 1961), Nubi invernali (26 dicembre 1962), Replica al compagno Kuo Mo-jo (9 gennaio 1963), Dialogo d'uccelli (autunno 1965).
Una volta che le divergenze sono diventate pubbliche, il PCC ha pubblicato sui principali media tutte le lettere del CC del PCUS, invitando questo partito a fare altrettanto, ma esso ha declinato l'invito. Nonostante ciò i comunisti cinesi hanno persino continuato a pubblicare in volume i discorsi e scritti di Krusciov. Nella prefazione del 26 febbraio 1965 del terzo volume si spiega il motivo: “Perché Krusciov è il più grande revisionista dei nostri tempi” (…) e “perché leggendo i suoi scritti e discorsi, tutti possono convincersi con i propri occhi del revisionismo di Krusciov (…) Il revisionismo di Krusciov è un'erbaccia velenosa. Tuttavia come tutte le erbacce, una volta estirpata serve a fertilizzare la terra. Il materialismo non può crescere senza criticare l'idealismo. La dialettica non può svilupparsi senza criticare la metafisica. Non ci può essere uno sviluppo creativo del marxismo-leninismo se non c'è critica al revisionismo moderno e al dogmatismo moderno. La storia dimostra che ogni progresso del marxismo-leninismo va conquistato con la lotta contro ideologie opposte. Tante volte il compagno Mao ci ha detto che i partiti rivoluzionari e i popoli rivoluzionari hanno bisogno di un'educazione continua tramite esempi positivi e negativi e tramite lotte per sviluppare la grande maturità indispensabile per raggiungere la vittoria. Noi comunisti cinesi abbiamo avuto Marx, Engels, Lenin e Stalin come maestri positivi. Ma abbiamo avuto anche maestri negativi come per esempio Chang Kai-shek, gli imperialisti giapponesi, gli imperialisti Usa e quelle persone all'interno del nostro partito che hanno seguito la linea dell'opportunismo di 'sinistra' o di destra. La rivoluzione cinese non avrebbe avuto successo se avesse avuto solo maestri positivi e non anche maestri negativi”.
Questo volume viene pubblicato nonostante che Krusciov fosse già stato fatto fuori l'anno precedente da Breznev, appoggiato immediatamente dal capofila dei revisionisti italiani Armando Cossutta, maestro e mentore di Marco Rizzo, passando tranquillamente dal libro paga di Krusciov a quello di Breznev.
Mao, pur cominciando a concentrarsi sull'elaborazione e il lancio della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, denuncia con forza la politica socialimperialista, socialista a parole imperialismo nei fatti, di Breznev tesa a far conquistare all'Urss l'egemonia mondiale in competizione con l'imperialismo americano. Questa importante denuncia viene argomentata e approfondita dall'editoriale congiunto delle Redazioni del “Quotidiano del popolo”, di “Bandiera rossa” e del “Quotidiano dell'Esercito popolare di liberazione” dal titolo “Leninismo o socialimperialismo?” pubblicato in aprile 1970 in occasione del centenario della nascita di Lenin.
Quanto Mao avesse visto giusto sul socialimperialismo sovietico lo vediamo nel 1979 quando l'Urss aggredisce e occupa l'Afghanistan. Il Comitato centrale del PMLI, con un documento del 9 febbraio 1980 dal titolo “Lottiamo per la pace, l'indipendenza nazionale e il socialismo”, condanna questo atto palesemente imperialista e antimarxista-leninista, mentre i revisionisti italiani lo appoggiano.
La lotta di Mao contro il revisionismo moderno raggiunge l'apice con la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria; una teoria, una rivoluzione, una esperienza inedite, senza precedenti nella storia del marxismo-leninismo e del socialismo. Nessuno prima di lui aveva pensato che occorre fare una o più rivoluzioni per costruire il socialismo e avanzare verso il comunismo. Mao prepara prima il terreno sui piani ideologico, strategico, tattico, politico e organizzativo con una serie di mosse all'interno del Partito e sui giornali del Partito e poi la lancia attraverso la Circolare del Comitato centrale del Partito comunista cinese del 16 maggio 1966.
In questa storica Circolare, redatta ufficialmente sotto la direzione personale di Mao, in cui tra l'altro viene sventato il complotto della revisionista di Peng Zhen che mirava a sabotare la rivoluzione, viene indicato che “tutto il Partito deve seguire le istruzioni del compagno Mao Zedong”: “Tenere alta la grande bandiera della rivoluzione culturale proletaria, denunciare a fondo la posizione reazionaria borghese di questo gruppo 'autorità accademiche' antipartito e antisocialiste, criticare tutte le idee reazionarie borghesi negli ambienti accademici, pedagogici, giornalisti, letterari, artistici e editoriali, e assicurarsi la direzione in tutti questi campi della cultura. A questo scopo, bisogna al tempo stesso criticare i rappresentanti della borghesia infiltrateci nel Partito, nel governo, nell'esercito e negli ambienti culturali. Questi elementi devono essere allontanati e, in certi casi, assegnati ad altri compiti. Soprattutto bisogna diffidare di loro e impedire che giungano ad occupare posti direttivi nella rivoluzione culturale. Alcuni di questi individui sono stati o sono ancora in posti di comando e ciò rappresenta un gravissimo pericolo.
I rappresentanti della borghesia infiltratesi nel Partito, nel governo, nell'esercito e nei diversi ambienti culturali, formano un'accozzaglia di revisionisti controrivoluzionari. Se si presentasse l'occasione, prenderebbero il potere e trasformerebbero la dittatura del proletariato in dittatura della borghesia. Abbiamo scoperto alcuni di questi individui: altri non sono ancora stati scovati; altri ancora, per esempio gli individui del tipo di Krusciov, godono ora della nostra fiducia, vengono formato come nostri successori e si trovano attualmente in mezzo a noi” .
L'8 agosto del 1966 il Comitato centrale del PCC interviene di nuovo sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria con un documento con i seguenti 16 punti: 1 – Una nuova tappa della rivoluzione socialista. 2 – La corrente principale e il corso tortuoso. 3 – Mettere l'audacia al primo posto e mobilitare completamente le masse. 4 – Che le masse si educhino nel movimento. 5 – Applicare risolutamente la linea di classe del Partito. 6 – Risolvere correttamente le contraddizioni in seno al popolo. 7 – Stare in guardia contro coloro che cercano di abbassare i rivoluzionari al rango di “controrivoluzionari”. 8 – A proposito dei quadri. 9 – A proposito dei gruppi, dei Comitati e dei Congressi della Rivoluzione culturale. 10 – riforma dell'insegnamento. 11 – A proposito delle critiche dirette fatte alla stampa. 12 – La politica da seguire nei confronti degli scienziati, i tecnici e i membri del personale ordinario. 13 – Disposizione per la combinazione del movimento di educazione socialista nella città e nelle campagne. 14 – Fare la rivoluzione e sviluppare la produzione. 15 – Le Forze armate. 16 – Il pensiero di Mao Zedong e la guida per l'azione nalla Grande Rivoluzione Culturale proletaria.
Il 1° agosto 1966 Mao scrive una Lettera alle Guardie Rosse della scuola media dell'università Chinghua in cui ci sono due concetti importantissimi. Il primo: “Marx ha detto che il proletariato non deve emancipare solo se stesso ma tutto il genere umano. Se non riuscirà a emancipare tutto il genere umano, allora il proletariato non sarà in grado di emancipare neppure se stesso .” Il secondo concetto: “Voi dite che è giusto ribellarsi contro i reazionari e io vi sostengo con entusiasmo. Io sostengo con entusiasmo anche il manifesto a grandi caratteri del Gruppo di combattimento Bandiera rossa della scuola media dell'università di Pechino in cui si dice che è giusto ribellarsi contro i reazionari”.
Questo concetto era molto caro a Mao, già il 21 dicembre 1939, nel discorso pronunciato alla grande riunione della popolazione di tutti i ceti a Yenan in onore del 60° Anniversario della nascita di Stalin aveva detto: “Il marxismo comporta numerosi principi che in ultima analisi confluiscono in una sola frase: 'È giusto ribellarsi contro i reazionari'. Per millenni si è sempre preteso che è giusto opprimere e sfruttare e che è sbagliato ribellarsi. Ma è apparso il marxismo che ha rovesciato questo vecchio verdetto. Questo è uno dei suoi grandi meriti. Nel corso della sua lotta il proletariato è giunto a questa verità e Marx allora l'ha eletta a principio.
Guidati da questo principio si resiste, si lotta e si lavora per il socialismo” .
Mao non fa mancare il suo sostegno pubblico alle studentesse e agli studenti antirevisionisti di Pechino, scrivendo a mano a grandi caratteri il manifesto dal titolo “Fuoco sul quartier generale!”, in occasione dell'undicesima Sessione plenaria dell'VIII Comitato centrale del PCC che si tiene il 1° agosto 1966. Questo il testo: “Il primo manifesto marxista-leninista a grandi caratteri della Cina e l'articolo dedicatogli dal commentatore del Quotidiano del popolo sono scritti in maniera davvero superba! Compagni, vi prego di leggerli! Tuttavia negli ultimi cinquanta giorni circa alcuni compagni dirigenti dei più diversi livelli, da quelli centrali a quelli locali, hanno agito in modo diametralmente opposto. Assumendo la posizione reazionaria della borghesia, essi hanno imposto una dittatura borghese e contrastato il nascente movimento della grande Rivoluzione culturale proletaria. Hanno abilmente rigirato i fatti facendo passare il bianco per nero, hanno accerchiato e represso i rivoluzionari, hanno soffocato le opinioni diverse dalle loro, hanno imposto il terrore bianco e si sono sentiti molto soddisfatti. Hanno incoraggiato l'arroganza della borghesia e depresso il morale del proletariato. Quanto sono perfidi! Osservando tutto ciò alla luce della deviazione di destra del 1962 e della tendenza errata del 1964 che era di 'sinistra' nella forma ma di destra nella sostanza, non dobbiamo forse stare all'erta?” .
