Uno storico editoriale della stampa comunista cinese del 1963 ispirato da Mao sul capofila dei revisionisti italiani
"Ancora sulle divergenze fra il compagno Togliatti e noi"

(febbraio 1963, Articolo pubblicato su Bandiera rossa n. 3-4, 1963)
 
 
Questo numero speciale de “Il Bolscevico” Mao e il revisionismo italiano pubblica il testo integrale dello storico editoriale della stampa comunista cinese del 1963 ispirato da Mao sul capofila dei revisonisti italiani Togliatti. Nell'allora movimento comunista internazionale si stava irrimediabilmente consumando la rottura tra i marxisti-leninisti, capeggiati da Mao, e i revisionisti moderni, capeggiati da Krusciov, di cui Togliatti era un leader di grande rilievo, anche perché il PCI era allora in Europa il più forte partito comunista non al potere.
Il Segretario generale del PMLI compagno Giovanni Scuderi lo ha magistralmente ricordato con le seguenti parole nel suo splendido ed educativo discorso pronunciato il 12 settembre 2021, alla Commemorazione di Mao a Firenze nel 45° Anniversario della scomparsa, dal titolo: Applichiamo gli insegnamenti di Mao sul revisionismo e sulla lotta di classe per il socialismo. “Il revisionismo moderno ha avuto in Italia una centrale molto importante e agguerrita, che aveva una grande influenza sui partiti comunisti dei paesi capitalisti, specialmente in Europa. Il portabandiera e il teorico del revisionismo italiano era Palmiro Togliatti, allora Segretario generale del PCI, una mente sopraffina che ha ingannato anche Stalin.
Mao lo teneva nel mirino e l'ha fatto smascherare attraverso due memorabili articoli, che sono stati fondamentali per la presa di coscienza dei primi pionieri del PMLI della natura revisionista del PCI. Il primo, del 31 dicembre 1962, ha per titolo “Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi” ed è comparso sul “Quotidiano del popolo”. Il secondo, del febbraio 1963, ha per titolo “Ancora sulle divergenze tra il compagno Togliatti e noi” ed è comparso su “Bandiera rossa”. Questi due articoli sono la risposta pubblica del PCC agli attacchi che Togliatti e altri avevano sferrato a Mao e ai comunisti cinesi al decimo Congresso nazionale del PCI tenutosi nei primi giorni del dicembre 1962. Essi smantellano punto per punto con ampie argomentazioni tutte le tesi del PCI circa la “via parlamentare al socialismo”, le “riforme di struttura”, lo Stato, l'economia, l'unità tra rivoluzionari e riformisti, il revisionismo moderno, l'imperialismo, le guerre nucleari, le armi nucleari, la guerra e la pace, la coesistenza pacifica, la Costituzione italiana.”
Siamo certi che i militanti, simpatizzanti e amici del PMLI, nonché i lettori de “Il Bolscevico”, potranno dedicare il tempo a disposizione in questo fine-inizio anno alla lettura e allo studio dello storico editoriale antirevisionista del 1963 che smaschera verticalmente Togliatti e nei fatti prevede la liquidazione del PCI, avvenuta poi nel 1991 quando è finito quell'inganno durato 70 anni. E così avranno modo di capire meglio le questioni cruciali che dividono i marxisti-leninisti dai revisionisti moderni, quali: il ruolo storico dell'imperialismo quale fase suprema del capitalismo, il rapporto tra guerra e pace, il carattere controrivoluzionario delle togliattiane “riforme di struttura” e del parlamentarismo, il carattere borghese della Costituzione italiana del 1948 e, più in generale, la natura borghese e controrivoluzionaria dell'intera concezione ideologica e politica del revisionismo moderno.
 
 
1. Introduzione
 
Al decimo Congresso del Partito comunista italiano il compagno Togliatti ha lanciato un attacco aperto contro il Partito comunista cinese e ha provocato un dibattito pubblico. Per molti anni egli e alcuni altri compagni del Partito comunista italiano hanno, in molti discorsi e scritti erronei, violato i principi fondamentali del marxismo-leninismo su una intera serie di vitali questioni di principio concernenti il movimento comunista internazionale. Sin dall’inizio noi abbiamo dissentito da tali discorsi e scritti. Però non ci siamo mai addentrati in un dibattito pubblico con Togliatti e gli altri compagni né avevamo intenzione di farlo. Noi siamo sempre stati per rafforzare l’unità del movimento comunista internazionale. Noi siamo sempre stati per trattare le relazioni tra partiti fratelli secondo i principi dell’indipendenza, dell’uguaglianza e del raggiungimento dell’unanimità mediante consultazioni, come stabilito nella prima e seconda Dichiarazione di Mosca . Noi abbiamo sempre sostenuto che le divergenze tra partiti fratelli devono essere risolte mediante consultazioni tra partiti, tramite conversazioni bilaterali o multilaterali o conferenze di partiti fratelli. Noi abbiamo sempre sostenuto che nessun partito dovrebbe fare pubbliche accuse unilaterali contro un partito fratello e tanto meno rivolgere calunnie e attacchi contro di esso. Siamo stati fermi e inflessibili nel perseguire in questo modo l’unità. È stato contro le nostre aspettative che il compagno Togliatti e gli altri compagni hanno utilizzato il congresso del loro partito per lanciare attacchi pubblici contro il Partito comunista cinese. Ma poiché essi ci hanno direttamente sfidato a un dibattito pubblico in questo modo, che cosa dovevamo fare? Dovevamo restare zitti come avevamo fatto prima? Si doveva “permettere ai prefetti di bruciare le case, mentre al popolo si proibiva persino di accendere lampade”? No e poi no! Dovevamo assolutamente rispondere. Essi non ci hanno lasciato altra alternativa che dare una risposta pubblica. Di conseguenza, il nostro giornale Quotidiano del popolo pubblicò un editoriale, il 31 dicembre 1962, intitolato Le divergenze tra il compagno Togliatti e noi.
Togliatti e alcuni altri compagni del Partito comunista italiano non furono affatto contenti di questo editoriale e pubblicarono un’altra serie di articoli, attaccandoci. Essi dichiarano che nel nostro articolo “manca spesso la chiarezza esplicita”, che il nostro articolo è “molto astratto e formale” e che vi “manca il senso delle cose reali”(1). Essi affermano che noi “non siamo esattamente informati” sulla situazione italiana e sul lavoro del Partito comunista italiano, che abbiamo commesso “una spudorata falsificazione”(2) delle posizioni del Partito comunista italiano. Ci accusano di essere “dogmatici e settari che nascondono il loro opportunismo dietro un frasario ultrarivoluzionario”(2). E così via. Il compagno Togliatti e gli altri compagni vogliono ostinatamente continuare il dibattito pubblico. Ebbene dunque, continuiamolo.
Nel presente articolo di risposta ai loro continui attacchi contro di noi, noi faremo un’analisi e una critica più dettagliate delle posizioni sbagliate assunte da Togliatti e dagli altri compagni nel corso di un certo numero di anni. Quando Togliatti e gli altri compagni avranno letto la nostra risposta, vedremo che atteggiamento prenderanno: se diranno ancora che ci “manca spesso la chiarezza esplicita”, che siamo “molto astratti e formali” e ci “manca il senso delle cose reali”, che non siamo “esattamente informati” sulla situazione in Italia e sul lavoro del Partito comunista italiano, che stiamo commettendo una “spudorata falsificazione” delle posizioni del Partito comunista italiano e che siamo “dogmatici e settari che nascondono il loro opportunismo dietro un frasario ultrarivoluzionario”. Aspetteremo e vedremo.
In breve, non va bene che certe persone si comportino come il prefetto che ordinò di bruciare le case del popolo mentre al popolo proibiva persino di accendere una lampada. Da tempo immemorabile, la gente non ha mai approvato una tale ingiustizia. Per di più, le divergenze tra noi comunisti possono essere appianate solo esponendo i fatti e discutendoli razionalmente e mai adottando l’atteggiamento dei padroni verso i loro servi. I proletari e i comunisti di tutti i paesi devono unirsi, ma essi possono essere uniti solo sulla base della prima e della seconda Dichiarazione di Mosca , sulla base dell’esposizione e della discussione razionale dei fatti, sulla base di consultazioni su un piano di parità e reciprocità e sulla base del marxismo-leninismo. Se si tratta di padroni che agitano la bacchetta sopra le teste dei servi, scandendo: “Unita! Unità!”, allora ciò che si vuol realmente dire è: “Scissione! Scissione!”. I proletari di tutti i paesi non accetteranno tale scissionismo. Ciò che vogliamo è l’unità e non permetteremo mai che un pugno di persone continuino le loro attività scissioniste.
 
2. La natura dell’attuale grande dibattito tra comunisti
 
Come risultato della sfida che i revisionisti moderni hanno lanciato ai marxisti-leninisti, si sta ora sviluppando nel movimento comunista internazionale un ampio dibattito su questioni di teoria, linea fondamentale e politica. Questo dibattito ha un nesso vitale con il successo o il fallimento dell’intera causa del proletariato e del popolo lavoratore in tutto il mondo e con il destino dell’umanità.
In ultima analisi, una corrente ideologica in questo dibattito è genuina ideologia proletaria, cioè marxismo-leninismo rivoluzionario e l’altra è ideologia borghese che si è infiltrata nei ranghi operai, cioè un’ideologia antimarxista-leninista. Sin dalla nascita del movimento operaio la borghesia ha sempre fatto tutto quanto è in suo potere per corrompere ideologicamente la classe operaia, nell’intento di subordinare il movimento operaio ai propri interessi fondamentali, di indebolire le lotte rivoluzionarie del popolo di tutti i paesi e di condurre il popolo su una falsa strada. A questo scopo le correnti ideologiche borghesi assumono differenti forme in epoche differenti, prendendo ora una forma di destra, ora una forma “di sinistra”. La storia dello sviluppo del marxismo-leninismo è una storia di lotta contro le correnti ideologiche borghesi sia di destra sia “di sinistra”. Il dovere dei marxisti-leninisti è di fare come Marx, Engels, Lenin e Stalin: non eludere la sfida lanciata da qualsiasi corrente ideologica borghese, ma infrangere in ogni momento gli attacchi nei campi della teoria, della linea fondamentale e della politica e indicare al proletariato, alle nazioni e ai popoli oppressi la via giusta, nelle loro lotte, per la vittoria.
Da quando il marxismo è diventato predominante nel movimento operaio, tra marxisti da una parte e revisionisti e opportunisti dall’altra ci sono state numerose lotte. Tra di esse vi sono stati due grandi dibattiti del massimo significato storico e ora è in corso un terzo grande dibattito.
Il primo di questi fu il grande dibattito che Lenin condusse contro Kautsky e Bernstein e gli altri revisionisti e opportunisti nella Seconda Internazionale; esso portò il marxismo a una nuova fase di sviluppo, la fase del leninismo, che è il marxismo nell’epoca dell’imperialismo e della rivoluzione proletaria.
Il secondo fu il grande dibattito che i comunisti dell’Unione Sovietica e di altri paesi, con Stalin alla loro testa, condussero contro Trotzki, Bukharin e altri avventuristi “di sinistra” e opportunisti di destra. Esso difese il leninismo e delucidò la teoria e la tattica di Lenin sulla rivoluzione proletaria, la dittatura del proletariato, la rivoluzione delle nazioni oppresse e l’edificazione del socialismo. Parallelamente a questo ci fu il violento dibattito che il compagno Mao Zedong condusse in seno al Partito comunista cinese, per un periodo di tempo assai lungo, contro gli avventuristi “di sinistra” e gli opportunisti di destra, per unire strettamente la verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione cinese.
L’attuale terzo grande dibattito è stato provocato in primo luogo dalla cricca di Tito della Jugoslavia, in seguito al suo aperto tradimento del marxismo-leninismo.
La cricca di Tito ha preso la via del revisionismo da lungo tempo. Nell’inverno del 1956 approfittò della campagna antisovietica e anticomunista lanciata dagli imperialisti per fare propaganda contro il marxismo-leninismo da un lato e dall’altro svolgere attività sovversive all’interno dei paesi socialisti, in coordinazione con i piani imperialisti.
Tale propaganda e sabotaggio ebbero il loro culmine nella ribellione controrivoluzionaria in Ungheria. Fu allora che Tito pronunciò il famigerato discorso di Pola. La cricca di Tito fece quanto potè per denigrare il sistema socialista, sostenne che “una trasformazione profonda è necessaria nel sistema politico” dell’Ungheria e dichiarò che i compagni ungheresi “non devono sprecare sforzi nel cercare di restaurare il partito comunista”(4).
I comunisti di tutti i paesi hanno condotto una seria lotta contro questi proditori attacchi della cricca di Tito. Nell’aprile del 1956 avevamo pubblicato l’articolo A proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato (3). Verso la fine di dicembre del 1956, mirando direttamente agli attacchi di Tito e soci, pubblicammo un altro articolo Ancora a proposito dell’esperienza storica della dittatura del proletariato. Nel 1957 la conferenza dei rappresentanti dei partiti comunisti e operai dei paesi socialisti approvò la famosa prima Dichiarazione di Mosca. Questa dichiarazione individuò esplicitamente nel revisionismo il pericolo principale nell’attuale movimento comunista internazionale e condannò i revisionisti moderni perché “cercano di denigrare la grande dottrina del marxismo-leninismo, la dichiarano ‘superata’ e affermano che avrebbe perso il suo significato per il progresso sociale”. La cricca di Tito rifiutò di firmare la Dichiarazione di Mosca e nel 1958 pubblicò il suo programma, revisionista da cima a fondo, che contrappose alla Dichiarazione di Mosca. Questo programma fu unanimemente ripudiato dai comunisti di tutti i paesi.
In seguito, specialmente dal 1959 in poi, i dirigenti di alcuni partiti comunisti violarono l’accordo comune che avevano sottoscritto e approvato e pronunciarono discorsi simili a quelli di Tito. Successivamente queste persone persero sempre più il controllo e il loro linguaggio diventò sempre più affine a quello di Tito; essi fecero di tutto per abbellire gli imperialisti statunitensi. Diressero le frecce della loro lotta contro i partiti fratelli che sostengono fermamente il marxismo-leninismo e i principi rivoluzionari fissati nella Dichiarazione di Mosca e lanciarono sfrenati attacchi contro di loro. Dopo consultazioni in condizioni di parità, alla conferenza dei rappresentanti dei partiti comunisti e operai nel 1960 fu raggiunto un accordo su numerose divergenze che erano sorte tra i partiti fratelli. La seconda Dichiarazione di Mosca pubblicata da questa conferenza condannò severamente i dirigenti della Lega dei comunisti jugoslavi per il loro tradimento del marxismo-leninismo. Noi ci rallegrammo per l’accordo raggiunto dai partiti fratelli in questa conferenza e nelle nostre azioni ci siamo attenuti rigorosamente a questo accordo e l’abbiamo difeso. Ma poco dopo i dirigenti di alcuni partiti fratelli violarono di nuovo l’accordo comune che avevano sottoscritto e approvato e lanciarono attacchi pubblici contro altri partiti fratelli nei congressi dei propri partiti, scoprendo davanti al nemico le divergenze del movimento comunista internazionale. Mentre attaccavano i partiti fratelli, essi si profondevano in lodi della cricca di Tito e si rotolavano ostinatamente nel fango con essa.
Il corso degli eventi ha dimostrato che la corrente revisionista moderna è un prodotto della politica dell’imperialismo in nuove condizioni. Pertanto, questa corrente ha necessariamente carattere internazionale e, come i dibattiti precedenti, l’attuale dibattito tra i marxisti-leninisti e i revisionisti moderni si sviluppa necessariamente in un dibattito internazionale.
Il primo grande dibattito tra i marxisti-leninisti e i revisionisti e opportunisti condusse alla vittoria della grande Rivoluzione socialista d’Ottobre e alla fondazione dei partiti rivoluzionari di tipo nuovo in tutto il mondo. Il secondo grande dibattito condusse alla vittoria dell’edificazione socialista nell’Unione Sovietica, alla vittoria della guerra mondiale antifascista, in cui la grande Unione Sovietica era la forza principale, alla vittoria della rivoluzione socialista in un certo numero di paesi dell’Europa e dell’Asia e alla vittoria della grande rivoluzione del popolo cinese. Il grande dibattito attuale si colloca nell’epoca in cui il campo imperialista si disgrega, le forze socialiste si sviluppano e crescono, il grande movimento rivoluzionario avanza impetuosamente in Asia, in Africa e nell’America Latina e la poderosa classe operaia d’Europa e d’America conosce un nuovo risveglio. Iniziando il presente dibattito, i moderni revisionisti hanno sperato invano di annullare con un tratto di penna il marxismo-leninismo, liquidare le lotte di liberazione nazionale dei popoli e delle nazioni oppresse e salvare gli imperialisti e i reazionari dei vari paesi dalla fine loro destinata. Ma il marxismo-leninismo non può essere annullato, le lotte di liberazione dei popoli non possono essere liquidate, gli imperialisti e i reazionari non possono essere salvati dal loro destino. Contrariamente alle loro aspirazioni, i revisionisti moderni sono destinati a fallire nel loro vergognoso tentativo.
Il movimento operaio mondiale pone ora a tutti i marxisti-leninisti il compito di replicare alla revisione generale del marxismo-leninismo da parte dei moderni revisionisti. Le loro revisioni servono le esigenze attuali dell’imperialismo mondiale, dei reazionari di vari paesi o della borghesia dei propri paesi e mirano a svuotare il marxismo-leninismo della sua anima rivoluzionaria, fanno tabula rasa del più elementare principio del marxismo-leninismo, il principio della lotta di classe e tutto quello che vogliono conservare è l’etichetta marxista-leninista.
Parlando delle questioni internazionali e delle questioni sociali, i revisionisti moderni sostituiscono alla concezione marxista-leninista dell’analisi di classe la concezione borghese “al di sopra delle classi”, che è pura ipocrisia. Essi fabbricano ogni sorta di supposizioni e “ipotesi” prive di qualsiasi fondamento e puramente soggettive e le sostituiscono all’indagine scientifica marxista-leninista delle condizioni reali della società. Sostituiscono al materialismo dialettico e al materialismo storico il pragmatismo borghese. In una parola, essi usano molte assurdità che loro stessi trovano difficile capire e credere, allo scopo d’ingannare la classe operaia e le nazioni e i popoli oppressi.
In questi ultimi anni un gran numero di avvenimenti internazionali hanno ripetutamente attestato la bancarotta delle “teorie” e della politica dei revisionisti moderni. Tuttavia, ogni volta che le loro “teorie” e la loro politica vengono svergognate davanti ai popoli del mondo, essi invariabilmente “si gloriano della loro vergogna” (5), come osservò una volta Lenin e, senza fermarsi davanti a niente e senza tener conto di alcuna conseguenza, essi dirigono il loro fuoco contro i marxisti-leninisti rivoluzionari, i loro fratelli in altri paesi, che li hanno in precedenza consigliati di non farsi illusioni e di non agire così ciecamente. Sfogando il loro veleno e la loro furia su altri appartenenti ai loro stessi ranghi, essi cercano di provare che hanno ottenuto una “vittoria”, nel vano tentativo di isolare i marxisti-leninisti rivoluzionari e tutti i loro fratelli in altri paesi, che stanno difendendo i principi rivoluzionari.
In tali circostanze, che possono fare i veri marxisti-leninisti rivoluzionari se non raccogliere la sfida dei revisionisti moderni? Per quanto riguarda le divergenze e le controversie sulle questioni di principio, i marxisti-leninisti hanno il dovere di distinguere il vero dal falso e di mettere in chiaro i problemi. Nell’interesse comune dell’unità contro il nemico, noi siamo sempre stati per una soluzione attraverso consultazioni tra partiti e siamo sempre stati contrari a rendere le divergenze pubbliche davanti al nemico. Ma poiché certe persone hanno insistito nel rendere pubbliche le dispute, cosa possiamo fare se non replicare apertamente a questa loro sfida?
Ultimamente, il Partito comunista cinese si è trovato bersaglio di assurdi attacchi. Gli assalitori hanno fatto un gran chiasso e forgiato ogni sorta d’accuse contro di noi, nel completo disprezzo dei fatti. Non è difficile capire perché e come questi attacchi sono avvenuti. È chiaro come il giorno su quale posizione si pongono coloro che hanno progettato e lanciato questi attacchi e con chi si allineano.
Chiunque conosca i discorsi e gli scritti degli ultimi anni del compagno Togliatti e di alcuni altri compagni del Partito comunista italiano, comprenderà che non è per caso che, all’ultimo congresso del Partito comunista italiano, Togliatti e altri compagni hanno unito la loro voce agli attacchi contro le posizioni marxiste-leniniste del Partito comunista cinese. Attraverso tutte le tesi per il congresso, il rapporto e le conclusioni al congresso del compagno Togliatti corre un filo ideologico estraneo al marxismo-leninismo. Lungo questa linea, essi hanno impiegato lo stesso linguaggio usato dai socialdemocratici e dai revisionisti moderni, trattando sia dei problemi internazionali sia delle questioni interne italiane. È sufficiente un’attenta lettura delle tesi e di altri documenti del Partito comunista italiano per scoprire che le numerose formulazioni e punti di vista che vi sono contenuti non sono affatto nuovi, ma sono più o meno gli stessi avanzati dai vecchi revisionisti e gli stessi sostenuti sin dall’inizio dai revisionisti jugoslavi.
Passiamo ora all’analisi delle tesi e di altri pertinenti documenti del Partito comunista italiano, per mostrare fino a che punto il compagno Togliatti e altri compagni si sono allontanati dal marxismo-leninismo.
 
