Cresce il pericolo di una nuova guerra mondiale
Nasce la Nato del Pacifico tra gli imperialisti americani, inglesi e australiani contro il socialimperialismo cinese
Intanto l'imperialismo europeo crea una partnership digitale con Giappone, Corea del Sud e Singapore imperialisti
Xi: “La Cina non permetterà mai a forze esterne di interferire sugli affari interni dell'area pacifica e dei suoi Paesi”

 
Con una conferenza stampa congiunta in videoconferenza, il presidente americano Joe Biden, affiancato dal primo ministro britannico Boris Johnson e dal premier australiano Scott Morrison annunciava il 16 settembre la nascita di Aukus, l'acronimo dai nomi dei tre paesi, che avrà il compito di preservare "una libera e aperta regione Indo-Pacifica" tenendo conto dell'attuale "clima strategico". Senza dover leggere troppo tra le righe è l'atto di nascita della Nato del Pacifico tra gli imperialisti americani, inglesi e australiani contro il socialimperialismo cinese. Una alleanza militare che completa la cooperazione soprattutto politica del Quad, che tiene agganciati agli Usa i principali alleati regionali Giappone e India, e che certifica la decisione dell'imperialismo americano di concentrare la sua iniziativa politica, economica e militare nel contenimento dell'aggressività della Cina. Una aggressività che si materializza dalla realizzazione della nuova Via della Seta alle iniziative nelle isole contese nel Mar Cinese Meridionale, alle minacce a Taiwan.
A questo obiettivo Biden ha sacrificato persino una fetta di credibilità verso gli alleati europei che con la nuova amministrazione sembravano tornati al ruolo di partner privilegiati, quantomeno fino alla scelta unilaterale Usa di scappare da Kabul, e ritenuti meno utili come alleati sul prossimo fronte principale di intervento in Asia contro la Cina. Salvo la solita Gran Bretagna che, sciolti i legami europei, con Boris Johnson cerca nuovi spazi nell'area che si profila al centro dello scontro imperialista pur contando militarmente di gran lunga meno degli Usa. Londra ha però la tecnologia nucleare e l'intesa Aukus prevede che Stati Uniti e Regno Unito forniscano all’Australia, secondo un protocollo da definire entro 18 mesi, la tecnologia necessaria per costruire sottomarini a propulsione nucleare e di conseguenza la condivisione di una tecnologia che Washington aveva riservato finora solo a Londra col patto stipulato nel 1958. La nuova alleanza imperialista riguarderà anche la cooperazione nello sviluppo delle tecnologie avanzate, nella sicurezza informatica e nell'intelligenza artificiale.
I sommergibili nucleari saranno il cuore della completamente rinnovata flotta militare australiana secondo una decisa corsa al riarmo decisa dal premier liberale Morrison che nel giugno scorso aveva scelto l'inglese Bae Systems quale vincitore della gara per la fornitura di nove fregate, una commessa del valore di circa 23 miliardi di euro, per la quale era in corsa anche l'italiana Fincantieri. Le navi italiane della classe Fremm sono già operative, quelle inglesi da progettare; palese la scelta politica di Camberra verso i nuovi stretti alleati imperialisti. Ma la questione che potrebbe avere maggiori conseguenze nei rapporti tra alleati imperialisti nasce dalla rottura da parte australiana dell'accordo esistente con la Francia per la fornitura di 12 sottomarini a propulsione convenzionale del valore di oltre 50 miliardi di euro. Quello che Parigi aveva definito "il contratto del secolo" era parte della strategia dell'imperialismo francese per intervenire nella regione attraverso le collaborazioni con l'India e l'Australia che il premier australiano bellamente stracciava e gettava nel cestino.
Il ministro degli Esteri francese Jean-Yves Le Drian, che solo due settimane prima col collega australiano aveva registrato con soddisfazione lo stato di avanzamento del contratto di fornitura dei sommergibili, accusava gli Usa di aver dato "una pugnalata alle spalle" a un alleato, un fatto che "peserà sul futuro della Nato", di essere colpevoli di una "decisione unilaterale, brutale e imprevedibile che assomiglia molto a quello che faceva Trump". Il presidente Macron richiamava gli ambasciatori a Canberra e Washington, per la prima volta nella storia delle relazioni franco-americane. Niente verso Londra? "Non c'è bisogno di richiamare il nostro ambasciatore nel Regno Unito. Conosciamo bene l'opportunismo perenne della Gran Bretagna, e in questo caso sono la ruota di scorta" era lo sprezzante commento del ministro Le Drian. La telefonata del 22 settembre tra Biden e Macron chiudeva momentaneamente le polemiche con l'impegno comune a ripristinare "la fiducia".
