La legge Fornero deve essere abrogata
I sindacati confederali rompono sulle pensioni, ma poi cercano subito la mediazione
Draghi si alza e abbandona l'incontro. La Fornero scrive a Landini per difendere la controriforma che porta il suo nome

Ad un certo punto il banchiere massone Draghi si è alzato annunciando che se ne sarebbe andato, accampando la scusa di avere “altri impegni”. Così è terminato l'incontro con Cgil, Cisl e Uil che si stava svolgendo nella Sala Verde di Palazzo Chigi, quella solitamente usata per stringere gli accordi importanti. Qui si sono firmati i cosiddetti “Patti sociali”, ovvero quelle intese siglate a discapito dei lavoratori come quello sulla concertazione, sui redditi e la produttività, tra i sindacati confederali e il governo Ciampi raggiunto nel luglio 1993.
 

Draghi “irritato”
Martedì 26 ottobre le cose sono andate diversamente da quanto previsto dal capo del governo e, almeno per il momento, non è stato raggiunto nessun accordo sul tema delle pensioni. Di fronte alla posizione dei sindacati, che hanno chiesto di non tornare automaticamente indietro alla legge Fornero a seguito della fine di “quota 100”, Draghi ha deciso di troncare la discussione.
Evidentemente è abituato a dare ordini che gli altri eseguono senza discutere, come fa il capo di una banca con i suoi manager, ad essere adulato dalla finanza e dalla stampa di regime, ad elargire sorrisi e pacche sulle spalle a chi è in piena sintonia con lui, come ha fatto con il capo di Confindustria Bonomi, a mostrarsi aperto e amichevole con gli stessi Landini, Sbarra e Bombardieri quando questi accettano supinamente le sue decisioni, o benevolo nei confronti delle sceneggiate di Salvini. Al primo scontro, al primo contraddittorio serio, per la prima volta da quando ricopre la carica di Presidente del Consiglio, é stato descritto come “irritato”.
L'incontro aveva al centro la prossima Manovra di bilancio, la discussione si è poi incentrata sulle pensioni e sul termine di “quota 100” (dovuta alla somma dell'età del lavoratore più gli anni di contribuzione), necessaria per andare in pensione. Questa era stata finanziata per soli tre anni dal governo Conte I, quello sostenuto dai 5 Stelle e dalla Lega, usata per scopi propagandistici ma che nel concreto aveva permesso, sia pure a costo di un assegno decurtato, l’anticipo della pensione per migliaia di uomini e donne, specie per chi oramai sessantanne e senza lavoro, non aveva nessuna prospettiva di trovare un nuovo impiego. Inizialmente al suo posto il governo aveva proposto ai sindacati quota 102, 103 e 104 con l'obiettivo di rientrare in un biennio nella Fornero, poi ha avanzato una versione ancora più stringente: quota 102 (64 anni di età e 38 di contributi) per un solo anno, il 2022.
 

Il governo non concede niente
Le uniche concessioni, ancora ipotetiche, che il governo intende fare sono quelle di confermare per un anno l’opzione donna, per la quale servono 58 anni d’età e 35 di versamenti ma con un assegno interamente “contributivo” e quindi fortemente decurtato, e l'ampliamento dell’Ape Sociale. Ma nei termini anticipati l'impatto di questi “aggiustamenti” sarà debolissimo: i soldi stanziati sono pochi, appena 600 milioni, come pochi sono i lavoratori che svolgono attività gravose ed usuranti coinvolti.
Una girandola di numeri e quote, dalla quale emerge chiaramente che per Draghi non esiste l’ingiustizia sociale provocata dall’ennesimo colpo di scure sulle pensioni dei lavoratori, lui antepone lo spauracchio del disavanzo di bilancio su tutto e partendo da questo considera impossibile dirottare importanti quote delle finanze dello Stato verso la previdenza pubblica, a discapito magari di ulteriori agevolazioni alle aziende private.
Draghi vuole un ritorno alla Fornero nella sua forma originale, ossia calcolo completo su base contributiva, 43 anni di lavoro per andare in pensione “anticipata”, età pensionabile a 67 anni con la prospettiva di arrivare ai 70 perché gli adeguamenti alla speranza di vita si fanno solo quando questa cresce, mai quando purtroppo diminuisce come a causa della pandemia.
 