 
3. Le contraddizioni nel mondo contemporaneo
 

Le nuove idee del compagno Togliatti
 
Il compagno Togliatti e alcuni altri compagni del Partito comunista italiano fanno della loro valutazione della situazione internazionale il punto fondamentale di partenza per porre tutte le questioni.
Partendo dalla loro valutazione, essi hanno dato forma ad alcune nuove idee, di cui sono molto fieri, sia sulle questioni internazionali che italiane.
1. “Occorre intanto battersi, nel quadro della lotta mondiale per la pace e la coesistenza pacifica, per una politica di cooperazione economica internazionale, che permetta di superare i contrasti che oggi si oppongono a un più rapido sviluppo
economico che si traduca in progresso sociale”(6).
2. “In particolare in Europa è necessario sviluppare un’iniziativa unitaria, per porre le basi di una cooperazione economica europea anche tra Stati a diversa struttura sociale, che permetta, nel quadro degli organismi economici e politici dell’ONU, di intensificare gli scambi, di eliminare o ridurre gli ostacoli doganali, di intervenire in comune per favorire il progresso delle aree sottosviluppate”(6).
3. “[…] Si deve chiedere che […] venga sviluppata un’azione sistematica che tenda a superare la divisione in blocchi dell’Europa e del mondo, spezzando gli ostacoli di indole politica e militare che mantengono questa divisione […] per ricostituire in questo modo il mercato unico mondiale” (6).
4. Con le tecniche militari moderne, “anche la guerra […] diventa cosa qualitativamente diversa da ciò che era prima. La nostra stessa dottrina richiede, di fronte a questo mutamento di natura della guerra, nuove riflessioni”(7).
5. “Combattendo per la pace e per la pacifica coesistenza noi vogliamo creare un mondo nuovo, la cui prima caratteristica sarà di essere un mondo senza guerra”(7).
6. “È quasi completamente crollato il regime coloniale, […] non ci sono più nel mondo sfere d’influenza riservate all’imperialismo” (8).
7. “Esiste infatti oggi nello stesso mondo capitalista una spinta a trasformazioni strutturali e a riforme di carattere socialista, che è in relazione con lo stesso progresso economico e con la nuova espansione delle forze produttive”(8).
8. “Lo stesso termine di dittatura proletaria può assumere un contenuto diverso da quello che ebbe durante gli aspri anni della guerra civile e della prima costruzione socialista, in un paese accerchiato dal capitalismo”(6).
9. Nei paesi capitalisti, per “realizzare profonde riforme delle attuali strutture economiche e politiche […] una funzione di primo piano può spettare, in questo campo, agli istituti parlamentari”(6).
10. In un paese capitalista come l’Italia, si può realizzare “l’avvento di tutto il popolo alla direzione del paese”. In Italia le forze democratiche possono “contestare la natura di classe e i fini di classe dello Stato, nell’accettazione piena e nella difesa del patto costituzionale”(6).
11. “Nazionalizzazioni”, “programmazione” e “interventi dello Stato” nella vita economica, possono diventare “uno strumento di lotta contro il potere del grande capitale per colpire, limitare, spezzare il dominio dei grandi gruppi monopolisti”(7).
12 I gruppi dirigenti borghesi possono attualmente accettare “i concetti di pianificazione e programmazione dell’economia, considerati un tempo prerogativa socialista […] ciò non toglie che quanto avviene sia un segno di maturazione delle condizioni oggettive del passaggio del capitalismo al socialismo” (7).
In breve, le nuove idee avanzate dal compagno Togliatti e da altri compagni ci presentano un quadro del mondo attuale come essi l’immaginano. Anche se il compagno Togliatti e altri compagni utilizzano, nelle loro tesi e nei loro articoli, come cortina di fumo, una certa fraseologia marxista-leninista e molte formulazioni speciose e ambigue, essi non possono in fondo nascondere l’essenza di queste loro nuove idee. Vale a dire, essi tentano di sostituire la lotta di classe con la collaborazione di classe, la rivoluzione proletaria con le “riforme di struttura”, il movimento di liberazione nazionale con il cosiddetto “intervento in comune”.
Queste nuove idee del compagno Togliatti e di altri compagni implicano che, su scala internazionale, le contraddizioni sociali antagoniste stanno scomparendo e le forze sociali in conflitto si stanno fondendo in un tutto unico. Per esempio, forze in conflitto quali il sistema socialista e il sistema capitalista, il campo socialista e il campo imperialista, i diversi paesi imperialisti, i paesi imperialisti e le nazioni oppresse, la borghesia e il proletariato e gli altri lavoratori nei paesi capitalisti e i vari gruppi monopolisti dei paesi imperialisti e così via si stanno fondendo o si fonderanno in un tutto unico.
È molto difficile per noi vedere a qual punto le nuove idee del compagno Togliatti e di altri compagni differiscono, in definitiva, dalla serie di assurdi punti di vista antimarxisti-leninisti contenuti nel programma della cricca di Tito, che ha procurato a questa una trista fama.
Senza dubbio, queste nuove idee del compagno Togliatti e di altri compagni sono la più grave sfida alla dottrina marxista-leninista e un tentativo di rovesciarla completamente. Qui noi ricordiamo il titolo che Engels dette alla sua opera polemica indirizzata contro Dühring: Il sig. Dühring sconvolge la scienza . Il compagno Togliatti avrebbe intenzione di seguire le orme di Dühring e di intraprendere un nuovo “sconvolgimento” della dottrina marxista-leninista?
 

Una ricetta per trasformare il mondo cui non credono neanche loro
 
Come “permettere di superare i contrasti che oggi si oppongono a un più rapido sviluppo economico che oggi si traduca in progresso sociale”(6)? In altre parole, come arrivare a fondere in un tutto unico le forze sociali antagoniste sia internazionali sia interne? La risposta del compagno Togliatti e di altri compagni è: “Dagli Stati socialisti, e prima di tutto dall’Unione Sovietica, parte oggi una sfida alla competizione pacifica con le classi dirigenti borghesi, per la costruzione di un ordinamento economico e sociale nel quale siano soddisfatte tutte le aspirazioni degli uomini e dei popoli alla libertà, al benessere, all’indipendenza, al completo sviluppo e rispetto della persona umana, alla pacifica collaborazione fra tutti gli Stati”(6).
Questa risposta del compagno Togliatti e di altri compagni significa forse che è possibile, semplicemente attraverso la competizione pacifica tra paesi socialisti e paesi capitalisti, senza una rivoluzione popolare, instaurare nei paesi capitalisti lo stesso “ordinamento economico e sociale” dei paesi socialisti? Se fosse così, non significherebbe forse che il capitalismo cesserebbe di essere capitalismo, che l’imperialismo cesserebbe di essere imperialismo e che la borghesia, invece di continuare la sua lotta all’ultimo sangue sia all’interno sia all’estero per i profitti e i superprofitti, potrebbe “cooperare pacificamente” con tutti gli uomini e con tutti i paesi per soddisfare tutte le aspirazioni dell’umanità?
Ecco la ricetta escogitata dal compagno Togliatti per trasformare il mondo.
Tuttavia, poiché questa panacea non si è ancora dimostrata efficace nella pratica del movimento italiano, come potrebbero i marxisti-leninisti credere alla leggera a questa ricetta?
Tutti sanno, e i marxisti-leninisti devono ricordarlo ancora meglio, che dopo la Rivoluzione d’Ottobre, Lenin avanzò la politica della coesistenza pacifica tra i paesi socialisti e i paesi capitalisti, preconizzando la competizione economica tra essi. L’Unione Sovietica socialista è stata per la maggior parte dei quarant’anni e più della sua esistenza in condizioni di coesistenza pacifica con i paesi capitalisti. Noi consideriamo che la politica di coesistenza pacifica seguita da Lenin e da Stalin è del tutto giusta e necessaria. Essa mostra che i paesi socialisti non vogliono né hanno bisogno di usare la forza per regolare le controversie tra paesi. La superiorità del sistema socialista, dimostrata dai paesi socialisti, sta enormemente incoraggiando i popoli e le nazioni oppresse. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre Lenin disse ripetutamente che l’edificazione socialista dell’Unione Sovietica avrebbe costituito un esempio per il resto del mondo. Egli disse che il sistema comunista può essere creato dal proletariato vittorioso e che “questo compito è di significato universale” (9). Nel 1921, quando la guerra civile era quasi terminata e lo Stato sovietico cominciava a incamminarsi sulla via dell’edificazione pacifica, Lenin pose l’edificazione economica socialista quale compito principale dello Stato sovietico. Egli disse: “Al presente è essenzialmente con la nostra politica economica che noi esercitiamo la nostra influenza sulla rivoluzione internazionale” (10). Lenin aveva ragione. È precisamente in questo modo che le forze del socialismo hanno esercitato un’influenza sempre maggiore sulla situazione internazionale. Ma Lenin non affermò mai che l’edificazione del paese dei soviet poteva sostituire la lotta dei popoli di tutti i paesi del mondo per la loro liberazione. I fatti storici di oltre quarant’anni di esistenza dell’Unione Sovietica dimostrano anche che la rivoluzione e il cambiamento del sistema di un paese sono affare del suo popolo e che la politica di coesistenza pacifica e di competizione pacifica seguita dai paesi socialisti non può affatto determinare una trasformazione del sistema sociale di altri paesi. Su che cosa si basano il compagno Togliatti e altri compagni per affermare che, seguendo la politica di coesistenza pacifica e di competizione pacifica, i paesi socialisti potrebbero cambiare la fisionomia del sistema in tutti gli altri paesi del mondo e instaurare “un ordinamento economico e sociale” capace di soddisfare tutte le aspirazioni degli uomini?
È vero che il compagno Togliatti e gli altri compagni non sono affatto certi della loro ricetta, perciò continuano a dire nelle loro tesi che “i gruppi dirigenti dei paesi imperialisti non vogliono invece rinunciare al dominio sul mondo intero”.
Ma il compagno Togliatti e gli altri compagni non si basano sulle leggi dello sviluppo sociale per capire perché i gruppi dirigenti dei paesi imperialisti “non vogliono rinunciare al dominio sul mondo intero”.
Essi sostengono semplicemente che si tratta di una concezione erronea o una “comprensione” erronea dei gruppi dirigenti dei paesi imperialisti nei confronti della situazione internazionale e che precisamente da questa concezione e da questa “comprensione” erronee deriva “l’incertezza della situazione internazionale”(6).
Dal punto di vista marxista-leninista, come si possono ridurre gli sforzi dell’imperialismo per mantenere il dominio, l’incertezza della situazione internazionale e simili questioni, a una semplice questione di comprensione da parte dei gruppi dirigenti dei paesi imperialisti e non considerarle come manifestazioni delle leggi di sviluppo del capitalismo imperialista? Come si può supporre che il sistema sociale di paesi differenti potrà essere radicalmente trasformato senza lotta di classe e rivoluzioni dei popoli di questi paesi, il giorno in cui i gruppi dominanti dei paesi imperialisti avranno una “esatta comprensione” e i governanti di questi paesi saranno diventati “ragionevoli”?
 

Due punti di vista fondamentalmente differenti sulle contraddizioni nel mondo
 
Analizzando l’attuale situazione internazionale, i marxisti-leninisti devono avere in mano i dati politici ed economici essenziali sui vari paesi del mondo e comprendere le seguenti principali contraddizioni: le contraddizioni fra il campo socialista e quello imperialista, fra gli stessi paesi imperialisti, fra i paesi imperialisti e le nazioni oppresse e, nei paesi capitalisti, le contraddizioni fra la borghesia da una parte e il proletariato e gli altri lavoratori dall’altra, fra i diversi gruppi monopolisti, fra la borghesia monopolista e la media e piccola borghesia e così via. Ovviamente, soltanto conoscendo queste contraddizioni, analizzando queste contraddizioni e i loro mutamenti in differenti periodi e individuando il centro focale delle specifiche contraddizioni del momento, i partiti politici della classe operaia di tutti i paesi potranno valutare in modo giusto la situazione nazionale e internazionale e basare la loro politica su sicure posizioni teoriche. Purtroppo sono proprio queste contraddizioni che Togliatti e altri compagni non hanno seriamente affrontato nelle loro tesi e ne risulta inevitabilmente che il loro programma è uscito addirittura dall’orbita del marxismo-leninismo.
Naturalmente Togliatti e altri compagni hanno, è vero, menzionato numerose contraddizioni nelle loro tesi; lo strano è che il compagno Togliatti, che si definisce un marxista-leninista, abbia eluso precisamente queste contraddizioni principali.
Ecco le contraddizioni che le tesi del decimo Congresso del PCI hanno elencato come esistenti nella situazione internazionale, trattando del Mercato comune europeo:
“L’accresciuta rivalità economica tra i grandi Stati capitalisti si accompagna però a un’accentuata tendenza non solo agli accordi internazionali tra i grandi monopoli, ma anche alla creazione di organiche intese commerciali ed economiche tra gruppi di Stati. L’estensione dei mercati, che nell’Europa occidentale è stata la conseguenza di una di queste intese (Mercato comune europeo), ha stimolato lo sviluppo economico di alcuni paesi (Italia, Repubblica federale tedesca). L’integrazione economica condotta sotto la direzione dei grandi gruppi monopolisti e legata alla politica atlantica di riarmo e di guerra, ha però fatto sorgere, su scala internazionale e nei singoli paesi, nuove contraddizioni tra l’avanzata di alcune regioni altamente industriali e la permanente e anche relativamente crescente arretratezza e decadenza di altre; tra il ritmo del progresso produttivo dell’industria e quello dell’agricoltura che dappertutto attraversa un periodo di gravi difficoltà e di crisi; tra le zone più o meno estese di benessere e alti consumi e le estesissime zone di sottosalario, di sottoconsumo e di miseria; tra l’enorme massa di ricchezza che viene distrutta, oltre che per il riarmo, per spese improduttive e di lusso sfrenato e l’impossibilità di risolvere problemi che sono essenziali per la vita delle masse popolari e per il progresso (la casa, la scuola, la sicurezza sociale, ecc.)”.
Ecco un lungo elenco di cosiddette contraddizioni o “nuove contraddizioni”, ma non si menzionano affatto le contraddizioni di classe, quelle fra l’imperialismo e i suoi lacchè da un lato e i popoli di tutto il mondo dall’altro, ecc. Secondo Togliatti e altri compagni le contraddizioni esistenti “su scala internazionale e nei singoli paesi” sarebbero le contraddizioni fra zone industrialmente sviluppate e zone industrialmente sottosviluppate e quelle fra zone ricche e zone povere.
Essi ammettono l’esistenza della rivalità economica fra i paesi capitalisti, fra gruppi del grande capitale monopolista e fra i gruppi di Stati, ma le conclusioni cui giungono sono che le contraddizioni non sono di classe o sono al di sopra delle classi. Essi sostengono che le contraddizioni fra i paesi imperialisti sono conciliabili e possono anche essere eliminate per mezzo di “accordi internazionali fra i grandi monopoli” e della “creazione di organiche intese commerciali ed economiche tra gruppi di Stati”. Questo punto di vista plagia in realtà la “teoria dell’ultraimperialismo” dei vecchi revisionisti, qualificata da Lenin come una “ultrasciocchezza” .
È ben noto che Lenin avanzò l’importante tesi che nell’epoca dell’imperialismo “l’ineguaglianza dello sviluppo economico e politico è una legge assoluta del capitalismo” (11). Lo sviluppo ineguale dei paesi capitalisti nell’epoca dell’imperialismo procede a salti; paesi rimasti prima indietro saltano, d’un tratto, in testa, mentre i paesi ch’erano in testa, rimangono indietro. Questa legge assoluta dello sviluppo ineguale del capitalismo ha conservato la sua validità anche dopo la Seconda guerra mondiale. Sebbene gli imperialisti americani, i revisionisti e gli opportunisti abbiano continuamente proclamato che lo sviluppo del capitalismo americano trascende questa legge assoluta, il ritmo dello sviluppo economico in Giappone, nella Germania occidentale, in Italia, in Francia e in altri paesi capitalisti da parecchi anni, dopo la Seconda guerra, ha superato quello degli Stati Uniti. Il peso degli Stati Uniti nell’economia capitalista mondiale è diminuito. La produzione industriale degli Stati Uniti, che costituiva il 53.4 per cento di quella dell’intero mondo capitalista nel 1948, è scesa al 44.1 per cento nel 1960 e al 43 per cento nel 1961.
Benché il ritmo dello sviluppo economico del capitalismo americano sia sceso al di sotto di quello di numerosi paesi capitalisti, gli Stati Uniti non hanno ancora perso interamente la loro posizione di monopolio nel mondo capitalista. Pertanto da una parte gli Stati Uniti cercano di mantenere ed estendere la loro posizione monopolista e dominante nel mondo capitalista; dall’altra parte gli altri paesi imperialisti e capitalisti cercano di sottrarsi al controllo imperialista degli Stati Uniti. Questa è una contraddizione reale flagrante e sempre più acuta del sistema politico-economico del capitalismo mondiale. Oltre a questa contraddizione fra l’imperialismo americano e gli altri paesi imperialisti, ci sono altre contraddizioni fra alcuni paesi imperialisti e fra alcuni paesi capitalisti. Le contraddizioni fra i paesi imperialisti provocheranno ineluttabilmente, e in effetti hanno già provocato, un inasprimento della lotta fra loro per la conquista di mercati, di sbocchi per l’investimento dei capitali e di fonti di materie prime. A questa si intrecciano le lotte fra i colonialisti nuovi e vecchi e fra i paesi imperialisti vincitori e vinti. Gli avvenimenti del Congo, il recente litigio sul MEC e il litigio suscitato dalle restrizioni imposte dagli Stati Uniti alle importazioni dal Giappone ne sono esempi tipici.
Sebbene le tesi del decimo Congresso del PCI abbiano sottolineato che “l’assoluta prevalenza economica del capitalismo americano incomincia a scomparire per uno di quei processi di sviluppo ineguale e a salti che sono propri del capitalismo e dell’imperialismo”, Togliatti e altri compagni non hanno scorto, in questo fenomeno nuovo, l’ampliamento e approfondimento delle contraddizioni del mondo capitalista; né hanno scorto che questo fenomeno nuovo può generare una situazione nuova con acute lotte all’ultimo sangue fra i paesi imperialisti, lotte serrate fra i vari gruppi monopolisti dei paesi imperialisti e fra il proletariato e gli altri lavoratori da una parte e la borghesia monopolista dall’altra nei paesi capitalisti. In particolare, l’area del mercato mondiale controllata dall’imperialismo si è contratta, in seguito alla vittoria della rivoluzione socialista in una serie di paesi; inoltre, il conseguimento dell’indipendenza nazionale da parte di numerosi paesi in Asia, Africa e America Latina ha scosso il monopolio economico dell’imperialismo in queste regioni. In questa situazione, le acute lotte che infuriano nel mondo capitalista non si sono affievolite, ma sono diventate più violente che in passato.
Attualmente, esistono due sistemi economici mondiali di natura differente, il sistema socialista e quello capitalista e due campi mondiali antagonisti, il campo socialista e quello imperialista. Nel corso dello sviluppo della situazione, le forze del socialismo hanno superato quelle dell’imperialismo. La forza dei paesi socialisti, più quella dei popoli rivoluzionari di tutti i paesi, più la forza del movimento di liberazione nazionale e quella del movimento per la pace: tutte queste forze unite superano, senza dubbio e considerevolmente, quelle degli imperialisti e dei loro lacchè. In altri termini, nel rapporto di forze mondiali, la superiorità è dalla parte del socialismo, la superiorità è dalla parte delle forze che difendono la pace mondiale, non dalla parte delle forze imperialiste di guerra. Per dirla con i comunisti cinesi, “il vento dell’est prevale sul vento dell’ovest”. È completamente errato non tenere conto dell’enorme cambiamento avvenuto nel rapporto di forze nel mondo dopo la Seconda guerra mondiale. Tuttavia questo cambiamento non ha eliminato le varie contraddizioni inerenti al mondo capitalista, né ha modificato la “legge della giungla” della sopravvivenza nella società capitalistica e non preclude la possibilità che i paesi imperialisti si scindano in blocchi diversi e s’ingolfino in ogni sorta di conflitti per perseguire i loro particolari interessi.
Come si può affermare che la distinzione fra i due diversi sistemi sociali del capitalismo e del socialismo scomparirà automaticamente in conseguenza del cambiamento nel rapporto di forze mondiali?
Come si può affermare che le diverse contraddizioni inerenti al mondo capitalista scompariranno automaticamente in conseguenza del cambiamento nel rapporto di forze mondiali?
Come si può affermare che le forze dominanti dei paesi capitalisti lasceranno volontariamente l’arena della storia in conseguenza del cambiamento nel rapporto di forze mondiali?
Eppure nelle tesi di Togliatti e di altri compagni si trovano esattamente queste opinioni.
 

