Nell'inerzia della Ue
La Bielorussia spinge i migranti verso la Polonia, che è pronta a usare le armi contro di loro

 
Nel suo intervento alla Conferenza di Roma MED dialoghi sul Mediterraneo lo scorso 4 dicembre l'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza europea, il socialista sopagnolo Josep Borrell, invitava i paesi della Ue a mettersi d'accordo su una politica comune sull'asilo e le migrazioni perché "non possiamo permetterci un'altra Bielorussia", riferendosi alla crisi aperta ai primi di novembre dal regime del presidente dittatore Aleksander Lukashenko che aveva radunato e spinto alcune migliaia di migranti a forzare il confine con la Polonia; un tentativo fallito per la reazione del collega reazionario polacco, il premier Mateusz Morawiecki che aveva risposto con la blindatura della frontiera e l'esercito schierato a respingere i migranti ventilando la possibilità di usare le armi, se necessario.
La questione migratoria "è una grande questione e deve essere regolata, non possiamo dare la percezione che nessuno la controlla", affermava Borrell, tentando di scaricare una evidente responsabilità dell'Unione europea imperialista nel rinviare qualsiasi soluzione positiva per accogliere migranti e richiedenti asilo e capace solo di alzare muri lungo i propri confini e moltiplicare le situazioni di crisi e soprattutto le sofferenze di chi fugge dalle guerre e dalla povertà delle quali spesso è corresponsabile. Una volta arrivati al punto massimo dello scontro tra Bruxelles e Minsk, a fine novembre, la crisi dei migrati lungio la frontiera Est della Ue non si è risolta, è tornata a viaggiare sotto traccia, superata nelle attenzioni dal nuovo braccio di ferro in atto tra Biden e Putin in Ucraina. Molti migranti sono rimasti al freddo e abbandonati lungo il confine polacco.
Secondo una stima dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sarebbero rimasti almeno 2mila migranti in prossimità del confine dei 4mila ammassati a inizio novembre da Minsk e altri 7mila nei campi in Bielorussia. Un numero analogo è complessivamente già entrato nei territori dei Paesi baltici nel corso del 2021. Numeri facilmente gestibili che mettono in evidenza il del tutto strumentale baccano sulla inesistente "crisi migratoria" da parte dei regimi reazionari e fascisti della regione a partire da quelli polacco e ungherese a sostegno della richiesta finora ignorata da Bruxelles di finanziare la costruzione di un muro lungo tutto il confine a Est della Ue, dalla Romania al Baltico. Una richiesta vergognosa, accolta col silenzio dai paesi affacciati sul Mediterraneo che inutilmente chiedono ai partner di prendersi una parte dei migranti sbarcati sulle loro coste, recepita nel pieno della crisi solo dal presidente del Consiglio europeo, il liberaldemocratico Charles Michel.
Non c'è dubbio che il regime di Lukashenko abbia agito da criminale, favorendo l'arrivo nel paese di profughi in particolare da Iraq e Afghanistan per usarli come arma di ritorsione sulla Ue che ha condannato la sua rielezione farsa alla presidenza, appoggia l'opposizione e ha adottato formali seppur ridicole sanzioni. Con le spalle coperte dal padrino, il nuovo zar del Cremlino Putin, inutilmente chiamato in causa dai colleghi imperialisti che erano facilmente liquidati con un invito a rivolgersi a Minsk e non a Mosca. A Putin non dispiaceva tenere sulla corda i rivali imperialisti allo stesso tempo impegnati a rispondere al richiamo di Biden per rilanciare le pressioni dell'imperialismo americano contro il rivale russo sulla sempre più pericolosa nuova crisi ucraina.
Una nota del Cremlino sottolineava le sistematiche “violazioni degli obblighi internazionali da parte della Polonia nella protezione dei diritti dei profughi” e lamentava episodi di “trattamento crudele” dei migranti da parte delle guardie di frontiera polacche, come denunciato anche dalle organizzazioni per i diritti umani presenti sul posto. Il governo reazionario di Varsavia in effetti ha respinto nel corso degli ultimi mesi le proposte di Bruxelles di attivare alle frontiere i controlli comunitari tramite le agenzie Frontex ed Europol, una soluzione comunque militare a un problema che il premier Morawiecki ha affrontato con la proclamazione dello stato di emergenza e il blocco dell’accesso a giornalisti e ong nelle zone di scontro.
Come denunciava un comunicato della Federazione Sindacale Mondiale (FSM-WFTU) dell'11 novembre, le migliaia di migranti e rifugiati bloccati tra l'esercito di Minsk e quello di Varsavia erano vittime delle contese imperialistiche del blocco UE, Usa e Nato con Bielorussia e Russia. "Le stesse persone che trasformano i popoli in rifugiati con le loro guerre e i loro accordi - sosteneva il comunicato - a volte appaiono come salvatori e a volte preparano azioni militari e nuove sanzioni che porteranno nuove sofferenze ai popoli. Questi innocenti si aggiungono alle migliaia di rifugiati che muoiono in terra o in mare per sfuggire alle conseguenze delle guerre generate dagli imperialisti. Non sono incidenti, sono crimini. Gli immigrati e i rifugiati sono costretti in questa posizione dalle politiche imperialiste della Nato, degli Stati Uniti e dell'Unione Europea, attraverso la loro aggressività e intervento". La FSM chiamava quindi alla solidarietà con migranti e rifugiati e indicava correttamente che anzitutto "solidarietà con gli oppressi significa lottare contro le cause che li spingono fuori dai loro paesi, lottare contro gli interventi imperialisti la cui testa sono l'UE, gli USA e la NATO" e chiedeva lo stop agli interventi imperialisti e il ritiro degli eserciti di occupazione.

8 dicembre 2021