Asse Draghi-Bonomi
Non accettare il “Patto nazionale” per l'Italia capitalista
Anticapitalisti incontriamoci per discutere sul futuro dell'Italia socialista

Mai, dai tempi dei governi Berlusconi, si era visto una così totale e conclamata identità ideologica, politica e programmatica tra gli industriali e il premier in carica e il suo governo, come quella rivelata da Carlo Bonomi e Mario Draghi all'assemblea annuale di Confindustria il 23 settembre scorso a Roma. Identità sul “necessario” carattere presidenzialista di questo governo, che deve operare al di là e al di sopra dei partiti e del parlamento; identità sulla sua missione di risollevare il capitalismo italiano dalla crisi, garantendogli il grosso delle ingenti risorse europee e cucendogli addosso le “riforme” del PNRR; e identità anche sulla richiesta ai vertici di Cgil, Cisl e Uil di farsi docili strumenti di questa politica accettando un “Patto per l'Italia” sul modello di quello firmato con Ciampi del 1993, per tenere a freno la lotta di classe e aggiogare i lavoratori al carro della “ripresa” capitalista. In sostanza è un rilancio del corporativismo della Carta del Lavoro fascista del 1927.
Mario Draghi è un “uomo della necessità”, di quegli uomini che “ogni tanto la storia delle istituzioni italiane ci ha riservato”, come De Gasperi, Baffi e Ciampi, ha esordito subito il presidente di Confindustria nella sua relazione, chiamando la platea di più di mille imprenditori a tributargli un applauso che si è trasformato in un'ovazione di oltre un minuto. Non ha potuto usare l'espressione “uomo della provvidenza”, già usata dalla chiesa per Mussolini, ma il senso era chiaramente quello, come è venuto confermandosi nel prosieguo della relazione.
Bonomi ha infatti osannato “la mano decisa” di Draghi nel riscrivere il PNRR “introducendo obiettivi prima inesistenti, come produttività e concorrenza”, “la mano ferma” con cui il governo ha “ridefinito e accelerato la campagna vaccinale”, e “la stessa mano ferma” con cui ha imposto l'obbligo di green pass per tutto il lavoro pubblico e privato.
 

L'investitura presidenzialista di Draghi
“Ogni atto di queste azioni, in pochi mesi, ha trasmesso al Paese, ai mercati e al mondo, una nuova fiducia verso la credibilità dell’Italia. Noi imprese ci siamo trovate a condividere questo operato”, ha sottolineato compiaciuto il falco confindustriale, aggiungendo ai meriti di questo governo di aver “rappresentato un’oggettiva svolta, riconosciuta da tutto il mondo, dell’autorevolezza dell’Italia nell’Unione Europea, nella NATO, e nel G20 che sta guidando”. Rivelando con ciò anche i poteri e gli interessi interni e internazionali che hanno voluto il siluramento di Conte e il golpe bianco di Mattarella che ha imposto il governo del banchiere massone.
La prosecuzione del governo Draghi, per il capo degli industriali, non è solo interesse dell'Italia, ma anche dell'Europa, ora che la Merkel esce di scena e c'è l'incognita elezioni francesi. Draghi può assicurare “un’Europa più coesa nelle sue regole finanziarie, più unita nella sua politica estera, più forte e più integrata nella politica di difesa”. Ed è per questo che, ha aggiunto trionfante, “noi imprese non esitiamo a dire che ci riconosciamo nell’esperienza e nell’operato del Governo guidato dal Presidente Draghi e che ci auguriamo continui a lungo nella sua attuale esperienza. Senza che i partiti attentino alla coesione del Governo pensando alle prossime amministrative, o con veti e manovre in vista della scelta da fare per il Quirinale”.
In sostanza è stata un'investitura presidenzialista in piena regola, un invito esplicito a restare in sella per tutta la legislatura e anche oltre, e a portare avanti le “riforme” liberiste del PNRR senza curarsi dei partiti e del parlamento, come del resto sta già facendo, contando sull'appoggio entusiastico dei capitalisti italiani grandi e piccoli e sull'asse privilegiato con la Confindustria. Non a caso “La Repubblica” della famiglia Agnelli-Elkann, tra i principali sponsor dell'avvento di Draghi, ha scritto che “è nato il partito della Confindustria”, e Draghi è il suo leader.
Un leader e un governo che non devono essere “disturbati”, nella loro missione di salvataggio del capitalismo italiano, dalla competizione elettorale tra i partiti che più o meno convintamente li sostengono; e nemmeno dai conflitti interni alla magistratura, che va riportata all'ordine con la Cartabia e le altre controriforme in cantiere, e chiudendo la stagione “divisiva” delle inchieste su mafia e politica, come la contemporanea e scandalosa sentenza di appello di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia sembra non a caso suggerire.
 