Il centro focale delle contraddizioni nel mondo dopo la Seconda guerra mondiale
 
Togliatti e altri compagni vivono fisicamente nel mondo capitalista, ma la loro mente è immersa nell’illusione del sogno.
I comunisti che vivono nel mondo capitalista dovrebbero basarsi sull’analisi di classe marxista-leninista e, procedendo dalla situazione mondiale nel suo insieme, analizzare la contraddizione tra il campo socialista e quello imperialista e soprattutto analizzare le contraddizioni tra i paesi imperialisti, tra i paesi imperialisti e le nazioni oppresse e tra la borghesia da una parte e il proletariato e gli altri lavoratori dall’altra in ciascun paese imperialista, in modo da indicare la giusta via per il proletariato del proprio paese e per tutte le nazioni e i popoli oppressi. Ma, con nostro rincrescimento, Togliatti e altri compagni hanno mancato di fare ciò. Essi esprimono soltanto, in modo vago e irrilevante, frasi vuote su tali contraddizioni, mentre in realtà le dissimulano e cercano di condurre su una falsa strada il proletariato italiano e tutti i popoli oppressi.
Come Tito, il compagno Togliatti descrive la contraddizione tra il campo imperialista e quello socialista come “esistenza e contrapposizione di due grandi blocchi militari”(7) e sostiene che “modificando la situazione” può essere realizzato un nuovo mondo “senza guerra” e di “collaborazione pacifica”. Così la contraddizione tra i due grandi sistemi sociali nel mondo può scomparire.
Queste idee del compagno Togliatti sono un po’ troppo ingenue. Per quanto egli speri giorno dopo giorno che i dirigenti dei paesi imperialisti possano diventare “ragionevoli”, gli imperialisti non disarmeranno mai né cambieranno volontariamente il loro sistema sociale come spera il compagno Togliatti. In sostanza, le sue idee possono soltanto significare che i paesi socialisti dovrebbero abbandonare o abolire le loro forze difensive e che nel sistema socialista si dovrebbe produrre la cosiddetta liberalizzazione, cioè la “evoluzione pacifica” o “evoluzione spontanea” verso il capitalismo, quello che gli imperialisti hanno sempre sperato.
La contraddizione tra il campo imperialista e quello socialista è una contraddizione tra due sistemi sociali, è una fondamentale contraddizione mondiale, che è senza dubbio acuta. Come potrebbe un marxista-leninista considerarla una contraddizione tra due blocchi militari piuttosto che tra due sistemi sociali?
Un marxista-leninista non deve neanche considerare le contraddizioni esistenti nel mondo semplicemente ed esclusivamente come contraddizioni tra i due campi imperialista e socialista.
Si deve sapere che, per la natura della loro società, i paesi socialisti non hanno bisogno dell’espansione territoriale, non possono né devono praticarla, né l’ammettono. Essi hanno i propri mercati interni e la Cina e l’Unione Sovietica, in particolare, hanno i più vasti mercati interni. I paesi socialisti praticano anch’essi il commercio internazionale secondo il principio di uguaglianza e reciproco vantaggio, ma non hanno bisogno di competere con i paesi imperialisti per mercati e sfere d’influenza e per questo non hanno assolutamente bisogno di conflitti e tanto meno di conflitti armati con i paesi imperialisti.
Le cose, però, stanno in modo completamente diverso nei paesi imperialisti.
Finché esiste il sistema imperialista, le leggi dell’imperialismo continuano a operare. Gli imperialisti continuano a opprimere e sfruttare il popolo del proprio paese e ad aggredire, opprimere e sfruttare altre nazioni e paesi. Essi continuano a considerare le colonie, le semicolonie, le varie sfere d’influenza come proprie fonti di ricchezza. Questi lupi “civilizzati” dell’imperialismo hanno sempre considerato l’Asia, l’Africa e l’America Latina come un boccone appetitoso da contendersi e divorare. Ricorrendo a ogni sorta di mezzi, non hanno mai cessato di reprimere le lotte e le insurrezioni popolari nelle colonie e nelle loro sfere d’influenza. Quale che sia la politica che gli imperialisti seguono, che sia la politica del vecchio colonialismo o quella del nuovo colonialismo, tra l’imperialismo e le nazioni oppresse è inevitabile l’esistenza di contraddizioni. Queste contraddizioni sono inconciliabili ed estremamente acute e non possono essere in alcun modo celate.
Inoltre i paesi imperialisti lottano costantemente tra loro per conquistare mercati, fonti di materie prime, sfere d’influenza e profitti su forniture di guerra. Talvolta questa lotta può diventare meno acuta e può sfociare in compromessi e perfino nella formazione di qualche “alleanza di gruppi di Stati”, ma tali distensioni, compromessi o alleanze alimentano sempre contraddizioni e lotte più acute, più intense e più vaste tra gli imperialisti.
Dopo la Seconda guerra mondiale, sostituendosi ai fascisti tedeschi, italiani e giapponesi, gli imperialisti americani hanno continuato a seguire una politica d’espansione in tutte le parti del mondo. Sotto il pretesto dell’antisovietismo, essi hanno prima di tutto messo in atto una serie di aggressioni, annessioni e controlli nei confronti di ex colonie e sfere d’influenza della Gran Bretagna, della Francia, della Germania, del Giappone, dell’Italia e di altri paesi. Allo stesso tempo, sempre sotto il pretesto dell’antisovietismo, essi hanno approfittato delle condizioni post-belliche per mettere una serie di paesi capitalisti (Gran Bretagna, Francia, Germania occidentale, Giappone, Italia, Belgio, Canada, Australia e altri) sotto il controllo diretto del capitale monopolista degli Stati Uniti. Tale controllo è militare, politico ed economico.
In altri termini, l’imperialismo americano tenta di costruire nel mondo capitalista un grande impero, senza precedenti nella storia. Questo grande impero che esso cerca di costruire, non solo implicherebbe l’asservimento diretto di nazioni sconfitte quali la Germania occidentale, l’Italia e il Giappone e delle loro ex colonie e sfere d’influenza, ma anche dei suoi alleati nel tempo di guerra, Gran Bretagna, Francia, Belgio e gli altri e delle loro ex colonie e sfere d’influenza.
Ciò vale a dire che nella realizzazione pratica di questo progettato grande impero senza precedenti, gli imperialisti statunitensi concentrano i loro sforzi principalmente nella conquista dell’immensa zona intermedia tra gli Stati Uniti e i paesi socialisti. Allo stesso tempo, essi ricorrono a ogni mezzo per condurre attività di sovversione, sabotaggio e aggressione contro i paesi socialisti.
Qui non sarebbe male riprendere un momento la nota intervista del compagno Mao Zedong, dell’agosto del 1946, nella quale egli smascherò la cortina di fumo dell’antisovietismo allora usata dagli imperialisti statunitensi e fece la seguente concisa analisi della situazione mondiale:
“Gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sono separati da una vasta zona che comprende molti paesi capitalisti, coloniali e semicoloniali in Europa, in Asia e in Africa. Prima che i reazionari degli Stati Uniti abbiano soggiogato questi paesi, un attacco contro l’Unione Sovietica è fuori discussione. Nel Pacifico, gli Stati Uniti controllano attualmente zone più vaste di tutte le vecchie sfere d’influenza britanniche messe insieme; essi controllano il Giappone, la parte della Cina che è sotto il dominio del Kuomintang, la metà della Corea e il Pacifico del sud. Da lungo tempo controllano l’America centrale e meridionale. Essi cercano di controllare anche l’intero impero britannico e l’Europa occidentale. Usando vari pretesti, gli Stati Uniti prendono misure militari su larga scala e creano basi militari in numerosi paesi. I reazionari americani dicono che le basi militari che hanno creato e si stanno preparando a creare in tutto il mondo sono dirette contro l’Unione Sovietica. È vero che queste basi militari sono dirette contro l’Unione Sovietica. Tuttavia attualmente non è l’Unione Sovietica, ma sono i paesi in cui queste basi militari sono dislocate i primi a subire l’aggressione degli Stati Uniti. Io credo che non passerà molto tempo prima che questi paesi comprendano chi li sta realmente opprimendo, se l’Unione Sovietica o gli Stati Uniti. Verrà il giorno in cui i reazionari americani si troveranno contro i popoli di tutto il mondo.
Naturalmente io non intendo dire che i reazionari americani non hanno intenzione di attaccare l’Unione Sovietica. L’Unione Sovietica è un difensore della pace mondiale e un fattore potente nell’impedire la dominazione del mondo da parte dei reazionari statunitensi. Grazie all’esistenza dell’Unione Sovietica, è assolutamente impossibile per i reazionari degli Stati Uniti e del mondo realizzare le loro ambizioni. Ecco perché i reazionari degli Stati Uniti odiano rabbiosamente l’Unione Sovietica e in effetti sognano di distruggere questo Stato socialista. Ma il fatto che i reazionari americani stiano ora strombazzando così rumorosamente su una guerra americano-sovietica e creando una sporca atmosfera, a così breve distanza dalla Seconda guerra mondiale, ci costringe a guardare ai loro reali obiettivi. Scopriamo così che sotto la protezione di slogan antisovietici, essi attaccano freneticamente gli operai e i circoli democratici nel loro paese e trasformano tutti i paesi che sono bersaglio dell’espansione degli Stati Uniti in loro dipendenze. Io credo che il popolo americano e i popoli di tutti i paesi minacciati dall’aggressione statunitense dovrebbero unirsi e lottare contro gli attacchi reazionari degli Stati Uniti e dei loro lacchè in quei paesi. Solo con la vittoria in questa lotta può essere evitata una terza guerra mondiale. Diversamente, essa è inevitabile” (12).
Così, 16 anni or sono, il compagno Mao Zedong denunciò nel modo più chiaro i tentativi degli imperialisti statunitensi di creare un grande impero mondiale e mostrò come sconfiggere il loro piano forsennato di asservire il mondo e come indirizzare i nostri sforzi per evitare all’umanità una terza guerra mondiale.
In questo passo, il compagno Mao Zedong spiega che c’è una vasta zona intermedia tra gli imperialisti degli Stati Uniti e i paesi socialisti. Questa zona intermedia comprende l’intero mondo capitalista, esclusi gli Stati Uniti. Il clamore degli imperialisti degli Stati Uniti circa una guerra contro il campo socialista mostra che mentre essi stanno effettivamente preparando una guerra aggressiva contro i paesi socialisti e sognano di distruggerli, quel clamore serve anche da cortina di fumo per nascondere il loro scopo immediato di aggressione contro la zona intermedia e del suo asservimento.
Questa politica di aggressione e asservimento da parte degli imperialisti degli Stati Uniti, con la loro brama di egemonia mondiale, si scontra in primo luogo con la resistenza delle nazioni e dei popoli oppressi della zona intermedia e in particolare di quelli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina e ha alimentato le fiamme della rivoluzione che sono state accese in queste zone per oltre dieci anni. Le fiamme della rivoluzione in Asia, Africa e America Latina stanno ulteriormente intaccando le fondamenta del dominio imperialista; esse si stanno diffondendo e continueranno a diffondersi su zone ancora più vaste.
Intanto la politica imperialista di egemonia mondiale degli Stati Uniti intensifica inevitabilmente la contesa tra i paesi imperialisti e tra i nuovi e vecchi colonialisti per le colonie e le sfere d’influenza; essa intensifica anche le lotte tra l’imperialismo degli Stati Uniti, con la sua politica di controllo, e le altre potenze imperialiste che stanno opponendo resistenza a questo controllo. Queste lotte concernono gli interessi vitali dell’imperialismo e i contendenti imperialisti non si danno quartiere, poiché ogni parte cerca di strangolare l’altra.
La politica degli imperialisti degli Stati Uniti e dei loro associati verso le nazioni e i popoli oppressi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, che stanno lottando per la propria liberazione, è una politica estremamente reazionaria, di repressione e d’inganno. I paesi socialisti, partendo da un forte senso del dovere, seguono naturalmente una politica di solidarietà e di appoggio verso le lotte rivoluzionarie nazionali e democratiche in queste zone. Queste due politiche sono fondamentalmente diverse. In queste zone si manifesta inevitabilmente la contraddizione tra di esse. La politica dei revisionisti moderni verso queste zone serve in effetti i fini della politica imperialista. Di conseguenza, in queste zone si manifesta inevitabilmente anche la contraddizione tra la politica dei marxisti-leninisti e quella dei revisionisti moderni.
La popolazione di queste aree in Asia, in Africa e in America Latina costituisce oltre i due terzi della popolazione totale del mondo capitalista. L’ondata sempre crescente della rivoluzione in queste aree e la contesa per esse tra i paesi imperialisti e tra i nuovi e vecchi colonialisti, mostrano chiaramente che queste zone sono il centro focale di tutte le contraddizioni del mondo capitalista; si può anche dire che esse sono il centro focale delle contraddizioni del mondo. Queste zone sono l’anello più debole della catena imperialista e l’epicentro della rivoluzione mondiale.
L’esperienza degli ultimi sedici anni ha completamente confermato la correttezza della tesi del compagno Mao Zedong sulla determinazione del centro focale delle contraddizioni del mondo dopo la Seconda guerra mondiale.
 

È cambiato il centro focale delle contraddizioni mondiali?
 
Nel corso degli ultimi sedici anni, si sono verificati enormi cambiamenti nel mondo. I principali sono:
1. La creazione di una serie di paesi socialisti in Europa e in Asia, la vittoria della rivoluzione del popolo cinese; questi paesi insieme con l’Unione Sovietica hanno formato il campo socialista. Questo campo socialista comprende dodici paesi: Albania, Bulgaria, Ungheria, Vietnam, Repubblica democratica tedesca, Cina, Corea, Mongolia, Polonia, Romania, Unione Sovietica e Cecoslovacchia e ha una popolazione di un miliardo di persone. Ciò ha radicalmente modificato il rapporto di forze nel mondo.
2. La potenza dell’Unione Sovietica e dell’intero mondo socialista si è considerevolmente accresciuta e la sua influenza si è estesa.
3. Il movimento di liberazione nazionale e il movimento rivoluzionario dei popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina hanno distrutto e continuano a distruggere, con potenza fulminante, su vaste zone, le posizioni degli imperialisti americani e dei loro associati. Dopo aver rovesciato il regime reazionario dei lacchè dell’imperialismo americano, l’eroico popolo cubano ha riportato grandi vittorie nella sua rivoluzione e ha imboccato la via del socialismo.
4. La lotta per i diritti democratici e per il socialismo condotta dalla classe operaia e dagli altri lavoratori dei paesi capitalisti d’Europa e d’America ha avuto nuovi slanci e nuovi sviluppi.
5. Lo sviluppo ineguale dei paesi capitalisti si è fatto più rilevante. Le forze capitaliste in Francia hanno avuto nuovi sviluppi e cominciano a sentirsi tanto forti da competere con gli Stati Uniti. Le contraddizioni tra la Gran Bretagna e gli Stati Uniti si sono ulteriormente aggravate. Appoggiati dagli Stati Uniti, i paesi vinti della Seconda guerra mondiale (Germania occidentale, Italia e Giappone) si sono risollevati e stanno cercando a diversi livelli di liberarsi dal dominio americano. La Germania occidentale e il Giappone, dove il militarismo sta risorgendo, stanno diventando di nuovo focolai di guerra. Prima della Seconda guerra mondiale, la Germania e il Giappone erano i principali concorrenti degli imperialisti americani. Oggi la Germania occidentale si scontra di nuovo con gli imperialisti americani quale principale concorrente nel mercato capitalista mondiale. La concorrenza tra il Giappone e gli Stati Uniti diventa anch’essa ogni giorno più aspra.
6. La sempre crescente disuguaglianza dello sviluppo economico e politico tra i paesi capitalisti è accompagnata da una concorrenza sempre più aspra tra i vari gruppi monopolisti all’interno di quei paesi.
Questi cambiamenti ci dimostrano che se i popoli dei vari paesi prendono coscienza e si uniscono, possono battere gli imperialisti americani e i loro lacchè e conquistarsi la libertà e l’emancipazione.
Questi cambiamenti ci dimostrano anche che più si sviluppa la potenza dei paesi socialisti, più si rafforza l’unità del campo socialista, più si estende il movimento di liberazione delle nazioni oppresse, più si amplia la lotta del proletariato e dei popoli oppressi nei paesi capitalisti, maggiore diventa allora la possibilità di legare mani e piedi agli imperialisti, in modo che essi non osino più sfidare la volontà universale del popolo e maggiore diventa la possibilità d’impedire una nuova guerra mondiale e di salvaguardare la pace mondiale.
Inoltre, questi cambiamenti ci dimostrano che le contraddizioni tra gli imperialisti americani e gli altri paesi imperialisti si approfondiscono e si acutizzano sempre più e che tra loro si sviluppano nuovi conflitti.
La vittoria della rivoluzione del popolo cinese, le vittorie dei paesi socialisti nella loro edificazione, la vittoria della rivoluzione nazionale e democratica in numerosi paesi e la vittoria della rivoluzione del popolo cubano hanno inflitto un colpo estremamente grave all’insensato piano d’asservimento mondiale degli imperialisti americani. Allo scopo di realizzare la loro politica di aggressione, gli imperialisti degli Stati Uniti, oltre a condurre propaganda antisovietica, sono stati particolarmente attivi, in questi ultimi anni, nella propaganda contro la Cina. Il loro proposito in questa propaganda è, naturalmente, di perpetuare la forzata occupazione del nostro territorio di Taiwan e di condurre ogni sorta di criminali attività sovversive, minacciando il nostro paese.
Nello stesso tempo, è ovvio che gli imperialisti americani stanno usando la loro propaganda anticinese per un altro importante scopo pratico, vale a dire il controllo e l’asservimento del Giappone, della Corea del sud e di tutta l’Asia sud-orientale. Il cosiddetto Trattato di mutua cooperazione e sicurezza tra il Giappone e gli Stati Uniti, la SEATO e così via, sono strumenti degli Stati Uniti per controllare e asservire un gran numero di paesi in questa zona.
Per anni, gli imperialisti americani hanno dato appoggio, sia aperto sia nascosto, ai reazionari indiani e al governo di Nehru. Qual è il loro obiettivo reale? Essi stanno cercando sottomano di trasformare l’India, che era una volta un possedimento coloniale dell’Impero britannico ed è ancora membro del Commonwealth britannico, in una sfera d’influenza degli Stati Uniti e di trasformare “il più brillante gioiello” della Corona imperiale britannica in un gioiello della Corona imperiale del dollaro yankee . Per raggiungere questo scopo, gli imperialisti americani hanno bisogno prima di tutto di creare un pretesto o di gettare una cortina di fumo per ingannare il popolo indiano e i popoli del mondo; da qui la “campagna anticinese” e l’opposizione alla cosiddetta “aggressione cinese”, sebbene neanche loro credano a questa aggressione. Gli imperialisti americani considerano l’azione militare anticinese del governo di Nehru come un’occasione magnifica per porre l’India sotto il loro controllo. Dopo che Nehru ebbe provocato il conflitto sulla frontiera cino-indiana, gli imperialisti americani, invocando la “campagna anticinese”, si sono
introdotti spavaldamente in India, dove stanno ampliando la loro influenza in campo militare, politico ed economico. Questa massiccia intrusione degli imperialisti americani rappresenta un passo importante dei reazionari americani nel loro piano neocolonialista per l’India e uno sviluppo importante delle attuali lotte, coperte e scoperte, tra i paesi imperialisti per l’accaparramento di mercati e di sfere d’influenza e per una nuova divisione del mondo. Questa azione imperialista degli Stati Uniti affretterà inevitabilmente un nuovo risveglio del popolo indiano e allo stesso tempo aggraverà necessariamente la contraddizione tra l’imperialismo britannico e quello statunitense in India.
In conseguenza della perdita delle vecchie colonie, dello sviluppo del movimento rivoluzionario nazionale e del restringimento del mercato mondiale capitalista, le dispute tra i paesi imperialisti non soltanto continuano a manifestarsi in Asia, in Africa, in America Latina e in Australia, ma anche nell’Europa occidentale, vecchia culla del capitalismo. Mai nella storia la rivalità tra i paesi imperialisti era stata così estesa in tempo di pace, raggiungendo tutti gli angoli dell’Europa occidentale e mai in passato aveva assunto la forma di una fiera contesa per aree industrialmente sviluppate quali l’Europa occidentale. Il Mercato comune europeo costituito da sei paesi tra cui la Germania occidentale, la Francia e l’Italia, l’Associazione europea per il libero scambio, costituita da sette paesi con alla testa la Gran Bretagna, e la Comunità atlantica progettata attivamente dagli Stati Uniti, dimostrano che la contesa tra i paesi imperialisti per il mercato dell’Europa occidentale si aggrava sempre più. Lo “sviluppo del commercio italiano in tutte le direzioni”(6) di cui parlano il compagno Togliatti e altri compagni è in realtà l’aspirazione della borghesia monopolista italiana all’accaparramento di mercati. Al di fuori dell’Europa occidentale, la recente disputa aperta suscitata dalle restrizioni imposte dagli Stati Uniti all’importazione di tessuti di cotone giapponesi, dimostra che la lotta per i mercati fra gli Stati Uniti e il Giappone sta diventando sempre più manifesta.
Il compagno Togliatti e alcuni altri compagni dicono che “è quasi completamente crollato il regime coloniale”(7) e che “non ci sono più, nel mondo, sfere d’influenza riservate all’imperialismo”(8). Altre persone dicono che “nel mondo, non ci sono che 50 milioni di uomini che ancora gemono sotto il giogo coloniale” e che non rimangono che vestigia del sistema coloniale. Secondo loro, la lotta contro l’imperialismo non è più un importante compito per i popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Queste affermazioni non hanno nessuna base concreta. In Asia, in Africa e in America Latina la maggior parte dei paesi è ancora vittima dell’aggressione e dell’oppressione degli imperialisti e dell’asservimento dei nuovi e vecchi colonialisti. Negli ultimi anni una serie di paesi sono diventati indipendenti, ma la loro economia si trova ancora sotto il controllo del capitale monopolista straniero. In certi paesi, i vecchi colonialisti sono stati cacciati, ma colonialisti ancora più potenti e più pericolosi di tipo nuovo hanno fatto irruzione, minacciando gravemente l’esistenza delle numerose nazioni di queste zone. Il compito della lotta dei popoli di queste zone contro l’imperialismo è ancora lontano dall’essere assolto. Anche un paese come la Cina, che ha compiuto la sua rivoluzione nazionale democratica e per di più ha riportato la vittoria nella rivoluzione socialista, ha ancora il compito di lottare contro l’aggressione degli imperialisti americani. Il nostro sacro territorio di Taiwan è ancora occupato dagli imperialisti americani. Ancora oggi, molti paesi imperialisti non riconoscono l’esistenza della grande Repubblica popolare cinese e la Cina è ingiustamente privata del suo legittimo seggio all’ONU. La lotta contro l’imperialismo, contro il vecchio e nuovo colonialismo, rimane il compito primo e più urgente delle nazioni e dei popoli oppressi nelle vaste regioni dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.
I cambiamenti avvenuti nel mondo, negli ultimi sedici anni, continuano a confermare che le contraddizioni tra la politica d’asservimento degli imperialisti americani e i popoli del mondo, tra la politica d’espansione mondiale degli imperialisti americani e quella degli altri paesi imperialisti sono il centro focale delle contraddizioni del mondo dopo la Seconda guerra mondiale. Queste contraddizioni si manifestano particolarmente nelle contraddizioni tra gli imperialisti americani e i loro lacchè da una parte e le nazioni e i popoli oppressi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina dall’altra e nelle contraddizioni tra i nuovi e vecchi colonialisti nelle contese per queste zone.
 

