No al divieto di manifestare e no Daspo a Trieste

Di fronte a un movimento contro il green pass che non accenna a spegnersi e che da settimane scende in piazza in diverse città e regioni del Paese, cresce la tendenza dei governi centrale e locali di vietare le manifestazioni accampando i più vari pretesti, generalmente per il pericolo sanitario o per non intralciare le attività lavorative e commerciali nelle città.
È quel che è successo intanto a Trieste, città in cui il movimento contro il lasciapassare vaccinale, nato dalla protesta dei portuali, è tuttora ben vivo e attivo ed ha una consistente base di massa tra i lavoratori, e dove il 31 ottobre il sindaco berlusconiano Roberto Dipiazza e il prefetto Valerio Valenti hanno annunciato la chiusura alle manifestazioni della grande piazza dell'Unità d'Italia fino al 31 dicembre. “In piazza Unità d'Italia, da sempre considerata a disposizione di tutti, sarà compresso momentaneamente il diritto a manifestare. Non potrà essere teatro di ulteriori manifestazioni fino al 31 dicembre”, ha annunciato infatti il prefetto accingendosi a firmare il provvedimento prima del suo trasferimento a Firenze. E il neo rieletto sindaco di “centro-destra” ha rincarato in tono minaccioso che “chi violerà questo divieto sarà punito con ammende molto importanti”.
Dipiazza ha motivato il provvedimento come misura di carattere sanitario “alla luce delle evidenze scientifiche”, per “anticipare gli obblighi che scattano con la zona gialla”: “Siamo vicini alla zona gialla. È un momento molto grave in cui non c'è più rispetto delle regole, ora basta. Chiederò il rispetto delle regole e lo farò anche al limite della legge”, ha aggiunto. E Valenti ha precisato come sia “del tutto evidente che l’innalzamento di contagi sia strettamente legato alle ultime manifestazioni”.
In sostanza si fa risalire meccanicamente alle sole manifestazioni no green pass che da settimane si svolgono a Trieste la causa dell'aumento dei contagi in città, saliti ultimamente a 350 casi ogni centomila abitanti, il triplo della media regionale e sei volte superiore a quella nazionale. Anche se c'è chi fa notare che Trieste si trova a stretto contatto con Austria, Slovenia e Croazia, paesi in cui il numero di contagi è tornato al livello di un anno fa, e questa potrebbe essere una spiegazione almeno altrettanto plausibile per il peggioramento dei dati. Sta di fatto che il divieto non ha fatto che esasperare gli animi e non ha ridotto per niente il rischio dovuto agli assembramenti, visto che non ha impedito a ottomila persone di manifestare fino a ridosso della piazza proibita il sabato successivo all'ordinanza.
 

“Modello Trieste” anche per altre città.
A favore del divieto di manifestare è intervenuto anche il governatore leghista del Friuli-Venezia Giulia, Fedriga, che si è incontrato con Valenti e Dipiazza e con i sindaci degli altri tre capoluoghi provinciali della regione, Udine, Pordenone e Gorizia, per arrivare ad adottare una linea d'azione comune. Il sindaco di Udine ha prospettato la chiusura di tre piazze cittadine perché non garantirebbero un sufficiente distanziamento, quello di Pordenone ha lamentato l'“incompatibilità” delle manifestazioni con gli eventi e i mercatini di Natale, e quello di Gorizia ha chiamato in causa l'aumento dei casi in città e la “continuità territoriale con Trieste”.
Ma anche altri sindaci di comuni del Nord, come ad esempio Padova, Treviso e Novara hanno fatto sapere di stare valutando la possibilità di adottare ordinanze sul modello di Trieste. Anche il governatore della Liguria, Toti, non ha escluso di prendere in considerazione una simile eventualità “se ce ne fosse bisogno”. E non a caso, visto che anche Genova, come Trieste, ha un forte movimento no green pass tra i lavoratori del porto.
Insomma, il caso di Trieste sta facendo da apripista ai neopodestà e ai prefetti agli ordini di Lamorgese e Draghi per tentare di mettere la mordacchia ai movimenti di protesta chiudendo con le più svariate motivazioni le piazze dei centri cittadini alle manifestazioni. E non solo questo, ma anche ricorrendo all'impiego dei Daspo urbani e dei fogli di via per impedire ai loro portavoce di partecipare alle manifestazioni stesse o addirittura espellerli da determinate città. Come è successo al portavoce dei portuali no green pass triestini, Stefano Puzzer, a cui la questura di Roma ha comminato un Daspo per “manifestazione non autorizzata” che gli impedirà di recarsi nella capitale per un anno. Puzzer, che il 3 novembre aveva improvvisato un sit-in in piazza del Popolo con un banchino, è stato infatti trattenuto in questura per cinque ore e allontanato quella sera stessa dalla città col foglio di via e il Daspo, il famigerato provvedimento di restrizione della libertà di circolazione inventato contro le violenze degli ultras delle tifoserie calcistiche, poi applicato anche alla prevenzione del “degrado urbano” col decreto Minniti del 2017, e successivamente esteso anche ad “autori di disordini e atti di violenza” commessi in corso di manifestazioni politiche e sindacali con i “decreti sicurezza” di Salvini del 2018, non toccati dalle piccole modifiche introdotte dal Governo Conte 2 nel 2020.
 