Con le giovani Guardie rosse Mao ha un rapporto del tutto particolare. Le riceve, in uniforme dell'esercito, nel 1966 per ben sette volte in Piazza Tien An Men. In totale arrivano a Pechino da tutta la Cina 13 milioni di Guardie rosse. La prima volta ne riceve un milione, accetta il loro bracciale e lo indossa. Però il ruolo dirigente della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria lo assegna al proletariato, dando la seguente direttiva: “Per portare a compimento la rivoluzione proletaria nel campo dell'istruzione è indispensabile la direzione della classe operaia, la partecipazione delle masse operaie, le quali, in collaborazione con i soldati dell'Esercito popolare di liberazione, devono realizzare una triplice unione rivoluzionaria con gli elementi attivi fra gli studenti, gli insegnanti e i lavoratori delle scuole, ossia con gli elementi decisi a portare fino in fondo la rivoluzione proletaria nel campo dell'istruzione. Le squadre di propaganda degli operai devono restare a lungo nelle scuole, partecipare all'adempimento di tutti i compiti relativi alla lotta critica-trasformazione e dirigere per sempre le scuole. Nelle campagne le scuole devono essere amministrate dai contadini poveri e dai contadini medi dello strato inferiore, i più sicuri alleati della classe operaia” . Ciò equivaleva a dire la classe operaia deve dirigere tutto. Ma con a capo il suo Partito, Mao infatti ha detto che “Dei sette settori seguenti: l'industria, l'agricoltura, il commercio, la cultura e l'insegnamento, l'esercito, il governo e il Partito, il Partito è quello che deve esercitare la sua direzione su tutti gli altri” .(6)
La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria non aveva solo lo scopo di impedire la restaurazione del capitalismo e quello di costruire e sviluppare il socialismo, ma anche quello di trasformare la coscienza delle masse in senso rivoluzionario secondo la concezione proletaria del mondo, un'impresa enorme e di lunga durata, che può realizzarsi compiutamente con la scomparsa delle classi nel comunismo.
Mao indica chiaramente che “La Grande rivoluzione culturale proletaria è una grande rivoluzione che tocca l'uomo in quanto ha di più profondo, e tende a risolvere il problema della sua concezione del mondo” .(5) E quindi vengono prese una serie di misure pratiche per realizzare questo obiettivo, tra cui la diffusione a milioni di copie di tre brevissimi ma importanti interventi di Mao, che passano alla storia come “i tre articoli più letti” in Cina. Essi sono: “Al servizio del popolo” (9 settembre 1944), in cui si esalta la dedizione dell'esercito alla causa della liberazione del popolo, “In memoria di Norman Bethune” (21 dicembre 1939), in cui si esaltano l'internazionalismo proletario e lo spirito marxista-leninista di assoluta abnegazione verso il popolo, “Come Yu Kung rimosse le montagne”, in cui si esortano i marxisti-leninisti ad essere certi del trionfo della rivoluzione e ad elevare la propria coscienza politica e quella del popolo.
Fare la rivoluzione per trasformare il mondo e se stessi, in sintesi questo è il concetto di fondo che Mao voleva che fosse acquisito dall'intero popolo cinese.
Mao era consapevole che non sarebbe bastata una sola rivoluzione e che sarebbe stato necessario farne altre per assicurare la vittoria definitiva del socialismo. Come si evince da queste sue parole: “La Grande rivoluzione culturale in corso non è che la prima di questo genere; sarà necessario intraprenderne delle altre. Nella rivoluzione la questione di sapere di chi sarà la vittoria non sarà risolta che al termine di un lungo periodo storico. Se non agiamo come si deve, la restaurazione del capitalismo può prodursi in ogni momento. I membri del Partito e il popolo intero non devono credere che tutto andrà bene dopo una,o due o anche tre o quattro grandi rivoluzioni culturali. Restiamo in guardia e non allentiamo la nostra vigilanza” .(7)
Mao fino all'ultimo giorno della sua vita ha lottato strenuamente contro i revisionisti, riuscendo a fare della Cina semifeudale e arretrata, nei ventisette anni del suo potere, la sesta potenza industriale del mondo. La sua linea era quindi giusta, seguendola la Cina avrebbe certamente raggiunto il livello degli Usa. E ci sarebbero ancora il socialismo e la dittatura del proletariato. Mentre ora la Cina è sotto una tenebrosa dittatura borghese fascista capeggiata dai revisionisti.
Il nuovo imperatore della Cina Xi Jimping per ingannare il popolo cinese chiama “ringiovanimento nazionale” il socialimperialismo cinese, e si è comprato i segretari dei partiti di vari paesi che si definiscono comunisti perché testimonino che la Cina è ancora un paese socialista, tra essi vi è l'arcimbroglione opportunista e trasformista Marco Rizzo, frequentemente nei salotti televisivi di Rete 4 e di La 7 e nella stampa di destra.
Il nostro Partito, invece, fedele a Mao, ai principi marxisti-leninisti e al socialismo, nel novembre del 1977 ha rinunciato a un viaggio a Pechino di una sua delegazione, prospettatogli dalla vice Ambasciatrice della Repubblica popolare cinese a Roma, che avrebbe significato in pratica il riconoscimento ufficiale del PMLI da parte del PCC. Vi abbiamo rinunciato, perché avevamo intuito che il viaggio era condizionato alla nostra condivisione dell'editoriale congiunto del “Quotidiano del popolo” e di “Bandiera rossa” del 1° novembre 1977 sulla teoria dei Tre mondi.
Non eravamo d'accordo con quell'editoriale perché dava una interpretazione opportunista di destra della giusta teoria di Mao dei Tre mondi, come scritto nella lettera datata 27 novembre del Comitato centrale del PMLI, consegnata personalmente dal Segretario generale del Partito, alla presenza degli altri compagni della delegazione, alla vice Ambasciatrice cinese in un incontro nella sede dell'ambasciata cinese a Roma. Nella lettera si chiedeva a Hua Quofeng, presidente del PCC, e al Comitato centrale del PCC di “correggersi, di autocriticarsi nelle forme che ritenevano più opportune con noi sulla teoria dei Tre mondi”. Non abbiamo avuto riscontro, salvo un riferimento indiretto di Radio Pechino del 1° febbraio 1978 che, riferendosi a un certo Salvatore Moscardin di Firenze, si dava un'interpretazione della teoria dei Tre mondi molto vicina a quella del PMLI.
Nel 1979 abbiamo rotto ogni rapporto col PCC e l'Ambasciata cinese a Roma, perché avevamo visto che il PCC aveva ripreso i rapporti col PCI revisionista dopo decenni e che in Cina era stata abbandonata la linea proletaria di Mao e imboccato la via capitalista e revisionista di Deng Xiaoping. Non demmo infatti seguito alla telefonata dell'Ambasciata cinese in data 16 novembre 1979 che ci trasmetteva al “Segretario generale del Partito e a tutto il PMLI i sinceri ringraziamenti del PCC” per il messaggio che il CC del PMLI aveva inviato al CC del PCC in occasione del 30° Anniversario della Repubblica popolare cinese.
Riassumendo quanto detto fin qui, possiamo dire che gli insegnamenti fondamentali di Mao sul revisionismo moderno sono sette. Primo: Dobbiamo combattere il revisionismo perché snatura il marxismo-leninismo – noi aggiungiamo il pensiero di Mao – e lo svuota dai suoi contenuti proletari rivoluzionari, perché introduce nel Partito, nel proletariato e nelle masse l'ideologia, la cultura e la politica della borghesia e perché sabota la rivoluzione proletaria e la costruzione del socialismo.
Secondo: Per non cadere nel revisionismo dobbiamo attenerci sempre, in ogni momento, su qualsiasi questione e in ogni circostanza e in ogni fase della lotta di classe al marxismo-leninismo – noi aggiungiamo il pensiero di Mao.
Terzo: Dobbiamo praticare la lotta tra le due linee, la critica e l'autocritica all'interno del Partito per sbarrare il passo al revisionismo e mantenere la linea e la direzione marxiste-leniniste del Partito.
Quarto: Dobbiamo combattere i revisionisti non appena si manifestano nel Partito, senza concedere loro nulla e vietando che si organizzino in corrente.
Quinto: Dobbiamo studiare e applicare il marxismo-leninismo – noi aggiungiamo il pensiero di Mao – se si vuol costruire un vero Partito comunista, cioè marxista-leninista, se si vuol fare la rivoluzione, conquistare e costruire il socialismo.
Sesto: Dobbiamo studiare e applicare il marxismo-leninismo – noi aggiungiamo il pensiero di Mao -, altrimenti il lavoro dei rivoluzionari rimane all'interno del capitalismo e delle sue istituzioni.
Settimo: Dobbiamo studiare e applicare il marxismo-leninismo – noi aggiungiamo il pensiero di Mao -, altrimenti i revisionisti veicolano all'interno del Partito, del proletariato e delle masse l'ideologia, la cultura e la politica della borghesia.
Sintetizzando questi sette punti antirevisionisti in una sola frase, si potrebbe dire: Dobbiamo studiare e applicare il marxismo-leninismo-pensiero di Mao combattendo il revisionismo per fare con successo il lavoro rivoluzionario ed essere degli autentici comunisti, cioè dei marxisti-leninisti.
È innegabile che Mao abbia compiuto una grande e storica opera antirevisionista di assoluto valore internazionale, che non può essere ignorata da chi si professa comunista, ma anche da chi vuol farsi un'idea chiara su quello che è accaduto dal XX Congresso del PCUS ad oggi, in Cina, in Urss, negli altri ex paesi socialisti, nei partiti comunisti storici e nel movimento comunista internazionale, nonché nella situazione internazionale.
In ogni caso è interesse, oltre che un dovere rivoluzionario, dei sinceri comunisti, dei fautori del socialismo e delle ragazze e dei ragazzi che lottano per cambiare questa società borghese, di studiare Mao. Con la stessa passione e con lo stesso impegno con cui Mao ha studiato Marx, Engels, Lenin e Stalin.