Proletari e nazioni oppresse di tutto il mondo, unitevi
 
L’Asia, l’Africa e l’America Latina sono state per lungo tempo saccheggiate e oppresse dai colonialisti europei e americani. Essi si sono nutriti e ingrassati con le enormi ricchezze depredate in queste vaste zone. Del sangue e del sudore dei popoli di queste zone hanno fatto “concime” per la “cultura e la civiltà capitaliste” (13), condannando questi popoli a un’estrema miseria e a un’enorme arretratezza nei campi economico e culturale. Ma l’eccesso provoca la rivolta. La politica di asservimento condotta per lungo tempo dagli oppressori stranieri, colonialisti e imperialisti, ha necessariamente alimentato l’odio di questi popoli, risvegliandoli dal letargo e spingendoli a lottare senza tregua, fino a organizzare la resistenza armata e l’insurrezione, per assicurare la propria esistenza e quella della loro nazione. Coloro che non accettano l’asservimento, in queste zone, sono gli operai, i contadini, gli artigiani, i piccoli borghesi, gli intellettuali, ma anche la borghesia nazionale patriottica e persino alcuni principi e aristocratici di sentimenti patriottici.
La resistenza che i popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina oppongono al colonialismo e all’imperialismo ha subito incessantemente atroci repressioni e numerose sconfitte. Ma dopo ogni sconfitta i popoli si sono levati di nuovo per riprendere la lotta. Il compagno Mao Zedong ha spiegato, in modo conciso, l’aggressione dell’imperialismo contro la Cina e come quest’aggressione si sia evoluta verso il suo contrario. Quando la grande rivoluzione del popolo cinese ottenne nel 1949 la sua vittoria fondamentale, il compagno Mao Zedong scrisse in Abbandonate le illusioni, preparatevi alla lotta:
“Tutte queste guerre d’aggressione, più l’aggressione e l’oppressione politica, economica e culturale, hanno fatto nascere fra i cinesi l’odio contro l’imperialismo, li hanno indotti a riflettere su che cosa ciò potesse alla fin fine significare e li hanno costretti a sviluppare il loro spirito rivoluzionario e a unirsi nella lotta. Lotta, scacco, nuova lotta, nuovo scacco, nuova lotta ancora; è solo in seguito a un’esperienza di 109 anni, fatta di centinaia di lotte, grandi e piccole, militari e politiche, economiche e culturali, con o senza spargimento di sangue, che il popolo cinese ha conseguito la fondamentale vittoria odierna”.
L’esperienza della lotta del popolo cinese acquista un significato attuale per la lotta di liberazione popolare di numerosi paesi e regioni dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. La grande Rivoluzione d’Ottobre ha unito la lotta rivoluzionaria del proletariato al movimento di liberazione delle nazioni oppresse e ha aperto una nuova strada alla lotta di queste per la loro liberazione. Il successo della rivoluzione del popolo cinese ha fornito un grande esempio di vittoria alle nazioni oppresse. In seguito alla Rivoluzione d’Ottobre in Russia e alla rivoluzione cinese, la lotta rivoluzionaria del popolo in vaste zone dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina ha raggiunto un’ampiezza senza precedenti. Le esperienze hanno dimostrato ripetutamente che, anche se le lotte di queste aree possono talvolta subire rovesci, gli imperialisti e i loro lacchè non riusciranno mai a resistere a questa marea.
Attualmente, i paesi imperialisti d’Europa e d’America si trovano assediati dalla lotta di liberazione dei popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. Questa lotta costituisce il più grande appoggio per la lotta della classe operaia dell’Europa occidentale e dell’America settentrionale.
Marx, Engels e Lenin hanno sempre considerato la lotta dei contadini nei paesi capitalisti e la lotta dei popoli nelle colonie e nei paesi dipendenti come le due grandi e immediate alleate della rivoluzione proletaria nei paesi capitalisti.
Come tutti sanno, Marx espresse nel 1856 questa speranza: “Tutto dipenderà in Germania dalla possibilità di fare appoggiare la rivoluzione proletaria da una seconda edizione della Guerra dei contadini” . Denunciando severamente gli “eroi” della Seconda Internazionale che avevano eluso questa espressa indicazione di Marx, Lenin disse: “[…] l’affermazione di Marx in una delle sue lettere, credo che fosse nel 1856, in cui esprimeva la speranza di vedere realizzarsi, in Germania, l’unione di una guerra contadina, capace di creare una situazione rivoluzionaria, con il movimento operaio: anche questa espressa indicazione essi eludono e le girano torno torno, come farebbe un gatto intorno a una zuppa bollente” (14).
Parlando dell’importanza dell’alleanza con i contadini per l’emancipazione del proletariato, Lenin disse: “Solo nel consolidamento dell’alleanza tra operai e contadini sta la liberazione generale di tutta l’umanità da cose quali la recente carneficina imperialista, da quelle selvagge contraddizioni che noi scorgiamo ora nel mondo capitalista” (15).
Stalin disse a sua volta: “[…] l’indifferenza verso una questione così importante come quella contadina, alla vigilia della rivoluzione proletaria, è l’altra faccia della negazione della dittatura del proletariato, un indice certo di diretto tradimento del marxismo” (16).
Si conosce anche la celebre frase di Marx ed Engels: “Una nazione che ne opprime altre non può essere libera” . Nel 1870, basandosi sulla situazione del momento, Marx predisse: “Dopo essermi occupato per anni della questione dell’Irlanda, sono arrivato alla conclusione che il colpo decisivo contro le classi dominanti inglesi […] non può essere sferrato in Inghilterra, ma soltanto in Irlanda” (17).
Nel 1853, durante la rivoluzione dei Taiping in Cina, Marx scrisse il celebre saggio Rivoluzione in Cina e in Europa , in cui egli disse: “Si può predire senza timore di sbagliare che la rivoluzione cinese getterà la scintilla nella mina carica di esplosivo dell’attuale sistema industriale e provocherà l’esplosione della crisi generale, da lungo tempo maturata, che diffondendosi all’estero sarà immediatamente seguita da rivoluzioni politiche sul continente europeo” .
Sviluppando la tesi di Marx ed Engels, Lenin sottolineò la grande importanza che acquista per la vittoria della rivoluzione proletaria l’unione tra il proletariato dei paesi capitalisti e le nazioni oppresse. Egli affermò la giustezza per la nostra epoca della parola d’ordine “Proletari e nazioni oppresse di tutto il mondo, unitevi!”. Egli mise in rilievo: “Il movimento rivoluzionario dei paesi avanzati non sarebbe, in effetti, che un puro inganno, senza l’unione completa e più stretta, nella lotta contro il capitale, tra gli operai d’Europa e d’America e le centinaia e centinaia di milioni di schiavi coloniali oppressi da questo capitale” (18).
Stalin ha sviluppato le teorie di Marx, Engels e Lenin sulla questione nazionale e la tesi di Lenin che la questione nazionale fa parte del problema generale della rivoluzione socialista mondiale. In Principi del leninismo egli ha sottolineato che il leninismo “[…] ha abbattuto il muro che separava bianchi e neri, europei e asiatici, schiavi ‘civilizzati’ e ‘non civilizzati’ dell’imperialismo e ha unito così la questione nazionale alla questione delle colonie. Pertanto la questione nazionale da problema particolare e interno dello Stato è diventata un problema generale e internazionale, una questione universale della liberazione dei popoli oppressi dei paesi dipendenti e delle colonie dal giogo dell’imperialismo” .
Parlando della portata mondiale della Rivoluzione d’Ottobre, Stalin disse nel suo articolo La Rivoluzione d'Ottobre e la questione nazionale : “La Rivoluzione d’Ottobre ha gettato un ponte fra l’occidente socialista e l’oriente asservito, avendo creato un nuovo fronte di rivoluzione contro l’imperialismo mondiale che si estende dai proletari d’occidente ai popoli oppressi dell’oriente, passando per la rivoluzione russa” .
Così Marx, Engels, Lenin e Stalin posero molto chiaramente in evidenza le due condizioni fondamentali per l’emancipazione e la vittoria del proletariato in Europa e in America. Per quanto riguarda le condizioni esterne, essi sostenevano che lo sviluppo della lotta per la liberazione nazionale avrebbe sferrato alle classi dominanti dei paesi capitalisti metropolitani un colpo decisivo.
Come è noto, il compagno Mao Zedong ha grandemente contribuito a mettere in luce le tesi di Marx, Engels, Lenin e Stalin sulla questione dei due grandi alleati del proletariato nella lotta per la sua emancipazione. Nella pratica della direzione della rivoluzione cinese, egli ha risolto concretamente e con successo la questione contadina e quella della liberazione nazionale, assicurando così la vittoria della grande rivoluzione cinese.
Tutte le lotte condotte dalle nazioni oppresse per la loro esistenza hanno sempre avuto la calorosa simpatia e l’elogio di Marx, Engels e Lenin. Marx, Engels e Lenin non hanno potuto vedere le impetuose lotte di liberazione nazionale e i movimenti rivoluzionari popolari che si sviluppano attualmente nei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina e le loro continue vittorie, tuttavia le leggi che essi avevano ricavato dall’esperienza delle lotte per la liberazione nazionale del loro tempo sono state sempre più confermate dalla vita stessa. I grandi cambiamenti sopravvenuti in Asia, in Africa e in America Latina dopo la Seconda guerra mondiale non dimostrano affatto che la teoria marxista-leninista sul rapporto fra il movimento di liberazione nazionale e il movimento rivoluzionario del proletariato è superata, come alcuni pretendono; al contrario questi cambiamenti hanno dimostrato in modo ancora più profondo la sua grande vitalità e la pratica delle lotte rivoluzionarie dei popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina ha ulteriormente arricchito questa teoria.
Questa situazione ha posto davanti al movimento comunista internazionale un compito fondamentale nel mondo contemporaneo, quello di appoggiare le lotte rivoluzionarie delle nazioni e dei popoli oppressi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, perché queste lotte hanno un ruolo decisivo per la vittoria del proletariato internazionale nel suo complesso. In un certo senso, tutta la causa rivoluzionaria del proletariato internazionale dipende in definitiva dal risultato della lotta dei popoli di queste zone, che costituiscono la stragrande maggioranza della popolazione mondiale e dall’appoggio che la sua causa potrà trovare anche nelle lotte rivoluzionarie di queste regioni.
Le lotte rivoluzionarie dei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina non possono essere soffocate, esse scoppieranno ineluttabilmente. I partiti proletari di queste regioni, se non ne assumono la direzione, si separeranno inevitabilmente dal popolo e non potranno conquistare la sua fiducia. Nella lotta antimperialista in queste zone, il proletariato stringe le più vaste alleanze. Pertanto, allo scopo di guidare la lotta passo dopo passo verso la vittoria e di assicurare la vittoria in ciascuna lotta, il proletariato e la sua avanguardia nei paesi di queste regioni devono marciare in testa alla lotta, tenere alta la bandiera dell’antimperialismo e della liberazione nazionale, essere abili nell’organizzare i loro alleati in un largo fronte unito antimperialista e antifeudale, smascherare i molteplici inganni degli imperialisti, dei reazionari e dei revisionisti moderni e condurre la lotta nella giusta direzione. Se non si fanno tutte queste cose, la vittoria della lotta rivoluzionaria sarà impossibile e anche se si ottiene la vittoria, essa non potrà essere consolidata e i suoi frutti potranno cadere nelle mani dei reazionari: così il paese e la nazione si troveranno di nuovo sotto l’asservimento imperialista. Numerosi sono gli esempi, sia nella storia sia negli avvenimenti attuali, di popoli traditi nel corso della lotta rivoluzionaria; la sconfitta della rivoluzione cinese nel 1927 è un importante esempio di questo genere.
Il proletariato dei paesi capitalisti dell’Europa e dell’America settentrionale deve anch’esso ergersi in prima fila tra quelli che appoggiano le lotte rivoluzionarie delle nazioni e dei popoli oppressi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina. In effetti, tale appoggio aiuta anche la causa dell’emancipazione del proletariato in Europa e in America. Senza il sostegno delle lotte rivoluzionarie delle nazioni e dei popoli oppressi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, sarà impossibile per il proletariato e le masse popolari dei paesi capitalisti d’Europa e d’America liberarsi dalle calamità dell’oppressione capitalista e dalla minaccia di guerra dell’imperialismo. Perciò i partiti proletari dei paesi imperialisti metropolitani hanno il dovere di ascoltare la voce dei popoli rivoluzionari di queste regioni, studiare le loro esperienze, rispettare i loro sentimenti rivoluzionari e agire in coordinazione con le loro lotte rivoluzionarie. Essi non hanno alcun diritto di ostentare la loro anzianità verso questi popoli, darsi arie di superiorità, obiettare e cavillare, come il compagno Thorez che parla così arrogantemente e sdegnosamente di loro chiamandoli “giovani inesperti”. Tanto meno essi hanno il diritto di assumere un atteggiamento socialsciovinista, calunniando, insultando, intimidendo e ostacolando i popoli rivoluzionari che combattono in queste regioni. Si deve capire che, alla luce degli insegnamenti del marxismo-leninismo, se un partito operaio di un paese imperialista metropolitano non assume posizione, linea di condotta e politica giuste nei confronti delle lotte di liberazione nazionale e del movimento rivoluzionario popolare dei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, è impossibile per esso adottare posizione, linea di condotta e politica giuste nella lotta della classe operaia e delle masse popolari del proprio paese.
Le lotte di liberazione nazionale e il movimento rivoluzionario popolare dei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina costituiscono un appoggio potente per i paesi socialisti e una forza molto importante che protegge i paesi socialisti dall’invasione imperialista. I paesi socialisti devono dare calorosa solidarietà e attivo appoggio a questi movimenti, non devono mai assumere un atteggiamento noncurante nei loro confronti né farsi guidare dall’egoismo nazionale o dallo sciovinismo da grande nazione; tanto meno è ammissibile che essi impediscano, ostacolino, deviino o sabotino questi movimenti. I paesi dove il socialismo ha già conseguito la vittoria devono considerare l’appoggio alle lotte di liberazione nazionale e al movimento rivoluzionario popolare di tutti i paesi come loro sacro dovere internazionalista. Alcuni sono dell’opinione che questo appoggio non è per i paesi socialisti che un fardello unilaterale. Questa opinione è sbagliatissima e va contro il marxismo-leninismo. Si deve comprendere che questo appoggio è una cosa a due sensi, un aiuto reciproco: i paesi socialisti appoggiano le lotte rivoluzionarie dei popoli in altri paesi e queste lotte a loro volta servono da appoggio e da difesa per i paesi socialisti. A questo proposito, Stalin disse giustamente: “La particolarità caratteristica dell’assistenza data dal paese dove il socialismo ha già vinto è che essa non accelera solo la vittoria dei proletari di altri paesi, ma, facilitando tale vittoria, assicura la vittoria definitiva del socialismo nel primo paese” .
Alcuni sostengono che la competizione economica pacifica tra i paesi socialisti e i paesi capitalisti è attualmente il principale e il più efficace mezzo di lotta contro l’imperialismo. Secondo costoro la lotta di liberazione nazionale, il movimento rivoluzionario popolare, la denuncia dell’imperialismo, ecc., non sarebbero che “metodi di lotta a buon mercato”, “pratiche da stregoni e da mediconzoli”. Essi assumono un atteggiamento da ricchi signori filantropi e dicono ai popoli dei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina: “Non ostentate ‘coraggio fittizio’, non provocate ‘scintille’, non andate alla ricerca di una ‘bella morte’. Non dovete ‘mancare di fede nella possibilità di battere il regime capitalista nella competizione economica pacifica’; aspettate il giorno in cui i paesi socialisti avranno battuto completamente il capitalismo nel campo dello sviluppo delle forze produttive e allora, naturalmente, avrete tutto e l’imperialismo crollerà automaticamente”. È strano che queste persone temano le lotte rivoluzionarie dei popoli di queste regioni come la peste. Questo atteggiamento non è affatto marxista-leninista, è completamente contrario agli interessi di tutte le nazioni e di tutti i popoli oppressi, agli interessi del proletariato e degli altri lavoratori dei paesi capitalisti e agli interessi degli stessi paesi socialisti.
In breve, attualmente i popoli di tutti i paesi del mondo hanno di fronte una situazione eccellente. Essa è oltremodo favorevole alle nazioni e ai popoli oppressi dei paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina, al proletariato e ai lavoratori dei paesi capitalisti, ai paesi socialisti e infine alla causa per la difesa della pace mondiale; essa è sfavorevole soltanto agli imperialisti, ai reazionari di tutti i paesi e alle forze di aggressione e di guerra. In tale situazione l’atteggiamento verso le lotte rivoluzionarie delle nazioni e dei popoli oppressi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina diventa un criterio importante per distinguere tra rivoluzione e non rivoluzione, tra internazionalismo e socialsciovinismo, tra marxismo-leninismo e revisionismo moderno. Esso è anche un importante criterio per distinguere tra coloro che lavorano genuinamente per la pace mondiale e coloro che incoraggiano le forze dell’aggressione e della guerra.
 