Con una Merkel a fine mandato, la voce di Berlino passava da una intervista al suo consigliere e fidato esperto di politica estera da 12 anni in procinto di diventare presidente della Conferenza di Monaco sulla sicurezza, Christoph Heusgen che definiva "un insulto a un partner Nato" lo scippo alla Francia dell'accordo sui sottomarini con l'Australia da parte degli Stati Uniti e spingeva per un'autonomia europea nella Difesa.
In attesa della risposta al secondo schiaffo ricevuto dagli Usa dopo l'Afghanistan l'imperialismo europeo lavora per rafforzare l'autonomia militare ma intanto punta a occupare nuovi spazi per i suoi affari in Asia. A partire dalla costruzione di una partnership digitale con Giappone, Corea del Sud e Singapore imperialisti, oltre a rafforzare commerci e investimenti con Taiwan. Corea del Sud e Taiwan tra le altre concentrano gran parte della produzione mondiale dei chip e un importante obiettivo europeo è la creazione di una catena di approvvigionamento dei nuovi componenti per avere una autonomia strategica rispetto a Pechino. La strategia dell'iniziativa dell'imperialismo europeo nell’Indo-Pacifico è contenuta nel progetto presentato dall’Alto rappresentante per la Politica estera Josep Borrell a Bruxelles il 16 settembre e chiamato Global Gateway, un progetto che punta alla stipula di accordi sia commerciali ma anche industriali, nei settori digitali, della connettività e della "sicurezza marittima", in particolare coi paesi dell'Asean.
Registrato che la nuova organizzazione militare imperialista a guida Usa non ha riscosso almeno al momento la simpatia di un possibile alleato come la Nuova Zelanda, con la premier Jacinda Arden che teneva a ricordare che manterrà il divieto di transito nelle acque territoriali dei mezzi a propulsione nucleare, nessuno escluso, riportiamo le risposte della Cina, a partire da quella immediata del portavoce del Ministero degli Esteri Zhao Lijain che invitava i tre paesi ad abbandonare "concetti obsoleti e a rispettare le aspirazioni dei popoli della regione", altrimenti "danneggeranno i loro stessi interessi".
Secca e decisa la risposta del presidente cinese XI Jinping che nell'intervento in collegamento video al 21° incontro del Consiglio dei Capi di Stato della Sco, l'Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai costruita sull'asse Mosca-Pechino, sottolineava che "non dobbiamo mai permettere a forze esterne di interferire negli affari interni dei Paesi della nostra regione, qualsiasi sia il pretesto", ossia la Cina non lo permetterà grazie alla forza economica e militare del socialimperialismo. Il discorso era rivolto a una platea composta dai rappresentanti dei paesi della Sco e dei paesi associati come osservatori, tra i quali il Primo Ministro indiano Narendra Modi e il presidente iraniano Seyyed Ebrahim Raisi. L'incontro si chiudeva con la decisione di avviare il processo di adesione della Repubblica islamica dell'Iran di concedere allo Stato del Qatar, alla Repubblica araba d'Egitto e al Regno dell'Arabia Saudita lo status di partner di dialogo. L'imperialismo americano allenta la presa sulla regione del Golfo Persico e i concorrenti imperialisti russi e socialimperialisti cinesi ne approfittano. E crescono i pericoli di una nuova guerra mondiale.
Pechino alla sfida di Biden per contenerla nella regione dell'indopacifico rilanciava anche presentando sempre il 16 settembre la richiesta formale di aderire al Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership (Cptpp), il patto commerciale siglato nel 2018 da Australia, Brunei, Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore e Vietnam, voluto da Barack Obama in funzione anticinese e disertato dal successore, Donald Trump. La domanda di Pechino finiva in coda all'ultima arrivata, quella del nuovo aspirante protagonista imperialista nella regione, la Gran Bretagna.

6 ottobre 2021