I guerrafondai spingono verso l'esercito europeo
Mattarella, Draghi, Di Maio e Guerini hanno già indossato l'elmetto

La bruciante sconfitta e l'umiliante ritirata dall'Afghanistan subita dagli imperialisti americani e dai loro alleati europei ha spinto questi ultimi ad accelerare l'annoso quanto finora inconcludente processo di costruzione di un esercito europeo. Prima il ritiro americano, compiuto in tutta fretta, in maniera disordinata e senza coordinarsi con i partner della Nato, e poi l'intenzione manifestata da Biden di concentrare tutta l'attenzione e le forze nella regione dell'Indo-Pacifico in funzione anticinese, stringendo anche un patto di ferro con il Regno Unito e l'Australia e dando vita alla Nato del Pacifico che emargina completamente l'Europa, hanno convinto i circoli politici e militari della UE che non è più tempo di tergiversare, pena il rischio dell'irrilevanza geopolitica, e che occorre al più presto dotarsi di una “autonomia strategica” e di uno strumento militare adeguato, sia pure per ora non sostitutivo ma “complementare” alla NATO.
Il primo a sollevare la questione, come abbiamo già trattato nel n. 31/2021 de “Il Bolscevico”, è stato l'alto rappresentante per la Politica estera e di sicurezza della UE, Josep Borrell, con la sua proposta di una “forza di primo intervento” di 5 mila uomini, da schierare subito e da rafforzare in seguito, nel quadro della “bussola strategica” che presenterà al Consiglio dei ministri della Difesa della UE il prossimo 16 novembre.
Concetti del tutto analoghi erano emersi anche nel vertice di fine agosto a Marsiglia tra Macron e il premier italiano sul problema dell'Afghanistan, dove il presidente francese, in attesa di prendere nelle proprie mani in tema della difesa europea già dal prossimo 1° gennaio, quando toccherà alla Francia il semestre di guida della UE, aveva insistito sul concetto di “autonomia strategica” dell'Europa incassando il consenso dell'atlantista di ferro Draghi.

La difesa al centro dell'agenda europea
Il tema dell'esercito europeo è stato poi ripreso e rilanciato con forza dalla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nel suo discorso del 15 settembre al parlamento di Strasburgo sullo stato dell'Unione, in cui ha detto che d'ora in poi “vi saranno missioni in cui la NATO o l'ONU non saranno presenti, ma a cui l'UE dovrebbe partecipare”. A tal proposito ha sottolineato che “la buona notizia è che negli ultimi anni abbiamo iniziato a sviluppare un ecosistema europeo della difesa”, aggiungendo che però “ciò di cui abbiamo bisogno è l'Unione europea della difesa”. Quello che finora non ha funzionato, a questo riguardo, “è la mancanza di volontà politica”, ha proseguito l'ex ministra della Difesa tedesca, ma ora i tempi sono maturi per svilupparla non solo per quanto riguarda la forza di intervento militare, ma anche verso altre tre direzioni indispensabili nel quadro dei conflitti moderni, che sono la cooperazione nell'intelligence, l'nteroperabilità (l'unificazione dei sistemi d'arma) e la cyberdifesa.
L'ambizioso esercito europeo da 50-60 mila uomini progettato a fine anni '90, sempre rimasto sulla carta per l'opposizione della Gran Bretagna e dei paesi dell'Europa orientale e baltici, e di conseguenza ridotto dal 2007 ai due più modesti “European battle groups” da 1.500 uomini mai impiegati finora, rinascerebbe così da questi due battaglioni, attualmente solo terrestri, con un aumento iniziale a 5-6 mila uomini, per crescere poi col tempo.
Dalle anticipazioni sulla “bussola strategica” di Borrell questa forza di intervento rapido terrestre sarebbe integrata con forze aeronavali, indispensabili per proiettarsi velocemente in ogni area di interesse, e con componenti specifiche dedicate alla “cyberguerra” e alla guerra nello spazio. Avrebbe inoltre un comando unificato, di stanza a Bruxelles, e un comandante permanente in carica per un triennio.
L'ostacolo più grosso è quello dell'unanimità delle decisioni, stante l'ostilità dei paesi baltici e dell'Europa orientale, che temono un indebolimento della Nato, e anche di alcuni paesi nordeuropei come Danimarca e Olanda, politicamente e militarmente più legati a Gran Bretagna e Stati Uniti. Ostacolo che potrebbe essere aggirato introducendo una maggioranza qualificata di 2/3 oppure, come proposto dalla ministra della Difesa tedesca, Annegret Kramp-Karrembauer, attivando l'articolo 44 del Trattato dell'Unione. Cominciando cioè ad impiegare sul campo l'embrionale esercito europeo con i paesi “che ci stanno”, come Francia, Italia, Germania e Spagna, dopo aver ottenuto il via libera politico da tutti i 27 membri della UE. Altri potrebbero aggiungersi all'occorrenza e in seguito.