Alcune brevi conclusioni
 
Qui ricapitoleremo le nostre tesi sulla situazione internazionale.
1. L’imperialismo USA è il comune nemico dei popoli del mondo, il gendarme internazionale che reprime la giusta lotta dei popoli di vari paesi e il principale bastione del colonialismo moderno. Dopo la Seconda guerra mondiale, gli imperialisti statunitensi hanno compiuto frenetici sforzi per conquistare la vasta zona intermedia tra gli Stati Uniti e i paesi socialisti; essi non solo asservono i paesi vinti e le loro ex colonie e sfere d’influenza, ma stanno ponendo anche i propri alleati del tempo di guerra sotto il loro controllo e cercano con tutti i mezzi di carpire loro le ex colonie e sfere d’influenza. Ma gli imperialisti americani sono assediati dai popoli del mondo e la loro sfrenata ambizione li ha portati a un crescente isolamento tra i paesi imperialisti; in realtà il loro potere sta diminuendo costantemente e il fronte unito dei popoli del mondo contro gli imperialisti capeggiati dagli Stati Uniti si sta incessantemente ampliando. Il popolo americano e le nazioni e popoli oppressi del mondo potranno sconfiggere gli imperialisti statunitensi con la lotta. Le prospettive sono tutt’altro che brillanti per gli imperialisti con alla testa gli Stati Uniti e per i reazionari di tutti i paesi, mentre la forza dei popoli del mondo è in ascesa.
2. Le lotte tra le potenze imperialiste per mercati e sfere d’influenza in Asia, in Africa, in America Latina e nell’Europa occidentale provocano divisioni e raggruppamenti nuovi. Le contraddizioni e gli scontri tra le potenze imperialiste sono fatti oggettivi e sono determinati dalla natura del sistema imperialista. Dal punto di vista degli interessi attuali delle potenze imperialiste, queste contraddizioni e conflitti sono più urgenti, più immediati e più reali delle loro contraddizioni con i paesi socialisti. Non riuscire a vedere questo punto equivale a negare l’acutizzazione delle contraddizioni che sorgono dallo sviluppo ineguale del capitalismo nella fase dell’imperialismo, rende impossibile la comprensione della politica concreta dell’imperialismo così che è impossibile per i comunisti elaborare una linea di condotta e una politica giuste per combattere l’imperialismo.
3. Il campo socialista è il più potente baluardo per la difesa della pace mondiale e della causa della giustizia. L’ulteriore consolidamento e rafforzamento di questo baluardo obbligherà sempre più gli imperialisti a non attaccarlo alla leggera. Ciò perché gli imperialisti sanno che qualsiasi attacco contro questo baluardo costituirà un grave rischio per se stessi, un rischio che non solo farà loro ingoiare bocconi amari, ma metterà in gioco persino la loro esistenza.
4. Alcuni considerano le contraddizioni nel mondo attuale semplicemente come contraddizioni tra il campo imperialista e quello socialista e non riescono a vedere o in effetti nascondono le contraddizioni tra gli imperialisti, vecchi e nuovi colonialisti e i loro lacchè da una parte e le nazioni e popoli oppressi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina dall’altra; essi non riescono a vedere o praticamente nascondono le contraddizioni tra i paesi imperialisti; essi non riescono a vedere o in effetti nascondono il centro focale delle contraddizioni nel mondo attuale. Noi non possiamo essere d’accordo con questa posizione.
5. Mentre ammettono l’esistenza di una contraddizione tra i due campi socialista e imperialista, alcuni sostengono che questa contraddizione potrebbe in realtà scomparire e che i sistemi socialista e capitalista potrebbero fondersi in un tutto unico, se ciò che essi chiamano “l’esistenza e la contrapposizione di due grandi blocchi militari”(7) potesse essere eliminata o se i paesi socialisti potessero “proporre una sfida di competizione pacifica con le classi capitaliste dominanti”(6). Noi non possiamo essere d’accordo con questo punto di vista.
6. Lo sviluppo del capitalismo monopolistico di Stato nei paesi imperialisti dimostra che, ben lungi dall’allentare la sua posizione dominante all’interno e la sua posizione nella concorrenza all’estero, la borghesia monopolista sta cercando di rafforzarle. Allo stesso tempo, gli imperialisti stanno freneticamente rafforzando la loro macchina di guerra non soltanto per saccheggiare altre nazioni e soppiantare i concorrenti stranieri, ma anche per intensificare l’oppressione sul popolo del proprio paese. La cosiddetta democrazia borghese nei paesi imperialisti si è più scopertamente rivelata come la dittatura tirannica di un pugno di oligarchi monopolisti sui loro schiavi salariati e sulle larghe masse popolari. Che cosa sarebbe se non delirio soggettivista dire che il capitalismo monopolistico di Stato in questi paesi sta gradualmente passando al socialismo e che i lavoratori là possono accedere e stanno infatti accedendo alla direzione dello Stato e quindi sostenere che “esiste infatti oggi nello stesso mondo capitalista una spinta a trasformazioni strutturali e a riforme di carattere socialista”(7)?
La storia è dalla parte dei popoli del mondo, non dalla parte degli imperialisti capeggiati dagli Stati Uniti e dei reazionari di tutti i paesi. Nella loro disperazione, gli imperialisti tentano di trovare una via d’uscita. Essi ripongono assurdamente le loro speranze in ciò che essi chiamano un “conflitto tra la Cina e l’Unione Sovietica”. Gli imperialisti e i loro apologeti hanno da molto tempo espresso quest’idea. I ridicoli attacchi e le calunnie lanciati recentemente contro il Partito comunista cinese dai revisionisti moderni e dai loro seguaci li hanno incoraggiati in questa idea. Essi sono colmi di gioia e ricorrono assiduamente allo sporco gioco di seminare discordia. Tuttavia questi reazionari allucinati sottovalutano troppo la grande forza dell’amicizia tra i popoli della Cina e dell’Unione Sovietica e la grande forza dell’unità basata sull’internazionalismo proletario e sopravvalutano troppo il ruolo che i revisionisti moderni e i loro seguaci possono giocare. Presto o tardi i duri fatti della storia demoliranno completamente le loro illusioni e i reazionari allucinati subiranno un disastro.
L’errore del compagno Togliatti e di altri compagni consiste nel fatto che nelle loro tesi, nel rapporto e nelle conclusioni del decimo Congresso del PCI si sono fondamentalmente allontanati dall’analisi scientifica marxista-leninista, dall’analisi di classe della situazione internazionale.
Come disse Lenin, deridendo i populisti: “Tutta la loro filosofia consiste nel dire piagnucolando che esistono la lotta e lo sfruttamento ma che questi ‘potrebbero’ non esistere se… se non ci fossero sfruttatori”. Egli continuò: “E loro sono contenti di passare tutta la vita a ripetere tutta questa serie di ‘se’” (20).
Naturalmente un marxista-leninista non può comportarsi come un populista! Senonché, il punto di partenza e le posizioni di Togliatti e di altri compagni nelle loro tesi e rapporti posano esattamente su questa intera serie di “se”. Quindi le loro idee nuove non possono essere altro che un ammasso di nozioni estremamente confuse.
 
4. Guerra e pace
 

Questione non di immaginazione soggettiva ma delle leggi dello sviluppo sociale
 
Negli ultimi anni, alcuni cosiddetti marxisti-leninisti hanno fatto discorsi senza fine e scritto una gran quantità di articoli prolissi sulla questione della guerra e della pace inondando il mercato di libri e opuscoli, ma non hanno affatto voluto fare una seria indagine sulle origini della guerra, sul diverso carattere delle guerre e sulla strada per eliminare le guerre.
Gli anarchici esigevano che lo Stato fosse liquidato da un giorno all’altro. Oggi certi sedicenti marxisti-leninisti vogliono che un bel mattino sorga “un mondo senza armi, senza eserciti e senza guerre” quando esiste ancora il sistema del capitalismo e dello sfruttamento. Essi proclamano orgogliosamente che questa è “una grande scoperta epocale”, “un cambiamento rivoluzionario della coscienza umana”, “un contributo creativo” al marxismo-leninismo e che uno dei crimini dei “dogmatici” è il loro ottuso rifiuto di accettare questa loro “scientifica scoperta”.
A quanto sembra, il compagno Togliatti e alcuni altri compagni del Partito comunista italiano stanno smerciando con zelo questa “scoperta”. Essi pretendono che l’unica strategia per creare un nuovo mondo “senza guerre” sia la “strategia della coesistenza pacifica” come loro l’interpretano. Ma il contenuto di questa “strategia della coesistenza pacifica” differisce radicalmente dalla politica proposta da Lenin dopo la Rivoluzione d’Ottobre e approvata da tutti i marxisti-leninisti.
Nell’Italia dominata dalla borghesia monopolista, anche oggi, in periodo di pace, c’è un esercito permanente di oltre 400.000 uomini per l’oppressione del popolo, ci sono circa 100.000 uomini armati nella polizia e circa 80.000 nella gendarmeria, oltre alle basi militari degli Stati Uniti equipaggiate con missili. Quando il compagno Togliatti e altri compagni chiedono “pace e coesistenza pacifica” in un paese come questo, in definitiva che significato ha? Se chiedono al governo italiano di attuare una politica di pace e neutralità e di coesistenza pacifica con i paesi socialisti, ciò è naturalmente giusto. Ma a parte ciò, voi chiedete anche alla classe operaia italiana e alle altre masse oppresse di praticare una politica “di pace e di coesistenza pacifica” con la borghesia monopolista? Questo genere di “pace e coesistenza parifica” di cui parlate implica forse che gli imperialisti americani smantelleranno di propria iniziativa le loro basi militari in Italia e che la borghesia monopolista italiana deporrà le armi e scioglierà l’esercito di propria iniziativa? Se ciò fosse impossibile, come potranno realizzarsi in Italia “pace e coesistenza pacifica” tra classi che opprimono e classi oppresse? E, per estensione logica, come potrà crearsi un “mondo senza guerre”? Non sarebbe davvero una bella cosa un “mondo senza armi, senza eserciti, senza guerre”? Perché noi non dovremmo approvare e plaudire?
Per i marxisti-leninisti, però, in tutta evidenza, non si tratta di un problema sito nell’immaginazione soggettiva, ma nelle leggi stesse dello sviluppo sociale.
Nel 1936, il compagno Mao Zedong scrisse in Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina: “La guerra, questo mostro di reciproco massacro del genere umano, sarà infine eliminata dal progresso della società” (21).
Questo ideale il compagno Mao Zedong l’affermò ancora una volta nel 1938 durante la Guerra di resistenza contro il Giappone nello scritto Sulla guerra di lunga durata . Egli disse: “Il fascismo e l’imperialismo vogliono perpetuare la guerra, noi vogliamo invece concluderla in un futuro non lontano” (22).
Nello stesso scritto, il compagno Mao Zedong dichiarò che la guerra allora combattuta dalla nazione cinese per la propria liberazione era una guerra per la pace duratura; egli disse: “La nostra guerra antigiapponese assume il carattere di una lotta per una pace duratura” .
Il compagno Mao Zedong disse nello stesso contesto che la guerra è nata “a seguito dell’apparizione delle classi” . E aggiunse: “Quando l’uomo avrà eliminato il capitalismo, raggiungerà un’era di pace duratura e non ci sarà più bisogno di guerra. Non ci sarà più bisogno né di eserciti, né di navi da guerra, né di aerei militari, né di gas asfissianti. Dopo di allora l’uomo non conoscerà più guerre, per tutti i secoli dei secoli” .
Questi punti di vista del compagno Mao Zedong corrispondono interamente a quelli ripetutamente affermati da Lenin a proposito della guerra e della pace. Nel 1905, l’anno in cui scoppiò la prima rivoluzione russa, Lenin scrisse: “I socialdemocratici non hanno mai considerato né considerano la guerra sotto il profilo sentimentale. Mentre condannano senza appello la guerra quale mezzo bestiale per risolvere i dissensi del genere umano, i socialdemocratici sanno che le guerre sono inevitabili finché la società sarà divisa in classi, finché sussisterà lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Per abolire questo sfruttamento, non si può fare a meno della guerra, che sempre e dappertutto viene iniziata dalle classi dominanti, sfruttatrici e oppressive” (23).
Nel 1915, nell’epoca della Prima guerra mondiale imperialista, egli disse che i marxisti “hanno sempre condannato le guerre tra nazioni come imprese barbare e bestiali. Il nostro atteggiamento nei confronti della guerra è sostanzialmente differente da quello dei pacifisti borghesi (partigiani e propagandisti della pace) e degli anarchici. Ci distinguiamo dai primi nel senso che noi comprendiamo il nesso inevitabile che collega le guerre alla lotta delle classi nel paese, che comprendiamo che è impossibile sopprimere le guerre senza sopprimere le classi e senza instaurare il socialismo; e anche nel senso che riconosciamo perfettamente la legittimità, il carattere progressista e la necessità delle guerre civili, ossia delle guerre della classe oppressa contro quella che l’opprime, degli schiavi contro i proprietari di schiavi, dei servi della gleba contro i proprietari terrieri, degli operai salariati contro la borghesia. Noi marxisti siamo diversi dai pacifisti, nonché dagli anarchici, nel senso che noi riconosciamo la necessità di analizzare storicamente (dal punto di vista del materialismo dialettico di Marx) ogni guerra presa a sé” (24).
Durante la Prima guerra mondiale, Lenin, come marxista di grande coscienza, dedicò il suo massimo sforzo allo studio del problema della guerra, facendone un’analisi scientifica ampia e rigorosa. Egli confutò energicamente gli stupidi argomenti sulla guerra e sulla pace degli opportunisti e dei revisionisti alla Kautsky e mostrò all’umanità la giusta via che porta alla soppressione della guerra.
Oggi alcuni sedicenti leninisti fanno stupidi discorsi sulla guerra e sulla pace senza voler tenere alcun conto né dei metodi che Lenin ha impiegato per studiare il problema della guerra, né delle conclusioni scientifiche cui Lenin è giunto sul problema della guerra e della pace. Malgrado tutto ciò, essi accusano clamorosamente altri di aver tradito Lenin e pretendono di essere la sola “reincarnazione di Lenin”.
 

È superata la tesi che “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”?
 
Alcuni potrebbero dire: è inutile che sprechiate tanto fiato. Anche noi conosciamo bene i punti di vista di Lenin sulla questione della guerra e della pace, ma oggi le circostanze sono cambiate e questi punti di vista di Lenin sono diventati cosa superata.
La cricca di Tito è stata la prima a trattare apertamente come superata la teoria fondamentale di Lenin sulla guerra e sulla pace. Essi sostengono che, con l’apparire delle armi atomiche, la tesi che “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”, che Lenin sottolineò come la base teorica per studiare tutte le guerre e determinare il carattere delle differenti specie di guerre, non è più valida. Secondo costoro, le guerre non sono più oramai la continuazione della politica di una classe o dell’altra, non hanno più contenuto di classe e non possono più dividersi in giuste e ingiuste. Affermando che il carattere delle guerre è cambiato con le tecniche militari moderne, il compagno Togliatti e altri compagni non fanno, in realtà, che ripetere quello che la cricca di Tito ha già detto da tempo.
Ovviamente, gli imperialisti e i reazionari di tutti i paesi non disarmeranno, non rinunceranno alla repressione contro i popoli e le nazioni oppressi, non abbandoneranno l’attività di aggressione e di sovversione contro i paesi socialisti, né porranno fine ai conflitti che li oppongono l’uno all’altro e che sono originati dalla lotta per i superprofitti, solo perché i revisionisti moderni negano la tesi che “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”. In realtà, i revisionisti moderni si sforzano con tali argomenti di esercitare un’influenza sui popoli e sulle nazioni oppressi e di disorientarli allo scopo di dare loro l’impressione che le azioni di guerra degli imperialisti contro i popoli e le nazioni oppressi, la loro politica di armamento e di preparazione alla guerra e i loro conflitti armati diretti e indiretti per i mercati e le sfere d’influenza, tutto questo non sarebbe la continuazione della politica imperialista. Per esempio: la guerra condotta dagli imperialisti americani per reprimere il popolo del Vietnam del sud, la guerra architettata nel Congo dai nuovi e vecchi colonialisti non sarebbero la continuazione della politica imperialista.
La guerra condotta dagli imperialisti americani nel Vietnam del sud e il conflitto armato nel Congo tra i colonialisti vecchi e nuovi sono guerre o no? Se non sono guerre, allora che cosa sono? Se sono guerre, esiste o no un rapporto fra esse e il regime e la politica dell’imperialismo americano? E quale rapporto?
Il compagno Togliatti e alcuni altri compagni del Partito comunista italiano sostengono che “è possibile evitare piccole guerre locali” e ritengono che “la guerra diviene impossibile nella società umana, anche se il socialismo non avrà ancora vinto dappertutto”(25). Queste sono probabilmente le conclusioni che il compagno Togliatti e altri compagni hanno tratto dopo “nuove riflessioni” sulla “stessa nostra dottrina”. È nel novembre del 1960 che il compagno Togliatti e altri compagni hanno detto queste cose. Mettiamo temporaneamente da parte gli avvenimenti verificatisi prima del 1960. Proprio nell’anno 1960, in diverse regioni del mondo si sono verificati diversi conflitti e interventi armati appartenenti, per la maggior parte, alla categoria chiamata dal compagno Togliatti e altri compagni delle “piccole guerre locali”.
- Si era nel sesto anno della guerra condotta dalle forze coloniali francesi per reprimere il movimento di liberazione nazionale dell’Algeria.
- Continuava quell’anno la brutale repressione degli imperialisti americani e del
loro lacchè Ngo Dinh Diem contro il popolo del Vietnam del sud, che suscitò una più vigorosa resistenza armata da parte di questo.
- In gennaio e febbraio ci furono scontri armati fra Siria e Israele appoggiato dagli Stati Uniti.
- Il 5 febbraio 4.000 marines americani sbarcarono nella Repubblica dominicana, nell’America Latina, interferendo con la forza armata negli affari interni di questo paese.
- Il 1° maggio un aeroplano U-2 americano si introdusse nello spazio aereo
sovietico e fu abbattuto dalle unità missilistiche sovietiche.
- Il 10 luglio il Belgio intervenne con le forze armate nel Congo; il 13 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU approvò una risoluzione in forza della quale le “forze dell’ONU” arrivarono nel Congo per reprimere il movimento di liberazione nazionale congolese.
- Nell’agosto gli Stati Uniti aiutarono la cricca di Savannakhet a provocare la guerra civile nel Laos.
Ma forse gli avvenimenti del 1960 non rientrano nella sfera di discussione del compagno Togliatti e di altri compagni. Saranno allora gli avvenimenti mondiali degli anni 1961 e 1962 a confermare le loro predizioni?
Esaminiamo i fatti.
- Le forze coloniali francesi hanno continuato la loro guerra criminale per reprimere il movimento di liberazione nazionale dell’Algeria, fino a quando sono state costrette a cessare il fuoco nel marzo del 1962. Questa guerra era durata più di sette anni. La “guerra speciale” condotta dagli imperialisti americani contro il popolo del Vietnam del sud è ancora in atto.
- Le “forze dell’ONU” (in maggior parte truppe indiane) al servizio dei neocolonialisti americani hanno continuato a reprimere il popolo congolese. All’inizio del 1961 Lumumba, l’eroe nazionale congolese, fu assassinato dai lacchè degli imperialisti americani e belgi su loro istruzione. Dal settembre del 1961 alla fine del 1962 le “forze dell’ONU” manovrate dagli Stati Uniti lanciarono tre attacchi armati contro la provincia del Katanga, controllata dai vecchi colonialisti inglesi, francesi e belgi.
- Nel marzo del 1961 i colonialisti portoghesi, sostenuti dall’imperialismo
americano, concentrarono truppe e iniziarono repressione e massacri su vasta scala del popolo dell’Angola che chiedeva l’indipendenza nazionale. Questa criminale e sanguinosa operazione sta continuando.
- Il 17 aprile 1961 mercenari americani inscenarono un’aggressione armata contro Cuba e furono annientati in 72 ore sulla playa Giron dalle eroiche forze armate e dal popolo di Cuba.
- Il 1° luglio 1961 truppe inglesi sbarcarono nel Kuwait. Il 19 truppe francesi
attaccarono il porto di Biserta in Tunisia.
- Il 19 e 20 novembre 1961 gli Stati Uniti intervennero di nuovo nella Repubblica dominicana con navi da guerra e aeroplani militari.
- Il 15 gennaio 1962 le forze navali dei colonialisti olandesi attaccarono unità navali indonesiane al largo delle coste dell’Irian occidentale.
- Nell’aprile del 1962 il popolo indonesiano lanciò la guerriglia contro i colonialisti olandesi nell’Irian occidentale.
- Nel maggio del 1962 gli Stati Uniti complottarono per estendere la guerra civile nel Laos e cercarono di intervenire direttamente con forze armate. Il 17 le truppe statunitensi entrarono in Thailandia; il 24 la Gran Bretagna annunciò a sua volta l’invio di una squadriglia di aerei in Thailandia. Queste azioni degli Stati Uniti e della Gran Bretagna minacciarono direttamente la pace nel sud-est asiatico. Grazie alla lotta risoluta del popolo del Laos e agli sforzi congiunti dei paesi socialisti e degli Stati neutrali, alla Conferenza allargata di Ginevra per una soluzione pacifica della questione laotiana furono sottoscritti, il 23 luglio 1962, una Dichiarazione sulla neutralità del Laos e un Protocollo relativo a questa.
- Il 24 agosto 1962 unità navali americane bombardarono il quartiere residenziale della spiaggia dell’Avana, capitale di Cuba.
- Il 26 settembre 1962 si ebbe un colpo di Stato militare nello Yemen e gli Stati Uniti istigarono l’Arabia Saudita a intervenire con le armi.
- Nell’anno 1962 il governo Nehru, con l’appoggio dell’imperialismo americano, effettuò frequenti incursioni armate in territorio cinese; il 20 ottobre il governo Nehru lanciò una massiccia offensiva militare sulla frontiera cino-indiana.
- Il 22 ottobre 1962 gli Stati Uniti, con azione piratesca, imposero il blocco militare a Cuba e attuarono provocazioni di guerra contro questo paese. Questi fatti scossero il mondo. Appoggiato dai paesi socialisti e dal popolo di tutto il mondo, il popolo cubano riportò una grande vittoria nella lotta per difendere la sovranità del proprio paese.
In questi due anni, il brutale sfruttamento, la selvaggia repressione e gli interventi armati degli imperialisti e dei loro lacchè hanno continuato a suscitare la resistenza armata dei popoli e delle nazioni oppressi di vari paesi, come l’insurrezione armata antibritannica del popolo del Brunei l’8 dicembre 1962.
I fatti hanno ripetutamente confermato le verità enunciate da Lenin che “la guerra viene sempre e dappertutto iniziata dalle classi dominanti, sfruttatrici e oppressive” e che “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi” . La realtà di oggi e di domani confermeranno ancora queste verità messe in luce da Lenin.
 