Sullo studio Mao ha detto delle cose estremamente importanti sulle quali dovrebbero riflettere soprattutto le operaie e gli operai marxisti-leninisti e quelli coscienti, avanzati e combattivi, ai quali spetta il diritto e il dovere di dirigere anche sul piano culturale il Partito, il proletariato e le larghe masse popolari. Nel 1959, all'età di 66 anni, Mao ha detto: “Noi dobbiamo imparare alcune cose, dobbiamo studiare il marxismo-leninismo. Io sono molto favorevole alle proposte di X sui nostri compiti per quanto riguarda lo studio. Ognuno di noi, senza eccezione, deve studiare. Che possiamo fare se non c'è abbastanza tempo? Se non c'è abbastanza tempo dobbiamo farlo saltar fuori. Il problema è riuscire a coltivare l'abitudine allo studio; quando ci saremo riusciti, saremo in grado di continuare a studiare. Dico queste cose prima di tutto a beneficio di quei compagni che hanno commesso degli errori, ma le mie parole sono dirette anche a tutti i compagni, me compreso. Ci sono molte cose che io non ho studiato. Io sono una persona con molti difetti, non sono affatto perfetto. Ci sono spesso dei momenti in cui non mi piaccio. Non mi sono impadronito di tutti i vari campi delle scienze marxiste. E, per esempio, non conosco bene nemmeno le lingue straniere. Soltanto da poco ho cominciato lo studio di opere economiche. Compagni, io però studio con determinazione e continuerò a studiare fino a quando morirò; smetterò quando morirò! Insomma, fino a quando sono vivo, studierò ogni giorno. Creiamo un ambiente di studio. Penso che anch'io posso imparare qualcosa; altrimenti, quando verrà per me il momento di incontrare Marx, mi troverò piuttosto imbarazzato. Come farò se mi farà qualche domanda e non sarò capace di rispondergli? Certamente egli è interessato a tutti gli aspetti della rivoluzione cinese. Io non sono molto ferrato nemmeno in scienze naturali né in ingegneria.
Ci sono tante cose da studiare ora. Come ce la faremo? Semplicemente andando avanti nello stesso modo, imparando un po' più a fondo. Io dico che se avete veramente intenzione di farlo, potete certamente imparare, che siate giovani o vecchi” .(8)
Due anni prima aveva detto: “Dobbiamo scuoterci e studiare facendo duri sforzi. Prendete nota di queste tre parole: 'fare', 'duri', 'sforzi'. Bisogna assolutamente scuoterci e fare duri sforzi. Adesso molti compagni non ne fanno e alcuni impiegano le energie che restano loro dopo il lavoro soprattutto per giocare a carte o a mahjong e per ballare: questa, secondo me, non è una buona cosa. Le energie che restano dopo il lavoro dovrebbero essere impiegate soprattutto nello studio, facendo in modo che diventi un'abitudine. Che cosa studiare? Il marxismo e il leninismo, la tecnologia, le scienze naturali. Poi c'è la letteratura, soprattutto le teorie artistico-letterarie: i quadri dirigenti devono intendersene un po'. C'è il giornalismo, la pedagogia, discipline, anche queste, di cui bisogna intendersi un po'. Per farla breve, le discipline sono molte e bisogna almeno farsene un'idea in generale. Dobbiamo dirigere queste faccende, no! Gente come noi in che cosa è specialista? In politica. Come possono andare bene le cose se non capiamo niente di queste faccende e non ci mettiamo a dirigerle?” .(9)
Anche da queste sagge parole di Mao sullo studio vengono fuori la grandezza, l'importanza e la profondità del pensiero di Mao. Allora nasce spontanea la domanda: Come mai i partiti, i gruppi e i movimenti che si professano comunisti ignorano il pensiero di Mao? Sia in Italia sia all'estero, pensando per esempio al Partito comunista greco (KKE), dato che influenza diversi partiti. Senza assumere il pensiero di Mao non manca loro qualcosa di essenziale del comunismo? E senza applicare il pensiero di Mao, nemmeno nella lotta contro il revisionismo, che credibilità e affidabilità rivoluzionarie e di classe possono avere?
 
Il revisionismo in Italia
Il revisionismo moderno ha avuto in Italia una centrale molto importante e agguerrita, che aveva una grande influenza sui partiti comunisti dei paesi capitalisti, specialmente in Europa. Il portabandiera e il teorico del revisionismo italiano era Palmiro Togliatti, allora Segretario generale del PCI, una mente sopraffina che ha ingannato anche Stalin.
Mao lo teneva nel mirino e l'ha fatto smascherare attraverso due memorabili articoli, che sono stati fondamentali per la presa di coscienza dei primi pionieri del PMLI della natura revisionista del PCI. Il primo, del 31 dicembre 1962, ha per titolo “Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi” ed è comparso sul “Quotidiano del popolo”. Il secondo, del febbraio 1963, ha per titolo “Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi” ed è comparso su “Bandiera rossa”. Questi due articoli sono la risposta pubblica del PCC agli attacchi che Togliatti e altri avevano sferrato a Mao e ai comunisti cinesi al decimo Congresso nazionale del PCI tenutosi nei primi giorni del dicembre 1962. Essi smantellano punto per punto con ampie argomentazioni tutte le tesi del PCI circa la “via parlamentare al socialismo”, le “riforme di struttura”, lo Stato, l'economia, l'unità tra rivoluzionari e riformisti, il revisionismo moderno, l'imperialismo, le guerre nucleari, le armi nucleari, la guerra e la pace, la coesistenza pacifica, la Costituzione italiana.
Sulla Costituzione borghese italiana, “Bandiera rossa” ha scritto: “Secondo l'affermazione di Togliatti e di certi altri compagni, la Costituzione italiana è una costituzione assolutamente meravigliosa. (…) Naturalmente noi non neghiamo che l'attuale Costituzione italiana contenga certe frasi altisonanti; ma come può un marxista-leninista prendere per realtà queste frasi altisonanti scritte in una costituzione borghese?
Vi sono 139 articoli nell'attuale Costituzione italiana. Ma in ultima analisi, la sua natura di classe è più chiaramente rappresentata dall'articolo 42, il quale prevede che la “proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge. Tenendo presente la realtà dell'Italia questo articolo garantisce la proprietà privata della borghesia monopolistica. In virtù di questa clausola, la Costituzione soddisfa le esigenze dei capitalisti monopolistici, poiché la loro proprietà privata è resa sacra e inviolabile”.
Il PCI fin dalla Costituente ha nascosto la natura borghese della Costituzione italiana illudendo le masse che essa conteneva “elementi socialisti”, e al suo VIII Congresso nazionale, tenutosi nel dicembre 1956, non a caso nello stesso anno del XX Congresso del PCUS, ha dichiarato ufficialmente che essa costituiva l'Alfa e l'Omega, cioè l'inizio e la fine, del programma del Partito.
Il PMLI, attraverso i suoi Congressi nazionali, gli interventi del Segretario generale e l'importante documento dell'Ufficio politico in data 15 dicembre 1977 dal titolo “50 anni fa la borghesia e i revisionisti vararono una costituzione antiproletaria contro la rivoluzione e il socialismo”, nonché attraverso numerosi articoli de “Il Bolscevico”, ha fatto grandi sforzi per convincere i sinceri comunisti che non è possibile cambiare questa società borghese e capitalista e passare al socialismo rimanendo nei confini della Costituzione del '48, che per altro, dato gli emendamenti di destra che ha subito nel frattempo, non è più quella originale.
Purtroppo non siamo ancora riusciti a raggiungere questo nostro obiettivo, bisogna perciò perseverare in quest'opera di convincimento anticostituzionale per far uscire dalla prigione della Costituzione le forze anticapitaliste, compresi gli intellettuali democratici antifascisti e antidraghiani, come Tomaso Montanari al quale esprimiamo la nostra piena solidarietà per i velenosi attacchi che ha ricevuto dai fascisti per aver detto la verità sulle foibe e sul “Giorno del ricordo”. Egli, rispondendo alla lettera di solidarietà che gli ha inviato il Comitato provinciale di Firenze del Partito, ci ha immediatamente ringraziato per la nostra “lucida e generosa solidarietà”.
Il revisionismo di destra italiano ha radici profonde che affondano nel pensiero di Antonio Gramsci. Non considerando il revisionismo di “sinistra”, dogmatico, settario e astensionista elettorale per principio della direzione di Amedeo Bordiga, tenuta dal 1921 al 1924, sostenuta convintamente da Gramsci a Togliatti.
Questo revisionismo di “sinistra”, smascherato personalmente da Lenin e da Stalin, per fortuna non ha lasciato eredi importanti e influenti, ma non va scordato che esso ha lasciato aperta la porta alla dittatura fascista di Mussolini, della quale non prevedeva nemmeno l'avvento e che la considerava un normale governo borghese.
Il pensiero di Gramsci è un pensiero revisionista, non manifestamente tale e perciò non facilmente individuabile, specie nei Quaderni del carcere, se non si ha un'alta conoscenza del marxismo-leninismo e delle divergenze all'interno del movimento comunista internazionale ai tempi di Gramsci.
In ogni caso, come vedremo in seguito, Gramsci revisiona dalla testa ai piedi sui piani filosofico, teorico, politico, strategico e tattico il marxismo-leninismo a beneficio della borghesia. Tanto è vero che già nel 1946 la sua opera viene collocata nel pantheon della Repubblica italiana. E nel gennaio 1995 viene adottato persino dall'allora Alleanza nazionale del fascista ripulito Gianfranco Fini, nelle cui tesi politiche, approvate dal Congresso nazionale di Fiuggi dal titolo “Pensiamo l'Italia. Il domani c'è già. Valori, idee e progetti”, si afferma che il percorso di Alleanza nazionale “è intessuto di quella cultura nazionale che ci fa essere comunque figli di Dante e di Machiavelli, di Rosmini e di Gioberti, di Mazzini e di Corradini, di Croce, di Gentile ma anche di Gramsci”.(10) Ancora adesso Gramsci è coltivato dai fascisti doc Fratelli d'Italia di Giorgia Meloni, che nella sua autobiografia cita per ben due volte il maestro dei revisionisti italiani. Mentre per i revisionisti di Pechino, nell'antologia degli scritti gramsciani pubblicata nel 1992, “Gramsci fu il teorico della rivoluzione proletaria e del marxismo-leninismo in Italia”.
Che il pensiero di Gramsci sia revisionista, il PMLI l'ha dimostrato molti anni fa mediante il documento del Comitato centrale in data 8 aprile 1987 dal titolo “Gramsci, il marxismo-leninismo e la rivoluzione socialista in Italia”, e precedentemente mediante il paragrafo “L'opportunismo di destra di Gramsci e Togliatti” dell'editoriale “50 anni di storia del PCI dimostrano che con un partito revisionista non è possibile conquistare il socialismo” pubblicato sul numero unico de “Il Bolscevico” del febbraio 1971. L'ha dimostrato anche mediante la relazione dell'allora Redattore capo de “Il Bolscevico” alla Direzione centrale dell'OCBI m-l dal titolo “Le posizioni teoriche di Gramsci costituiscono il fondamento della “via italiana al socialismo” e del “compromesso storico” pubblicata su “Il Bolscevico” n. 9 del 1976.
