Grazie Scuderi per avermi aiutato a trasformarmi in un intellettuale marxista-leninista da semplice progressista

Quest'anno - nel quarantacinquesimo anniversario della scomparsa dell'insigne Maestro del socialismo scientifico, il compagno Mao - il suo coerente interprete e mio maestro Giovanni Scuderi, che ne ha proseguito l'opera in Italia nel corso dei decenni e ne ha costantemente divulgato a livello mondiale l'insegnamento scientifico - ha dato con il suo discorso di Firenze una testimonianza viva del pensiero socialista e della sua umanità, ha offerto, a tutti noi marxisti-leninisti e a tutti i sinceri democratici, una magistrale lezione sui rischi che un approccio alla realtà, che si discosti dai principi del socialismo scientifico, è destinato inevitabilmente a far crollare edifici politici e concrete realizzazioni socialiste attuate in realtà geopolitiche di dimensioni continentali - come l'URSS e la Repubblica Popolare Cinese - che pur erano state solidissime quando erano mantenute in piedi dall'adesione alla scienza marxista-leninista.
Bellissima, e degna della più alta umanità, è la citazione iniziale che Scuderi riprende da un discorso di Mao del 1944 - nel quale il Maestro cinese cita l'antico storico Ssu-ma chen, vissuto tra il II e il I secolo a.C., mentre i fratelli Tiberio e Caio Gracco a Roma lottavano a favore delle classi più povere - che esorta a commemorare coloro che hanno lasciato questa vita distinguendosi coerentemente e costantemente per gli interessi del popolo: è una bellissima lezione di umanesimo socialista, che il nostro Partito ha da sempre raccolto, con il compagno Dario Granito che, con sentita pietà e a nome del Partito, si reca nei cimiteri a rivolgere parole di conforto a Nerina Paoletti, a Marco Marchi e a tanti altri cari compagni di cui è vivo il ricordo, tramite il quale, in un certo senso, essi sono ancora qui tra noi, perché continuano a vivere tramite quelle compiute da noi, che ne proseguiamo l'opera.
D'altra parte non tutti i morti sono uguali e Mao, che era anche poeta, esprime una preoccupazione che ottantasette anni prima della sua nascita un grande letterato italiano progressista, Ugo Foscolo, a sua volta, aveva espresso nel suo carme Dei sepolcri , ossia che non tutti i morti sono degni di ricevere la stessa commemorazione.
Scrive il Foscolo, preoccupato che i resti mortali dell'insigne poeta milanese Giuseppe Parini potessero giacere in una fossa comune insieme a quelle di un volgare delinquente:
“Forse tu fra plebei tumuli guardi
Vagolando, ove dorma il sacro capo
Del tuo Parini? A lui non ombre pose
Tra le sue mura la città, lasciva
D’evirati cantori allettatrice,
Non pietra, non parola; e forse l’ossa
Col mozzo capo gl’insanguina il ladro
Che lasciò sul patibolo i delitti”.
Con volo lirico altrettanto potente, non perché avesse studiato il Foscolo ma perché anch’egli poeta, il Maestro cinese del socialismo risponde idealmente a Ugo Foscolo, commemorando il valoroso soldato Chang Szu-teh, la cui morte, nel fervido intelletto di Mao, pesa come una montagna per il movimento dei lavoratori: “La morte di chi si sacrifica per gli interessi del popolo ha più peso del Monte Tai, ma la morte di chi serve i fascisti, di chi serve gli sfruttatori e gli oppressori, è più leggera di una piuma. Il compagno Chang Szu-teh è morto per gli interessi del popolo; la sua morte ha più peso del Monte Tai ”.
Giovanni Scuderi, tramite le parole di Mao, ci ricorda con umana e giusta pietà che non tutti i morti sono uguali, perché non tutti gli uomini hanno agito in modo uguale, e allo stesso modo possiamo dire che non tutte le idee sono uguali, perché alcune costruiscono il socialismo che a noi è caro come lo era per il compagno Mao, mentre altre lo distruggono, o, peggio ancora, lo infangano, spacciando per socialista ciò che socialista non è, gettando così discredito e infamia, come è effettivamente accaduto, sul movimento dei lavoratori e sul socialismo scientifico, facendo indietreggiare le plurisecolari lotte dei primi e suscitando sarcasmo - nella migliore delle ipotesi - o biasimo - nella peggiore - sul secondo, fatti esecrabili per l'oratore fiorentino e per tutti noi marxisti leninisti.
 

Il revisionismo, una vera e propria associazione di falsari ideologici
Il revisionismo è un mostro - prosegue Giovanni Scuderi nella sua orazione - che, se non si uccide appena viene allo scoperto, divora boccone dopo boccone i partiti comunisti e i paesi socialisti, come dimostra la storia dell'allora movimento comunista internazionale. Chi non si oppone ai revisionisti, chi lascia correre, chi non dà loro importanza è destinato prima o poi a soccombere, a distruggere quello che in buona fede ha creato, salvo che non sia un revisionista mascherato ”.
Queste frasi potrebbero sembrare eccessivamente dure, ma non è vero: egli si comporta come un medico che, per salvare la vita di colui, al quale un arto va in cancrena, amputa l'arto e salva la vita, mentre un medico che non ha il coraggio di amputare l'arto condanna a morte lo sventurato paziente. Il paziente, naturalmente, è il movimento internazionale dei lavoratori e la tempestività del primo dei due dottori citati è la lotta tempestiva contro il revisionismo.
Il nostro Segretario generale Scuderi ha subito chiarito la natura distruttiva del revisionismo, un pensiero che, trasformandosi in prassi, è un vero e proprio cannibale ideologico nei confronti del socialismo scientifico, una minaccia che proviene non dall'esterno del movimento socialista bensì dal suo interno, e per questo motivo è ancor più subdola e distruttiva per il movimento operaio, come lo sono i sabotatori all'interno di una struttura militare o i falsari all'interno di un sistema monetario.
Scuderi non manca di evidenziare che, prima di Mao, anche Marx, Engels e Lenin avevano smascherato i falsari ideologici delle rispettive epoche, e lo stesso aveva fatto Stalin quando la Cina si preparava a divenire socialista sotto la guida dello stesso Mao.
Scuderi si interroga poi sulla natura del revisionismo, e lo fa usando le parole di Mao, tratte da due opere del 1957, quando il tema era ormai diventato fondamentale per gli stessi sviluppi della storia contemporanea e per i destini del mondo.
Negare - afferma Mao nel suo primo scritto citato - i principi fondamentali del marxismo, negare le sue verità universali questo è il revisionismo. I revisionisti cancellano la differenza tra socialismo e capitalismo, tra la dittatura del proletariato e quella della borghesia. Ciò che sostengono di fatto non è la linea socialista, ma quella capitalista ”.
Più chiaro di così il Maestro cinese non avrebbe potuto essere.
Il revisionismo, opportunismo di destra - afferma Mao nel suo secondo scritto citato da Scuderi - è una corrente ideologica borghese, è ancora più pericoloso del dogmatismo. I revisionisti, opportunisti di destra, approvano a parole il marxismo e attaccano anch'essi il 'dogmatismo'. Ma i loro attacchi sono diretti in effetti contro la sostanza stessa del marxismo. Essi combattono o snaturano il materialismo e la dialettica, combattono o tendono di indebolire la dittatura democratica popolare e il ruolo dirigente del Partito comunista, come anche la trasformazione e l'edificazione socialiste ”.
Mao mette in guardia, si badi bene, anche dal dogmatismo, ma pone l'attenzione soprattutto sul revisionismo, che non è altro che l'introduzione nel corpo scientifico marxista-leninista di concetti, per lo più di stampo idealistico ma comunque alieni da una concezione materialistica della storia, che impediscono di leggere la realtà sociale, economica, politica e culturale in modo scientifico e, di conseguenza, impediscono una trasformazione del mondo improntata al socialismo.
Mentre il materialismo storico e quello dialettico partono da una base scientifica - ossia dalla considerazione che ciò che distingue l'uomo dagli altri animali è solo ed esclusivamente la capacità di lavorare, che il minimo comune denominatore di ogni società umana è la struttura economica, che le manifestazioni astratte della civiltà umana (a cominciare dal diritto, che è alla base dell'organizzazione umana) sono solo sovrastrutture che sono conseguenza dei rapporti economici - il revisionismo, nelle sue varie sfaccettature, introduce nel pensiero socialista scientifico concezioni non scientifiche, che ovviamente portano a conclusioni errate gli stessi partiti comunisti all'interno dei quali si muove la corrente revisionista.
Per fare un esempio, è come se all'interno di un moderno laboratorio di fisica - fondato sulla scienza sperimentale di Galileo, che ha permesso quasi quattro secoli di scoperte grandiose - qualche scienziato conducesse dei test non sul paradigma sperimentale, bensì sui principi logici aristotelici, proprio come accadeva fino all'alba del XVII secolo: è certo che il test darebbe risultati a dir poco bizzarri, e screditerebbe quel laboratorio.
Per fare un altro esempio, è come se un laboratorio chimico mandasse in soffitta i fondamentali principi della chimica, scoperti nel XVIII secolo da Lavoisier e nel XIX da Mendeleev, per tornare all'improvvisazione degli alchimisti medievali, che, tra le altre cose, tentavano ingenuamente in tutti i modi di trasformare vari metalli in oro, cosa che si è dimostrata scientificamente impossibile.