Che cosa ci insegnano la storia e la realtà
 
Poiché gli imperialisti e i reazionari provocano incessantemente guerre nelle varie regioni del mondo secondo le esigenze della loro politica, è impossibile impedire ai popoli e alle nazioni oppressi di fare guerre di resistenza contro l’oppressione. Certi sedicenti marxisti-leninisti possono forse non considerare guerre quelle che abbiamo citato qui sopra. Essi riconoscono per guerre soltanto quelle che scoppiano nelle “regioni civili altamente sviluppate”. Per la verità tali idee non sono affatto nuove.
Molto tempo fa Lenin criticò l’assurda opinione secondo la quale “le guerre al di fuori dell’Europa non sono guerre”. Lenin disse sarcasticamente in un discorso nel 1917 che ci sono “guerre che noi, europei, non consideriamo guerre, perché troppo spesso esse non somigliano a guerre, ma alla più brutale carneficina e sterminio di popoli inermi” (26).
Oggi esistono ancora persone esattamente uguali a quelle che Lenin criticava. Esse pensano che tutto sia tranquillo nel mondo quando non c’è guerra dalle loro parti o nelle vicinanze. A loro non importa se gli imperialisti e i loro lacchè stanno calpestando e massacrando il popolo di altre località o si stanno impegnando in interventi militari e in conflitti armati o stanno provocando guerre. Si preoccupano soltanto che le “scintille” della resistenza delle nazioni e dei popoli oppressi in questi luoghi possano provocare una catastrofe e disturbare la loro tranquillità. Non ritengono affatto necessario esaminare come si sono originate le guerre in questi luoghi, quali classi sociali le conducono e di che natura sono queste guerre; semplicemente condannano tutte queste guerre in modo arbitrario e indiscriminato. Si può forse dire che questa sia una posizione leninista?
Vi sono altri sedicenti marxisti-leninisti che, quando si parla di guerra, pensano soltanto a quella tra i campi socialista e imperialista come se, all’infuori di quella tra i due campi, non ci fossero altre guerre di cui parlare. Anche questa tesi fu inventata dapprima dalla cricca di Tito e ora ci sono certuni che intonano la stessa canzone. Essi non vogliono affatto affrontare la realtà, né riflettere un po’ sui fatti storici.
Se la memoria di queste persone non fosse così debole, esse potrebbero ricordare che quando cominciò la Prima guerra mondiale non esisteva alcun paese socialista nel mondo, per non parlare di un campo socialista. Tuttavia scoppiò ugualmente una guerra mondiale.
Naturalmente, se la memoria di queste persone non fosse troppo debole, esse potrebbero anche ricordare la Seconda guerra mondiale. Dal settembre del 1939 al giugno del 1941, epoca in cui scoppiò la guerra tedesco-sovietica, per quasi due anni nel mondo capitalista era continuata una guerra tra paesi imperialisti. Questa non era una guerra tra paesi socialisti e imperialisti. L’Unione Sovietica, dopo che Hitler l’ebbe attaccata, diventò la forza principale nella guerra contro le orde fasciste, tuttavia, neanche dopo il giugno del 1941 la guerra poteva essere considerata semplicemente una guerra tra paesi socialisti e imperialisti. Oltre al paese del socialismo, l’Unione Sovietica, tutta una serie di paesi capitalisti, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti e la Francia, facevano parte del fronte antifascista, cui parteciparono anche molti paesi coloniali e semicoloniali vittime dell’aggressione
e dell’oppressione.
È quindi chiaro che ambedue le guerre mondiali derivarono dalle contraddizioni inerenti al mondo capitalista e dal conflitto di interessi tra i paesi imperialisti e che ambedue furono scatenate dai paesi imperialisti.
Le guerre mondiali non scaturiscono dal sistema socialista. In un paese socialista non esistono le contraddizioni sociali antagoniste che sono proprie dei paesi capitalisti e non è affatto necessario, né ammissibile che un paese socialista s’imbarchi in guerre d’espansione. Nessuna guerra mondiale può mai essere iniziata da un paese socialista.
Grazie alle vittorie conseguite dai paesi socialisti e dal movimento rivoluzionario nazionale e democratico in molti paesi, nuovi grandi mutamenti continuano a verificarsi nella situazione mondiale. Togliatti e altri compagni dicono che in seguito ai mutamenti verificatisi nel rapporto tra le forze a livello mondiale, gli imperialisti non possono più agire a loro piacimento. Questa affermazione non è errata. In realtà, ciò fu messo in evidenza da Lenin poco dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Basandosi su un apprezzamento dei mutamenti nell’equilibrio delle forze di classe in quel momento, Lenin disse: “Le mani della borghesia internazionale ora non sono più libere” (27). Ma, che si tratti del passato o del presente o del futuro, quando il rapporto tra le forze a livello mondiale diventa sempre più favorevole al socialismo e ai popoli di tutti i paesi e quando noi diciamo che gli imperialisti non possono agire come vogliono, ciò significa forse la scomparsa spontanea di ogni possibilità di conflitti generati dalle contraddizioni inerenti al mondo capitalista? Ciò significa forse che i paesi imperialisti hanno cessato di sognare e di preparare attacchi contro i paesi socialisti? Ciò significa forse che i paesi imperialisti hanno cessato la loro oppressione e le aggressioni contro i paesi coloniali e semicoloniali? Ciò significa forse che i paesi imperialisti non si combatteranno più fino all’ultimo sangue per la conquista di mercati e sfere d’influenza? Ciò significa forse che la borghesia monopolista ha cessato di schiacciare brutalmente e opprimere il popolo nel paese? È evidente che non può significare ciò.
La questione della guerra e della pace non può mai essere compresa se non viene
esaminata alla luce delle relazioni sociali, del sistema sociale e delle leggi dello sviluppo sociale.
Il vecchio opportunista Kautsky sostenne che “la guerra è il prodotto della corsa agli armamenti” e che “se con buona volontà si raggiunge un accordo sul disarmo […] si eliminerà una delle cause più serie della guerra”(28). Lenin criticò aspramente tali vedute antimarxiste di Kautsky e di altri vecchi opportunisti che esaminavano le cause della guerra senza riferirsi al sistema sociale e al sistema dello sfruttamento. Nel Programma militare della rivoluzione proletaria Lenin pose in rilievo che “soltanto dopo che il proletariato ha disarmato la borghesia, potrà, senza tradire la sua missione storica universale, gettare tutte le armi nel mucchio dei rottami; il proletariato lo farà senza dubbio, ma soltanto allora, certamente non prima” . Questa e non altra è la legge dello sviluppo sociale.
Incapaci di spiegare la questione della guerra e della pace dal punto di vista storico e di classe, i revisionisti moderni parlano sempre della pace e della guerra in termini generali, senza fare alcuna distinzione tra guerre giuste e guerre ingiuste. Alcune persone cercano di persuadere altri che la liberazione del popolo sarebbe “incomparabilmente facile” dopo la realizzazione del disarmo generale e completo, quando gli oppressori non avranno più armi nelle loro mani. Secondo la nostra opinione, questa affermazione è assurda e totalmente irreale e inverte l’ordine di causa ed effetto. Come mise in evidenza Lenin, tali persone tentano di “riconciliare due classi ostili e due politiche ostili per mezzo di una piccola parola che ‘unisce’ le cose più diverse” (29).
La “pace” e la “strategia della coesistenza pacifica” dei revisionisti moderni equivalgono praticamente a riporre la speranza di conquistare la pace mondiale nella “saggezza” dei governanti imperialisti, invece di fare assegnamento sull’unità e sulla lotta dei popoli di tutto il mondo. I revisionisti moderni ricorrono a ogni mezzo per impastoiare la lotta del popolo in tutti i paesi, cercare di paralizzare la sua volontà rivoluzionaria e indurlo ad abbandonare l’azione rivoluzionaria, indebolendo così le forze in lotta contro l’imperialismo e in difesa della pace mondiale. Conseguenza di questo modo di agire non può essere che un’accresciuta arroganza reazionaria delle forze imperialiste di aggressione e di guerra e l’aumento del pericolo di una guerra mondiale.
 

Il materialismo storico o la teoria che “le armi decidono tutto”?
 
I revisionisti moderni ritengono che con la comparsa delle armi atomiche le leggi dello sviluppo sociale hanno cessato di operare e che la fondamentale teoria marxista-leninista concernente la guerra e la pace è superata. Il compagno Togliatti sostiene la stessa opinione. L’editoriale del Quotidiano del popolo del 31 dicembre 1962 ha già affrontato divergenze essenziali tra il compagno Togliatti e noi sulla questione delle armi nucleari e della guerra nucleare. Noi ci proponiamo di discutere questo problema in modo più approfondito in questa sede.
I marxisti-leninisti danno appropriato e adeguato peso al ruolo delle armi e delle tecniche militari moderne nell’organizzazione degli eserciti e nella guerra. In Lavoro salariato e capitale Marx ha scritto queste righe celebri: “Con l’invenzione di un nuovo ordigno di guerra, l’arma da fuoco, tutta l’organizzazione interna dell’esercito è stata necessariamente modificata: le relazioni nell’ambito delle quali gli individui possono costituire un esercito e agire come un esercito sono state trasformate e le relazioni dei diversi eserciti fra di loro sono anch’esse cambiate” . Ma nessun marxista-leninista è stato mai un esponente della teoria che “le armi decidono tutto”.
Dopo la Rivoluzione d’Ottobre Lenin disse: “In una guerra, vince chi ha maggiori riserve, maggiori fonti di forza, maggiore sostegno nella massa del suo popolo” . E aggiunse: “Di tutto ciò, noi ne abbiamo più dei bianchi e più dell’‘onnipossente’ imperialismo anglo-francese, questo colosso dai piedi di argilla” (30).
Per chiarire la questione, non è male citare un altro passo di Lenin. Egli disse: “In ogni guerra la vittoria dipende, in fin dei conti, dallo stato d’animo delle masse che spargono il loro sangue sul campo di battaglia. […] Il fatto che le masse abbiano coscienza degli scopi e delle cause della guerra ha un’importanza grandissima e garantisce la vittoria” (31).
Sulla questione della guerra, è un fondamentale principio marxista-leninista dare tutto il suo peso al ruolo dell’uomo in guerra. Però certi sedicenti marxisti-leninisti se ne dimenticano troppo spesso. Quando apparve l’arma atomica, verso la fine della Seconda guerra mondiale, alcune persone cominciarono a confondersi e a pensare che la bomba atomica potesse decidere le sorti della guerra. All’epoca, il compagno Mao Zedong disse in proposito: “Questi compagni mostrano una capacità di giudizio ancora minore di quella di un pari d’Inghilterra. […] Questi nostri compagni sono più indietro di Mountbatten” (32).
In effetti Lord Mountbatten, allora comandante supremo delle forze alleate del sud-est asiatico, aveva dichiarato che “il peggiore degli errori sarebbe di credere la bomba atomica capace di porre fine alla guerra in Estremo oriente”.
Naturalmente il compagno Mao Zedong prendeva in piena considerazione la potenza distruttiva delle armi atomiche. Egli disse: “La bomba atomica è un’arma di sterminio di massa” . Il Partito comunista cinese ha sempre sostenuto che le armi nucleari hanno una potenza distruttiva senza precedenti e che l’umanità soffrirebbe una catastrofe senza precedenti se scoppiasse una guerra nucleare. Per questa ragione, noi siamo sempre stati per la proibizione totale delle armi nucleari, cioè per la proibizione completa di sperimentarle, fabbricarle, accantonarle e usarle e per la distruzione delle armi nucleari esistenti. Allo stesso tempo, abbiamo sempre sostenuto che, in ultima analisi, le armi atomiche non possono cambiare le leggi che governano lo sviluppo storico della società, non possono decidere il risultato finale della guerra, non possono salvare l’imperialismo dal suo destino o impedire al proletariato e ai popoli e alle nazioni oppresse di ottenere la vittoria nella loro rivoluzione.
Nel settembre del 1946 Stalin disse: “Non considero la bomba atomica come una forza tanto seria quanto certi uomini politici tendono a credere. Le bombe atomiche sono destinate a intimidire coloro che hanno i nervi deboli, ma non possono decidere dell’esito di una guerra, perché esse non sono affatto sufficienti per questo scopo. È vero che monopolizzare il segreto della bomba atomica rappresenta una minaccia, ma esistono per lo meno due rimedi al riguardo: 1. il monopolio del possesso della bomba atomica non può durare a lungo; 2. l’uso della bomba atomica sarà proibito” (33).
Queste parole di Stalin sono anticipatrici. Dopo la Prima guerra mondiale, alcuni paesi imperialisti fecero un gran baccano su una pretesa teoria militare secondo la quale la supremazia aerea e l’attacco di sorpresa avrebbero permesso di ottenere rapidamente la vittoria in una guerra. La Seconda guerra mondiale ha dimostrato il fallimento di questa teoria. Dopo l’apparizione delle armi nucleari, alcuni imperialisti hanno clamorosamente rilanciato questa teoria e praticato il ricatto nucleare, affermando che l’arma nucleare poteva decidere rapidamente dell’esito della guerra. È certo che una tale teoria è votata al fallimento. Tuttavia i moderni revisionisti, come quelli della cricca di Tito, sono al servizio degli imperialisti americani e non e proclamano ai quattro venti questa teoria, al fine d’intimidire i popoli del mondo.
La politica di ricatto nucleare degli imperialisti americani rivela la loro perfida ambizione di asservire il mondo e contemporaneamente il loro spavento.
Occorre mettere in rilievo che se gli imperialisti per primi facessero uso delle armi nucleari, essi causerebbero conseguenze fatali per se stessi.
1. Se gli imperialisti per primi faranno ricorso all’arma nucleare per attaccare altri paesi, si ritroveranno ineluttabilmente nell’isolamento più completo a livello mondiale; poiché un tale attacco sarebbe il maggiore crimine possibile contro la giustizia umana, sarebbe dichiararsi nemici di tutta l’umanità.
2. Quando minacciano altri paesi con le armi nucleari, gli imperialisti mettono in primo luogo sotto la loro minaccia il popolo del proprio paese e lo riempiono di terrore per tali armi. Ostinandosi nella politica di ricatto nucleare, gli imperialisti risveglieranno gradualmente il popolo nel proprio paese finché si leverà contro di loro. Nel dopoguerra, in seguito alla condanna dei bombardamenti atomici da parte dei popoli del mondo intero, un aviatore americano che aveva preso parte al primo bombardamento atomico effettuato dagli Stati Uniti contro il Giappone tentò di suicidarsi e fu ricoverato a più riprese in manicomio. Questo fatto di per se stesso dimostra a quale punto sia impopolare la politica di guerra nucleare dell’imperialismo americano.
3. Gli imperialisti fanno le guerre per conquistare territori, ampliare i mercati, saccheggiare le ricchezze e asservire i lavoratori di altri paesi. Però la potenza distruttiva dell’arma nucleare costringe gli imperialisti a pensarci due volte, perché l’uso di quest’arma avrebbe conseguenze in conflitto con gli interessi reali che essi perseguono.
4. Da lungo tempo il segreto delle armi nucleari ha cessato di essere un monopolio. Tu hai l’arma nucleare, ma non puoi impedire agli altri paesi di averla! Tu hai il missile, ma non puoi impedire agli altri paesi di averlo! Nella vana speranza di annientare i loro oppositori con le armi nucleari, gli imperialisti pongono, in realtà, se stessi nel pericolo di essere annientati.
Ciò che precede riguarda le conseguenze che si produrranno inevitabilmente se gli imperialisti useranno le armi nucleari in una guerra. Questa è anche una delle ragioni importanti per le quali noi abbiamo sempre sostenuto che è possibile concludere un accordo sulla proibizione totale delle armi nucleari.
Si noti anche che la politica di forsennata corsa agli armamenti con armi nucleari perseguita dagli imperialisti, e particolarmente dagli imperialisti degli Stati Uniti, aggrava le crisi all’interno dello stesso sistema imperialista. Ciò vale a dire:
1. I popoli dei paesi imperialisti sono costretti a sopportare spese militari di un peso senza precedenti e la crescente militarizzazione dell’economia nazionale provoca la crescente opposizione del popolo contro i governi imperialisti e la loro politica di armamento e di preparativi di guerra.
2. La corsa agli armamenti degli imperialisti, in particolare la corsa agli armamenti nucleari, inasprisce la lotta tra i paesi imperialisti e quella tra i diversi gruppi monopolisti di questi paesi.
Nell’Anti-Dühring , scritto negli anni ’70 del XIX secolo, Engels disse: “Il militarismo domina e divora l’Europa. Ma questo militarismo contiene anche il germe della propria distruzione” . Oggi si può dire, a maggior ragione, che la politica di espansione degli armamenti nucleari perseguita dagli imperialisti statunitensi e di altri paesi domina e divora gli USA e l’Europa occidentale, ma questa politica, questo nuovo militarismo, porta anche in sé il germe della distruzione del sistema imperialista.
È evidente dunque che la politica di espansione degli armamenti nucleari perseguita dagli imperialisti americani e dai loro soci non può risultare che diretta contro se stessi. Se essi oseranno usare le armi nucleari in guerra, il risultato sarà inevitabilmente la loro propria distruzione.
Quali conclusioni se ne devono trarre? Contrariamente alle dichiarazioni di Togliatti e di altri compagni circa la “totale distruzione” dell’umanità, le sole possibili conclusioni sono:
1. L’umanità distruggerà le armi nucleari; le armi nucleari non distruggeranno l’umanità.
2. L’umanità distruggerà il sistema cannibalesco dell’imperialismo; il sistema imperialista non distruggerà l’umanità.
Togliatti e altri compagni ritengono che con l’apparizione dell’arma nucleare “incerto è oggi il destino dell’umanità”(34). Essi considerano che in presenza dell’arma nucleare e sotto la minaccia della guerra nucleare non serve a nulla discutere della scelta di sistemi sociali. Se si adotta questo punto di vista, che cosa accadrà alla legge dello sviluppo sociale, secondo la quale il sistema capitalista sarà ineluttabilmente sostituito dal sistema socialista e comunista? Che cosa accadrà alla verità enunciata da Lenin, che l’imperialismo è capitalismo parassitario, decadente e moribondo? Un tale punto di vista non è forse genuino fatalismo, scetticismo e pessimismo?
In Viva il leninismo! abbiamo detto: “Nella misura in cui i popoli di tutti i paesi accrescono la loro coscienza e sono completamente preparati e nelle condizioni in cui il campo socialista dispone anch’esso di armi moderne, noi possiamo affermare che se gli imperialisti americani o altri imperialisti si rifiutano di giungere a un accordo sull’interdizione delle armi atomiche e nucleari e osano un giorno farsi beffe della volontà dell’umanità intera scatenando una guerra condotta con armi atomiche e nucleari, il risultato non potrà essere che la veloce distruzione di questi stessi mostri che saranno accerchiati dai popoli del mondo intero e non sarà affatto possibile alcun annientamento dell’umanità. Noi ci siamo sempre opposti alle guerre criminali lanciate dall’imperialismo, perché le guerre imperialiste impongono enormi sacrifici ai popoli dei diversi paesi (ivi compresi i popoli degli Stati Uniti e degli altri paesi imperialisti). Ma se gli imperialisti vogliono ostinatamente imporre questi sacrifici ai popoli dei diversi paesi, noi siamo persuasi che, proprio come ha dimostrato l’esperienza della rivoluzione russa e della rivoluzione cinese, questi sacrifici avranno la loro ricompensa. Sulle rovine del defunto imperialismo, i popoli vittoriosi creeranno con estrema rapidità una civiltà mille volte superiore al sistema capitalista e un avvenire veramente radioso per se stessi”.
Non è forse questa la verità? Ma in questi ultimi anni, alcuni sedicenti marxisti-leninisti hanno sconsideratamente distorto e condannato questi punti di vista marxisti-leninisti, ostinandosi a descrivere le rovine del defunto imperialismo come le “rovine dell’umanità” e mettendo così sullo stesso piano il destino del sistema imperialista e il destino dell’umanità. Una tale asserzione equivale, in sostanza, alla difesa del sistema imperialista. Se queste persone avessero letto qualche classico del marxismo-leninismo, saprebbero che erigere un sistema nuovo sulle rovine del vecchio è proprio una formulazione usata da Marx, Engels e Lenin.
Nell’Anti-Dühring , Engels disse: “La borghesia ha fatto a pezzi il regime feudale e ha edificato sulle sue rovine l’ordinamento borghese della società”. Forse le rovine del regime feudale di cui parlava Engels erano le “rovine dell’umanità”?
Nel suo articolo Le elezioni dell'assemblea costituente e la dittatura del proletariato, scritto nel dicembre del 1919, anche Lenin disse che il proletariato doveva “organizzare il socialismo sulle rovine del capitalismo”. Le rovine del capitalismo, di cui parlava Lenin, sarebbero le “rovine dell’umanità”?
Descrivere le rovine dei vecchi sistemi, di cui parlano i marxisti-leninisti, come le “rovine dell’umanità” è usare frivole sofisticherie in luogo d’un serio ragionamento. Può essere questa la “nota non discorde” di cui parlano Togliatti e altri compagni? È questa “la polemica condotta in un tono ammissibile” come richiesto dal compagno Togliatti e da altri compagni? In verità, al momento della caduta del fascismo italiano, il compagno Togliatti stesso dichiarò: “Ci sta di fronte un grande compito: dobbiamo instaurare sulle rovine del fascismo, sulle rovine della tirannia reazionaria un’Italia nuova”.
Ogni serio marxista-leninista deve tener conto della possibilità che gli imperialisti ricorrano ai mezzi più criminali per imporre ai popoli pesanti sacrifici e grandi sofferenze. Ma deve tener conto di ciò per poter risvegliare i popoli, mobilitarli e organizzarli meglio, trovare la giusta condotta di lotta per la liberazione, trovare una via per liberare l’umanità dalle sue sofferenze, per conquistare la pace di fronte alla minaccia imperialista e trovare una via efficace per scongiurare la guerra nucleare.
Che nessun paese socialista scatenerà mai una guerra d’aggressione è noto a tutti, anche agli imperialisti americani e agli imperialisti e ai reazionari di tutti i paesi. La difesa nazionale di ogni paese socialista ha il compito di proteggerlo dall’aggressione esterna, ma in nessun caso di attaccare altri paesi. Se gli aggressori impongono la guerra ai paesi socialisti, allora questi condurranno una guerra che sarà, prima di tutto, difensiva, una guerra in propria difesa.
È anche interamente a scopo difensivo, per impedire agli imperialisti di scatenare la guerra nucleare, che i paesi socialisti dispongono dell’arma nucleare. Anche quando hanno la superiorità nucleare, i paesi socialisti assolutamente non possono, non devono, né hanno bisogno di usare tali armi per attaccare altri paesi. I paesi socialisti si oppongono risolutamente alla politica di ricatto nucleare, essi sono per l’interdizione e la distruzione totale delle armi nucleari. Tale è l’atteggiamento, la linea di condotta, la politica della Repubblica popolare cinese e del Partito comunista cinese per quanto concerne le armi nucleari. Tale è l’atteggiamento, la linea di condotta, la politica dei marxisti-leninisti. I revisionisti moderni distorcono deliberatamente il nostro atteggiamento, la nostra linea di condotta e la nostra politica su questa questione e inventano calunnie e menzogne infami e sciocche; essi vogliono in realtà mascherare il ricatto nucleare degli imperialisti e dissimulare il loro avventurismo e capitolazionismo sulla questione delle armi nucleari. È da notare che l’avventurismo e il capitolazionismo su questa questione sono estremamente pericolosi e sono l’espressione della peggiore irresponsabilità.
 