Non ci ripeteremo quindi in questa occasione, salvo ritornare su alcuni punti particolari. Più che parlare noi, lasceremo la parola agli studiosi e agli estimatori di Gramsci. Prima di procedere però è opportuno informare chi non lo sapesse già che Gramsci, come Togliatti e altri dirigenti del PCI di allora, ha ricevuto in gioventù una formazione borghese liberale influenzata dai maggiori filosofi borghesi e idealisti del tempo Benedetto Croce e Giovanni Gentile.
A questo proposito Marcello Musté, docente di filosofia teoretica, membro del Consiglio di indirizzo scientifico della Federazione Gramsci onlus, ha scritto: “Il rapporto di Gramsci con Labriola pone anche il problema di ridefinire il debito di Gramsci nei confronti dell'idealismo moderno, di quei maestri del primo Novecento – a cominciare da Croce e Gentile – delle cui opere si era nutrito, senza possibilità di dubbio nella prima giovinezza”.(11) Che in gioventù fosse crociano lo conferma lo stesso Gramsci quando il 17 agosto 1931, in una lettera alla cognata Tatiana Schucht, scrive: “Partecipavamo in tutto o in parte al movimento di riforma morale e intellettuale promosso in Italia da Benedetto Croce”(12), che in “La città futura” del 17 febbraio 1917 aveva definito “il più grande pensatore d'Europa in questo momento”.
Togliatti su “L'Ordine nuovo” del 7 giugno 1919 ha definito Croce il maggiore educatore della generazione nostra italiana”, e un mese prima su “L'Ordine nuovo” del 1° maggio 1919 aveva elogiato Gentile, quello che sarebbe poco dopo diventato il filosofo del fascismo italiano, “il maestro più insigne e ascoltato della scuola filosofica italiana”.
Togliatti su “L'Unità” del 23 settembre 1925 nell'articolo “La nostra ideologia”, opportunisticamente e ingannevolmente afferma che “al marxismo si può giungere per diverse vie. Noi vi giungemmo per la via segnata da Carlo Marx, cioè partendo dalla filosofia idealistica tedesca, da Hegel (…). Per conto nostro la via che abbiamo seguito è, rispetto a qualsiasi altra, la via maestra, ed ha tutti i vantaggi di essere tale. È la via indicata e per primo seguita in Italia da Antonio Labriola”. Solo che Marx superò Hegel ed elabora assieme a Engels il materialismo storico e il materialismo dialettico, mentre Togliatti e Gramsci rimasero, di fatto, hegeliani di sinistra, cioè liberali. Non avviene in loro un passaggio reale dal liberalismo al comunismo, poiché il loro comunismo è intriso di liberalismo, quindi non è comunismo. Ciò si avverte in particolare nella elaborazione e teorizzazione della cosiddetta filosofia della praxis – così chiamata intenzionalmente da Gramsci al posto di materialismo storico – in cui si riflettono passaggi dell'idealismo di Croce e Gentile, che hanno trattato a lungo il materialismo storico, prima in un certo senso favorevoli e poi contrari.
Sulla filosofia della praxis nel 1989 il filosofo francese André Tosel, studioso, estimatore e seguace di Gramsci, ha scritto quanto segue: “Di oro il marxismo di Gramsci ne contiene in quantità, sia perché si è costituito come critico dei dogmatismi della Seconda e della Terza internazionale, sia perché lo stesso Gramsci si è posto come artefice di un superamento creativo dei limiti e dei vincoli ciechi del leninismo apparentemente vittorioso. Parte integrante del ricco filone del dibattito italiano sulla filosofia della praxis, Gramsci è stato capace di porre le basi di una scienza politica intesa come complesso di specificazioni di una versione originale di questa stessa filosofia (…). Come dimostrato qualche anno fa da un approfondito studio di Leonardo Paggi, è certamente l'originalità della categoria gramsciana di concezione del mondo che segna la differenza della filosofia della praxis dal marxismo-leninismo divenuto ideologia ufficiale dello Stato sovietico”.(13)
Croce, commemorando l'intellettuale sardo a dieci anni dalla morte, non si perita di dichiarare che Gramsci “era uno dei nostri. Un comunista aperto verso la verità altrui”. Ecco le sue parole: “Come uomo di pensiero egli fu dei nostri, di quelli dei primi decenni del secolo in Italia attesero a formarsi una mente filosofica e storica adeguata ai problemi del presente, tra i quali anch'io mi trovai come anziano verso i più giovani”. Ed aggiunse: “Gli odierni intellettuali comunisti italiani troppo si discostano dall'esempio di Gramsci, dalla sua apertura verso la verità da qualsiasi parte le giungesse, dal suo scrupolo di esattezza e di equanimità, dalla gentilezza e affettuosità del suo sentire, dallo stile schietto e dignitoso, e per queste parti avrebbero assai da imparare dalle pagine di lui, laddove noialtri, nel leggerlo, ci confortiamo di quel senso di fraternità umana che, se sovente si smarrisce nei contrasti politici, è dato serbare nella persona e nell'opera di pensiero, sempre che l'anima si purghi e di salire al cielo si faccia degna, come accadeva al Gramsci”.(14)
In carcere, per una vile e grave condanna del Tribunale speciale di Mussolini, Gramsci ha scritto dal 1929 al 1935 i Quaderni del carcere composti da 33 quaderni tipo scolastico, che sono stati raccolti in tre grossi volumi più un quarto di note e apparati curati da Valentino Gerratana per l'Istituto Gramsci e pubblicati nel 1975 dall'editore Einaudi. In precedenza la casa editrice torinese li aveva pubblicati in sei volumi con titoli ripresi da argomenti trattati da Gramsci. I Quaderni del carcere, che è l'opera principale di Gramsci, sono stati pubblicati in vari paesi del mondo, i revisionisti cinesi li hanno pubblicati nel 1983 dalla Casa Editrice del popolo, legata al PCC.
I Quaderni del carcere contengono una infinità di note frammentarie su temi storici, filosofici, teorici, culturali, artistici, politici, economici italiani ed esteri, trattando di Medioevo. Rinascimento, Risorgimento, rivoluzione francese, rivoluzione socialista russa, Vaticano, regione, Machiavelli, Croce, Gentile, Antonio Labriola, Vico, Sorel ed altri personaggi, filosofi della praxis, materialismo storico, Stato, intellettuali, capitalismo, imperialismo, colonialismo, razzismo, questione meridionale, guerra di posizione e guerra manovrata, egemonia, blocco storico, società civile, società politica, classi, partito comunista e molte altre cose.
In queste note si avverte l'obiettivo non esplicito di Gramsci di revisionare e di rifondare il marxismo-leninismo. Lo rileva anche Musté quando scrive che “la ricerca di Gramsci (fin dalla famosa lettera del 14 ottobre 1926 al Comitato centrale del Partito comunista russo) si indirizzò alla determinazione di un'altra idea di ortodossia, che poi era un tentativo di ricostruzione, sin dalle fondamenta, del marxismo teorico, diverso e opposto rispetto a quello che oramai prevaleva nel comunismo internazionale a opera di Stalin e, in tale periodo in tutte le organizzazioni (compresa quella italiana) dominate dal Komintern. (…) Questo tratto originale trovò un indice riassuntivo in una formula, filosofia della praxis ”.
Togliatti nel 1957 fa addirittura di Gramsci l'antesignano di Krusciov affermando che “oggi , rileggendo questi passi [di un articolo di Gramsci del 1918], non possiamo che constatare con profonda ammirazione, quasi con stupore, come vi si contengano alcuni dei tratti essenziali della dottrina della rivoluzione socialista e proprio quei tratti che hanno preso così grande rilievo nelle decisioni del XX Congresso [del PCUS], nei successivi dibattiti in senon al nostro movimento e nelle decisioni dell'VIII nostro Congresso nazionale. (…) Il Partito comunista italiano ha saputo comprendere e seguire l'insegnamento del suo fondatore, ha raccolto la sue eredità e ad essa ha tenuto fede. Perciò si è potuto determinare quella situazione politica nuova, che noi abbiamo definito nel nostro VIII Congresso, da cui derivano oggi i nostri orientamenti generali, la nostra strategia e la nostra tattica, nella lotta per lo sviluppo della democrazia italiana verso il socialismo”.(16).
La frase chiave con la quale Gramsci teorizza che in Occidente non si può fare come in Russia nel 1917 è la seguente: “In Oriente lo Stato era tutto, la società civile era primordiale e gelatinosa, nell'Occidente tra Stato e società civile c'era un giusto rapporto e nel tremolio dello Stato si scorgeva subito una robusta struttura della società civile. Lo Stato era solo una trincea avanzata, dietro cui stava una robusta catena di fortezze e di casematte; più o meno da Stato a Stato, si capisce, ma questo appunto domandava un'accurata ricognizione di carattere nazionale”.(17)
A parte ogni considerazione ideologica sullo Stato e sulla società civile, l'elemento dominante di questa analisi opportunista è che la Rivoluzione d'Ottobre non era valevole per l'Occidente, cioè per gli Stati capitalisti, e che quindi per arrivare al socialismo bisognava conquistare, un po' per volta, lo Stato borghese. Il principale studioso e interprete del pensiero di Gramsci, Giuseppe Vacca, così spiega l'obiettivo che perseguiva l'ex Segretario generale del PCd'I, successivamente PCI: “Quanto al rapporto complessivo della concezione gramsciana dell'egemonia con l'opera di Lenin, possiamo concludere che se Lenin ne costituisce indubbiamente il punto di partenza, l'obiettivo di Gramsci, tuttavia, è quello di elaborare una concezione della politica diversa da quella di Lenin. La teoria dell'egemonia a cui egli si rifà nei Quaderni non è tanto quella elaborata da Lenin o nei dibattiti dell'Internazionale comunista fra il '23 e il '24, quanto piuttosto quella sviluppata dalla scienza politica europea dopo il 1870. Non si sottolinierà mai abbastanza il fatto che nel cruciale paragrafo 24 del Quaderno 13, dedicato al nesso fra egemonia e 'guerra di posizione', Gramsci consideri la Rivoluzione d'Ottobre l'ultimo episodio di 'guerra manovrata', dopo il quale il problema della rivoluzione si poneva, generalmente, dappertutto in termini di 'guerra di posizione'. L'ultimo fatto del genere (cioè l'ultimo caso di 'assalto frontale') – egli afferma – nella storia politica sono stati gli avvenimenti del 1917”.(18)
Lo stesso concetto aveva espresso Togliatti nel suo intervento al primo Convegno gramsciano del 1958 sostenendo che “nel modo come Gramsci interpreta e ignora la dottrina del marxismo-leninismo è quindi implicita l'affermazione della necessità della avanzata verso il socialismo per una via nazionale, determinata dalle condizioni storiche del nostro paese. È questa via nazionale che egli ci ha voluto aprire”.(19)
La “via nazionale al socialismo” - quella via che avrebbe portato al “compromesso storico” elaborato da Berlinguer e nel 1991 allo scioglimento del Pci e la sua trasformazione nell'attuale PD neoliberale e puntello fondamentale del regime capitalista neofascista -, è sempre stata un pallino di Gramsci. In una sua lettera del 9 febbraio 1924 a Togliatti, Terracini e altri scriveva: “La determinazione che in Russia era diretta e lanciava le masse nelle strade all'assalto rivoluzionario, nell'Europa centrale e occidentale si complica per tutte queste soprastrutture politiche, create dal più grande sviluppo del capitalismo, rende più lenta e più prudente l'azione delle masse e domanda quindi al partito rivoluzionario tutta una strategia e una tattica ben più complessa e di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi nel periodo tra il marzo e il novembre del 1917”.(20)
Il 20 gennaio scorso Massimo D'Alema, uno dei più importanti segretari generali del PCI, chiude il discorso con questo epitaffio su Gramsci: “La via sovietica non era praticabile in Occidente, e questo è Gramsci”.(21)
A questo punto e per concludere sul pensiero di Gramsci è utile spendere qualche parola sul concetto gramsciano di egemonia, che è l'elemento fondamentale della strategia riformista, elettoralista e parlamentarista di Gramsci.