Irricevibile anche la proposta dei sindacati
Nei giorni successivi, con l'arrivo al Consiglio dei Ministri del testo della Manovra economica per il 2022, arrivava la conferma che sulle pensioni, per le scarse risorse economiche che gli vengono riservate, il governo intende rimandare al massimo di un anno il ritorno integrale alla Fornero. E i sindacati? Cgil, Cisl e Uil subito dopo la rottura delle trattative avevano alzato i toni, che però sono stati subito abbassati. Lo stesso Draghi ci crede poco a una forte opposizione dei sindacati confederali, e intervistato dichiarava: “non mi aspetto uno sciopero generale, mi sembrerebbe strano”.
In effetti la proposta sindacale non è poi così radicale e lontanissima da quella governativa. Il segretario del pensionati della Cgil Ivan Pedretti ha chiarito che la richiesta di riforma avanzata dai sindacati non mira a cancellare la Fornero e, dunque, l’intero percorso iniziato nel 1996 con la controriforma Dini: “Nessuno vuole togliere la Legge Fornero”. “Chi attribuisce al sindacato l’idea di tornare al sistema retributivo non conosce la storia delle pensioni -ha aggiunto Domenico Proietti (Uil)-. Cgil, Cisl e Uil hanno sottoscritto nel 1995 la riforma Dini che realizzava il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo. Su quella riforma il sindacato mise la faccia”.
La proposta dei confederali è quella di uscire dal mondo del lavoro a partire da 62 anni, con almeno 41 anni di contributi a prescindere dall'età. È la stessa che propone la Lega, solo che il partito di Salvini per abbindolare i suoi elettori afferma, al contrario dei sindacati, che la sua proposta cancella la Fornero, che invece mantiene invariato tutto il suo impianto centrato sulla contribuzione e sulla forte penalizzazione di chi va in pensione prima dei 67 anni.
 

La lettera della Fornero a Landini
Per scongiurare che Cgil-Cisl-Uil ostacolino in qualche modo il banchiere massone Draghi e l'ammucchiata governativa che lo sostiene, è scesa in campo anche la stessa Fornero, con una lettera indirizzata al segretario generale della Cgil, Maurizio Landini. Nel testo, pubblicato dal quotidiano torinese La Stampa, l'ex ministra spinge sulla retorica e la mistificazione dei vecchi contro i giovani e dei garantiti contro i precari.
Contestare la legge che porta il suo nome equivarrebbe “al venir meno di un patto economico tra le generazioni che proprio nel sistema previdenziale trova una delle sue maggiori manifestazioni” e “non sarebbe responsabile, ora, effettuare nuovamente scelte in tale materia” senza tener conto delle situazioni più svantaggiate che subiscono le giovani generazioni di lavoratori, come se queste non fossero state generate dal sistema economico capitalistico che oramai utilizza in maniera estesa e generalizzata la discontinuità, flessibilità e precarietà del rapporto di lavoro.
Ci vuole la sua faccia tosta per dire che “è stato improprio usare il pensionamento anticipato delle donne in sostituzione dei servizi di cura”, per giustificare l'allineamento dell'età pensionabile tra uomini e donne quando tutti i governi, centro-destra e “centro-sinistra”, compreso quello in cui lei era ministro, hanno ulteriormente indebolito i servizi pubblici che alleviavano le masse femminili (asili, scuole, mense, assistenza ecc.).
 

Abrogare la legge Fornero
Per recuperare il terreno perduto e riconquistare pensioni più dignitose occorre cancellare la Fornero e tornare al sistema retributivo che assicurava a chi lasciava il lavoro l'80% del vecchio stipendio. Mentre in prospettiva, per le giovani lavoratrici e giovani lavoratori occorrono posti di lavoro stabilizzati, perché con l'occupazione a singhiozzo, stage, apprendistato e quant'altro evidentemente nessuno, anche con il vecchio sistema, potrà arrivare ad avere un assegno pensionistico decente.
I sindacati confederali hanno annunciato una “mobilitazione” fatta di assemblee e iniziative locali, mentre i metalmeccanici della Fiom hanno in programma un pacchetto di 8 ore di sciopero, che già ha suscitato i mugugni di Cisl e Uil. Ci sembra veramente poco. È urgente e necessario proclamare subito lo sciopero generale, richiesta che sale con sempre maggior forza dai lavoratori di tutte le sigle e da chi non ha tessera sindacale. Altrimenti finirà come tante altre volte: prima l'annuncio di una mobilitazione generica e inoffensiva, poi il rinvio dello scontro col governo e la rinuncia alla lotta e, infine, l'accettazione supina delle misure antioperaie e il ritorno alla concertazione col governo e i padroni.
Non solo sul tema delle pensioni, ma anche contro la politica del governo Draghi in generale, che lascia carta bianca ai licenziamenti e alle delocalizzazioni, che comprime ulteriormente i salari più bassi d'Europa, che d'accordo con la Confindustria intende utilizzare la maggior parte dei fondi del PNRR per agevolare le aziende e le grandi opere, lasciando le briciole ai servizi pubblici e sociali e caricando sulle spalle dei lavoratori e delle masse popolari il debito pubblico.

3 novembre 2021