Una strana formulazione
 
In conformità con la natura del loro sistema sociale, i paesi socialisti danno solidarietà e appoggio a tutti i popoli e le nazioni oppressi del mondo nelle loro lotte per la liberazione. Ma i paesi socialisti non lanceranno mai guerre esterne per sostituire la lotta rivoluzionaria dei popoli di altri paesi. L’emancipazione del popolo di ogni paese è affar suo: questo è il punto di vista fermamente sostenuto sin dall’epoca di Marx da tutti i veri comunisti, inclusi quelli già al potere. Ciò s’identifica con la tesi costantemente sostenuta da tutti i marxisti-leninisti, che “la rivoluzione non può essere né esportata, né importata”.
Se il popolo di un paese non vuole la rivoluzione, nessuno può imporgliela dall’esterno. Là dove non esiste crisi rivoluzionaria e le condizioni per una rivoluzione non sono mature, nessuno può creare una rivoluzione. Naturalmente se il popolo in un paese desidera una rivoluzione ed esso stesso inizia una rivoluzione, nessuno potrà impedirgli di farla, proprio come nessuno poté impedire le rivoluzioni a Cuba, in Algeria o nel Vietnam del sud.
Togliatti e altri compagni dicono che la coesistenza pacifica implica l’esclusione della “possibilità di interventi stranieri diretti a esportare sia la controrivoluzione sia la rivoluzione”. Noi vorremmo chiedere: quando voi parlate degli interventi stranieri diretti a “esportare […] la rivoluzione”, intendete che i paesi socialisti vogliono esportare la rivoluzione? Questo è proprio quanto gli imperialisti e i reazionari non hanno mai cessato di pretendere. Un comunista dovrebbe forse parlare in questi termini? Per quanto riguarda i paesi imperialisti, essi hanno sempre esportato la controrivoluzione. Chi può indicare un paese imperialista che non ha fatto ciò? Si possono forse dimenticare gli interventi diretti degli imperialisti contro la grande Rivoluzione d’Ottobre? Si possono forse dimenticare gli interventi diretti degli imperialisti contro la rivoluzione cinese? Chi può negare che gli imperialisti statunitensi ancora oggi occupano con la forza il territorio di Taiwan? Chi può negare il fatto che gli imperialisti americani sono sempre intervenuti nella rivoluzione cubana? Non è forse l’imperialismo degli Stati Uniti che fa il gendarme internazionale e fa quanto è in suo potere per esportare la controrivoluzione in tutte le parti del mondo, interferendo negli affari interni degli altri paesi nel mondo capitalista?
Togliatti e altri compagni non fanno distinzione tra paesi con sistemi sociali di natura differente; essi non comprendono la tesi marxista-leninista secondo la quale “la rivoluzione non può essere né esportata né importata”; quando parlano di coesistenza pacifica, essi ignorano il fatto che gli imperialisti hanno sempre esportato la controrivoluzione e parlano indiscriminatamente di “esportazione della controrivoluzione” e di “esportazione della rivoluzione”. Tale strana formulazione non può che essere considerata un errore di principio.
 

Le tesi fondamentali dei comunisti cinesi sulla questione della guerra e della pace
 
Sulla questione della guerra e della pace, i comunisti cinesi si sono sempre attenuti alle tesi di Lenin. Noi abbiamo citato sopra le parole di Lenin sul partito proletario che “condanna risolutamente la guerra” e “ha sempre condannato le guerre tra i popoli” . Ma Lenin ha sempre sostenuto che ci si deve opporre alle guerre ingiuste e si devono appoggiare le guerre giuste; egli non si oppose mai a tutte le guerre indiscriminatamente. Ci sono persone oggi che si paragonano impudentemente a Lenin e affermano che Lenin e anche Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg si opponevano alle guerre come fanno loro. Essi hanno deformato le teorie e la politica di Lenin sulla questione della guerra e della pace. È noto che durante la Prima guerra mondiale, Lenin condusse una lotta risoluta contro la guerra imperialista e allo stesso tempo affermò che, una volta scoppiata la guerra tra gli imperialisti, il proletariato e gli altri lavoratori dovevano trasformare la guerra imperialista in una giusta guerra rivoluzionaria all’interno dei paesi imperialisti, cioè in una giusta guerra rivoluzionaria del proletariato e degli altri lavoratori contro gli imperialisti dei loro paesi. Il giorno seguente lo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre, il secondo Congresso panrusso dei soviet dei deputati degli operai e dei soldati, sotto la presidenza di Lenin, approvò il famoso Decreto sulla pace. Facendo appello al proletariato internazionale e soprattutto agli operai coscienti di Gran Bretagna, Francia e Germania, questo decreto diceva di confidare ch’essi “assolveranno il compito che oggi loro spetta di liberare l’umanità dagli orrori della guerra e dalle sue conseguenze; che questi operai con le loro azioni molteplici, decise ed estremamente vigorose ci aiuteranno a condurre a termine con successo la lotta per la pace e insieme la lotta per l’emancipazione delle masse lavoratrici e sfruttate da ogni schiavitù e da ogni sfruttamento”. Il decreto poneva in rilievo che il governo dei soviet “considera come il più grande dei crimini contro l’umanità continuare questa guerra per sapere come ripartire tra le nazioni forti e ricche le deboli nazionalità che esse hanno conquistato e annuncia solennemente la sua decisione di firmare immediatamente patti di pace per far cessare questa guerra alle condizioni indicate, che sono ugualmente giuste per tutte le nazionalità senza eccezione”. Questo decreto proposto da Lenin è un grande documento nella storia della rivoluzione proletaria. Tuttavia oggi ci sono persone che osano addirittura distorcerlo e mutilarlo; costoro hanno distorto la condanna di Lenin contro una guerra condotta dai paesi imperialisti per dividersi il mondo e opprimere le nazioni deboli come il più grande dei crimini contro l’umanità e l’hanno deliberatamente fatta diventare: “La guerra è il più grande dei crimini contro la umanità”. Queste persone dipingono Lenin, il grande proletario rivoluzionario, il grande marxista, come un pacifista borghese. Essi distorcono in modo aperto e flagrante Lenin, distorcono il leninismo e distorcono la storia e tuttavia dichiarano presuntuosamente che altri “non comprendono la sostanza della dottrina marxista sulla lotta rivoluzionaria”. Non è questo un ragionamento bizzarro e paradossale?
Noi comunisti cinesi siamo insultati dai revisionisti moderni perché ci opponiamo a tutti i ragionamenti bizzarri e paradossali usati per distorcere il leninismo e perché insistiamo nel ripristinare la fisionomia originale della teoria di Lenin sulla questione della guerra e della pace.
I marxisti-leninisti sostengono che, per difendere la pace del mondo e impedire una nuova guerra mondiale si deve fare assegnamento sull’unità e sullo sviluppo delle forze dei paesi socialisti, sulla lotta delle nazioni e dei popoli oppressi, sulla lotta del proletariato internazionale e sulla lotta di tutte le nazioni e i popoli del mondo amanti della pace. Questa è la giusta linea dei popoli di tutti i paesi per difendere la pace mondiale, linea completamente conforme alla teoria leninista sulla guerra e sulla pace. Certe persone descrivono malignamente questa linea come “una ‘teoria’ secondo la quale la via che conduce alla vittoria del socialismo passa per le guerre fra Stati e per le rovine, il sangue e la morte di milioni d’individui”. Esse contrappongono la difesa della pace mondiale alla lotta rivoluzionaria dei popoli di tutti i paesi e sostengono che, per avere la pace, occorre che i popoli si mettano in ginocchio davanti all’imperialismo e che le nazioni e i popoli oppressi rinuncino alla loro lotta per la liberazione. Invece di contare sulla lotta unitaria delle forze di tutto il mondo amanti della pace per conquistare la pace mondiale, esse non fanno altro che mendicare dagli imperialisti capeggiati dagli Stati Uniti il “dono grazioso” della pace mondiale. Questa “teoria” e questa linea sono completamente sbagliate e antileniniste.
Nell’editoriale del Quotidiano del popolo del 31 dicembre 1962, noi abbiamo messo in chiaro il punto di vista fondamentale dei comunisti cinesi sulla questione della guerra e della pace e quali sono in definitiva le divergenze su questa questione tra il compagno Togliatti e altri compagni da una parte e noi dall’altra. Citiamo un passo di questo editoriale: “Sulla questione di come evitare una guerra mondiale e salvaguardare la pace mondiale, il Partito comunista cinese è costantemente stato per la risoluta denuncia dell’imperialismo, per il rafforzamento del campo socialista, per il fermo appoggio ai movimenti di liberazione nazionale e alle lotte rivoluzionarie dei popoli, per la più ampia alleanza di tutti i paesi e popoli amanti della pace e, allo stesso tempo, per approfittare appieno delle contraddizioni tra i nostri nemici e per l’utilizzo del metodo dei negoziati e di altre forme di lotta. Lo scopo di questa posizione è precisamente di impedire la guerra mondiale e di mantenere la pace mondiale. Questa posizione è in piena conformità col marxismo-leninismo e con la prima e la seconda Dichiarazione di Mosca . È la corretta politica per impedire la guerra mondiale e per difendere la pace mondiale. Noi persistiamo in questa corretta politica proprio perché siamo profondamente convinti che è possibile impedire la guerra mondiale facendo assegnamento sulla lotta combinata di tutte le forze che abbiamo menzionato sopra. Come, dunque, può questa posizione essere descritta come mancanza di fiducia nella possibilità di evitare la guerra mondiale? Come può essere chiamata ‘bellicosa’? Ne risulterebbe soltanto una falsa pace o ne verrebbe addirittura una guerra per i popoli dell’intero mondo, se voi abbellite l’imperialismo, riponete le vostre speranze di pace nell’imperialismo, assumete un atteggiamento passivo o negativo verso i movimenti di liberazione nazionale e le lotte rivoluzionarie dei popoli e v’inchinate e vi arrendete all’imperialismo, come vogliono coloro che attaccano il Partito comunista cinese. Questa politica è sbagliata e tutti i marxisti-leninisti, tutti i popoli rivoluzionari, tutti i popoli amanti della pace devono risolutamente contrastarla”.
Ricapitoliamo qui i nostri punti di vista fondamentali sulla questione della guerra e della pace:
1. Noi abbiamo sempre sostenuto che le forze della guerra e dell’aggressione capeggiate dall’imperialismo degli Stati Uniti si stanno preparando attivamente per una terza guerra mondiale e che il pericolo di una guerra esiste. Ma negli ultimi dieci anni o poco più, il rapporto tra le forze a livello mondiale è cambiato sempre più in favore del socialismo e in favore delle lotte per la liberazione nazionale, per la democrazia popolare e in difesa della pace mondiale. Il popolo è il fattore decisivo. L’imperialismo e i reazionari sono isolati. Facendo assegnamento sull’unità e sulle lotte dei popoli e sulla corretta politica dei paesi socialisti e dei partiti proletari dei vari paesi, è possibile evitare una nuova guerra mondiale ed evitare una guerra nucleare ed è possibile raggiungere un accordo per la proibizione totale delle armi nucleari.
2. Se i popoli del mondo desiderano riuscire a preservare la pace mondiale, impedire una nuova guerra mondiale e impedire una guerra nucleare, essi si devono appoggiare l’un l’altro, formare il più largo fronte unito possibile e unire tutte le forze che possono essere unite, incluso il popolo degli Stati Uniti, per opporsi alla politica di guerra e di aggressione del blocco imperialista capeggiato dai reazionari degli Stati Uniti.
3. I paesi socialisti sono per la politica di coesistenza pacifica con paesi che hanno altri sistemi sociali, vi si attengono, sviluppano con essi relazioni amichevoli e praticano il commercio su basi di uguaglianza. Perseguendo la politica di coesistenza pacifica, i paesi socialisti si oppongono all’uso della forza per risolvere le dispute tra Stati e non interferiscono negli affari interni di nessun altro paese. Qualcuno dice che la coesistenza pacifica porterà alla trasformazione del sistema sociale di tutti i paesi capitalisti e che la coesistenza pacifica è “la strada che porta al socialismo su scala mondiale”(35). Altri dicono che la politica di pacifica coesistenza è “la forma più avanzata di lotta contro l’imperialismo e per l’emancipazione dei popoli”(36) da parte di tutti i popoli e le nazioni oppressi. Queste persone hanno completamente travisato la politica di Lenin di coesistenza pacifica mescolando confusamente insieme la coesistenza pacifica tra paesi con differenti sistemi sociali, la questione della lotta di classe nei paesi capitalisti, la questione delle lotte delle nazioni oppresse per la liberazione.
4. Noi abbiamo sempre creduto nella necessità di mantenere costantemente un’acuta vigilanza contro il pericolo di aggressione imperialista contro i paesi socialisti. Nello stesso tempo, noi abbiamo sempre creduto anche che è possibile per i paesi socialisti raggiungere accordi mediante negoziati pacifici e fare i necessari compromessi con i paesi imperialisti su alcune questioni, non escluse questioni importanti. Ma, come ha detto il compagno Mao Zedong, “tale compromesso non richiede che i popoli dei paesi capitalisti seguano la stessa strada e giungano al compromesso in patria. I popoli di quei paesi continueranno a condurre lotte differenti in conformità con le loro differenti condizioni” (37).
5. Le acute contraddizioni tra le potenze imperialiste esistono obiettivamente e sono inconciliabili. Tra i paesi e i blocchi imperialisti si verificano necessariamente scontri, grandi e piccoli, diretti e indiretti, in una forma o nell’altra. Essi sorgono dai reali interessi degli imperialisti e sono determinati dalla natura intrinseca dell’imperialismo. Pretendere che la possibilità di scontri tra paesi imperialisti, che sorge dai loro attuali interessi, sia scomparsa nelle nuove condizioni storiche, equivale a dire che l’imperialismo ha subito un cambiamento completo ed è, in realtà, abbellire l’imperialismo.
6. Poiché l’imperialismo e il sistema di sfruttamento sono la sorgente della guerra, nessuno può garantire che gli imperialisti e i reazionari non lancino guerre di aggressione contro le nazioni e i popoli oppressi o guerre contro il popolo. D’altro canto, nessuno può impedire alle risvegliate nazioni e popoli oppressi d’insorgere e condurre guerre rivoluzionarie.
7. L’assioma che “la guerra è la continuazione della politica”, che fu affermato e sottolineato da Lenin, rimane valido ancor oggi. Il sistema sociale dei paesi imperialisti è fondamentalmente diverso da quello dei paesi socialisti e la loro politica interna ed estera è parimenti fondamentalmente differente da quella dei paesi socialisti. Da ciò deriva che i paesi imperialisti e i paesi socialisti assumono posizioni fondamentalmente diverse sulla questione della guerra e della pace. Per quanto riguarda i paesi imperialisti, che essi lancino guerre o professino pace, il loro scopo è di perseguire o conservare i loro interessi imperialisti. La guerra imperialista è la continuazione della politica imperialista del tempo di pace e la pace imperialista è la continuazione della politica dell’imperialismo del tempo di guerra. I pacifisti borghesi e gli opportunisti hanno sempre negato questo punto. Come disse Lenin: “I pacifisti di ambo le sfumature non hanno mai capito che ‘la guerra è la continuazione della politica del tempo di pace, la pace è la continuazione della politica del tempo di guerra’” (38).
8. L’era della pace stabile per l’umanità verrà; l’era in cui tutte le guerre saranno estirpate verrà. Noi stiamo lottando per il suo avvento. Ma questa grande era verrà solo dopo che l’umanità avrà estirpato il sistema imperialista e non prima. Come dice la prima Dichiarazione di Mosca : “La vittoria del socialismo in tutto il mondo eliminerà completamente le cause sociali e nazionali di tutte le guerre”.
Queste sono le nostre tesi fondamentali sulla questione della guerra e della pace. Esse derivano dall’analisi, basata sulla concezione materialista marxista della storia, di un gran numero di fenomeni oggettivamente esistenti nel mondo, dei rapporti politici ed economici estremamente complessi tra i diversi paesi del mondo e delle condizioni concrete della nuova epoca mondiale di passaggio dal capitalismo al socialismo, iniziato dalla grande Rivoluzione d’Ottobre. Queste tesi sono giuste dal punto di vista della teoria, per di più sono state ripetutamente dimostrate dalla pratica. Incapaci di confutarle, i revisionisti moderni e i loro seguaci non possono che fare ricorso alla deformazione sconsiderata e alle menzogne nel tentativo di demolire la verità.
Ma come può essere demolita la verità? Coloro che cercano di demolire la verità, saranno loro invece ad essere demoliti presto o tardi da essa: non è forse più giusto dire così?
Oggi, alcuni sedicenti “marxisti-leninisti creativi” credono che la storia mondiale proceda secondo l’agitarsi della loro bacchetta e non secondo le leggi oggettive della società. Questo ci ricorda una frase di Diderot, celebre filosofo francese, citata da Lenin nella sua opera Materialismo ed empiriocriticismo : “V’è un momento di delirio in cui il sensibile clavicembalo ha pensato d’essere il solo clavicembalo esistente al mondo e che tutta l’armonia dell’universo si producesse in lui” .
Che quegli idealisti storici che pretendono di essere tutto e che tutto si trovi nel loro soggettivismo meditino attentamente su questa frase!
 
5. Stato e rivoluzione
 

Qual è il “contributo positivo” della teoria delle cosiddette “riforme di struttura” del compagno Togliatti?
 
Il compagno Togliatti e altri compagni descrivono la loro “linea fondamentale” delle “riforme di struttura” come “comune a tutto il movimento comunista internazionale” e la loro teoria delle “riforme di struttura” come “principio di una strategia mondiale del movimento operaio e comunista nella situazione attuale”. A quanto pare il compagno Togliatti e altri compagni vogliono imporre la “via italiana” non solo alla classe operaia e ai lavoratori italiani, ma anche ai popoli di tutti i paesi del mondo capitalista, perché essi considerano la cosiddetta “via italiana” da loro proposta come la “via al socialismo” dell’intero mondo capitalista attuale e a quanto pare questa è la sola via e non ci possono essere altre vie all’infuori di questa. Il compagno Togliatti e alcuni altri compagni del Partito comunista italiano hanno una ben alta opinione di se stessi.
Per porre in chiaro la questione, è necessario presentare ai lettori i tratti principali della “via italiana” e delle “riforme di struttura” da essi proposte.
1. Il più fondamentale punto di vista del marxismo-leninismo, che bisogna infrangere l’apparato statale della dittatura borghese e instaurare quello della dittatura proletaria, è oggi ancora interamente valido? A loro parere, questo punto di vista è “un tema di discussione”; “[…] è evidente che correggiamo qualche cosa in questa posizione, tenendo conto delle trasformazioni che hanno avuto luogo e che si stanno ancora compiendo nel mondo”(39).
2. “Non si pone oggi agli operai italiani il problema di fare ciò che è stato fatto in Russia”. Questo il compagno Togliatti l’aveva già detto nell’aprile del 1944 e nel suo rapporto al decimo Congresso del Partito comunista italiano egli ha riaffermato che è un’opinione “di natura programmatica”.
3. La classe operaia italiana può “organizzarsi nell’ambito del regime costituzionale in classe dirigente”.
4. La Costituzione italiana “assegna alle forze del lavoro un posto nuovo e preminente”, “consente e prevede modificazioni strutturali”. “La lotta per dare alla democrazia italiana contenuti nuovi, socialisti, ha quindi nella Costituzione un ampio terreno di sviluppo”(6).
5. “[…] siamo in grado di parlare della possibilità di profonde utilizzazioni delle vie legali e anche del Parlamento per attuare serie trasformazioni sociali”(40). “Deve essere data al Parlamento la pienezza dei poteri, che gli consentano di assolvere non solo a compiti legislativi, ma anche alla funzione di direzione e di controllo dell’attività dell’Esecutivo”(6). Occorre “[…] l’estensione effettiva dei poteri del Parlamento al campo economico”(41).
6. “[..] l’edificazione di un regime democratico nuovo che avanzi verso il socialismo è strettamente connessa alla formazione di un nuovo blocco storico che, sotto la guida della classe operaia, combatta per mutare la struttura della società e sia portatore di una rivoluzione intellettuale e morale oltre che politica”(42).
7. “[…] lo smantellamento delle più arretrate e pesanti strutture della società italiana e l’avvio di una loro trasformazione in senso democratico e socialista non possono e non devono essere rinviati all’ora della conquista del potere da parte della classe operaia e dei suoi alleati […]”(42).
8. In Italia, l’economia nazionalizzata, cioè il capitale monopolistico di Stato, può essere “contrastante ai monopoli”, può essere “espressione delle masse popolari”(43) e può diventare “uno strumento più efficace nel contrastare lo sviluppo monopolista”(44). Con le nazionalizzazioni si può “spezzare e abolire la proprietà monopolista delle grandi forze produttive e trasformarla in proprietà collettiva”(42).
9. L’intervento dello Stato nella vita economica può “garantire lo sviluppo economico democratico”(45) e diventare “uno strumento di lotta contro il potere del grande capitale per colpire, limitare e spezzare il dominio dei grandi gruppi monopolisti”(7).
10. In regime capitalista e sotto la dittatura borghese, “i concetti di pianificazione e di programmazione dell’economia, considerati un tempo prerogativa socialista”(7), possono essere accettati. La classe operaia “partecipante alla definizione degli indirizzi di una politica di piano e alla sua attuazione”, “nella pienezza dei propri ideali e della propria autonomia, con la forza della propria unità”, può trasformare questa politica di piano in “strumento di soddisfacimento dei bisogni degli uomini e della collettività nazionale”(6).
In breve, la cosiddetta “via italiana” e le “riforme di struttura” di Togliatti e di altri compagni equivalgono a questo: politicamente, mentre si conserva la dittatura borghese, “modificare progressivamente gli equilibri interni e le strutture (dello Stato)” e così “imporre per questa via l’avvento di nuove classi alla sua direzione”, attraverso i mezzi “legali” della democrazia borghese, della Costituzione e del Parlamento. Riguardo a che cosa si vuol dire con “nuove classi”, la loro spiegazione è stata sempre ambigua. Economicamente, mentre si conserva il sistema capitalista, “limitare” gradualmente e “spezzare” il capitale monopolista mediante “la nazionalizzazione”, “la programmazione” e “l’intervento dello Stato”. In altre parole, è possibile giungere al socialismo in Italia attraverso la dittatura borghese, senza passare per la dittatura del proletariato.
Il compagno Togliatti e altri compagni sostengono che questi loro concetti sono un “contributo positivo all’approfondimento e allo sviluppo della dottrina rivoluzionaria della classe operaia, il marxismo-leninismo”(1). Malauguratamente, non c’è nulla di nuovo in questi concetti, che sono molto vecchi e stantii. Si tratta del socialismo borghese che Marx ed Engels hanno inesorabilmente criticato molto tempo fa.
Il socialismo borghese criticato da Marx ed Engels è il socialismo borghese del capitalismo premonopolista. Se il compagno Togliatti e altri compagni hanno dato qualche “contributo positivo”, l’hanno dato allo sviluppo non del marxismo, ma proprio del socialismo borghese. Essi hanno sviluppato il socialismo della borghesia liberale in socialismo della borghesia monopolista. Ma questo “sviluppo” è stato, in realtà, sostenuto molto tempo fa dalla cricca di Tito. Togliatti e altri compagni l’hanno adottato dopo “uno studio e una profonda comprensione” di ciò che la cricca di Tito ha fatto e fa.
 