Per Gramsci l'egemonia è la capacità di una classe di essere dirigente sul piano culturale, intellettuale e morale dell'intera società, ancor prima di andare al potere. Una posizione al di fuori della realtà, in quanto nel capitalismo è impossibile conquistare la direzione su tutte le classe e nemmeno su tutto il popolo. Gramsci sostiene anche che una volta conquistato il potere bisogna esercitarlo puntando più sul convincimento che sulla coercizione e sulla forza. Ma nella dittatura del proletariato la coercizione e la forza sulla borghesia sono prevalenti rispetto al convincimento, altrimenti è inevitabile che la borghesia prenda il sopravvento e restauri il capitalismo.
Bruno Bongiovanni, un esperto di egemonia, ha fatto notare che “Gramsci elabora una teoria dell'egemonia, che, pur non sfuggendo alla forza di gravità del leninismo, è stata universalmente considerata originale. Poco prima di essere arrestato, del resto, egli esprime anche in una lettera documento al comitato centrale del PCUS le sue preoccupazioni per l'unità del movimento comunista. Così, quando nel 1929 inizia la stesura di quel monumentale labirinto teorico-politico che sono i Quaderni del carcere, è assai probabile che sospetti che nell'esperienza sovietica il momento della forza stia prevalendo in modo prevaricante sul momento del consenso”.(22)
Concetti condivisi da Giuseppe Cospito secondo cui “Gramsci ha fornito la teorizzazione più originale, ampia e compiuta [dell'egemonia], che rappresenta al contempo una critica radicale, sia pure soltanto implicita per ovvie ragioni di (auto) censura, dello stesso regime sovietico, oltre che di quello mussoliniano”.(23)
Cospito richiama all'attenzione la seguente frase di Gramsci: “diversamente dal 1924-26, il concetto di egemonia non è più vincolato al problema della conquista del potere da parte del proletariato, ma si riferisce alla conquista e all'esercizio del potere da parte di qualunque classe o gruppo sociale”. Cospito commenta: “Questo costituisce se non una presa di distanza esplicita dalla tradizione marxista e soprattutto leninista, certo un sostanziale allargamento del concetto stesso di egemonia”.(24)
Attualmente Gramsci è presente in certi partiti e gruppi comunisti e, incredibilmente, in due partiti che si rifanno al marxismo-leninismo-maoismo, ed è usato da alcuni vecchi volponi opportunisti e trotzkisti nel tentativo di recuperare l'egemonia persa su alcuni settori più avanzati delle masse lavoratrici e dei movimenti di lotta unitari femminili, giovanili, antifascisti, antirazzisti, contro la guerra, ambientalisti, sul clima. È il caso di Luciana Castellina, cofondatrice e ideologa del “Manifesto ” trotzkista, che nel luglio scorso ha lanciato la seguente proposta riformista appoggiandosi a Gramsci che “ha con insistenza suggerito di creare anche Consigli, in quanto indispensabili momenti di democrazia diretta. Potrebbe essere utile seguire la sua indicazione, potrebbero i movimenti, parte di loro, seguire questa strada per trovare, via via, la stabilità necessaria non solo 'a chiudere' ma 'a gestire' pezzi di società, casematte dove attestarsi nel lungo difficile percorso che ci attende?”(25)
 
La lotta per il socialismo
In Italia vige il capitalismo che vive grazie allo sfruttamento del proletariato, delle lavoratrici e dei lavoratori, ed è la causa di tutti i mali, le ingiustizie e le sopraffazioni che soffre il popolo italiano. Abbiamo quindi il dovere e il compito di distruggere il capitalismo per eliminare questo stato di cose e instaurare il socialismo e il potere politico del proletariato, affinché il popolo possa avere tutto ciò di cui ha bisogno senza essere più sfruttato e oppresso.
Non importa il tempo che ci vorrà: un decennio, un secolo o di più. Se non ci riusciremo noi, ci riusciranno le generazioni future di marxisti-leninisti, sicuri che alla fine il capitalismo sarà reso in polvere. Non è questa la morale della favola di Yu Kong narrata da Mao?
Il nostro grande Maestro nel 1955 ha detto: “Il nostro scopo è di estirpare il capitalismo, di estirparlo su tutto il globo, di farlo diventare un oggetto storico. Tutto quello che appare nel corso della storia dovrà essere eliminato. Non c'è cosa o fenomeno al mondo che n on sia prodotto dalla storia; alla vita succede sempre la morte. Il capitalismo è un prodotto della storia, deve, dunque, morire, c'è un ottimo posto sottoterra per 'dormire' che lo aspetta” .(26)
Arriveremo senz'altro al socialismo, come è stato possibile in Russia, in Cina e in altri paesi, ma intanto concentriamoci, con tranquillità, senza ansie e con fiducia verso l'avvenire, nella lotta quotidiana tesa a strappare al capitalismo e al suo governo quante più cose possibile a favore del popolo. Al contempo adoperiamoci per cercare di elevare la coscienza e l'attivismo politici delle masse. Un obiettivo non di facile realizzazione per lo sfascio ideologico causato dai revisionisti nel proletariato e per le illusioni riformiste, parlamentariste, costituzionaliste e governiste presenti tra le masse. Mao ci dà la giusta indicazione per rimuovere questa situazione: “Il risveglio politico del popolo non è una cosa facile. Per eliminare le idee errate diffuse fra il popolo, dobbiamo fare seri e considerevoli sforzi” .(27)
Il capitalismo ha seri problemi e in suo soccorso corrono i riformisti per aiutarlo a risolverli proponendo vecchie ricette di Keynes, un economista anticomunista della “sinistra” borghese inglese. Tra i più importanti e influenti economisti borghesi riformisti citiamo Thomas Piketty, socialdemocratico di sinistra e anticomunista francese, che nel suo corposo volume del 2020 dal titolo Capitale e ideologia, che è la continuazione di Capitalismo nel XXI secolo, sostiene che la soluzione della crisi del capitalismo sta nel “socialismo partecipato, ma in realtà si tratta del capitalismo partecipato. Infatti trattando della proprietà privata dice che una delle alternative “è la proprietà sociale: i dipendenti partecipano alla gestione delle aziende e condividono il potere con gli azionisti privati (e, se del caso, pubblici)”.(28) Una posizione simile a quella della CGIL di Maurizio Landini.
Mentre Emiliano Brancaccio, professore universitario di politica economica, di area comunista, nel suo libro del 2020 dal titolo ammiccante Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione , propone la sua ricetta della “pianificazione economica” concepita “come un modo di produzione sociale non necessariamente oppressivo ma, al contrario, potenzialmente complementare alla democrazia e alla libertà”. E aggiunge, pensando di aver trovato la formula magica, “il piano, dunque. Ecco finalmente una leva forte, la più forte mai concepita nella storia delle lotte politiche, l’unica potenzialmente in grado di piegare la legge del movimento del capitale prima che ci affossi nella catastrofe”.(29)
Né i due suddetti autori, né altri dello stesso stampo in Italia e all’estero, tra cui l’americano Bhaskar Sunkara, fondatore nel 2010 della rivista “Jacobin”, riescono comunque a scrivere la frase chiave: abolizione della proprietà privata, senza di che il capitalismo rimane in piedi. Il problema non è quello di passare dal neoliberismo, cioè della piena libertà del mercato, al mercato controllato dal governo e all’intervento pubblico e alla spesa pubblica che non toccano il sistema capitalista. Di conseguenza il compito degli economisti veramente anticapitalisti non deve essere quello di trovare le formule giuste per mitigare i danni che il capitalismo arreca alle masse, ma quello di cooperare per la distruzione del capitalismo.
In ogni caso noi marxisti-leninisti dobbiamo continuare a lavorare per rendere il capitalismo inviso al proletariato e alle masse fino ad arrivare a convincerli che esso va distrutto per essere liberi del proprio destino. Mao ha detto: “Il marxismo è duro, senza pietà, quello che vuole è annientare l’imperialismo, il feudalesimo, il capitalismo e anche la piccola produzione” .(30)
Come dimostra la storia, al di fuori del socialismo non esistono soluzioni per liberarsi del capitalismo, incapace persino di risolvere la questione della pandemia di cui è responsabile. Sulla necessità del socialismo in Italia ci stiamo lavorando dal 1967, pur sapendo che il Partito da solo, anche se avesse migliaia di membri e un rapporto con centinaia di migliaia di proletari e di elementi rivoluzionari delle masse, non potrebbe mai realizzarlo da solo. Per questo non ci siamo mai stancati di invitare tutte le forze anticapitaliste a unirsi per combattere il capitalismo e conquistare il socialismo.