Italia e Francia spingono l'accelerazione
Macron si candida di fatto a prendere la testa del processo di costruzione dell'esercito europeo, intanto perché la Francia è la potenza militare (e nucleare) più forte della UE, dopo la Brexit, e per di più è anche membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'ONU con potere di veto; e poi perché per i prossimi mesi la Germania sarà ancora alle prese con il dopo Merkel e la formazione del nuovo governo e avrà bisogno di tempo per riprendere le redini della UE.
L'Italia è, insieme alla Francia, il paese più attivamente schierato per l'accelerazione della costruzione dell'esercito europeo. Dopo l'input di Borrell si sono moltiplicate, in concorde spirito militarista bipartisan, le dichiarazioni in tal senso da parte di politici e militari, tra cui i generali Camporini e Graziano, il ministro della Difesa Guerini e i suoi predecessori Pinotti e Parisi, il commissario UE Gentiloni, gli ex premier Prodi e Berlusconi, la guerrafondaia Bonino, i due concorrenti a duce dei fascisti del XXI secolo, Salvini e Meloni, nonché dirigenti dell'industria bellica nazionale come Minniti e Profumo, e chi più ne ha più ne metta. Alla vigilia dell'incontro dei ministri della Difesa tenutosi all'inizio di settembre in Slovenia il ministro della Difesa Guerini dichiarava al Messaggero: “Credo sia ormai chiaro a tutti, e la crisi afghana ce lo dimostra plasticamente, che siamo chiamati ad assumerci responsabilità sempre maggiori, nel quadro di quella che, già oggi, si chiama non a caso Politica di sicurezza e difesa comune”. Pertanto, “la Difesa europea va vista non tanto, o non solo, come la risposta a un’esigenza operativa o finanziaria, quanto piuttosto come un tassello fondamentale e necessario alla costruzione di un’Europa più pienamente politica, indispensabile per poter competere sulla scena mondiale”.
Le dichiarazioni senz'altro più autorevoli e di peso sono quelle provenute dai massimi vertici istituzionali, che sono nella fattispecie il Quirinale, Palazzo Chigi e la Farnesina. Sergio Mattarella è stato anzi il più tempestivo a sollevare il tema della difesa europea già il 30 agosto a Ventotene e il 4 settembre a Cernobbio. Successivamente lo ha ripreso proprio in coincidenza con l'intervento della von der Leyen, nel suo discorso ai capi di Stato non esecutivi della UE del “Gruppo di Arraiolos” ricevuti il 15 settembre al Quirinale. Il caso dell'Afghanistan, ha detto in quell'occasione Mattarella rispolverando e indossando l'elmetto di ex ministro della Difesa, pone il problema di “una Unione incompleta che ha bisogno ineludibile di costruire - e aggiungo rapidamente - una propria autonoma credibilità nell'ambito delle relazioni internazionali”. E quindi “è ineludibile definire quella che e' stata chiamata la 'bussola strategica' per fare dell'Europa un attore protagonista e non un comprimario nella comunità internazionale, delineando una prospettiva strategica nell'ambito della cui cornice si inquadra la politica di sicurezza”. “Pensiamo - ha concluso - in che condizione potremmo essere oggi se l'Unione avesse proseguito in tema di difesa sulla strada delineata al Vertice di Helsinki di ventidue anni fa, dove si era concretamente definito un Corpo di intervento operativo di sessantamila unità”.

Per Mattarella, Draghi e Di Maio “non c'è più tempo da perdere”
Subito dopo, e con lo stesso tono di urgenza, gli faceva eco Mario Draghi al vertice EU MED del 17 settembre ad Atene, che riuniva i leader dei 9 paesi mediterranei della UE sui temi della sicurezza, dell'immigrazione e del clima, enfatizzando nel suo discorso il tema della difesa europea: “E’ abbastanza evidente - ha detto infatti il banchiere massone - che gli eventi di questi ultimi mesi hanno portato e stanno portando a un profondo riesame delle nostre relazioni internazionali. Un riesame la cui conclusione non può che essere un rafforzamento della sovranità europea. Uno degli aspetti di questa sovranità è la difesa europea. Di questo si è discusso e oggi direi è iniziata in maniera abbastanza esplicita, una riflessione sugli aspetti organizzativi. E’ solo l’inizio ma sono certo che questa riflessione continuerà e ci terrà occupati per gli anni avvenire”. E a rimarcare la sua convinta adesione ad imprimere una decisa accelerazione a questo tema, ha aggiunto: “Per inciso anche su questo fronte non c'è molto tempo da aspettare però”.
Con ciò il premier italiano ha marcato un significativo passo avanti anche rispetto al recente vertice Nato di luglio con Biden, quando pur auspicando anche allora un pilastro armato autonomo dell'imperialismo europeo, si mostrò più prudente di adesso stando attento a mettere l'accento sulla “complementarietà” dell'esercito europeo, che non avrebbe indebolito ma anzi “rafforzato ulteriormente” l'Alleanza atlantica.
A calzare l'elmetto dell'esercito europeo insieme a Mattarella e Draghi, gettando definitivamente alle ortiche ogni retaggio antimilitarista del M5S, si è affrettato infine anche Luigi Di Maio. Già nell'informativa del 6 settembre al Senato sull'Afghanistan, il ministro degli Esteri aveva detto che l'Italia “crede nella necessità dell'autonomia strategica europea”, pur sottolineandone anche lui la “complementarietà” con la Nato. Ma dopo l'accordo tra Usa, Gran Bretagna e Australia aveva già messo l'accento sulla “grande urgenza di una Difesa europea che preveda anche un coordinamento dell'industria continentale”. “Non per contrastare i nostri alleati, ma per avere più peso contrattuale”, aveva precisato.
Dopo il discorso di Biden alle Nazioni Unite, anche lui come Draghi ha messo il turbo, dichiarando che per una politica estera e di difesa europee più incisive “non c'è più tempo, nell’ambito dell’UE per discutere, dobbiamo passare ai fatti. Credo che sia ampiamente superato il meccanismo per cui per prendere una decisione di politica estera o di politica di difesa europea dobbiamo avere una unanimità a 27”.
L'Italia di Mattarella, Draghi e Di Maio è pronta cioè a fare la sua parte in prima fila per far nascere finalmente lo strumento indispensabile che ancora manca per sostenere anche militarmente gli interessi esclusivi dell'imperialismo europeo a livello globale.
 

29 settembre 2021