Educazione e Rivoluzione

Carlo Cafiero, Napoli
Negli ultimi decenni, il mercato globalizzato, dominato dal capitalismo più sfrenato, ormai nella fase suprema dell’imperialismo , e dal pensiero unico (il cosiddetto politically correct ), ha acuito le disuguaglianze sociali e ha imposto un modello educativo economicistico e autoritario. In questa cornice verticistica, si è assistito alla reductio ad mercaturam della Scuola e dell’Università; l’autonomia, le capacità e la libertà del docente hanno ceduto il passo alle cosiddette metodologie e alla burocratizzazione che, calate dall’alto, hanno svilito e umiliato il suo ruolo sociale e culturale. In tal modo, è stato stravolto anche l’articolo 33 della Costituzione (borghese) italiana secondo cui “l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento” . Il peso soffocante di questo nuovo ordine autoritario, si avverte anche nel linguaggio aziendalistico utilizzato, dove i risultati della ricerca si chiamano prodotti , la conoscenza acquisita è misurata in crediti formativi e “gli insegnanti sono considerati risorse umane e vengono gestiti al pari di strumenti finanziari e strutturali con efficienza ed efficacia, in un’ottica di tipo aziendalista tesa a contenere i costi per massimizzare i profitti (nel senso degli esiti) ” (cfr. [1], p. 255). Il tutto viene poi controllato da un meccanismo valutativo impersonale e mostruoso in cui l’INVALSI e l’ANVUR ricordano un po’ i Guardiani della società distopica del romanzo “Noi” scritto esattamente un secolo fa da E. I. Zamjatin [6]. Le politiche scolastiche e universitarie sull’insegnamento-apprendimento hanno ridotto le discipline, soprattutto quelle tecnico-scientifiche, sempre più e meri utensili, degradando così l’insegnamento a palestra in cui si addestrano gli individui alle competenze, al “saper fare” più che al “saper come”, validi esecutori ben classificati , da inserire nel ciclo produttivo delle nostre società senz’anima asservite al profitto e all’efficientismo.
Dalle considerazioni precedenti, appare evidente che, per cercare di affrontare tale problematica, rimanendo ben ancorati all’orizzonte marxista-leninista, è opportuno inquadrarla in un ambito più generale che coinvolga lo sviluppo educativo di un individuo nella sua totalità. Occorre quindi ripensare ad una educazione che scuota le coscienze, invece di narcotizzarle, che instilli il dubbio metodico , invece di fornire certezze preconfezionate, che susciti domande (e quindi fruttuosa inquietudine ), invece di dare risposte e ricette. In altre parole, è necessaria un’educazione di ampio respiro antropologico che contrasti e sovverta una realtà ingiusta ed opprimente e che abbia un orizzonte teleologico in cui vengano perseguiti i fini irrinunciabili che una educazione liberatrice è chiamata a promuovere. In tale ottica, sono un riferimento fondamentale, tra altri, le teorie educative del pedagogista brasiliano Paulo Freire (1921-1997), le cui “La Pedagogia come pratica di libertà” ([2], 1967)) e “Pedagogia degli oppressi ” ([3], 1968), figurano tra le opere più significative del pensiero pedagogico del Novecento. La pedagogia di Freire, che in America Latina ha fortemente influenzato la teologia della liberazione , un tentativo volto a coniugare principi del marxismo con quelli cristiani, trova delle anticipazioni nel metodo di Maria Montessori (1870-1952) e in quello di Lorenzo Milani (1923-1967).
Come è noto, la parola Educazione viene dal verbo latino educere , che significa “trarre fuori”. L’educazione indica quindi un processo attraverso il quale l’educatore fa emergere, fa sbocciare i “semi di verità” presenti nell’educando. In tale contesto, un esempio famoso è sicuramente il metodo maieutico di Socrate descritto in vari dialoghi di Platone (ad esempio, nel Teeteto e nel Menone ). Seguendo l’impostazione di Freire, che cosa, dunque, non dovrebbe essere l’educazione? Un’educazione bancaria , che trasforma gli educandi in recipienti, in vasi da riempire, riducendo così il processo educativo in un atto di continuo deposito di contenuto . In tal modo, si dicotomizza il rapporto fra educatore ed educando, dando al primo un ruolo attivo, come unico soggetto del processo educativo, e al secondo un ruolo esclusivamente ricettivo. Questo tipo di educazione alimenta la concezione che il sapere, la scienza e la storia siano determinismo e non possibilità e diventa strumento di addomesticamento dell’uomo. Come si vede, si tratta di una concezione economicistica dell’educazione in cui il valore sociale di una persona viene ad essere “direttamente proporzionale” al suo potere d’acquisto .