L'agenda di Bonomi per il “suo” governo
Bonomi ha anche elencato quello che la Confindustria si attende dal “proprio” governo: innanzi tutto guai a chi si oppone alle “riforme”. “Questa è un'occasione storica e queste risorse non sono eterne”, perciò “basta rinvii, basta giochetti, basta veti”, soprattutto per quanto riguarda produttività, concorrenza e apertura ai privati nella gestione dei servizi di Comuni e Regioni, e in particolare nella sanità. Sull'annunciata riforma del fisco, 3 miliardi sono troppo pochi. Bisogna abbattere il cuneo fiscale alle imprese, cominciando con l'abolire l'Irap e abbassare l'Ires.
Una bella faccia tosta, questa del capo degli industriali a battere cassa, quando secondo un rapporto dell'ex viceministro dell'Economia Misiani, “in due anni i governi Conte-bis e Draghi hanno stanziato per le imprese 115 miliardi tra aiuti diretti, sgravi fiscali e misure di settore. Altri 32 miliardi sono stati destinati agli ammortizzatori sociali e a misure di decontribuzione. Le imprese hanno inoltre usufruito di 216 miliardi di crediti erogati con garanzia dello Stato”.
Il blocco dei licenziamenti, ha rincarato invece Bonomi, “è stato una sciocchezza plurima”, e la riforma delle politiche attive del lavoro va fatta aprendo alle agenzie private, molto “più efficaci” dei Centri per l'impiego “totalmente inefficienti.” La cassa integrazione deve essere di “natura assicurativa”, e se la devono pagare i lavoratori “in proporzione all'utilizzo”, perché “noi dell'industria non possiamo fare da bancomat come avviene con la Cig”, ha sentenziato il falco confindustriale. Che poi, cambiando tono e rivolgendosi direttamente e con fare conciliante ai tre segretari confederali presenti in sala, ha proposto loro di “costruire insieme accordi e indicare strade e strumenti che la politica stenta a vedere”: “Luigi, Maurizio, Pierpaolo – ha esclamato - facciamolo almeno noi, un vero Patto per l’Italia. Non serve a niente l’antagonismo, serve più compartecipazione. Non servono le contrapposizioni, ma entusiasmo e fiducia. Noi ci siamo, non perdiamo altro tempo”.
 

“E' il momento di dare, non di prendere”
Da parte sua Draghi non ha deluso il tifo da stadio di Bonomi e della platea. Ha esordito glorificando “il periodo di forte ripresa, migliore di quello che avevamo immaginato”, ammonendo però, in piena sintonia con l'appello di Bonomi, che per sostenerla occorre “preservare buone relazioni industriali perché assicurino equità e pace sociale e produzione, naturalmente; e accelerare il nostro programma di riforme e investimenti”.
Dopodiché ha ripreso e confermato punto per punto l'agenda appena squadernata dal capo degli industriali, con una puntualità che non può non far pensare ad un programma concordato in precedenza. Ha parlato infatti della necessità di “incrementare il tasso di crescita della produttività”, di “tenere conto” delle lamentele, avanzate da Bonomi per battere cassa, sui rischi per l'occupazione derivanti dalla riconversione energetica ed ecologica del nostro apparato industriale, promettendo che “lo Stato farà la sua parte nell'aiutare cittadini e imprese a sostenere i costi di questa trasformazione”, nonché per “migliorare l'efficienza del nostro sistema di autorizzazioni” (leggi vincoli ambientali, codice degli appalti, ecc.). Lo stesso varrà per la transizione digitale, ha precisato, aggiungendo che “in entrambe le iniziative il contributo dei privati sarà essenziale”.
Ha poi magnificato la controriforma Cartabia della giustizia penale e annunciato un provvedimento simile per la giustizia civile. Ha annunciato inoltre un provvedimento “che dia impulso alla concorrenza” nei servizi pubblici entro ottobre e l'avvio della “riforma delle politiche attive del lavoro”, garantendo su tutti e due i punti di “essere aperti alle proposte che vengono anche al di fuori della sfera pubblica”, proprio come chiesto da Bonomi. E ha ribadito, mandando in visibilio la sala, che “Il governo da parte sua non ha intenzione di aumentare le tasse. In questo momento – come ho detto tante volte – i soldi si danno e non si prendono”.
Infine il banchiere massone ha concluso il suo intervento facendo suo anche il “Patto per l'Italia” proposto da Bonomi. Un “patto economico, produttivo, sociale del Paese”, lo ha chiamato, necessario per avere quelle “buone relazioni industriali” che garantirono, a suo dire, la “forte ripresa” del dopoguerra e che andarono distrutte “col finire degli anni '60”. Cioè con l'Autunno caldo e la stagione delle grandi conquiste operaie degli anni '70, che invece secondo lui avrebbero interrotto la “crescita” economica del Paese.
 

