Abolire e non rivedere la Legge Fornero
Non dare corda a Draghi, metterlo con le spalle al muro con lo sciopero generale

Quando si stratta dello scottante tema delle pensioni, solitamente le affermazioni dei rappresentanti sindacali sono di questo tenore: “eliminare le storture della Fornero”, oppure: “attenuare l'eliminazione di quota 100”, al massimo: “rivedere la Fornero”. Sono passati 10 anni (fu approvata nel 2011) ma al di là di qualche modifica, i sindacati confederali non hanno avuto finora il coraggio e la volontà di rivendicarne la sua abolizione, nonostante questo sia richiesto a gran voce dalla stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori.
Stiamo parlando di una legge che decretò la fine del sistema previdenziale italiano fino ad allora conosciuto, basato sulla reciprocità, sulla solidarietà tra le varie categorie di lavoratori, sulla differenziazione tra uomini e donne, sul riferimento alla retribuzione degli ultimi anni di lavoro. Al suo posto pensioni calcolate con il contributivo puro, che in soldoni significa un assegno mediamente più basso del 25% rispetto al passato, che aprivano inevitabilmente le porte alla previdenza privata complementare, come poi in effetti è avvenuto. Tra i capisaldi del nuovo sistema l'innalzamento dell'età pensionabile a 67 anni oppure 43 di contribuzione, con possibilità di rialzo in base alle aspettative di vita (non è previsto l'abbassamento), parametri uguali per uomini e donne.
Era da almeno un paio di decenni che le pensioni erano nel mirino dei vari governi di “centro-destra” e “centro-sinistra” e la Fornero portò a compimento questa controriforma, iniziata con le “riforme” Amato del 1992 e Dini del 1995. Con la scusa dell'aumento della speranza di vita e la “necessità” di tagliare le spese dello Stato, si son fatte pagare ai pensionati di domani, ossia i lavoratori di oggi e del futuro, le crisi sempre più ravvicinate del sistema economico capitalistico, tagliando ingenti risorse dalla spesa pubblica, dirottandole nel sostegno alle imprese private per far fronte alla competizione dei mercati accentuata dalla globalizzazione.
Tornando alla stringente attualità, gli ultimi incontri tra il banchiere massone Draghi e i suoi ministri da una parte, e i massimi dirigenti dei sindacati confederali dall'altra, sulla Manovra di Bilancio e specificatamente su temi come il fisco e le pensioni, stanno lì a dimostrare che Cgil, Cisl e Uil intendono proseguire sulla linea della concertazione e della subordinazione nei confronti del Governo, anche se quest'ultimo rimane fermo sulle sue posizioni. Quando Draghi, palesemente “irritato” per il no dei sindacati, lasciò il tavolo dell'incontro aveva offerto per le pensioni la misera cifra di 600 milioni. Giusto sufficienti a prorogare per un anno quota 100 (diventata 102), Ape Sociale riservata ai lavori considerati usuranti, e Opzione Donna, ovvero uscita anticipata però alzata a 60 anni con 35 di contributi e con un assegno decurtato del 30%.
È bastata la promessa di un nuovo tavolo per la settimane successive, per far correre i segretari di Cgil-Cisl-Uil a Palazzo Chigi e dopo l'incontro far dire a Maurizio Landini di aver registrato “una apertura non scontata”, incassare il netto sì di Luigi Sbarra, mentre Pierpaolo Bombardieri non si è sbilanciato nei commenti. Ma il Governo cosa ha portato di nuovo? Anzitutto ha rimandato l'inizio di un confronto generale sulla Fornero a dicembre, mentre nell’immediato verrà affidata a una serie di tavoli al ministero del Lavoro la verifica della possibilità di introdurre modifiche al capitolo pensioni già in Manovra.
Già di per sé questo è inaccettabile. In ogni caso le proposte ventilate nell'incontro del 16 novembre confermano che il governo intende concedere solo pochi spiccioli e qualche ritocco che non cambia l'impianto della Fornero. La prima è quella di consentire la pensione anticipata, ricalcolata in configurazione contributiva, con almeno 64 anni d’età e 20 di contribuzione al raggiungimento di un ammontare mensile pari a 1,5-2,5 l’importo mensile dell’assegno sociale, attualmente di 460 euro lordi. In alternativa una soglia anagrafica minima a 62 anni, accompagnata da un requisito contributivo più elevato, 25 anni. Anche in questo caso l'assegno sarebbe tutto ricalcolato con il contributivo.
Poi sul tavolo ci sono altre proposte, come quelle del presidente dell'Inps Pasquale Tridico e della Lega, fatte tutte con il bilancino, dove a un abbassamento dell'età pensionabile corrisponde un abbassamento dell'assegno erogato. Infine c'è la possibilità, tutta da “verificare” dicono dal Governo, di allargare ancora il bacino dell’Ape sociale, con emendamenti al disegno di legge di bilancio, ad altre mansioni gravose, ai cosiddetti lavoratori precoci (chi ha cominciato a lavorare in giovanissima età). Tra i ritocchi richiesti dai sindacati ( e anche da una parte della maggioranza) c’è quello per abbassare da 36 a 30 la soglia contributiva (in aggiunta al requisito di 63 anni d’età) per l'accesso dei lavoratori edili all’Anticipo pensionistico sociale.
Sorge spontaneo chiedersi: come fanno Cgil, Cisl e Uil a rincorrere i tavoli di concertazione e dare credito al Governo quando Draghi è stato esplicito e ha già chiarito che si tornerà al più presto alla Fornero, minacciando addirittura l'eliminazione fin da subito del sistema “misto” tutt'ora previsto, ovvero del calcolo retributivo fino al 1995 per chi ha iniziato prima di quella data, estendendo il contributivo per tutta la carriera lavorativa?
Non c'è nessuna “riforma” della Fornero in vista, come vogliono far credere i sindacati confederali. Come ci dice il Sole 24 ore , che non ha bisogno di ingannare i lavoratori perché è il giornale di Confindustria, l'assetto previdenziale “continua a essere modellato sulla legge Fornero ma con l’aggiunta di un meccanismo di uscite anticipate in chiave flessibile, totalmente ancorato però al sistema di calcolo contributivo dell’assegno. Un anticipo contributivo per tutti, con il quale chi uscirà prima sarà penalizzato rispetto all’attuale sistema misto (in cui è presente una quota retributiva)”.
A questo punto dare corda a Draghi, aspettare i suoi rinvii, ricercare ostinatamente decisioni condivise, significa assecondarlo nella macelleria sociale che il suo governo del capitalismo, della grande finanza e della UE imperialista sta portando avanti nei confronti dei lavoratori e delle masse popolari, che va di pari passo con i lauti finanziamenti alle aziende e al padronato elargiti anche attraverso i fondi del PNRR. Non basta certo la “mobilitazione” messa in campo da Cgil-Cisl-Uil per modificare le decisioni dell'esecutivo, con manifestazioni regionali e locali a macchia di leopardo che chiedono solo qualche modifica al nostro sistema pensionistico.
La legge Fornero deve essere abolita, non rivista o riformata, una richiesta che oramai non viene solo dalla parte più avanzata della classe operaia, ma dall'insieme delle masse lavoratrici. Occorre mettere Draghi con le spalle al muro con lo sciopero generale, da proclamare immediatamente. I sindacati confederali, quanto meno la Cgil, si devono unire a quanti già da tempo si oppongono alla Legge Fornero e al Governo Draghi, come i sindacati di base, Rsu, Collettivi di lavoratori e tante organizzazioni politiche e sociali del nostro Paese.

24 novembre 2021