Per converso, il percorso educativo si avvia nel momento in cui si entra in autentica relazione con la realtà abbandonando un’idea ingenua e superstiziosa di essa, spesso ereditata dalla cosiddetta cultura dominante dell’immobilismo. Il presupposto dell’educazione è la consapevolezza, la presa di coscienza del fatto che la “vocazione specifica dell’essere umano è quella di essere di più. Dove c’è vita c’è incompiutezza. L’educazione è dialogica e problematizzante ; essa si oppone ad ogni forma di passività come provocazione che responsabilizza. In questo contesto, le dimensioni esistenziali diventano la ricerca, la curiosità e la creatività. Le caratteristiche dell’educazione dialogica sono sintetizzate da Freire nelle seguenti parole: “amore ”, “umiltà ”, “autorevolezza ”, “ascolto ”, “speranza ”, “coerenza ”, “creatività ”. Nella Pedagogia degli oppressi Freire parla di amore come di quella precondizione, caratterizzata da autenticità, flessibilità, responsabilità, coraggio e intelligenza, che è generatrice di atti rivoluzionari . In una cornice siffatta, l’educatore con coerenza e autorevolezza, ma anche con umiltà e disposizione all’ascolto, entra in empatia con l’educando e, attraverso il dialogo e il confronto, lo porta gradualmente alla (ri)scoperta di quelle potenzialità il cui obiettivo è la Bildung , cioè lo sviluppo integrale dell’individuo, che ha coscienza di sé, del proprio valore intrinseco e del suo ruolo come cittadino del mondo. Tutta l’azione deve essere supportata da una speranza radicale che dischiude un nuovo cielo e una nuova terra che per essere percorsi necessitano da ogni parte di una autentica creatività . La creatività consiste nell’intraprendenza mentale che porta a immaginare una moltitudine di mondi possibili, perché, riprendendo le parole di Lenin, “l’utopia di oggi sia la realtà di domani” . Il dialogo, la comunità e lo stare insieme con pari dignità, sono aspetti imprescindibili della ricerca. Coloro che hanno maggiore esperienza, i maestri, guidano con pazienza e autorevolezza (non autorità) gli allievi, i quali, con umiltà e fiducia sempre più consapevole, si incamminano verso un orizzonte comune, i cui “colori” sono l’attenzione, il linguaggio pregno di significato, l’amore per il sistema e la capacità di individuare somiglianze e forme fra cose diverse. Nell’orizzonte del percorso educativo di Freire ha un ruolo fondamentale il concetto di verità . Essa “è sempre concreta” (Lenin) e potrebbe essere identificata con la giustizia e il bene sociale conquistati con la “lotta di liberazione” seguita alla presa di coscienza di sé e del valore intrinseco e universale che l’uomo ha. In questo senso, si tratta di una verità a cui si accede gradualmente, passo dopo passo, e che spesso resta confinata in un orizzonte ideale verso cui si tende e che dà un significato alla propria esistenza.
All’inizio del quarto capitolo della Psicologia degli oppressi (cfr. [3], p. 121), Freire afferma che “gli uomini sono esseri del ‘che fare’, perché il loro ‘che fare’ è azione e riflessione. È prassi. È trasformazione del mondo. È riflessione e azione. Come non pensare al “Che fare” di Lenin [4]? Queste parole mostrano chiaramente che se si vuole trasformare una certa realtà, l’azione va sostenuta dalla riflessione, dalla consapevolezza, dalla coscientizzazione del proprio stato e della propria classe , e dalla conoscenza di quell’angolo di mondo. È questo il punto di partenza dell’educazione alla rivoluzione , perché, come disse Lenin, “uno schiavo che non ha coscienza di esserlo e che non fa nulla per liberarsi, è veramente uno schiavo. Ma uno schiavo che ha coscienza di essere schiavo e che lotta per liberarsi, già non è più schiavo, ma uomo libero ” [5].

 


Riferimenti bibliografici
[1] COLELLA S.: GENERALI D., MINAZZI F., La scuola dell’ignoranza , Mimesis, Milano, 2019.
[2] FREIRE P.: L’educazione come pratica di libertà , Mondadori, Milano, 1975.
[3] FREIRE P.: La pedagogia degli oppressi , Edizione Gruppo Abele, Torino, 2011.
[4] LENIN V. U.: Che fare? , Edizioni Lotta Continua, 2004.
[5] LENIN, V. U.: Sull’orgoglio nazionale dei Grandi-Russi , Sotsial-Demokrat 35 (1914).
[6] ZAMJATIN E.: Noi , Oscar Mondadori, Milano 2020.

20 ottobre 2021