Respingere il patto collaborazionista
È dunque più che chiaro a cosa miri questo “Patto nazionale” per l'Italia capitalista dell'asse Draghi-Bonomi: prevenire, con l'aiuto dei vertici sindacali collaborazionisti, una nuova stagione di lotte operaie contro i licenziamenti, l'aumento dello sfruttamento e la compressione dei salari, che seguiranno fatalmente alle ristrutturazioni industriali e alle privatizzazioni nei servizi pubblici, per sostenere l'uscita dalla pandemia, la “ripresa” e la “competitività” del capitalismo italiano, in un quadro di “pace sociale” e di “siamo tutti nella stessa barca”.
Ed è vergognoso che i tre segretari confederali non abbiano respinto apertamente e con forza tale invito truffaldino, che ricalca lo sciagurato “patto sociale” con Ciampi del '93. Invece non solo Gasbarra della Cisl e Bombardieri della Uil si sono espressi esplicitamente a favore, ma lo stesso Landini non ha chiuso le porte, limitandosi per ora a fare il finto tonto: “La parola Patto in sé non capisco cosa voglia dire, voglio capire cosa c’è dentro”. Ciò non toglie che nell'incontro con Draghi del 27 settembre sulla sicurezza nei posti di lavoro, i tre segretari abbiano accettato di discuterne in prossimi tavoli di confronto, consentendo intanto al premier di dichiarare soddisfatto che “abbiamo fissato un metodo”.
Enrico Letta ha fatto subito suo il patto di Draghi e Bonomi, e ha twittato entusiasta:
“Bene! Draghi lancia a Sindacati e Imprese la proposta di un grande Patto per il lavoro e la crescita. Noi siamo d’accordo. È il momento giusto. Sul modello di quello che fece Ciampi”. E anche Salvini è saltato sul carro assicurando che “come Lega vogliamo assolutamente partecipare alla costruzione del Paese e a qualsiasi tavolo”.
Da parte nostra chiamiamo invece il proletariato e tutti i lavoratori a respingere con forza il “Patto nazionale” per l'Italia capitalista di Draghi e Confindustria, e a rispondere alla collaborazione di classe che essi predicano con l'intensificazione e la generalizzazione delle lotte di fabbrica e di piazza per la difesa esclusiva dei propri interessi di classe. Un segnale in tal senso viene dall'assemblea dei lavoratori della GKN che in un documento approvato il 5 ottobre invoca lo sciopero generale e rifiuta il patto sociale proposto dal tandem Bonomi-Draghi.
Agli anticapitalisti spetta non di aiutare il capitalismo a risollevarsi dalla crisi che esso stesso ha generato, ma di affossarlo, cominciando tutti uniti col lottare per mandare a gambe all'aria il governo Draghi ed elaborare insieme un progetto di nuova società, il socialismo. Così come, con queste parole, ha indicato il Segretario generale del PMLI, Giovanni Scuderi, nel discorso tenuto a nome del CC del PMLI per il 45° Anniversario della scomparsa di Mao: “In sostanza il PMLI chiede di aprire una grande discussione pubblica e privata sui due suddetti temi all’interno del proletariato e delle sue organizzazioni politiche, sindacali e culturali e fra di esse. Facciamola con apertura mentale, a cuore aperto, senza pregiudizi, preclusioni e personalismi, da pari a pari e con la piena disponibilità ad apprendere l’uno dall’altro. Il nostro auspicio è che siano le operaie e gli operai che hanno posti dirigenti nei partiti, nei sindacati e nei movimenti di lotta i primi e i principali promotori di questa urgente, salutare e senza precedenti grande discussione rivoluzionaria sul futuro dell’Italia ”.
Insomma mentre i padroni e il loro governo Draghi cercano col “Patto nazionale” di assicurarsi la collaborazione degli schiavi salariati per far uscire dalla crisi l'Italia capitalista, il PMLI chiama il proletariato e tutti gli anticapitalisti a non cadere in questa trappola mortale e ad aprire una grande discussione sul futuro dell'Italia che, secondo noi, non può che essere il socialismo.

6 ottobre 2021