E cosa potrebbe succedere in un moderno ospedale se tutti i medici, d'accordo, rifiutassero di utilizzare moderni macchinari diagnostici offerti dalla scienza per tornare a servirsi solo ed esclusivamente della pratica dell'auscultazione (che vede il medico appoggiare l'orecchio nella parte malata del corpo allo scopo di intuire la malattia) introdotta dal medico greco Ippocrate duemilaquattrocento anni fa? Accadrebbe che entrerebbero in campo altri medici, non con specializzazione fisiatrica bensì psichiatrica, per aiutare i loro colleghi in evidente difficoltà!
Ho fatto alcuni esempi, seppur paradossali, per spiegare il rapporto tra due differenti paradigmi, tra due opposti approcci alla realtà, e la stessa cosa accade nel rapporto tra socialismo scientifico e revisionismo.
I revisionisti devono essere considerati, dal punto di vista della scienza marxista-leninista, come i falsari in ambito monetario.
Questi ultimi producono e introducono nella circolazione monetaria denaro che sembra autentico ma non lo è, perché soltanto l'autorità costituita può fabbricare e far circolare denaro, e la loro opera illegale genera confusione proprio perché la contraffazione fa sembrare denaro autentico ciò che è soltanto un'abile imitazione.
Allo stesso modo dei falsari, i revisionisti presentano le loro idee e le loro prassi come idee e prassi autenticamente comuniste, inneggiano formalmente al ruolo storico della classe operaia sostenendo, però, che quest'ultima ha perso importanza, assicurano d'altra parte che la Rivoluzione di Ottobre è evento storico importante ma mettono dubbi su uno dei suoi protagonisti - Giuseppe Stalin - ponendolo fuori dalla famiglia marxista-leninista, infine a parole sono a favore della lotta di classe, ma finiscono per imboscarsi nelle aule parlamentari borghesi lasciando i lavoratori, che comunque continuano inevitabilmente a praticarla, orfani di quella guida indispensabile per tale lotta. Chi, soprattutto dall'esterno del movimento dei lavoratori, vede i revisionisti spesso non li distingue dai marxisti-leninisti, perché anche i revisionisti agitano la bandiera rossa, spesso con falce e martello. Anche laddove il socialismo è andato al potere, come, ahimè, nell'Unione Sovietica e in Cina, i falsari a poco a poco hanno trasformato lo Stato socialista determinandone il tracollo (come nell'URSS) o snaturando il carattere socialista dello Stato stesso, come nella Repubblica Popolare Cinese.
Il compagno Scuderi ricorda nel suo discorso, a quest'ultimo proposito, che il Partito marxista-leninista italiano nel 1979 ruppe “ogni rapporto col PCC e l'Ambasciata cinese a Roma, perché avevamo visto che il PCC aveva ripreso i rapporti col PCI revisionista dopo decenni e che in Cina era stata abbandonata la linea proletaria di Mao e imboccato la via capitalista e revisionista di Deng Xiaoping”: dice “avevamo visto ”, parla in prima persona plurale l'oratore fiorentino, non perché usa il plurale maiestatico - che ormai hanno abbandonato anche i papi, altrimenti anche i polli si metterebbero a ridere - ma perché egli era già all'epoca degli avvenimenti citati il Segretario generale del PMLI, e in tale veste fu protagonista di una pagina di storia, in quanto ebbe il coraggio di trattare sprezzantemente non qualche volgare ladruncolo nostrano in vena di revisionismo, bensì il governo di uno degli Stati, anche allora, più potenti del pianeta, e uno dei più potenti partiti comunisti del mondo, che stavano ormai gettandosi, sotto la guida di Deng Xiaoping, nelle braccia del più spudorato e azzardato revisionismo.
 

Mao Zedong vide in anticipo i possibili avvenimenti futuri (nonostante il futuro debba ancora accadere) allo stesso modo in cui Galileo Galilei vide i satelliti di Giove (che a occhio nudo non si vedono)
Scuderi prosegue riportando le vive preoccupazioni di Mao, espresse già tra il 1956 e il 1957, a proposito nell'imborghesimento sul quale già alti dirigenti comunisti stavano scivolando in Cina e del nuovo corso revisionista che stava prendendo l'Unione Sovietica dopo la morte di Stalin, e con essa altri Paesi socialisti, mettendo in guardia contro gli effetti nefasti del revisionismo.
Mai parole si sono rivelate più profetiche, non perché Mao fosse un indovino o un chiaroveggente, bensì perché la sua analisi era scientifica, fondata su quel cannocchiale intellettuale - il marxismo-leninismo al quale lo stesso insigne rivoluzionario cinese aveva dato una messa a fuoco fondamentale - che gli permise di intuire con decenni di anticipo ciò che sarebbe potuto accadere, ed è effettivamente accaduto, decenni più tardi: non poteri magici, quindi, bensì scienza che poggia sul materialismo storico e dialettico, sulla comprensione di quel minimo comune denominatore dell'umanità che è l'economia, sul fondamento dialettico della rivoluzione socialista come momento di drastica rottura dello schema storico e della riformulazione della società, di tutte le strutture e di tutte le sovrastrutture in senso socialista.
Mao comprese gli accadimenti futuri così come Galileo Galilei poté - non perché negromante ma tramite lo strumento tecnico del cannocchiale al quale egli diede importanza fondamentale - osservare i satelliti di Giove (che nemmeno un’aquila, con la sua vista acutissima, potrebbe vedere da terra), con buona pace di Krusciov, Breznev, Suslov e Deng (che non vollero o non poterono vedere le conseguenze delle loro future azioni in quanto non applicarono un approccio marxista-leninista) e del cardinal Bellarmino (che, invitato da Galileo a osservare il cielo con il cannocchiale, si rifiutò sdegnato).
L'Unione Sovietica - e con essa i Paesi socialisti dell'Europa orientale - si sarebbe sempre più trasformata nei decenni successivi, come aveva paventato Mao, in uno Stato dove già, all'inizio degli anni Settanta, erano assolutamente predominanti i modi di produzione capitalistica e nel 1977 sarebbe entrata in vigore una Costituzione dove l'URSS veniva definita “di tutto il popolo ”, con evidente formula interclassista quasi di stampo democristiano anziché “della classe operaia ” come avevano voluto, nelle loro Costituzioni, Lenin e Stalin, senza dimenticare il ruolo imperialista assunto su scala planetaria dalla stessa URSS proprio a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta: per una ricostruzione dettagliata e analitica di come la politica revisionista abbia trasformato l'URSS in un Paese, di fatto, capitalista e quindi socialimperialista si veda il lungo articolo pubblicato in tre puntate su Il Bolscevico n. 4, 5 e 6 del 2018.
Riguardo alla Cina, non c'è bisogno di particolare acume per capire che è diventata, dopo la morte di Mao, una potenza capitalista che si avvia a spodestare gli Stati Uniti del primato mondiale, e tutte queste cose accadono sotto le mentite spoglie della bandiera rossa (che pur continua a sventolare in Cina) e del gigantesco ritratto, a Pechino e in tutta la Cina, di colui che aveva previsto tutto ciò, ossia Mao (ma purtroppo quell'occhio di chi a suo tempo vedeva sin troppo bene anche il futuro, che sembra tuttora vigile, è solo un'immagine). Ci pensa comunque Giovanni Scuderi, nel prosieguo del suo discorso, a mettere bene in evidenza, da una parte, l'estrema prudenza di Mao e del PCC al fine di scongiurare una rottura definitiva con Mosca nella prima metà degli anni Sessanta, dall'altra la strenua difesa del socialismo scientifico da parte del Comitato centrale del Partito Comunista Cinese, e dall'altra ancora i moniti dello stesso Partito, qualche anno dopo, per mettere in guardia su ciò che rischiava di accadere anche in Cina, ed è poi accaduto.
Così, ricorda Scuderi, il PCC si rivolgeva ai sovietici il 30 marzo 1963: “la linea generale del movimento comunista internazionale dev'essere fondata sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista circa la missione storica del proletariato, e non deve allontanarsene ”. Ma i sovietici fecero orecchie da mercante e proseguirono nella loro sciagurata politica revisionista, tanto che la rottura fu inevitabile, come viene sancito nella Circolare del PCC del 16 maggio 1966 dove, tra l'altro, si legge che “i rappresentanti della borghesia infiltratisi nel Partito, nel governo, nell'esercito e nei diversi ambienti culturali, formano un'accozzaglia di revisionisti controrivoluzionari ”. Se si presentasse l'occasione - prosegue la Circolare citata da Scuderi - prenderebbero il potere e trasformerebbero la dittatura del proletariato in dittatura della borghesia ”, ed effettivamente è proprio questo che è accaduto in Cina, è sotto gli occhi di tutti.
Il Partito marxista-leninista italiano, come si è ricordato sopra, comprese immediatamente il nuovo corso cinese, tanto da rompere già nel 1979 ogni rapporto sia con il Partito Comunista Cinese sia con la Repubblica Popolare Cinese, e questo testimonia la sua lungimiranza, dovuta alla coerenza con il socialismo scientifico: chi è coerente con il socialismo scientifico non può che essere lungimirante, ossia prevedere con notevole precisione gli accadimenti futuri (come aveva fatto Mao in vita), perché solo la scienza produce risultati tangibili al contrario della poltiglia ideologica revisionista.