Ultimamente, attraverso il documento strategico del 17 febbraio scorso, il Comitato centrale del PMLI ha lanciato cinque calorosissimi appelli alle forze anticapitaliste affinché si uniscano per concordare una linea comune contro il governo Draghi, e, novità assoluta, per elaborare assieme un progetto per una nuova società. Gli appelli sono rivolti ai seguenti destinatari: “In primo luogo ci rivolgiamo ai Partiti con la bandiera rossa e la falce e martello – con molti di essi collaboriamo già nel Coordinamento delle sinistre di opposizione – perché si incontrino al più presto per concordare una linea comune antidraghiana e le relative iniziative per applicarla, nonché per elaborare un progetto per una nuova società. Chi tra essi ha un maggior rapporto con le masse prenda l’iniziativa della convocazione degli altri Partiti.
In secondo luogo ci rivolgiamo al proletariato perché rifletta sul compito che Marx ha indicato nel 1864 alle operaie e agli operai di tutto il mondo, in occasione dell’inaugurazione dell’Associazione internazionale dei lavoratori, e cioè “conquistare il potere politico è diventato il grande dovere della classe operaia”. E con questa consapevolezza assuma un atteggiamento di lotta dura contro il governo Draghi e il capitalismo ponendosi l’obiettivo della conquista del potere politico e del socialismo.
In terzo luogo ci rivolgiamo alle anticapitaliste e agli anticapitalisti sempre più numerosi e combattivi presenti nella CGIL, nei sindacati di base, nelle Assemblee delle lavoratrici e dei lavoratori combattivi, nei centri sociali e nei movimenti di lotta perché rompano col riformismo, il parlamentarismo, il costituzionalismo e imbocchino la via dell’Ottobre per il socialismo, cominciando a spendere la loro forza per buttare a gambe all’aria il governo Draghi.
In quarto luogo ci rivolgiamo alle ragazze e ai ragazzi di sinistra del movimento studentesco e in ogni altro movimento, compresi quelli ecologisti e del clima, perché siano gli alfieri della lotta contro il governo Draghi e studino il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, a partire dal “Manifesto del Partito Comunista” di Marx ed Engels e “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo” di Mao, per verificare se esso è la teoria giusta per conquistare il nuovo mondo a cui aspirano.
In quinto luogo ci rivolgiamo alle intellettuali e agli intellettuali democratici antidraghiani perché valutino senza pregiudizi la posizione del PMLI su questo governo e, se la ritengono di qualche interesse, si confrontino con noi per ricercare una intesa comune” .
In sostanza il PMLI chiede di aprire una grande discussione pubblica e privata sui due suddetti temi all’interno del proletariato e delle sue organizzazioni politiche, sindacali e culturali e fra di esse. Facciamola con apertura mentale, a cuore aperto, senza pregiudizi, preclusioni e personalismi, da pari a pari e con la piena disponibilità ad apprendere l’uno dall’altro. Il nostro auspicio è che siano le operaie e gli operai che hanno posti dirigenti nei partiti, nei sindacati e nei movimenti di lotta i primi e i principali promotori di questa urgente, salutare e senza precedenti grande discussione rivoluzionaria sul futuro dell’Italia.
Purtroppo però fino a oggi nessuno dei destinatari ha risposto all’appello del PMLI, anche perché sono impantanati nel costituzionalismo. Persino intellettuali di sicura fede democratica e antifascista come Tomaso Montanari, neorettore dell’Università per stranieri di Siena, e il costituzionalista Gaetano Azzariti ritengono che il programma della sinistra debba essere quello dell’attuazione della Costituzione. Montanari, nel suo libro del 2020 ha scritto che “il cuore della Costituzione italiana è il programma di ogni possibile sinistra”.(31) Mentre Azzariti, nel suo libro uscito quest’anno, ha scritto che bisogna restituire la dignità perduta alla Costituzione – ma anche al movimento storico del costituzionalismo moderno – indicando la sua vera natura che, si spiegherà, è quella di essere la nostra “utopia concreta. (…) È la Costituzione che deve tornare a dettare l’orizzonte del cambiamento possibile”.(32)
Sarà quindi difficile, nel breve e medio periodo, che questi due influenti intellettuali democratici e la stragrande maggioranza delle forze anticapitaliste che sono sulle loro stesse posizioni riescano a superare il costituzionalismo. Prima o poi però, oltre al nostro lavoro di convincimento, i fatti e lo sviluppo delle contraddizioni di classe e dei conflitti di classe, specie quando arriveranno a un livello esplosivo, faranno comprendere agli anticapitalisti che se non escono dai confini della Costituzione, alla quale peraltro si rifanno anche la Lega e Fratelli d’Italia, non potranno realizzare il loro programma democratico borghese. E allora dovranno inevitabilmente ricercare una nuova via per cambiare l’Italia, e in questa ricerca dovranno pur prendere in considerazione anche il disegno generale del socialismo approvato al 3° Congresso nazionale del PMLI, che si è tenuto al Palazzo dei Congressi di Firenze nel dicembre del 1985. Un disegno generale aperto ed emendabile dalle forze fautrici del socialismo, ma non nei principi.
Noi siamo disponibili fin da subito a sederci attorno a un tavolo per discutere tale disegno con i partiti con la bandiera rossa per poi poter allargare il tavolo con le altre forze interessate e disponibili a collaborare con i comunisti e con i marxisti-leninisti. Se i partiti con la bandiera rossa vogliono lasciare un segno nella storia della lotta di classe in Italia, debbono unirsi ed elaborare un progetto comune per cambiare l’Italia in senso socialista.
Intanto noi dobbiamo mandare avanti, con maggiore determinazione, preparazione e fiducia e affinando le tattiche, il lavoro di fronte unito. Come ci ha insegnato Mao, nella politica di fronte unito bisogna “osservare rigorosamente il principio dell’indipendenza e dell’autonomia in tutto il lavoro di fronte unito” . Esso “non è né una politica di unione a oltranza senza lotta, né di lotta a oltranza senza unione, ma una politica che integra unione e lotta” . (33)
La nostra politica di fronte unito, a livello nazionale e locale, ha già prodotto dei risultati importanti nel lavoro comune dei partiti della sinistra di opposizione, l’ultimo è quello della solidarietà di PCI, PCL e “La Città futura” - che ringraziamo sentitamente – al PMLI per l’oscuramento da parte di Facebook del comunicato stampa del Partito sulla vittoria antimperialista dei Talebani in Afghanistan.
Questa solidarietà è una novità storica nei rapporti con i partiti con la bandiera rossa, che non dobbiamo sottovalutare e che ci deve spingere a migliorare, approfondire e sviluppare il nostro rapporto con essi. La solidarietà che abbiamo ricevuto è anche un esempio che dobbiamo seguire ogni qual volta accadono fatti simili ai nostri alleati, indipendentemente se siamo d’accordo o meno con le loro posizioni. La solidarietà del PMLI non deve mancare nemmeno ai democratici, agli antifascisti, agli antirazzisti, alle persone Lgbtqia+ attaccati dai comuni nemici. Soprattutto deve essere data in maniera militante alle lavoratrici e ai lavoratori in lotta aggrediti dalle “forze dell’ordine” del capitalismo e del suo governo.
Attualmente gli interessi del capitalismo italiano sono tutelati dal governo Draghi, il quale, come ha rilevato il Comitato centrale del PMLI nel documento del 17 febbraio “è il risultato di un golpe bianco del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale senza consultare i partiti del parlamento ha assegnato, attraverso Draghi, il potere politico direttamente alla grande finanza e all’Ue imperialista. Un avvenimento che non ha precedenti, nemmeno nei governi Ciampi e Monti”.
Infatti è stato imposto un governo di coalizione, un’orrenda ammucchiata dei partiti della destra e della “sinistra” borghesi, mettendo palesemente sotto i piedi la Costituzione e il parlamento, e confermando la legittimazione della Lega come forza democratica governativa, come aveva fatto Conte nei suoi due governi precedenti. È nato quindi un governo di fatto presidenzialista, dai caratteri e dal programma atlantista, europeista, interventista, antioperaio, antipopolare e antisindacale, che non disdegna di usare il manganello, gli arresti e i processi tipicamente mussoliniani nei confronti dei lavoratori in lotta, come è accaduto in questi ultimi giorni ai coraggiosi, combattivi, indomiti ed esemplari lavoratori della Texprint di Prato in sciopero della fame per ottenere 8 ore per 5 giorni la settimana, ai quali esprimiamo la nostra piena solidarietà militante di classe. Chi aggredisce i lavoratori in lotta, aggredisce il PMLI!
È un dovere imprescindibile del PMLI stare a fianco dei lavoratori in lotta e appoggiare i sindacati che li sostengono, siano essi confederali o sindacati di base, auspicando che tutti quanti si uniscano al fine di assicurare la vittoria delle rivendicazioni dei lavoratori. Al contempo dobbiamo batterci perché si capisca che con le divisioni sindacali e con la separazione dei lavoratori più avanzati da quelli meno avanzati non si riesce a migliorare più di tanto le condizioni economiche e sindacali delle masse lavoratrici, e che perciò occorre sciogliere tutti gli attuali sindacati e costituire un unico sindacato fondato sulla democrazia diretta e in cui il potere sindacale e contrattuale sia in mano alle Assemblee generali di azienda e a quelle dei pensionati e delle pensionate.
Il PMLI chiede al governo Draghi principalmente otto cose: 1. Potenziare la sanità pubblica, abolire la sanità privata, nazionalizzare le aziende farmaceutiche, cancellare i brevetti sui vaccini per fermare la strage dei contagiati da Covid-19 e in vista di una nuova possibile pandemia. Noi siamo a favore della vaccinazione e del green pass ma contrari al loro obbligo. I tamponi devono essere gratuiti. 2. Dare lavoro indeterminato a tutti i disoccupati, in particolare alle donne e ai giovani, abolire il precariato, far ritirare i licenziamenti alla GKN di Campi Bisenzio, alla Whirpool di Napoli e alle altre aziende, bloccare i licenziamenti, dare 1.200 euro al mese a chi è senza lavoro e ammortizzatori sociali, abolire la legge Fornero. 3. Aumentare di un terzo i finanziamenti già stanziati per il Meridione d’Italia. 4. Non concedere l’autonomia differenziata sotto qualsiasi forma. 5. Abolire permanentemente la didattica a distanza e le classi pollaio, assicurare mezzi di trasporto adeguati, sicuri e gratuiti per le studentesse e gli studenti. 6. Non aderire all’esercito europeo che si prospetta. 7. Ritirare tutte le missioni militari italiane all’estero, a partire da quelle in Iraq e in Sahel, e non armare i droni. 8. Riconoscere il governo dell’Emirato islamico dell’Afghanistan, riaprire l’ambasciata italiana a Kabul, evitare qualsiasi azione che possa ritorcersi in attentati terroristici che pagherebbe col sangue il popolo italiano.
