Il Tribunale di Napoli rigetta il ricorso dei sindacati
Whirlpool invia 320 lettere di licenziamento. I lavoratori non ci stanno: “La nostra lotta continua”
“Non molleremo la piazza finché lo stabilimento di via Argine non tornerà a produrre”

Redazione di Napoli
Mercoledì 3 novembre la notizia più temuta e inaccettabile: il giudice del lavoro, Maria Rosaria Lombardi, emetteva il provvedimento con il quale dava ragione, di fatto, ai pescecani padroni della Whirlpool che nel giro di poche ore inviavano le lettere di licenziamento collettivo per 320 operai. Si consumava una tensione palpabile sia fuori dal Tribunale napoletano che presso la fabbrica occupata dai combattivi operai e operaie di via Argine, nella vecchia Napoli industrializzata e ora ridotta a un deserto di stabilimenti vuoti.
I metalmeccanici partenopei già sapevano che non poteva essere un decreto dell’autorità giudiziaria borghese in camicia nera a fermare la lotta che deve continuare in piazza fin dalle prossime iniziative organizzate dai sindacati di categoria. Il ricorso sindacale veniva rigettato poiché “la modifica del piano industriale è lecita in quanto esplicazione della libertà di iniziativa economica” e l’azienda, secondo il giudice, ha rispettato l’impegno a non licenziare entro il 2020 e ha mantenuto il confronto con i sindacati citando i 27 fallimentari incontri fatti al Mise.
Un provvedimento antioperaio dove il giudice del lavoro giustificava gli imminenti e inevitabili licenziamenti con la “correttezza” dei passaggi istituzionali dei padroni che possono buttare per la strada centinaia di lavoratori e le loro famiglie. Non a caso il legale della Fiom-Cgil, l’avvocato Lello Ferrara, affermava con forza che il “decreto lascia totalmente insoddisfatti per le argomentazioni e motivazioni addotte, che recepiscono acriticamente le tesi della società, tanto che l’intero provvedimento si basa sul principio della 'libertà di iniziativa economica' che, a detta del giudice, 'non può essere vincolato se non per volontà dell’avente diritto', che è quanto esattamente avvenuto: la società ha vincolato tale sua libertà, impegnandosi alla realizzazione dei piani industriali, tranne poi non effettuare alcun investimento su Napoli. È evidente che tutto ciò, ovvero la cosiddetta 'inesigibilità degli accordi', produce danno alle organizzazioni sindacali, 'incapaci' di svolgere il loro ruolo e far rispettare gli accordi”.
Dopo quasi tre anni di lotta, dunque, la multinazionale ha deciso di delocalizzare lo stabilimento in Polonia con risparmio evidente sulla manodopera e senza restituire il fiume di denaro pubblico ricevuto per affrontare le crisi, ultima quella da coronavirus. Ora tocca al governo Draghi intervenire, dopo i fallimenti del ducetto Di Maio e dell'ex premier Conte, anche se le assenze del ministro del lavoro Orlando e la sola presenza della viceministra Todde (M5S) non fanno certo stare tranquilli. Pare che essi puntino ad un consorzio di imprese quotate in borsa per riaprire la fabbrica nel maggio 2022.
Dal canto loro gli operai e le operaie non lasceranno né la fabbrica occupata né la piazza “finché lo stabilimento non riprenderà ad entrare in funzione come prima”. Noi marxisti-leninisti solidarizziamo con i combattivi lavoratori e lavoratrici partenopei e li sosterremo fino alla vittoria, cominciando dal ritiro dei licenziamenti e il rientro immediato in fabbrica.

10 novembre 2021