 

La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria, il più imponente movimento di massa dell'intera storia dell’umanità
Sono ormai maturi i tempi per la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria in Cina e, proseguendo, Giovanni Scuderi impartisce una lezione magistrale - per nulla accademica o intellettualistica, bensì divulgativa e didascalica - sull'importanza storica di questo evento rivoluzionario, che è oggettivamente, a partire dai numeri, la più imponente mobilitazione di massa dell'intera storia umana.
Solo per descrivere eventi rivoluzionari fondamentali, alla presa della Bastiglia nel 1789, durante la Rivoluzione Francese, presero parte qualche migliaio di proletari e borghesi parigini, la marcia delle donne su Versailles, nello stesso anno, mobilitò non più di 5.000 donne. Allo stesso modo furono poche migliaia le donne che manifestarono a Pietrogrado, l'8 Marzo 1917, dando inizio alla Rivoluzione di Febbraio e i bolscevichi che, nel Novembre dello stesso anno, assaltarono il Palazzo d'Inverno furono poche migliaia. Durante la Rivoluzione Francese e durante la Rivoluzione d’Ottobre, giudicate comunque da tutti gli storici eventi fondamentali per la storia contemporanea, furono al massimo alcuni milioni gli attivisti e le attiviste che si mobilitarono per cambiare la storia.
La Grande Rivoluzione Culturale Proletaria mobilitò, al contrario, non meno di centocinquanta milioni di giovani nella sola Cina, senza considerare l'influenza che ebbe sulle masse oppresse di tutto il mondo in tutti i continenti. Scrive Scuderi a proposito del movimento politico giovanile, ma non solo, delle Guardie rosse: “con le giovani Guardie rosse Mao ha un rapporto del tutto particolare. Le riceve, in uniforme dell'esercito, nel 1966 per ben sette volte in Piazza Tien An Men. In totale arrivano a Pechino da tutta la Cina 13 milioni di Guardie rosse. La prima volta ne riceve un milione, accetta il loro bracciale e lo indossa ”.
Per comprendere la portata dell'onda rivoluzionaria che investì la Cina a partire dal 1966, si ricordi che Parigi, all'epoca della Rivoluzione Francese raggiungeva a stento i 650.000 abitanti, che la stessa città nel 1871, al tempo della Comune, aveva circa 1.850.000 residenti e che Pietrogrado nel 1917 contava meno di due milioni di abitanti, eppure ne sono accaduti di eventi rivoluzionari in queste città nelle rispettive epoche! Ciononostante la mobilitazione socialista che fu organizzata in Cina a partire dal 1966 non ha mai ricevuto dagli storici borghesi (e neppure, e non è un caso, da quelli revisionisti di area marxista) quell'attenzione che meriterebbe la più grande mobilitazione rivoluzionaria non solo del mondo contemporaneo, ma dell'intera storia dell'umanità.
Essa fu rivoluzione nelle coscienze, un illuminismo del popolo lavoratore praticato non nei salotti, come accadeva nell'Europa e nell'America borghese della seconda metà del XVIII secolo, bensì in ogni aspetto della vita sociale, fece sentire i suoi effetti in tutti i campi, dall'economia alle scienze fino al diritto, e per evidenziare la sua ventata progressista basti ricordare l'esperienza dei medici scalzi (persone comuni, talvolta infermieri che avevano ricevuto rudimenti di educazione sanitaria) che combatterono una vera e propria crociata di progresso scientifico contro sciamani, taumaturghi, guaritori, medici tradizionali i quali non solo non guarivano le malattie ma spesso le aggravavano, ma dovettero soccombere di fronte alla scienza medica introdotta dai medici scalzi: questa battaglia non fu casuale, perché fu la vittoria della scienza sperimentale contro la tradizione empirica degli imbroglioni in pizzetto e cappello conico, così come a livello politico si scontravano la scienza marxista-leninista capeggiata da Mao contro il revisionismo idealistico degli imbroglioni politici, che avrebbe poi portato alla riesumazione del pensiero di Confucio, che aveva insegnato per quasi duemilacinquecento anni agli imperatori, ai mandarini e, in generale, alle classi dominanti cinesi, il modo migliore per spremere il più possibile i lavoratori e per tenerli nell'ignoranza.
Per la cronaca, l'esperienza dei medici scalzi cinesi fu tenuta in grande considerazione dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità, che la considerò esemplare per l'introduzione di cure mediche di base nei Paesi poveri, e cessò in Cina nel 1981, quando il nuovo corso revisionista vietò a tali medici l'esercizio della professione, pur avendo salvato in oltre quindici anni - stima l'OMS - la vita di molte decine di milioni di persone che per la prima volta incontrarono la medicina scientifica.
Sono tantissime le citazioni sulla Grande Rivoluzione Culturale Proletaria che per Scuderi “non aveva solo lo scopo di impedire la restaurazione del capitalismo e quello di costruire e sviluppare il socialismo, ma anche quello di trasformare la coscienza delle masse in senso rivoluzionario secondo la concezione proletaria del mondo, un'impresa enorme e di lunga durata, che può realizzarsi compiutamente con la scomparsa delle classi nel comunismo ”. Ecco quindi profilarsi, tramite la scienza marxista-leninista, un ulteriore aspetto, stavolta psicologico, della rivoluzione socialista, quello dell'interiorizzazione dei principi socialisti e della coscienza rivoluzionaria, tramite i quali soltanto si può costruire la via che porta al comunismo, e senza i quali la stessa legislazione, come stava accadendo nell'URSS, non può che giocare un ruolo conservatore di mantenimento di un ordine e niente più.
Mao traduce in termini laici e autenticamente scientifici per il mondo contemporaneo un'aspirazione antichissima delle società umane, come ciò che il profeta biblico Geremia aveva scritto a proposito della promessa di Dio riguardo alla legge di Mosè, ossia “io metterò la mia legge nell'intimo loro, la scriverò sul loro cuore ” (Ger., XXXI, 33, Nuova Riveduta) affinché gli israeliti fossero un popolo unito e pienamente integrato: ma gli insegnamenti socialisti non provengono da una divinità, che non è niente altro che una sovrastruttura ipotetica creata dalle società umane, bensì dalla riflessione dell'uomo sull'uomo stesso, bensì dalla scienza di Marx ed Engels, i quali hanno scoperto principi che sovraintendono da sempre alla storia umana e al suo mondo, e tali insegnamenti scientifici hanno poi prodotto la riflessione collettiva di centinaia di milioni di entusiasti cinesi - giovani ma non solo - e di altrettante decine di milioni di oppressi in tutti i continenti.
La Grande rivoluzione culturale proletaria - sosteneva Mao, ripreso da Scuderi - è una grande rivoluzione che tocca l'uomo in quanto ha di più profondo, e tende a risolvere il problema della sua concezione del mondo ”: cosa c'è di più bello che scrivere nel più profondo del cuore di tanti innumerevoli giovani principi di progresso - che non sono sterili comandi o divieti, come le leggi invocate da Geremia, ma sono valori socialisti che mirano a educare e forgiare le coscienze - che hanno come scopo finale la realizzazione del comunismo?
Qualcuno potrebbe obiettare che in Cina la Rivoluzione socialista c'era già stata, e si era conclusa con la proclamazione, nel 1949, della Repubblica Popolare Cinese.
È vero, ma la strada che porta al comunismo implica non una, bensì più rivoluzioni anche dopo l'instaurazione di uno Stato socialista e all'interno della stessa società socialista, implica quella che si potrebbe definire una mobilitazione permanente della società: “fare la rivoluzione - afferma Scuderi - per trasformare il mondo e se stessi, in sintesi questo è il concetto di fondo che Mao voleva che fosse acquisito dall'intero popolo cinese. Mao era consapevole che non sarebbe bastata una sola rivoluzione e che sarebbe stato necessario farne altre per assicurare la vittoria definitiva del socialismo”.
Sia Mao sia il suo interprete e divulgatore Giovanni Scuderi sono d'accordo sul fatto che una rivoluzione socialista non sia sufficiente, cosa che non avevano compreso né Marx né Engels né i comunardi e neppure i bolscevichi, non perché fossero poco lungimiranti, ma perché la scienza marxista-leninista procede per esperienza storica e per osservazione dei fenomeni sociali (come accade per tutte le altre scienze), e in questo Mao è stato maestro indiscusso, dando un apporto al movimento internazionale dei lavoratori di portata incalcolabile.
La Grande rivoluzione culturale in corso - scriveva Mao citato dal suo interprete Scuderi - non è che la prima di questo genere; sarà necessario intraprenderne delle altre. Nella rivoluzione la questione di sapere di chi sarà la vittoria non sarà risolta che al termine di un lungo periodo storico. Se non agiamo come si deve, la restaurazione del capitalismo può prodursi in ogni momento. I membri del Partito e il popolo intero non devono credere che tutto andrà bene dopo una, o due o anche tre o quattro grandi rivoluzioni culturali. Restiamo in guardia e non allentiamo la nostra vigilanza ”.