Si vuol mettere fuori legge il dissenso
È evidente che simili provvedimenti liberticidi e fascisti, come la chiusura della piazza principale di Trieste e il Daspo per uno dei leader no green pass, hanno una portata politica che va molto oltre il fatto in sé, perché possono essere usati per mettere fuori legge e colpire il dissenso contro la politica governativa e delle amministrazioni locali in qualunque forma si manifesti nel Paese. Oggi è diretta contro i no vax e i no green pass, ma è facile, con le stesse motivazioni di salute pubblica, intralcio al lavoro e al commercio, alla circolazione ecc., poterli estendere anche alle lotte sindacali e alle manifestazioni politiche, come già è successo per esempio con il foglio di via contro il sindacalista del SiCobas Edoardo Sorge emesso dalla Questura di Milano per i picchettaggi alla Fedex-TNT di Peschiera Borromeo e alla Zampieri Holding di San Donato Milanese.
Anche perché è stato lo stesso governo Draghi, con la sua decisione antisindacale, autoritaria e senza uguali in Europa, di estendere l'obbligo di green pass a tutti i lavoratori del pubblico e del privato, a trasformare quelle che erano manifestazioni isolate di gruppi di incalliti no vax prevalentemente egemonizzati dai neofascisti, in manifestazioni di massa con forte presenza di lavoratori, anche vaccinati, che esprimono non soltanto la protesta contro l'obbligo di green pass ma più in generale la rabbia sociale che sta montando nel Paese.
Una cosa è il movimento no green pass e un'altra sono le organizzazioni neofasciste che vi si intrufolano, cercano di strumentalizzarlo e di manovrarlo e, come sottolinea il comunicato dell'Ufficio stampa del PMLI, “il movimento no green pass, per raggiungere i propri obiettivi e per tutelare la propria autonomia, ha la necessità di prendere le distanze da tali gruppi, isolarli, ed espellerli dal suo seno”. In particolare quando cercano di imbastire provocazioni e deviare la carica di protesta dei manifestanti verso le sedi sindacali, i giornalisti, i medici ecc. Ma ciò non deve costituire un pretesto per negare in blocco le ragioni e le proteste di questo movimento e per adottare misure di “ordine pubblico” anticostituzionali e liberticide oggi dirette contro di esso, domani anche contro ogni forma di opposizione al governo del banchiere massone al servizio del regime capitalista neofascista. Governo Draghi che sta imponendo un altro giro di vite al divieto di manifestazione: le nuove e più restrittive misure diramate a prefetti e questori vietano cortei e tollerano al più innocui e formali sit-in, militarizzano le città con l'imposizione di invalicabili “zone rosse” e confinano il dissenso nelle periferie e lontano dai centri sensibili del potere per evitare di disturbare il manovratore e di compromettere i profitti della grande e media borghesia commerciale. E, in questa rincorsa di misure liberticide di stampo fascista, si è distinto il sindaco di Trieste Roberto Piazza che, in un'intervista al Corriere della Sera del 9 novembre, ha persino invocato una sorta di “stato di emergenza”: “Farei come ai tempi delle Brigate Rosse: leggi speciali. Allora c’era l’emergenza terrorismo, oggi c’è la pandemia ma il periodo è sempre drammatico. A mali estremi, estremi rimedi.”
Perciò non possiamo che condannare e respingere fermamente la chiusura e la militarizzazione delle città contro le manifestazioni e l'impiego dei Daspo e dei fogli di via contro i manifestanti, e ribadire, con il comunicato stampa del PMLI, che “Il governo del banchiere massone Draghi, al servizio del regime capitalista neofascista, deve ritirare immediatamente il decreto sul green pass perché le lavoratrici e i lavoratori che sono contrari non possono e non devono essere sospesi dal lavoro e privati del salario. Il lavoro non si può negare a nessuno e per nessun motivo. Va difeso e tutelato a ogni costo. In ogni caso i tamponi devono essere gratuiti”.

10 novembre 2021