La riconquista di Kabul e del potere politico da parte dei Talebani, dopo venti anni di guerriglia è una vittoria antimperialista storica di estrema importanza e di valore mondiale, in quanto ha dimostrato che i popoli che si rivoltano in armi contro gli aggressori e oppressori imperialisti sono invincibili e che l’imperialismo, la Nato e l’Ue sono delle tigri di carta.
Noi marxisti-leninisti italiani, fedeli all’internazionalismo proletario e sulla base degli insegnamenti dei Maestri sull’imperialismo e sulla guerra di liberazione nazionale, salutiamo con calore e entusiasmo questa smagliante vittoria antimperialista contro l’imperialismo americano e i suoi alleati, fra cui l’Italia, indipendentemente dal fatto che sia stata conquistata da un movimento anticomunista con una ideologia, una strategia, un programma, dei metodi di lotta e una politica antifemminile che sono agli antipodi da quelli del PMLI.
Molti antimperialisti e quasi tutte le forze che si richiamano al comunismo non hanno apprezzato questa vittoria perché non hanno capito il suo carattere antimperialista, che è l’elemento principale sul quale bisogna basarsi per esprimere un giudizio corretto antimperialista. Invece si sono concentrati sulla politica interna dei Talebani, che è l’elemento secondario. Così sono caduti nella rete della propaganda imperialista dei partiti della destra e della “sinistra” borghesi, che martella giorno e notte proprio su questo punto, per nascondere i crimini commessi dall’imperialismo in Afghanistan.
Senza dubbio la politica interna dei Talebani, specie quella antifemminile, si presta a critiche anche severe, ma questa questione spetta unicamente al popolo afghano risolvere, in piena libertà e senza ingerenze esterne. Nessuno, nemmeno il socialimperialismo cinese e l’imperialismo russo, ha il diritto di ingerirsi negli affari interni dell’Afghanistan e prendere il posto degli imperialisti cacciati dal Paese.
La propaganda imperialista sta facendo un gran chiasso sulla necessità di ospitare e assistere chi scappa dall’Afghanistan. Ma chi sono costoro? Sono i collaborazionisti degli aggressori e degli occupanti, prezzolati che hanno svenduto la libertà del proprio popolo e la sovranità e l’indipendenza del proprio Paese. Che preoccupazione allora possono avere gli antimperialisti e i pacifisti per questi traditori e servi dell’imperialismo? No non ce ne occuperemo e li lasciamo alla giustizia del governo afghano, come è normale in questi casi.
Il capitalismo va combattuto su tutti i fronti, da quello ideologico, culturale e morale, a quelli politico ed economico, va combattuto anche sul fronte elettorale, non però presentando liste ma con l’astensione. Nel nostro Paese, in base alle sue condizioni specifiche, all’esperienza governativa, parlamentare ed elettorale, nonché alla necessità di elevare la coscienza politica e la combattività anticapitalista e antistituzionale delle masse, l’arma elettorale giusta è quella dell’astensionismo tattico qualificato come un voto dato al PMLI e al socialismo, che va usata con determinazione anche alle importanti elezioni comunali e della regione Calabria che si svolgeranno nel prossimo mese di ottobre.
L’altra arma politica e organizzativa che dobbiamo usare è quella delle istituzioni rappresentative delle masse fautrici del socialismo fondate sulla democrazia diretta. Queste istituzioni anticapitaliste unitarie potrebbero essere fin da subito un terreno di discussione tra i partiti della sinistra di opposizione, i partiti e i gruppi con la bandiera rossa e tutte le forze fautrici del socialismo per creare le condizioni per realizzarle.
Le nuove generazioni del proletariato italiano sono oggettivamente anticapitaliste, per natura, per la collocazione nella produzione, per l’esperienza nelle fabbriche e per come sono trattate dai padroni. Ma non hanno ancora maturato una coscienza e un comportamento rivoluzionario anticapitalista, mancando loro la cultura marxista-leninista-pensiero di Mao e la conoscenza della proposta e della linea del PMLI, e poiché sono subissate dalla propaganda borghese riformista. È come se il proletariato dei nostri tempi vivesse in una condizione pre-marxista, cioè prima di aver maturato la coscienza di essere una classe per sé, una classe generale che ha il compito di liberarsi dalle catene del capitalismo, della dittatura borghese e di conquistare il potere politico. Tuttavia, nelle recenti battaglie sindacali, in particolare in quella della GKN, sono emersi dei germi spontanei di questa coscienza di classe che, se saputi coltivare dai marxisti-leninisti, possono diventare coscienti e stabili e svilupparsi fino a generalizzarsi a catena in altre fabbriche.
In questo quadro la battaglia della GKN ha un valore politico e sindacale nazionale di fondamentale importanza e pertanto dobbiamo continuare a sostenere con tutte le nostre forze, a costo di qualsiasi sacrificio. Essa è decisiva per bloccare i licenziamenti non solo in quella fabbrica e per lo sviluppo della lotta sindacale in tutto il Paese. Perché esprime di fatto un modello avanzato di conduzione delle lotte sindacali. Infatti mai negli ultimi decenni si è vista una battaglia sindacale guidata da un Collettivo dei lavoratori della fabbrica, il cui motto non a caso è Insorgiamo!, che pratica la democrazia diretta, che valorizza pienamente l’Assemblea generale, che coinvolge la Fiom, la CGIL e altri sindacati, associazioni importanti come l’Anpi e del mondo cattolico, movimenti, intellettuali, cantanti, istituzioni locali, provinciali e regionali, che smuove persino il cardinale Betori di Firenze, che riesce a promuovere sui licenziamenti scioperi e manifestazioni di massa locali e nazionali, che apre e coinvolge i partiti senza discriminazioni a sinistra, se si pensa che ancora adesso, dopo due mesi dall’inizio della battaglia, tra le bandiere sindacali esposte davanti la fabbrica sventola quella del PMLI. Comunque finirà questa storica battaglia, che naturalmente noi auspichiamo vittoriosa, è certo che lascerà un segno profondo nella lotta di classe e sarà per sempre fonte di ispirazione per le lavoratrici e i lavoratori che non vogliono essere schiavi del capitalismo.
Il PMLI è ancora troppo piccolo e presente solo in poche città per poter far giungere la sua voce a tutto il proletariato, alle masse e alle nuove generazioni. Ha bisogno di avere un corpo da Gigante Rosso, composto da migliaia di membri, soprattutto operaie e operai che ne devono costituire la testa e la colonna vertebrale. Contiamo molto sulla militanza delle ragazze e dei ragazzi rivoluzionari per dare un futuro al Partito e per consentirgli di penetrare nel movimento studentesco e nei movimenti giovanili. Speriamo di avere il contributo, anche da esterni del PMLI, come simpatizzanti o amici, delle intellettuali e degli intellettuali del popolo, che dalla fine dell’Ottocento agli anni settanta del Novecento hanno scritto molto sul marxismo-leninismo e sul socialismo e contro il capitalismo, l’imperialismo, il colonialismo e il fascismo, anche se con venature revisioniste.
Chiunque vuole abbracciare la causa del socialismo, che è quella dell’emancipazione del proletariato e dell’intera umanità, può unirsi al PMLI come militante o simpatizzante. Non è sufficiente tifare per il PMLI e per la causa, occorre fare qualcosa di concreto, anche minimo: per esempio finanziare il Partito, scrivere delle corrispondenze per “Il Bolscevico” sulla situazione della propria città e del proprio luogo di lavoro o di studio.
Anche per via dello scempio del comunismo che hanno compiuto i revisionisti in Italia e all’estero e il cattivo esempio che hanno dato quelli che sono andati al governo e assunto la presidenza della Camera, è il caso del salottiero Fausto Bertinotti, principe degli imbroglioni trotzkisti, non è facile fare accettare alle masse il comunismo e il PMLI. Mao ha rilevato che “fin dai tempi antichi nessuna cosa avanzata è stata bene accolta sin dall’inizio: tutte si sono attirate ingiurie. Così è stato fin dall’inizio per il marxismo e i partiti comunisti. Anche tra diecimila anni le cose avanzate all’inizio attireranno ingiurie su di sé” .(34) In un'altra occasione, nel 1964, Mao ha detto che “ogni verità è sempre al principio nelle mani di una minoranza che si vede esposta costantemente alle pressioni della maggioranza. 400 anni fa il grande astronomo polacco Copernico scoprì che la terra si muove. La dimostrazione scientifica della teoria che il sole è al centro e che la terra si muove fu il maggior contributo che egli diede alla scienza; con essa egli capovolse la teoria predominante in astronomia da più di mille anni, quella che di fatto affermava che la terra è al centro e il sole si muove. Tuttavia i gruppi religiosi di quei tempi mossero all’offensiva contro di lui, lo contestarono, lo accusarono di eresia e lo perseguitarono senza tregua. Solo poco prima della sua morte ebbe la soddisfazione di vedere pubblicato il suo De revolutionibus orbium coelestium. Galilei (1564-1642), un fisico e astronomo di spicco dell’Italia del suo tempo, riprese la ‘teoria dell’eliocentrismo’ di Copernico e iniziò a osservare il cielo a partire dal 1604 in poi, con un telescopio che lui stesso aveva costruito, per scoprire se stelle e pianeti si muovessero. Anch’egli tuttavia venne perseguitato dai religiosi del tempo e infine giudicato da un tribunale romano reazionario. Un altro scienziato, Giordano Bruno, venne messo al rogo. Ma cosa conta mai la morte di un uomo sul rogo! La verità è pur sempre nelle sue mani” .(35)
Noi marxisti-leninisti possediamo una grande verità rivoluzionaria, che è il marxismo-leninismo-pensiero di Mao, questa verità attualmente la conosciamo solo noi e pochi altri, potrà essere conosciuta e condivisa solo attraverso i nostri prolungati sforzi propagandistici, ancor più elaborati e incisivi rispetto al passato. Per questo duro e impegnativo lavoro dobbiamo seguire la seguente indicazione di Mao: “Un comunista deve essere franco, leale e attivo, deve mettere gli interessi della rivoluzione al di sopra della sua stessa vita e subordinare gli interessi personali a quelli della rivoluzione, sempre e ovunque, deve essere fedele ai principi giusti e condurre una lotta instancabile contro ogni idea e azione errata, in modo da consolidare la vita collettiva del Partito e rafforzare i legami tra il Partito e le masse; deve pensare più al Partito e alle masse che agli individui, più agli altri che a se stesso. Solo così può essere considerato un comunista” .(36)
Seguendo questa fondamentale indicazione di Mao, continuiamo la nostra semina del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della linea del PMLI con lo stesso spirito, con lo stesso entusiasmo e con la stessa determinazione del primo giorno della nostra militanza marxista-leninista perché non c’è cosa più bella, più utile e più gratificante di quella di dare la propria vita per la nobile causa del socialismo. In tal modo arriverà senz’altro il tempo della raccolta. Mao ha detto: “Tutto può cambiare. Le grandi forze in disfacimento cederanno il posto alle piccole forze emergenti. Le piccole forze diventeranno grandi, perché la maggioranza delle persone esige che le cose cambino (…) Se una cosa è grande non bisogna averne paura. Ciò che è grande è destinato a essere rovesciato da ciò che è piccolo, e questo diventerà grande” .(37)
In tutti questi anni di incessante lotta rivoluzionaria, abbiamo riportato dei successi, ma tanti altri più grandi e decisivi ne dobbiamo conquistare. Ogni membro del PMLI, chi in maggiore misura chi in minore misura, contribuisce ai successi del Partito, ma la vittoria è del Partito non dei singoli. I successi ottenuti dall’attuale Segretario generale sono dovuti unicamente a quattro fattori: l’impegno senza risparmio di energie alla causa del PMLI e del socialismo; lo studio sistematico, assiduo e intenso del marxismo-leninismo-pensiero di Mao e della realtà nazionale e internazionale; l’integrazione attenta, coerente e dialettica del marxismo-leninismo-pensiero di Mao alle condizioni concrete del nostro Paese; la collaborazione, il sostegno, i consigli, i pareri, le osservazioni e gli incoraggiamenti dei dirigenti nazionali del Partito, in particolare dei responsabili delle Commissioni centrali e de “Il Bolscevico”.