Si misura adesso la distanza tra Mao (che sosteneva che una rivoluzione socialista non era sufficiente, e a dirlo era uno che ne aveva già fatta e vinta una) e Krusciov (per il quale già una sola rivoluzione, quella di Ottobre, non andava del tutto bene, tanto da criticare senza pietà uno dei pilastri di quella rivoluzione - Giuseppe Stalin - e aprire nel diritto e nell'economia una strada controrivoluzionaria, proseguita da Breznev e Gorbaciov, che avrebbe portato a vanificare i frutti di quell'evento epocale).
 

Il revisionismo e la vanificazione della lotta di classe
Giovanni Scuderi, tra le fonti esposte, cita la lettera del Comitato Centrale del PCC al Comitato Centrale del PCUS del 14 giugno 1963 dove, tra l'altro, si legge: “per un periodo storico molto lungo dopo la conquista del potere da parte del proletariato, la lotta di classe continua secondo una legge obiettiva, indipendente dalla volontà dell'uomo, solo la sua forma differisce da quella che era prima della presa del potere (…) È sbagliato, contrario alla realtà e al marxismo-leninismo, negare l'esistenza della lotta di classe nel periodo della dittatura del proletariato, e la necessità di compiere fino in fondo la rivoluzione socialista sui fronti economico, politico e ideologico ”. Il pensiero dei comunisti cinesi del 1963, ripreso dall'oratore fiorentino del 2021, era chiarissimo nel sostenere che la lotta di classe nel periodo della dittatura del proletariato - ossia nella vigenza dello Stato socialista - continuasse e non potesse per nulla cessare. Sia Mao, ispiratore del documento, sia Scuderi - esegeta e divulgatore del pensiero di Mao – che sviluppa e argomenta la dottrina del Maestro cinese, ritengono tale pensiero contrario sia alla realtà sia al marxismo-leninismo, ed è importante sviluppare questi due ultimi punti.
Che la lotta di classe non l'abbiano inventata o ispirata Marx o Engels - e a maggior ragione lo stesso Mao - è nei fatti storici, anche se prima di Marx ed Engels il fenomeno della lotta di classe, pur sempre esistito nella storia, non era mai stato oggetto di analisi scientifica, né vi era la minima coscienza nelle masse in lotta - fossero essi schiavi, contadini o operai - della potenzialità rivoluzionaria della loro lotta, e qui bisogna fare alcuni esempi.
Spartaco e i suoi gladiatori, ai quali si unirono molte migliaia di schiavi, si ribellarono, tra il 73 e il 71 a.C., nell'Italia meridionale a uno dei più spietati e disumani sistemi sociopolitici dell'intera storia umana - il dominio romano - quando in Cina regnava l'imperatore Xuan della dinastia Han, e di Mao, ovviamente, non c'era ancora traccia, per cui è escluso un suo zampino sulla vicenda. Alcuni decenni prima di Spartaco si erano ribellati in Sicilia i lavoratori forzati sotto la guida degli schiavi Euno, Cleone, Salvio e Atenione. Gli storici antichi sono concordi che l'obiettivo politico di Spartaco - sul quale ci sono molte più informazioni degli storici antichi contemporanei che sulle rivolte siciliane - era solo ed esclusivamente quello di valicare le Alpi e di lasciare alle spalle la Provincia romana della Gallia Cisalpina , l'attuale Italia settentrionale. Anche se Spartaco non si proponeva di sovvertire il sistema socioeconomico romano, egli e i suoi sfortunati seguaci certamente fecero lotta di classe, anzi praticarono una forma di lotta armata che potremmo quasi definire rivoluzionaria, ma al solo ed esclusivo scopo di rivendicare la loro personale libertà al di fuori del contesto economico e politico - lo Stato romano - che su di essa si fondava.
I contadini francesi che tra maggio e giugno del 1358 si ribellarono ai loro feudatari mettendo a ferro e fuoco le campagne, non certo perché influenzati dalla Comune di Parigi che sarebbe scoppiata oltre cinque secoli più tardi, ma perché erano esasperati per i saccheggi della guerra dei cento anni e avanzavano rivendicazioni di natura economica e sociale verso i signori.
Oltre un secolo e mezzo più tardi, tra il 1524 e il 1525, la lotta dei contadini tedeschi contro i loro signori mise parimenti a ferro e fuoco la Germania centromeridionale non perché gli agricoltori sfruttati e oppressi fossero teste calde influenzate dalla propaganda di Marx ed Engels, che sarebbero nati circa trecento anni più tardi, bensì per rivendicare diritti economici e sociali nei confronti dei signori.
A Firenze, nel 1378, si sollevarono in massa contro il governo oligarchico fiorentino i Ciompi, ossia gli operai del settore della lana, e lo fecero non perché infiammati da qualche discorso di Giovanni Scuderi (nato oltre 550 anni più tardi e per di più in Sicilia), ma, come i contadini tedeschi e francesi, per rivendicare diritti economici e sociali.
I diecimila operai e operaie che protestarono a Parigi tra il 27 e 28 aprile 1789, a loro volta, non si ponevano ancora il problema della presa del potere politico, ma protestavano contro la minaccia di abbassamento ulteriore dei già magri salari, e anche esso è un episodio di lotta di classe (per i dettagli di tale vicenda storica si veda Il Bolscevico n. 42 del 2016). Quest'ultimo episodio è sicuramente il più significativo tra quelli citati in quanto avvenuto nel contesto di una rivoluzione industriale ormai avanzata (la manifattura Reveillon, i cui operai diedero origine alla rivolta, produceva carte da parati con un sistema industriale, e la fabbrica produceva anche mongolfiere) in una grande città manifatturiera e in un'epoca ormai assai vicina alla nascita delle prime forme di socialismo, eppure si tratta di una rivolta politicamente inconsistente e incosciente.
Ho citato tali esempi storici perché la lotta di classe, come afferma Mao, fa parte della realtà storica ben prima della nascita dei fondatori del socialismo scientifico, Carlo Marx e Federico Engels, ed è bene ribadirlo perché qualche sprovveduto anticomunista potrebbe sostenere che è nata a seguito degli appelli di tali fondatori e di noi tutti comunisti.
Mao non sostiene soltanto che negare la storicità della lotta di classe significa negare la realtà storica, ma sostiene anche che negare la sua importanza significa negare lo stesso marxismo-leninismo.
Infatti un sedicente marxista-leninista che negasse l'importanza della lotta di classe non potrebbe certo negare che essa abbia avuto storicamente luogo, come si è visto dai molteplici esempi storici citati né potrebbe impedire che tale lotta divampi nel presente e nel futuro, ma priverebbe le classi sfruttate della prospettiva politica di andare al potere tramite la rivoluzione, come costantemente testimoniato dalle rivolte o sommosse citate, dove le rivendicazioni erano, al massimo, economico sociali, mai politiche, persino in un'epoca storica relativamente assai vicina a noi (gli ultimi anni del XVIII secolo) e nel contesto della Rivoluzione Francese, la cui importanza storica in senso progressista nessuno mette in discussione.
Questo vale per la lotta di classe nel passato, ma negare, o sminuire, l'importanza della lotta di classe per il futuro è ancora più grave che negarne l'importanza nel passato in quanto equivale a negare, o quantomeno sminuire, l'importanza della stessa rivoluzione socialista, e chiunque lo fa compie una chiara opera revisionista e si pone al di fuori della tradizione dei padri del socialismo scientifico e del movimento internazionale dei lavoratori. Scriveva Giuseppe Stalin nel terzo capitolo di un'opera del 1907 intitolata Anarchia o socialismo? : “gli scioperi, il boicottaggio, il parlamentarismo, la manifestazione, la dimostrazione: tutte queste forme di lotta sono buone come mezzi che preparano e organizzano il proletariato. Ma nessuno di questi mezzi è atto a distruggere l'ineguaglianza esistente. È necessario concentrare tutti questi mezzi in un mezzo principale e decisivo, è necessario che il proletariato insorga e conduca un attacco decisivo contro la borghesia, per distruggere dalle fondamenta il capitalismo. Questo mezzo principale e decisivo è precisamente la rivoluzione socialista ”. Stalin, dieci anni prima dello scoppio della Rivoluzione di Ottobre - quando Mao nella sua nativa Shaoshan aveva ancora i calzoni corti - e avendo come unici testi scientifici di riferimento i soli scritti di Marx ed Engels, che pur salutarono la Comune di Parigi che fu il primo esempio di rivoluzione socialista della storia, aveva ben chiaro cosa significasse la lotta di classe mettendone il luce la fondamentale importanza, e poneva la rivoluzione socialista al culmine della stessa lotta di classe, considerandola il “mezzo principale e decisivo” affinché le classi sfruttate e oppresse potessero prendere e mantenere il potere.
Si è visto sopra come Mao, ripreso da Scuderi, avesse ben chiaro un ulteriore fatto che né i comunardi nel 1871 né Giuseppe Stalin trentasei anni dopo avevano compreso, i primi a causa della drammatica brevità del loro tentativo, il secondo perché l'unica esperienza rivoluzionaria che aveva appena visto era la Rivoluzione russa del 1905, una sorta di Rivoluzione Francese a scoppio ritardato, che non era certo una rivoluzione socialista: Mao aveva compreso che la lotta di classe prosegue necessariamente e inevitabilmente anche all'interno di un sistema, apparentemente consolidato, di tipo socialista, e aveva altresì capito che tale prosecuzione della lotta di classe poteva avere esiti opposti a seconda del fatto che a guidare le masse fossero marxisti-leninisti oppure revisionisti: nel primo caso si sarebbe rafforzato il socialismo, nel secondo si sarebbe tornati al capitalismo, nel primo caso il comunismo si avvicina mentre nel secondo si allontana.
In sintesi, chi sposa il revisionismo - in tutte le sue accezioni - butta letteralmente nella spazzatura la lotta di classe e soprattutto la rivoluzione socialista, quindi indebolisce ulteriormente le classi socialmente subalterne e getta discredito sul socialismo scientifico e sulle sue concrete realizzazioni: il nostro Partito marxista-leninista italiano però non si è mai fatto infinocchiare da nessun falsario revisionista, usando, al contrario, la lente di ingrandimento per scovare le contraffazioni che potrebbero far sembrare socialista ciò che tale non è.
La fine opera di Giovanni Scuderi - sotto la cui direzione sono state pubblicate opere fondamentali della letteratura marxista-leninista, in qualche caso inedita, ed egli stesso è autore di testi divulgativi sul pensiero e sull'opera di Mao Zedong ma non solo - ha dato un apporto decisivo in quest'attività di demistificazione e di chiarimento sulle tesi revisioniste, una battaglia nella quale egli non ha mai fatto un passo indietro e che anche l'ultima, magistrale, lezione fiorentina sta a dimostrare.
 

Il ruolo storico del PMLI nella battaglia contro il revisionismo nel nostro Paese
Scuderi ha ben chiarito quale sia stata e quale sia tuttora la portata e la valenza critica del nostro Partito marxista-leninista italiano nei confronti del revisionismo, che nel nostro Paese, insegna lo stesso Segretario generale, ha origini lontane.
“Il revisionismo moderno - ha solennemente riaffermato - ha avuto in Italia una centrale molto importante e agguerrita, che aveva una grande influenza sui partiti comunisti dei paesi capitalisti, specialmente in Europa. Il portabandiera e il teorico del revisionismo italiano era Palmiro Togliatti, allora Segretario generale del PCI, una mente sopraffina che ha ingannato anche Stalin ”.
Scuderi ha messo bene in evidenza, parlando di Togliatti, che il revisionismo tanto più è pericoloso quanto più è intellettualmente raffinato, e ingannare Stalin, che non era certo un uomo politico sprovveduto, non era certo cosa facile. Ne sa qualcosa Tito che, molto meno fine di Togliatti, fu immediatamente smascherato e messo all'angolo dallo stesso Stalin e da tutto il movimento comunista internazionale.
Mao - prosegue Giovanni Scuderi a proposito di Togliatti - lo teneva nel mirino e l'ha fatto smascherare attraverso due memorabili articoli, che sono stati fondamentali per la presa di coscienza dei primi pionieri del PMLI della natura revisionista del PCI. Il primo, del 31 dicembre 1962, ha per titolo 'Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi' ed è comparso sul 'Quotidiano del popolo'. Il secondo, del febbraio 1963, ha per titolo 'Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi' ed è comparso su 'Bandiera rossa'. Questi due articoli sono la risposta pubblica del PCC agli attacchi che Togliatti e altri avevano sferrato a Mao e ai comunisti cinesi al decimo Congresso nazionale del PCI tenutosi nei primi giorni del dicembre 1962. Essi smantellano punto per punto con ampie argomentazioni tutte le tesi del PCI circa la 'via parlamentare al socialismo', le 'riforme di struttura', lo Stato, l'economia, l'unità tra rivoluzionari e riformisti, il revisionismo moderno, l'imperialismo, le guerre nucleari, le armi nucleari, la guerra e la pace, la coesistenza pacifica, la Costituzione italiana ”.
A proposito delle critiche cinesi alla Costituzione italiana, affermo insieme a Scuderi - e lo faccio con l'autorevolezza di giurista e di studioso del diritto costituzionale, anche comparato - facendo pienamente mie le sue parole, che non si può negare la circostanza per cui “il PCI fin dalla Costituente ha nascosto la natura borghese della Costituzione italiana illudendo le masse che essa conteneva 'elementi socialisti', e al suo VIII Congresso nazionale, tenutosi nel dicembre 1956, non a caso nello stesso anno del XX Congresso del PCUS, ha dichiarato ufficialmente che essa costituiva l'Alfa e l'Omega, cioè l'inizio e la fine, del programma del Partito ”. Ovviamente Togliatti non poteva sconfessare una Costituzione nata da una Assemblea Costituente presieduta da un altro campione del revisionismo - Umberto Terracini - sodale dello stesso Togliatti nell'opera revisionistica, la cui miopia politica, dovuta anch'essa a una concezione revisionista del marxismo-leninismo, gli impedì una corretta lettura del più grande capolavoro diplomatico del XX secolo, il patto di non aggressione tra la Germania nazista e l'Unione Sovietica, che, la storia lo ha chiaramente dimostrato, fu l'unico modo con il quale l'URSS di Stalin si salvò nel 1939 da una quasi sicura e immediata invasione nazista e da una certa disfatta militare. Lo stesso Terracini, con pari superficialità che deriva direttamente dalla sua cultura revisionista, criticò anche il patto di non aggressione tra il Giappone - retto dalla cricca militare imperialista, che nel settembre 1940 aveva sottoscritto il Patto tripartito in chiara funzione antisovietica con la Germania nazista e l'Italia fascista - e l’URSS del 13 aprile 1941, sottoscrizione che dimostra, sul piano storico, che l'URSS era ben consapevole dell'invasione nazista imminente in Europa e voleva garantirsi in oriente. Eppure Terracini, e molti revisionisti con lui, credevano che Stalin e il ministro degli Esteri sovietico Molotov fossero impazziti e iniziassero a tenere bordone ai regimi nazifascisti, mentre non fecero altro che prendere tempo e salvare il salvabile! Questi due trattati, per l'arditezza e l'intelligenza diplomatica, strategica e politica, possono essere messi alla pari soltanto con i trattati stipulati, durante la guerra dei trent'anni, da Danimarca e Svezia protestanti con il primo ministro francese cardinal Richelieu, uno dei più grandi politici e fini diplomatici di ogni tempo, il cui personaggio è presente, come antagonista, anche ne I tre moschettieri di Alessandro Dumas, ma che nella realtà è il vero creatore della potenza francese in Europa.
Tornando alla miopia di Umberto Terracini, alla fine della seconda guerra mondiale l'URSS si ritrovò con Stalin vincitore e con il socialismo esteso nell'Europa orientale e in Cina, mentre a capo dell'assemblea destinata a dare all'Italia la nuova costituzione borghese, frutto di un compromesso al ribasso con le forze borghesi, Togliatti volle proprio un uomo come Terracini, la cui miopia politica è stata ben descritta: non c'è quindi da stupirsi che Togliatti e il PCI confusero quella che era sin dalle origini, e che tuttora è, una Costituzione borghese con qualche sprazzo di progressismo in più di altre con una Costituzione che quasi preludeva al socialismo.
C'è poi un altro episodio che è assai indicativo sia del plateale revisionismo di Togliatti, rispetto alla critica che ogni marxista-leninista deve fare degli avvenimenti storici, sia dei rapporti tra l'attuale Costituzione, quantomeno della sua successiva interpretazione, e il precedente assetto istituzionale fascista: tra il giugno 1945 e il luglio 1946, mentre Palmiro Togliatti era ministro di Grazia e Giustizia dei governi Parri e De Gasperi, il Segretario generale del PCI collaborò strettamente con il giurista e magistrato ordinario Gaetano Azzariti (1881-1961), insieme al quale elaborò la famosa amnistia, che fu promulgata il 22 giugno 1946, la quale, oltre ai reati comuni, concedeva il perdono giuridico ufficiale ai fascisti che si erano macchiati di reati politici, compresi quelli di collaborazionismo con i nazisti occupanti e il concorso in omicidio per ragioni politiche. Azzariti era stato un fascista della prima ora e, da fervente antisemita, aderì al Manifesto della razza del 1938 partecipando alla stesura delle leggi razziali fasciste tra il 1938 e il 1939 e divenendo nel 1938 presidente del famigerato Tribunale della razza, la cui competenza era di discriminare gli ebrei dal resto della popolazione. Domando ora: chi fu la persona che divenne, dal 27 marzo 1957 al 5 gennaio 1961, presidente della Corte costituzionale, organo alla quale gli articoli 134-137 della Costituzione ha assegnato fin dall'entrata in vigore il compito di valutare la conformità delle leggi ai principi della stessa Costituzione, il cui articolo 3 condanna espressamente ogni tipo di discriminazione? Fu proprio Gaetano Azzariti, stretto collaboratore di Togliatti nella redazione dell'amnistia. Ciò dimostra sia quanto Togliatti fu squallidamente revisionista nel dare un giudizio politico positivo su persone che avevano compiuto, da fascisti, le peggiori nefandezze giuridiche sia l'acume politico dei comunisti cinesi nel loro giudizio sulla Costituzione italiana, la cui interpretazione veniva lasciata nelle mani di chi, meno di un ventennio prima, aveva professato idee - si pensi sia all'ideologia fascista sia anche all'antisemitismo e alla legislazione discriminatoria - considerate poi criminali dalla Costituzione stessa e aveva compiuto atti che la Costituzione stessa avrebbe considerato parimenti criminali. I cinesi, naturalmente, erano già informati sull'andazzo istituzionale che avveniva in Italia, e sembra strano che Togliatti non se ne accorgesse, pur partecipando, diversamente dai cinesi, alla vita politica del nostro Paese. Ho parlato di andazzo istituzionale, perché una lettura scientifica marxista-leninista della realtà politica, giuridica e istituzionale non deve fermarsi alla lettera delle dichiarazioni giuridiche, per quanto solenni, ma deve sviscerare tutti i problemi che ruotano attorno a quella lettera, ivi compresa la formazione politica di chi quella lettera è chiamato a interpretare.