I primi tre fattori sono già presenti nel futuro Segretario generale, il quarto, quello della collaborazione, è assolutamente necessario che non glielo facciano mancare i membri della futura Segreteria generale, dell’Ufficio politico, del Comitato centrale, nonché i Responsabili delle Commissioni centrali e de “Il Bolscevico”. Alla scuola dei grandi Maestri del proletariato internazionale e con l’aiuto del Partito tutto è possibile, e il successo è assicurato.
Le fondatrici e i fondatori del PMLI ancora fedeli alla causa hanno fin qui svolto un ruolo fondamentale nella vita e nell’azione del Partito, a essi devono ispirarsi i nuovi membri del PMLI, e i più giovani devono prepararsi per tempo per raccogliere la loro fiaccola e portarla verso nuovi traguardi che ci aspettano. Non deludiamo i compagni marxisti-leninisti americani, inglesi e filippini che nei loro calorosi e incoraggianti messaggi di saluto – per i quali li ringraziamo di cuore – hanno espresso il massimo apprezzamento verso il PMLI e il Segretario generale. Le loro parole ci commuovono e ci caricano di gravi responsabilità internazionali. A essi e alle loro Organizzazioni marxiste-leniniste auguriamo successi ancor più grandi di quelli conseguiti dal PMLI. Viva l’internazionalismo proletario!
Come ci esorta Mao “dobbiamo lasciarci infiammare dalle grandi e sublimi aspirazioni proletarie, osare aprire sentieri mai esplorati e scalare vette mai raggiunte”. E vinceremo!
Viva, viva, viva Mao!
Gloria eterna a Mao!
Con Mao per sempre contro il capitalismo e il revisionismo, per il socialismo!
Applichiamo gli insegnamenti di Mao sul revisionismo e sulla lotta di classe per il socialismo!
Lavoriamo per unire tutte le forze anticapitaliste per cacciare il governo del banchiere massone Draghi e per trovare un accordo sulla futura società socialista!
Avanti, avanti, avanti sulla via dell’Ottobre verso l’Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri e il PMLI vinceremo!

 

 

 
Note
1.    Mao, Al servizio del popolo, 8 settembre 1944, Opere scelte, Casa editrice in lingua estere – Pechino, vol. III, pp. 181-182
2.    Mao, Discorso alla Conferenza nazionale del Partito comunista sul lavoro di propaganda, 12 marzo 1957, in “Mao Zedong Rivoluzione e costruzione, scritti e discorsi 1949-1957”, Einaudi editore, p. 600
3.    Mao, Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo, 27 febbraio 1957, Piccola biblioteca marxista-leninista – 5, edita dal PMLI, p. 35
4.    Mao, Discorso alla II Sessione plenaria dell'VIII Comitato centrale del Partito comunista cinese, 15 novembre 1956, in “Mao Zedong Rivoluzione e costruzione, scritti e discorsi 1949-1957”, Einaudi editore, pp. 454-455
5.    Mao, Citato in “Avanziamo lungo la via aperta dalla Rivoluzione Socialista d'Ottobre”, articolo delle redazioni di “Quotidiano del popolo”, “Bandiera rossa” e “Quotidiano dell'Esercito popolare di liberazione”, 6 novembre 1967
6.    Mao, Discorso a una Conferenza di lavoro allargata del Comitato centrale del Partito comunista cinese, 30 gennaio 1962
7.    Mao, Citato in “Un faro per la grande rivoluzione culturale”, articolo del “Quotidiano del popolo”, 23 maggio 1966
8.    Discorso alla Sessione allargata della Commissione per gli affari militari e della Commissione per gli affari esteri, 11 settembre 1959
9.    Mao, Essere elementi di stimolo per la rivoluzione, 9 settembre 1957, in “Mao Zedong Rivoluzione e controrivoluzione scritti e discorsi 1949-1957”, Einaudi editore, p. 680
10. Antonio A. Santucci, Senza comunismo, Editori riuniti 2017, p. 98
11. Marcello Musté, Leggere Gramsci, fra tradizione e futuro, in Giuseppe Vacca “In cammino con Gramsci”, Viella 2020, pp. 209-210
12. Antonio Gramsci, Lettere dal carcere, Editori riuniti, 2020, p. 619
13. André Tosel, La filosofia della praxis come concezione integrale del mondo e/o come linguaggio unificato?, 1989. Pubblicato in “Studi gramsciani nel mondo, Gramsci in Francia a cura di Romain Descendre, Francesco Giasi e Giuseppe Vacca”, Il Mulino 2020, pp. 301, 302, 303, 304
14. Benedetto Croce, Lettere dal carcere in “Quaderni della critica”, luglio 1947, n. 8, vol. III, p. 86
15. Marcello Musté, Marxismo e filosofia della praxis, da Labriola a Gramsci, Viella 2018, pp. 8-9
16. Palmiro Togliatti, Attualità del pensiero e dell'azione di Gramsci, 1957, in “Togliatti, Gramsci”, Editori Riuniti 1972, p. 125 e p. 131
17. Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, Einaudi editore 1975, vol. II, p. 866
18. Giuseppe Vacca, In cammino con Gramsci, Viella 2020, pp. 115-116
19. Palmiro Togliatti, La politica nel pensiero e nell'azione
20. Palmiro Togliatti, La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italiano, Editori riuniti, 1962, p. 197
21. Ezio Mauro, Il PCI è sempre stato riformista, intervista a Massimo D'Alema, “La Repubblica” del 20 gennaio 2011
22. Bruno Bongiovanni, Egemonia, in “Enciclopedia delle scienze sociali, 1993 nel sito della Enciclopedia Treccani
23. Giuseppe Cospito, Egemonia da Omero ai Gender Studies, il Mulino 2021, p. 88
24. Ibidem, p. 104
25. Luciana Castellina, Venti di Genova, nell'inserto del “manifesto” del 20 luglio 2021
26. Mao, Il dibattito sulla cooperazione agricola e l'odierna lotta di classe, 11 ottobre 1955, in “Mao Zedong Rivoluzione e costruzione, scritti e discorsi 1949-1957”, Einaudi editore, p. 252
27. Mao, La situazione e la nostra politica dopo la vittoria nella guerra di resistenza contro il Giappone, 13 agosto 1945, Opere scelte, Casa editrice in lingue estere – Pechino, vol. IV, pp. 15-16
28. Thomas Piketty, “Capitale e ideologia”, La nave di Teseo 2020, p. 564
29. Emiliano Brancaccio, “Non sarà un pranzo di gala. Crisi, catastrofe, rivoluzione”. Meltemi 2020, p. 68 e p. 209
30. Mao, Il dibattito sulla cooperazione agricola e l’odierna lotta di classe, 11 ottobre 1955, in “Mao, Rivoluzione e costruzione, scritti e discorsi 1949-1957, Einaudi editore, p. 252
31. Tomaso Montanari, Dalla parte del torto, per la sinistra che non c’è. Chiare lettere 2020, p. 57
32. Gaetano Azzanti, “Diritto o barbarie, il costituzionalismo moderno al bivio. Editore Laterza 2021, p. 7
33. Citazioni di Mao nell’articolo del 1° luglio 1971 delle Redazioni di “Quotidiano del popolo”, “Bandiera rossa” e “Quotidiano dell’Esercito popolare di liberazione nazionale dal titolo “Celebriamo il cinquantenario del Partito comunista cinese 1921-1971
34. Mao, Discorsi alla Conferenza dei segretari dei Comitati di partiti delle province, municipalità e regioni autonome, 27 gennaio 1957, in Mao Zedong “Rivoluzione e costruzione scritti e discorsi 1949-1957”, Einaudi editore, p. 504
35. Mao in un colloquio del 24 marzo 1964 con alcuni compagni che avevano chiesto di essere ricevuti da lui
36. Mao, Contro il liberalismo, 7 settembre 1937, Opere scelte, Casa editrice in lingue estere – Pechino, vol. II, p. 27
37. Mao, l’imperialismo americano è una tigre di carta, 14 luglio 1956, in “Rivoluzione e costruzione scritti e discorsi 1949-1957”, Einaudi editore, pp. 412-413
 

15 settembre 2021