Il Segretario generale tuttavia, nel prosieguo del suo discorso, non si ferma alla critica all'opera politica di Palmiro Togliatti e non manca di sottolineare che il revisionismo italiano nasce ben prima di Togliatti: “il pensiero di Gramsci è un pensiero revisionista, non manifestamente tale e perciò non facilmente individuabile, specie nei Quaderni del carcere, se non si ha un'alta conoscenza del marxismo-leninismo e delle divergenze all'interno del movimento comunista internazionale ai tempi di Gramsci ”. Scuderi insiste sulla sottigliezza che può assumere il pensiero revisionista, e mette in guardia sul fatto che tanto più il revisionismo non è apparentemente e immediatamente intellegibile, tanto più è pericoloso. “Gramsci - prosegue - revisiona dalla testa ai piedi sui piani filosofico, teorico, politico, strategico e tattico il marxismo-leninismo a beneficio della borghesia. Tanto è vero che già nel 1946 la sua opera viene collocata nel pantheon della Repubblica italiana ”.
L'oratore fiorentino, interprete del pensiero antirevisionista di Mao, non manca quindi di far notare che “Gramsci, come Togliatti e altri dirigenti del PCI di allora, ha ricevuto in gioventù una formazione borghese liberale influenzata dai maggiori filosofi borghesi e idealisti del tempo Benedetto Croce e Giovanni Gentile ”, dando ampia e analitica dimostrazione di ciò, e la dimostrazione ultima è che il movimento operaio in Italia si è sviluppato soprattutto nel dopoguerra, purtroppo, proprio come avrebbero voluto... Benedetto Croce e Giovanni Gentile!
Poi Scuderi analizza vari temi tratti dai Quaderni dal carcere di Gramsci - non mancando comunque di sensibilità umana nei confronti del politico e pensatore, che fu colpito da una “vile e grave condanna del Tribunale speciale di Mussolini ” - mettendo in luce che “l'elemento dominante di questa analisi opportunista è che la Rivoluzione d'Ottobre non era valevole per l'Occidente, cioè per gli Stati capitalisti, e che quindi per arrivare al socialismo bisognava conquistare, un po' per volta, lo Stato borghese ”. Come si è visto sopra dalla citazione di Stalin tratta da Socialismo o anarchia? - e come si vede da tutta l'opera di Mao, così come magistralmente interpretata e sintetizzata da Scuderi - la rivoluzione socialista è il momento più importante della complessiva lotta di classe che, come si è sopra ricordato, è stata presente costantemente in ogni epoca della storia umana documentata, sin dall'antichità.
Chi nega l'importanza della rivoluzione socialista, nega anche l'importanza della lotta di classe, con la conseguenza che comunque quest'ultima continuerà inevitabilmente nel futuro e non potrà cessare, ma proseguirà e finirà - se le masse non avranno una forte coscienza di classe e rimarranno prive della guida del pensiero marxista-leninista - come finì la sommossa del 28 aprile 1789 a Parigi, con migliaia di lavoratori e lavoratrici che protestavano solo ed esclusivamente per l'abbassamento dei salari già miseri, e per di più con le schioppettate che l'esercito rivolse loro contro!
 

L'analisi di Mao sul revisionismo e la lotta di classe e il ruolo attuale del PMLI
“Un comunista - prosegue Scuderi citando Mao - deve essere franco, leale e attivo, deve mettere gli interessi della rivoluzione al di sopra della sua stessa vita e subordinare gli interessi personali a quelli della rivoluzione, sempre e ovunque, deve essere fedele ai principi giusti e condurre una lotta instancabile contro ogni idea e azione errata, in modo da consolidare la vita collettiva del Partito e rafforzare i legami tra il Partito e le masse; deve pensare più al Partito e alle masse che agli individui, più agli altri che a se stesso. Solo così può essere considerato un comunista”.
Ogni compagno - è questo il pensiero sia di Mao sia del suo interprete Scuderi - faccia autocritica sui parametri comportamentali stabiliti dallo stesso Mao, verifichi se sta agendo in tale modo politicamente costruttivo per se e per la causa socialista o se sta agendo in modo diverso, inevitabilmente distruttivo per la propria crescita politica. Scuderi ci ha offerto esempi molteplici di grandi figure di uomini che, pur armati di coraggio e finanche perseguitati, non sono riusciti a costruire il socialismo.
Gramsci, forse era in buona fede e riteneva che in Italia si potesse realizzare il socialismo, ma le sue analisi si rivelarono sbagliate perché egli, inconsciamente e inconsapevolmente, non si era mai neppure posto il problema di rigettare la sua formazione giovanile idealista, perché la cultura idealista era diventata parte inscindibile della sua formazione. Togliatti era sicuramente molto meno in buona fede rispetto a Gramsci, ma non possiamo escludere che in qualche modo sperasse che, con un colpo di fortuna, potesse condurre l'Italia al socialismo. Di fortuna ce ne sarebbe voluta davvero tanta, perché la sua politica era, di fatto, socialdemocratica, con la quale il socialismo non l'avrebbe visto nemmeno con il cannocchiale.
Ciò significa che ogni marxista-leninista, dall'operaio all'intellettuale - così ho inteso la lezione magistrale sia di Mao sia di Scuderi - deve lottare per impadronirsi dell'approccio metodologico marxista-leninista e, con esso, individuare gli elementi di idealismo presenti in ogni aspetto della società borghese per criticarli e infine rigettarli. Questi aspetti della società e del pensiero borghese – ho chiaramente compreso dalle lezioni di Mao e di Giovanni Scuderi - vanno conosciuti, poi vanno criticamente individuati, e infine rigettati dalla propria formazione culturale.
È difficile, ma è importante smascherare quelli che, come le monete false, costituiscono oggettivamente una vera e propria contraffazione del pensiero elaborato nel corso di oltre un secolo da Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao, pensiero che viene costantemente interpretato, elaborato e divulgato da oltre cinquant'anni da Giovanni Scuderi, che con i suoi scritti ha dato un contributo fondamentale alla comprensione, spesso tutt'altro che facile, dei cinque Maestri del socialismo citati.
L'ultimo di tali insigni esponenti del socialismo scientifico, Mao, ha messo in guardia contro il revisionismo, ha chiaramente messo in conto, alla sua epoca, ciò che sarebbe avvenuto, cioè che l'edificio socialista poteva andare in rovina se il revisionismo fosse andato al potere, e così è stato.
In Italia chi scrive la parola “Mao Zedong” vi legge inevitabilmente “Giovanni Scuderi”, perché quest'ultimo è l'intellettuale che più si è speso nel nostro Paese, e non solo, per la divulgazione del pensiero dell'insigne padre del socialismo scientifico cinese, e per l'esegesi e l'apporto critico al pensiero di Mao lo stesso compagno Scuderi ha acquisito fama e notorietà internazionale.
Come a suo tempo Mao, anche Scuderi ha unito pensiero e prassi politica, e si è visto sopra come nel 1979 ha avuto il coraggio di mandare, politicamente, a quel paese sia il Partito Comunista Cinese sia la Repubblica Popolare Cinese.
Qualcuno potrebbe obiettare che la questione del revisionismo e dell'antirevisionismo abbia un astratto carattere intellettuale e sia priva di riscontri e di ricadute pratiche, ma non è così.
L'interpretazione che Giovanni Scuderi offre del pensiero di Mao non è dogmatica e accademica, bensì dialettica e pratica, perciò l'oratore fiorentino non invita a studiare il pensiero e l'opera di Mao, unitamente alla teoria e alla prassi degli altri Maestri del socialismo scientifico, affinché se ne faccia solo ed esclusivamente cultura accademica, ma invita a impadronirsi del marxismo-leninismo arricchito dal pensiero di Mao come metodo di lavoro, al fine di mettere a fuoco la realtà contemporanea, per trasformarla: oggi non avrebbero senso i medici scalzi in Italia così come la discussione sui culachi e i mugicchi né, per fortuna, gli operai vivono nelle spaventose condizioni descritte da Engels nell'Inghilterra degli anni Quaranta dell'Ottocento, ma dobbiamo osservare l'attuale realtà italiana e mondiale con la metodologia utilizzata a suo tempo per individuare, e risolvere, le contraddizioni esattamente come c'erano all'epoca dei medici scalzi, dei culachi e mugicchi e dell'Inghilterra della prima metà del XIX secolo!
La rivoluzione socialista è e deve essere, secondo Scuderi, l'unico modo con il quale i lavoratori prendano nelle loro esclusive mani il potere nel nostro Paese, perché “in Italia vige il capitalismo che vive grazie allo sfruttamento del proletariato, delle lavoratrici e dei lavoratori, ed è la causa di tutti i mali, le ingiustizie e le sopraffazioni che soffre il popolo italiano. Abbiamo quindi il dovere e il compito di distruggere il capitalismo per eliminare questo stato di cose e instaurare il socialismo e il potere politico del proletariato, affinché il popolo possa avere tutto ciò di cui ha bisogno senza essere più sfruttato e oppresso ”.
Scuderi non fissa dei termini, ritiene che potrebbe volerci un decennio piuttosto che un secolo, ragiona perciò come Galileo Galilei che non avrebbe potuto nemmeno immaginare i progressi della fisica sperimentale quando compiva i suoi esperimenti sulla Torre di Pisa, ma quegli esperimenti li ha compiuti, e noi sappiamo che senza i suoi lavori e, soprattutto, senza il suo metodo nulla, proprio nulla, della moderna tecnologia sarebbe certamente sorto.
“Come dimostra la storia - continua Scuderi - al di fuori del socialismo non esistono soluzioni per liberarsi del capitalismo, incapace persino di risolvere la questione della pandemia di cui è responsabile. Sulla necessità del socialismo in Italia ci stiamo lavorando dal 1967, pur sapendo che il Partito da solo, anche se avesse migliaia di membri e un rapporto con centinaia di migliaia di proletari e di elementi rivoluzionari delle masse, non potrebbe mai realizzarlo da solo. Per questo non ci siamo mai stancati di invitare tutte le forze anticapitaliste a unirsi per combattere il capitalismo e conquistare il socialismo ”.
L'oratore cita, a tal proposito, il documento del Comitato centrale del PMLI dello scorso 17 febbraio, che contiene un appello rivolto a tutte le forze anticapitaliste, con l'ovvia pregiudiziale antifascista, per creare un fronte unitario, non perché il PMLI voglia prostituire il socialismo scientifico e scivolare nel revisionismo ma, al contrario, perché è certo della scientificità del metodo marxista-leninista, capace alla fine di dare risultati concreti e di essere di esempio, semmai, per tutti i lavoratori.
Il risultato dell'appello è proprio quello voluto da Gramsci e Togliatti, con Benedetto Croce e Giovanni Gentile che se la ridono sotto i baffi: “fino a oggi - constata con amarezza il nostro Segretario generale - nessuno dei destinatari ha risposto all’appello del PMLI, anche perché sono impantanati nel costituzionalismo. Persino intellettuali di sicura fede democratica e antifascista come Tomaso Montanari, neorettore dell’Università per stranieri di Siena, e il costituzionalista Gaetano Azzariti [nato nel 1956, docente universitario di diritto, omonimo del presidente della Corte costituzionale citato in precedenza, n.d.a.] ritengono che il programma della sinistra debba essere quello dell’attuazione della Costituzione ”.
Scuderi ritiene comunque che sia un dovere imprescindibile del PMLI “stare a fianco dei lavoratori in lotta e appoggiare i sindacati che li sostengono, siano essi confederali o sindacati di base, auspicando che tutti quanti si uniscano al fine di assicurare la vittoria delle rivendicazioni dei lavoratori ”, non senza che il nostro Partito si batta affinché “si capisca che con le divisioni sindacali e con la separazione dei lavoratori più avanzati da quelli meno avanzati non si riesce a migliorare più di tanto le condizioni economiche e sindacali delle masse lavoratrici ”, per cui “occorre sciogliere tutti gli attuali sindacati e costituire un unico sindacato fondato sulla democrazia diretta e in cui il potere sindacale e contrattuale sia in mano alle Assemblee generali di azienda e a quelle dei pensionati e delle pensionate ”.
Come si vede, la magistrale lezione antirevisionista dell'interprete del pensiero di Mao non è una ammuffita discussione accademica, ma si traduce in attenta analisi delle condizioni socioeconomiche del Paese e genera una prassi che si traduce in precise proposte politiche.
Anche la politica estera viene commentata da Giovanni Scuderi, e con profitto, traducendosi nel sostegno all'autogoverno da parte degli afghani e salutando la vittoria militare dei Talebani contro gli Usa: ciò, ovviamente, non significa che il Partito sposi le tesi talebane e imponga l'obbligo della barba agli uomini e del velo alle donne (ho visto nel Partito poche barbe e baffi tra i compagni, e nessun velo tra le compagne), ma si vuol prendere atto del principio basilare dell'autodeterminazione dei popoli, i quali poi devono risolvere le loro contraddizioni all'interno, comprese le lotte progressiste delle donne e, in generale, della popolazione in senso socialista.
Anche in questo il PMLI ha giocato d'anticipo, quando ha immediatamente invitato, prima formazione politica italiana subito dopo la presa di Kabul, il governo italiano a riconoscere quello talebano: il PMLI fu aspramente criticato, ma alcuni giorni dopo anche Giuseppe Conte ha sostanzialmente detto la stessa cosa, e certamente un'occhiata al comunicato del PMLI l'ha data. Se non si utilizzano i criteri scientifici marxisti-leninisti non si può fare la sottile distinzione tra il riconoscimento dell'autogoverno di un popolo e l'appoggio politico a un determinato regime, e si cade nell'errore della grossolana condanna di tutto e di tutti, come fece Terracini con i trattati di non aggressione stipulati dai sovietici - i quali non si convertirono al nazifascismo ma si cautelarono, al contrario, dai nazifascisti - e la storia ha dato ragione all'Unione Sovietica e a Giuseppe Stalin.
La propaganda imperialista - prosegue Scuderi - sta facendo un gran chiasso sulla necessità di ospitare e assistere chi scappa dall’Afghanistan. Ma chi sono costoro? Sono i collaborazionisti degli aggressori e degli occupanti, prezzolati che hanno svenduto la libertà del proprio popolo e la sovranità e l’indipendenza del proprio Paese. Che preoccupazione allora possono avere gli antimperialisti e i pacifisti per questi traditori e servi dell’imperialismo? No non ce ne occuperemo e li lasciamo alla giustizia del governo afghano, come è normale in questi casi ”: questa condanna inappellabile del collaborazionismo con l'occupante straniero è la posizione della critica marxista-leninista, ossia quella del compagno Scuderi e del PMLI, mentre la posizione revisionista preferirebbe un'amnistia nei confronti di chi si è intrallazzato con l'aggressore e occupante straniero (Togliatti, batti un colpo se ci sei!), e questi due approcci antitetici segnano la differenza tra i marxisti-leninisti e i revisionisti, sono l'esempio più lampante di coloro che credono nell'autodeterminazione dei popoli e coloro che, con svariati pretesti umanitari, se ne infischiano, in nome di ideali astratti, di quell'autodeterminazione.
Questa è la lezione che ho ricevuto dal discorso di Scuderi: ne ho cercato riscontri nella storia documentata, ho confrontato la metodologia del socialismo scientifico con quella delle altre scienze, ho anche introdotto ulteriori elementi di riflessione, ho esaminato le fonti alle quali ha attinto l'oratore, e ritengo il discorso un vero e proprio monumento politico, reso ancor più saldo dalla grande autorevolezza e dalla vita esemplare e coerente di chi l'ha pronunciata.
Invito tutti i militanti, i simpatizzanti, i collaboratori de Il Bolscevico , tutti i compagni a far tesoro di tali parole e degli insegnamenti che contengono.
 

Un vecchio e traballante tavolinetto, quattro sgangherate sedie, tre marxisti- leninisti e un intellettuale borghese
Nell'ultima, breve, parte del mio lavoro mi rivolgo direttamente a te, compagno Giovanni Scuderi, mio Segretario generale.
Quando lessi che la prima Redazione de Il Bolscevico aveva “tre vecchi e traballanti tavolinetti, qualche sgangherata sedia ” e poche altre cose (Il Bolscevico n. 45 del 2019) mi sono ricordato della prima volta in cui mi recai alla Sede centrale del PMLI, che era allora in via Gioberti a Firenze, dove fui ricevuto da te, compagno Scuderi, alla presenza di Mino Pasca e Dario Granito, ed effettivamente ci accomodammo tutti e quattro su vecchie sedie attorno a un tavolino di legno piccolissimo.
Non ho la certezza che fossero le stesse sedie e uno dei tavolinetti che arredavano la prima sede de Il Bolscevico , mentre sono certo che tu, Dario e Mino avevate lo stesso entusiasmo dei marxisti-leninisti che alcuni decenni prima avevano dato vita all'esperienza politica che aveva espresso Il Bolscevico .
Tu commentasti un mio scritto, che non trattava comunque di politica ma di ben altro, insieme a Dario e Mino, conversammo affabilmente tutti insieme e alla fine, prima di congedarmi, tu mi dicesti: “tu sei un ottimo intellettuale progressista borghese, ma io desidererei che tu diventassi un ottimo intellettuale marxista-leninista ”.
Mi ero informato sul Partito marxista-leninista italiano e già conoscevo la sua coerenza e la sua serietà, ma vengo da una famiglia interamente comunista e nella mia vita né breve né lunga mi ero ritenuto sempre, e tuttora mi ritengo, solo ed esclusivamente comunista, per cui presi la tua frase come una provocazione intellettuale, una sfida politica, e mi chiesi: “cosa ha voluto dire precisamente il Segretario generale, il compagno Giovanni con questa frase? ”.
Ci riflettei, e la cosa finì lì senza che potessi darmi una risposta, ma nel frattempo avevo iniziato a leggere con profitto alcune opere scelte di Mao e altri classici del pensiero marxista, comprese alcune tue pubblicazioni tra le quali il volumetto intitolato Mao e le due culture .
Da quel momento, e solo da quel momento soprattutto grazie alla tua esegesi del pensiero di Mao, iniziai a comprendere che due culture contrapposte, quella materialista e quella idealista, sono inconciliabili tra di loro, e proseguii negli studi dei classici del marxismo, iniziando anche la mia collaborazione con Il Bolscevico, ricevendo preziosi consigli per la mia formazione politica da Mino Pasca e da Dario Granito, oltre che dalla tua persona, autorevolissima per pensiero ed opere.
Ora, a distanza di anni, affermo che di quelle sgangherate sedie e quel tavolino traballante ho un ricordo ben più vivo che di tante sontuose sale di rappresentanza che hanno ospitato convegni e accademici dei quali non ricordo nulla, mentre le tue parole le ricordo ancora, e capisco il perché.
Tu, contrariamente a tanti dotti conferenzieri borghesi che non credono a una sola parola di quello che dicono, parlasti con la forza della verità, con l'onestà di chi ha vissuto bene e con la coerenza di chi ha fatto nella vita le cose che riteneva giuste, e che giuste sono.
Ora capisco, caro compagno Giovanni, che la cultura borghese è sovrastruttura intellettuale creata dalle classe dominanti per infinocchiare le classi dominate, che usa spesso parole straniere per rendere difficilmente comprensibile ciò che sta accadendo, per incatenare le masse popolari nell'ignoranza, per impedire la messa a fuoco della realtà, per nascondere alle masse popolari quel cannocchiale intellettuale che è la scienza marxista-leninista. Ho ben compreso che le classi dominanti imbrogliano da sempre, tramite intellettuali tanto prezzolati quanto intellettualmente disonesti, quelle dominate un po' come Buffalmacco, Bruno e Simone - lo attesta Giovanni Boccaccio nel suo Decamerone - infinocchiavano Calandrino facendogli credere ogni sorta di sciocchezze, con la differenza che la cultura borghese non si limita ad abbindolare qualche povero sprovveduto, che già sarebbe eticamente inaccettabile, ma miliardi di esseri umani e mette a rischio, con il suo sistema capitalista, la stessa sopravvivenza del genere umano.
Ho voluto ricordare il mio percorso intellettuale per ricordare che i tuoi preziosi consigli, compagno Segretario generale, hanno inciso profondamente nella mia formazione, e invito tutti allo studio dei classici del marxismo-leninismo, e tra tali classici bisogna ormai comprendere le tue opere, i testi che portano la tua firma, quella di Giovanni Scuderi, tramite i quali hai letto criticamente la storia italiana degli ultimi decenni fornendo spunti di riflessione marxista-leninista che è impossibile trovare altrove.
I classici marxisti-leninisti, e soprattutto le opere di Mao delle quali tu sei fedele interprete, aprono la mente del proletariato come Il principe di Machiavelli apriva quella dei signorotti al potere, ma i primi consentono alle classi subalterne di lottare coscientemente contro il sistema fino alla rivoluzione socialista, mentre il secondo consentiva ai mentecatti al potere di raffinare le loro nefandezze per sguazzare meglio alle spalle delle classi dominate, ma c'è un rischio.
Il rischio è quello che la borghesia, compagno Giovanni, trovi gli antidoti intellettuali al pensiero dei Maestri del socialismo scientifico per poterne indebolire prestigio e portata intellettuale, così com’è accaduto storicamente che Il principe , finito nelle mani di intellettuali progressisti, abbia alzato la guardia delle classi subalterne.
Alla fine, comunque, la realizzazione del socialismo sarà inevitabile, e mi permetto di suggerire a te, se già non lo hai fatto, di considerare l'esperienza dell'URSS di Lenin e Stalin, e della Repubblica Popolare Cinese di Mao come altrettante, e ben più gigantesche, Comuni di Parigi, esperienze che, in una prospettiva storica futura, insegneranno ai marxisti-leninisti del futuro a non ripetere gli errori - in primo luogo quella della frode revisionista contro la quale tu sei stato da sempre uno strenuo combattente - e a non patirne le disastrose conseguenze.
Per ciò che mi riguarda e alla luce dei principi di critica e autocritica che tu, compagno Giovanni, mi hai insegnato tramite la tua esegesi e divulgazione del pensiero e delle opere dei Maestri del socialismo scientifico, ho esaminato sin da quel momento te, la tua vita, le tue opere e i tuoi scritti, e in te non ho trovato errori né li ho trovati nelle opere e negli scritti, e se ne avessi trovati lo avrei detto con franchezza.
Ho esaminato anche la mia vita a partire dal momento in cui tu mi dicesti “tu sei un ottimo intellettuale progressista borghese, ma io desidererei che tu diventassi un ottimo intellettuale marxista-leninista ”, e riconosco che da intellettuale borghese ora mi sento intellettuale marxista-leninista, non perché abbia abbandonato i classici della cultura non marxista-leninista, ma perché ormai li leggo con gli occhiali marxisti-leninisti e mi sforzo di farne critica in tale ottica. Ti dico anche che devo fare ancora tanto per poter sempre di più essere di aiuto al proletariato, l'unica classe alla quale il potere - per usare le parole del compagno Loris Sottoscritti, parole che devono essere realmente sottoscritte (mi si perdoni il bisticcio di parole) da ogni persona che si definisca comunista - spetta di diritto “perché tutta la ricchezza del nostro Paese è creata dal proletariato ” (Loris Sottoscritti, Mao e la missione del proletariato , discorso pubblicato su Il Bolscevico n. 33 del 2014).
Ho compreso, compagno Segretario generale, che l'unico strumento con il quale i lavoratori potranno conquistare il potere è la rivoluzione socialista che implica necessariamente la violenza, con i limiti e con le modalità che il nostro Partito, per bocca di un suo autorevole esponente, stabilì in modo chiarissimo: “accettare e impugnare - insegnò a suo tempo un altro grande esempio di vita e di pensiero marxista-leninista, il compagno Dario Granito, fraternamente unito nel socialismo scientifico - il principio della necessità della violenza rivoluzionaria di massa nella lotta di classe per il socialismo, è una cosa giusta, necessaria e corrispondente all'esperienza del movimento operaio internazionale e nazionale, ma praticare tale violenza a vanvera, senza una strategia e una tattica rivoluzionarie, fuori luogo, fuori tempo e senza avere alle spalle larghe masse ben preparate allo scontro è un gravissimo errore politico, se ne sia coscienti o meno, che porta sempre pesanti danni alla causa del proletariato in seguito riparabili solo a prezzo di grandi sacrifici e fatiche ” (Dario Granito, La posizione del PMLI sulla violenza rivoluzionaria e il terrorismo , pubblicato su http://www.pmli.it/violenzaeterrorismo.htm).
Oggi non so che fine abbiano fatto il tavolinetto e le sedie, ma è certo che i tre marxisti leninisti godono di ottima salute e che l'intellettuale presente all'incontro è, da discepolo di tutti e tre, un marxista-leninista.
Ora, caro compagno Giovanni, mi congedo affidandoti questo mio scritto, lo metto nelle tue autorevoli mani, fanne quello che credi, perché tutto ciò che farai sarà giusto, saggio e onesto come lo è sempre stata la tua vita, e non bisogna mai temere il giudizio di un uomo onesto: se ritieni che sia troppo lungo e che sia difficile pubblicarlo fanne pure quello che vuoi, ma sappi che non basterebbe un volume per commentare ciò che di positivo c'è nel tuo grandioso discorso.
Correggimi sempre, compagno Giovanni, se commetto errori e se ne ho commessi in questo scritto o altrove, e fammi correggere dai compagni che hanno più esperienza e da qualsiasi altro compagno, perché la tua correzione è preziosa e mi troverai sempre umile come mi trovasti in via Gioberti, quando tu dicesti, da maestro, una parola e io, da allievo, la accolsi.
Sappi infine che ti voglio bene, perché con la tua immensa conoscenza e la tua profonda umanità trasformi davvero la vita delle persone, la cambi in meglio, e invito tutti coloro che sono vicini al socialismo, tutti i sinceri democratici - e soprattutto invito i giovani e le giovani - a unirsi, grazie anche al tuo fondamentale esempio di vita, opera e dottrina – e, ovviamente grazie all'esempio concreto di tanti altri validi compagni e gentili compagne - al nostro Partito marxista-leninista Italiano, alla sua costante lotta contro ogni forma di truffa revisionista e di conseguenza al suo programma di lotte, teoriche e pratiche, per cambiare l'Italia e il mondo e per il trionfo del socialismo.
Viva i padri e Maestri del socialismo Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao!
Viva il Partito marxista-leninista italiano con tutti i suoi compagni e compagne!
Con tutti loro vinceremo!
Lavoratori di tutti i Paesi, unitevi!

 

Gior - Roma

13 ottobre 2021