Un paragone con il leninismo
 
La possibilità di passare al socialismo e di realizzare il socialismo prima del rovesciamento della dittatura borghese e dell’instaurazione della dittatura del proletariato, è sempre stata la questione più fondamentale in discussione fra i marxisti-leninisti e ogni sorta di opportunisti e revisionisti. Nelle sue due grandi opere Stato e rivoluzione e La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky che tutti i marxisti-leninisti conoscono, Lenin ha esposto questa questione fondamentale in maniera esauriente e penetrante, ha difeso e sviluppato il marxismo rivoluzionario e denunciato e criticato a fondo le deformazioni del marxismo da parte degli opportunisti e dei revisionisti.
In realtà, le cosiddette “riforme di struttura” e la “modificazione degli equilibri interni dello Stato” e altre opinioni del compagno Togliatti e di altri compagni, sono tutti punti di vista di Kautsky, criticati da Lenin in Stato e rivoluzione . Il compagno Togliatti dice: “I compagni cinesi ci vogliono spaventare col richiamo a Kautsky, con le posizioni del quale la nostra politica non ha proprio niente in comune”(1). Cerchiamo noi di spaventare il compagno Togliatti e altri compagni? È vero che la politica del compagno Togliatti e di altri compagni “non ha proprio niente di comune” con le posizioni di Kautsky? Questa volta “ci consentano di ricordare loro” che sarebbe bene rileggere attentamente Stato e rivoluzione e altre opere di Lenin.
Il compagno Togliatti e altri compagni rifiutano di prestare attenzione alle differenze fondamentali tra la rivoluzione socialista proletaria e la rivoluzione borghese.
Lenin disse: “Quello che precisamente distingue la rivoluzione socialista dalla rivoluzione borghese è che quest’ultima trova già pronte le forme dei rapporti capitalisti, mentre il potere sovietico, proletario, non trova rapporti già pronti […]” (46).
Nella società classista, tutto il potere dello Stato è destinato a difendere un determinato sistema sociale ed economico, cioè un determinato rapporto di produzione. Come disse Lenin: “La politica è l’espressione concentrata dell’economia” (47). A ogni regime sociale ed economico deve corrispondere un regime politico che lo serva e rimuova gli ostacoli al suo sviluppo.
Nella storia, le classi dei proprietari di schiavi, dei feudatari e dei capitalisti, hanno tutte dovuto costituirsi politicamente in classe dirigente e prendere il potere in mano allo scopo di far prevalere il loro rapporto di produzione sugli altri rapporti, di consolidarlo e di svilupparlo.
Il punto fondamentale che distingue le rivoluzioni della classe sfruttatrice dalle rivoluzioni del proletariato è che, prima dell’avvento al potere delle tre grandi classi sfruttatrici (dei proprietari di schiavi, dei signori feudali e dei borghesi), esistevano già i rapporti di produzione della schiavitù, del feudalismo e del capitalismo nella società e in certi casi erano diventati abbastanza maturi. Ma non esistono rapporti di produzione socialisti già pronti nella società prima dell’accesso al potere del proletariato. La ragione è molto chiara: una nuova forma di proprietà privata può nascere spontanea sulla base della vecchia proprietà privata, ma la proprietà pubblica socialista dei mezzi di produzione non può mai nascere spontaneamente sulla base della proprietà privata capitalista.
Possiamo fare un paragone tra le idee e il programma del compagno Togliatti e di altri compagni e il leninismo.
Contrariamente al leninismo, il compagno Togliatti e altri compagni sostengono che il rapporto di produzione socialista può nascere gradualmente senza la rivoluzione socialista e senza il potere proletario e che gli interessi economici fondamentali del proletariato possono essere soddisfatti anche senza una rivoluzione politica che sostituisce la dittatura borghese con la dittatura proletaria. Questo è il punto di partenza della cosiddetta “via italiana” e delle “riforme di struttura” del compagno Togliatti e di altri compagni.
Chi ha ragione, Marx, Engels e Lenin o il compagno Togliatti e gli altri compagni? Dov’è “la mancanza del senso delle cose reali”, nel marxismo-leninismo o nelle idee e nel programma di Togliatti e di altri compagni?
Vediamo di capire la realtà italiana.
L’Italia è un paese di 50 milioni di abitanti. Secondo i dati statistici, in Italia vi sono, in tempo di pace, centinaia di migliaia di funzionari statali, più di 400.000 uomini nell’esercito permanente, pressoché 80.000 gendarmi, circa 100.000 poliziotti, più di 1.200 tribunali di tutti i livelli e circa 1.000 prigioni, senza contare l’apparato segreto di repressione e il suo personale armato. Inoltre, in Italia, ci sono le basi militari USA e le truppe USA di stanza.
Nelle loro tesi, il compagno Togliatti e altri compagni si compiacciono di parlare della democrazia, della Costituzione e del Parlamento d’Italia, ma non fanno alcuna analisi di classe dell’esercito, dei gendarmi, dei poliziotti, dei tribunali, delle prigioni e degli altri strumenti di violenza che esistono attualmente in Italia. Chi proteggono questi strumenti di violenza? Chi reprimono? Proteggono forse il proletariato e i lavoratori e reprimono la borghesia monopolista o proteggono la borghesia monopolista e reprimono il proletariato e i lavoratori? Parlando del sistema dello Stato, un marxista-leninista non deve eludere questi interrogativi ma deve rispondere.
Vediamo come sono utilizzati questi strumenti di violenza in Italia. Ecco alcuni esempi.
Nel triennio 1948-1950, più di 3.000 persone sono state uccise e ferite e più di
90.000 persone sono state arrestate dal governo italiano, nel corso della repressione dell’opposizione delle masse popolari.
Nel luglio del 1960, il governo Tambroni ha ucciso 11 persone, ferito più di 1.000 persone e arrestato un altro migliaio e più, nel corso della repressione del movimento antifascista dei lavoratori italiani.
Nell’anno 1962, dopo la formazione del governo di “centrosinistra” di Fanfani, si sono avuti una serie di incidenti nel corso della repressione governativa di scioperi e di dimostrazioni delle masse popolari a Ceccano nel maggio, a Torino nel luglio, a Bari nell’agosto, a Milano nell’ottobre e a Roma nel novembre. Soltanto nel caso di Roma, decine di persone sono state ferite e circa 600 persone arrestate.
Questi non sono che pochi esempi, ma non sono forse sufficienti a mettere a nudo quale democrazia sia la cosiddetta “democrazia italiana”? In un’Italia dotata di un apparato potente dello Stato, tanto pubblico quanto segreto, per reprimere il popolo, è forse possibile parlare della cosiddetta “democrazia italiana” non come di una democrazia della borghesia monopolista italiana, vale a dire non come di una dittatura della borghesia monopolista italiana?
Per la classe operaia italiana e gli altri lavoratori, è forse possibile partecipare all’elaborazione della politica interna ed estera del governo italiano nella cosiddetta “democrazia italiana” vantata dal compagno Togliatti e da altri compagni? Se voi, compagno Togliatti e altri compagni, sostenete che sia possibile, allora potete assumere voi la responsabilità dei vari crimini di repressione contro il popolo commessi dall’attuale governo italiano?
Potete assumere la responsabilità delle azioni del governo italiano che ha accettato le basi militari americane in Italia, ha fatto aderire l’Italia alla NATO, ecc.? Naturalmente, voi direte che non potete essere responsabili di queste azioni di politica reazionaria interna ed estera del governo italiano. Ma poiché vi attribuite una parte nell’elaborazione della politica, perché non potete realizzare il benché minimo cambiamento nella politica più fondamentale dell’attuale governo italiano?
Non fare alcuna distinzione sulla natura di classe della democrazia e vantare in modo generico la democrazia sono le vecchie tiritere che gli eroi della Seconda Internazionale e i dirigenti socialdemocratici di destra hanno usato fino all’estremo. Non è forse una cosa strana che coloro che pretendono di essere marxisti-leninisti facciano passare queste vecchie tiritere per loro “nuove creazioni”?
Il compagno Togliatti forse desidera tracciare una sottilissima linea di demarcazione tra se stesso e i socialdemocratici. Egli sostiene che, dal punto di vista del “ragionamento astratto”, si può riconoscere il carattere di classe dello Stato e il carattere borghese dell’attuale Stato italiano; ma che “renderlo concreto (il ragionamento)” è un altro affare. Per quanto riguarda “il ragionamento concreto”, egli sostiene che “partendo dall’attuale struttura” e “realizzando le profonde riforme previste dalla Costituzione” è possibile “modificare l’attuale blocco di potere e creare le condizioni di un altro, del quale le classi lavoratrici facciano parte e nel quale possano conquistare la funzione che loro spetta” e permettere all’Italia di “avanzare verso il socialismo nella democrazia e nella pace”(7). Tradotte in linguaggio intelligibile, queste ambigue parole del compagno Togliatti significano che si può gradualmente realizzare un “cambiamento qualitativo” nella macchina dello Stato capitalista monopolista senza la rivoluzione del popolo italiano.
“Il ragionamento concreto” del compagno Togliatti si oppone al suo “ragionamento astratto”. Nel “ragionamento astratto” egli si avvicina un po’ al marxismo-leninismo; ma nel “ragionamento concreto” si allontana molto dal marxismo-leninismo. Egli ritiene forse che questo sia il solo modo di non essere “dogmatico”!
Se noi guardiamo Togliatti e altri compagni alla luce del loro “ragionamento concreto”, allora troviamo che la linea sottile sottile tra loro e i socialdemocratici è scomparsa.
Ora mentre certe persone si sforzano di calpestare le dottrine del marxismo-leninismo sullo Stato e sulla rivoluzione e i revisionisti moderni utilizzano il nome di Lenin per attaccare forsennatamente il leninismo, noi vogliamo attirare l’attenzione di quelle persone su ciò che Lenin disse al primo Congresso dell’Internazionale Comunista nel 1919: “Il punto essenziale che i socialisti non comprendono, che spiega la loro miopia teorica, che li fa rimanere prigionieri dei pregiudizi borghesi e costituisce il loro tradimento politico del proletariato, è che nella società capitalista, quando la lotta di classe, che ne è il fondamento, diventa relativamente più aspra, non è possibile avere alcun termine intermedio tra la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato. Ogni sogno di chissà quale terza via è una lamentazione reazionaria dei piccolo-borghesi. Ne è testimone tutta l’esperienza dello sviluppo di più di un secolo di democrazia borghese e di movimento operaio in tutti i paesi progrediti, particolarmente l’esperienza degli ultimi cinque anni. Questo è anche provato da tutta la scienza dell’economia politica e dall’intero contenuto del marxismo che spiega la necessità economica, in regime di economia mercantile, della dittatura della borghesia, la quale non può essere sostituita che dalla classe sviluppata, moltiplicata, cementata e rafforzata dalla stessa evoluzione del capitalismo, vale a dire dal proletariato. Un altro errore politico e teorico dei socialisti è dovuto al fatto che essi non comprendono che le forme della democrazia sono necessariamente cambiate nel corso dei secoli, a partire dai suoi germi nell’antichità, man mano che le classi dominanti si succedevano. Nelle repubbliche della Grecia antica, nelle città del Medioevo e nei paesi capitalisti avanzati, la democrazia assume forme differenti e viene applicata a diversi gradi. Sarebbe completamente assurdo pensare che la rivoluzione più profonda che la storia dell’umanità abbia mai conosciuto, il passaggio, per la prima volta nel mondo, del potere dalla minoranza degli sfruttatori alla maggioranza degli sfruttati, possa effettuarsi nel vecchio quadro della vecchia democrazia, della democrazia parlamentare borghese, possa effettuarsi senza la più profonda svolta e senza la creazione di nuove forme di democrazia e di nuove istituzioni che materializzano le nuove condizioni della sua applicazione, ecc.” (48).
Guardate, Lenin ha tratto queste conclusioni così chiare e definite proprio basandosi su tutta la dottrina marxista, su tutte le esperienze della lotta di classe nella società capitalista e su tutte le esperienze della Rivoluzione d’Ottobre. Lenin sosteneva che era impossibile trasferire il potere della borghesia al proletariato, era impossibile realizzare la più profonda rivoluzione della storia dell’umanità, la rivoluzione socialista, nel vecchio quadro della democrazia parlamentare borghese. Queste verità concrete, formulate da Lenin nel 1919, non hanno forse trovato ripetute conferme nelle esperienze di tutti i paesi del mondo dove è successivamente avvenuta la rivoluzione socialista? Queste esperienze non hanno ripetutamente confermato che la via della Rivoluzione d’Ottobre guidata da Lenin è la via comune per l’emancipazione dell’umanità?
La Dichiarazione di Mosca del 1957 e la Dichiarazione di Mosca del 1960 non hanno riaffermato la via comune per la classe operaia di tutti i paesi al socialismo? Naturalmente l’utilizzo del metodo pacifico o non pacifico da parte della classe operaia dei vari paesi dipende “dal grado di resistenza dei circoli reazionari contro la volontà della schiacciante maggioranza del popolo, dal ricorso alla violenza da parte di questi circoli in questo o quello stadio della lotta per il socialismo”(49). Ma, in un modo o nell’altro, è necessario infrangere la vecchia macchina dello Stato borghese e instaurare la dittatura del proletariato.
Invece di prendere come punto di partenza l’esperienza delle lotte rivoluzionarie del proletariato o la realtà della società italiana, il compagno Togliatti e altri compagni partono dall’attuale Costituzione italiana e sostengono che l’Italia può conseguire il socialismo nel quadro della democrazia parlamentare borghese senza infrangere la vecchia macchina dello Stato. La loro “nuova democrazia” non è che “l’ampliamento” della democrazia borghese. Non c’è da meravigliarsi che il loro “ragionamento concreto” sia così diverso dalla verità concreta del marxismo-leninismo.
 

Una costituzione assolutamente meravigliosa
 
Le tesi per il decimo Congresso del Partito comunista italiano dichiarano che “la via italiana al socialismo passa attraverso l’edificazione del nuovo Stato delineato nella Costituzione (che è cosa profondamente diversa dal regime attuale) e l’avvento alla sua direzione di nuove classi dirigenti”.
Secondo l’affermazione di Togliatti e di certi altri compagni, la Costituzione italiana è una costituzione assolutamente meravigliosa.
1. La Costituzione repubblicana è “[…] un patto unitario liberamente stretto dalla grande maggioranza del popolo italiano”(42).
2. La Costituzione repubblicana prevede “alcune riforme fondamentali che […] sono improntate al socialismo”(50).
3. La Costituzione repubblicana afferma “[…] il principio della sovranità popolare”(1).
4. La Costituzione repubblicana proclama “lo Stato fondato sul lavoro”(51) e “assegna alle forze del lavoro un posto nuovo e preminente”(1).
5. La Costituzione repubblicana riconosce “[…] il diritto dei lavoratori ad accedere alla direzione dello Stato”(42).
6. La Costituzione repubblicana “afferma la necessità di quelle trasformazioni economiche e politiche che sono necessarie per rinnovare la società nazionale e muoverla nella direzione del socialismo”(51).
7. La Costituzione repubblicana ha risolto “[…] il problema di principio di una marcia verso il socialismo nell’ambito di una legalità democratica”(51).
8. Il popolo italiano può “contestare la natura di classe e i fini di classe dello Stato, nell’accettazione piena e nella difesa del patto costituzionale […]”(1).
9. La classe operaia italiana può organizzarsi “in classe dirigente […] nell’ambito del regime costituzionale”(42).
10. “Il rispetto, la difesa, l’applicazione integrale della Costituzione repubblicana è il cardine di tutto il programma politico del partito”(42).
Naturalmente noi non neghiamo che l’attuale Costituzione italiana contenga certe frasi altisonanti; ma come può un marxista-leninista prendere per realtà queste frasi
altisonanti scritte in una costituzione borghese?
Vi sono 139 articoli nell’attuale Costituzione italiana. Ma, in ultima analisi, la sua natura di classe è più chiaramente rappresentata dall’articolo 42, il quale prevede che “la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge”; tenendo presente la realtà dell’Italia questo articolo garantisce la proprietà privata della borghesia monopolista. In virtù di questa clausola, la Costituzione soddisfa le esigenze dei capitalisti monopolisti, poiché la loro proprietà privata è resa sacra e inviolabile. Cercare di nascondere la vera natura della Costituzione italiana e parlarne in termini superlativi è solo ingannare se stessi e gli altri.
Togliatti e altri compagni dicono che la Costituzione italiana “reca l’impronta di questa presenza della classe operaia”, afferma “il principio della sovranità popolare” e “assegna nuovi diritti ai lavoratori”(1).
Quando parlano di questo “principio” e di questi “nuovi diritti”, perché non fanno un paragone tra la Costituzione italiana e le altre costituzioni borghesi, prima di trarre una conclusione?
Si dovrebbe sapere che la clausola concernente “la sovranità popolare”, si trova in quasi ogni costituzione borghese sin dalla pubblicazione della Dichiarazione dei diritti dell'uomo della rivoluzione borghese in Francia nel 1789 e non è una peculiarità particolare della Costituzione italiana. “La sovranità popolare” era una volta uno slogan rivoluzionario di cui si serviva la borghesia per opporsi a l’Etat, c'est moi dei signori feudali. Ma dopo l’instaurazione del dominio borghese, questa clausola è diventata una frase vuota nelle costituzioni borghesi per nascondere la dittatura borghese.
Si dovrebbe sapere che la Costituzione italiana non è l’unica costituzione che preveda “libertà e diritti civili”. Disposizioni di questo genere si trovano in quasi tutte le costituzioni dei paesi capitalisti. Ma dopo aver affermato libertà e diritti civili, alcune costituzioni proseguono con disposizioni che li restringono o li cancellano. Come Marx disse della Costituzione francese del 1848: “Ciascun articolo contiene la propria antitesi: si annulla completamente” (52). Ci sono altre costituzioni in cui gli articoli non sono accompagnati da provvedimenti che li restringono o li cancellano, ma i governi borghesi possono ben raggiungere lo stesso scopo con altri mezzi. La Costituzione italiana appartiene alla prima categoria; in altri termini, essa è senz’altro una costituzione evidentemente borghese e non può essere in nessun modo descritta come una costituzione “di ispirazione fondamentalmente socialista” (53).
Lenin disse: “Quando le leggi si allontanano dalla realtà, la costituzione è falsa; quando esse sono conformi alla realtà, la costituzione non è falsa” (54). L’attuale Costituzione italiana ha ambedue questi aspetti: “è falsa” e “non è falsa”. “Non è falsa” negli elementi essenziali quali la protezione aperta degli interessi della borghesia ed “è falsa” nelle frasi altisonanti destinate a ingannare il popolo.
Al sesto Congresso del Partito comunista italiano tenutosi nel gennaio del 1948, il compagno Togliatti disse: “Il nostro avvenire politico e persino costituzionale è incerto poiché si possono prevedere scontri seri tra una parte progressiva che si appoggia su una parte della nostra carta costituzionale e una parte conservatrice e reazionaria che cercherà nell’altra parte gli strumenti della sua resistenza. Commetterebbe perciò un serio errore politico e ingannerebbe il popolo chi si limitasse a dire: tutto ormai è scritto nella Costituzione, applichiamo quello che ivi è sancito e saranno realizzate tutte le aspirazioni popolari. Questo è sbagliato. Nessuna costituzione è mai servita a salvare la libertà se a difesa di questa non vi sono state la coscienza dei cittadini, la loro forza, la loro capacità di schiacciare ogni tentativo reazionario. Nessuna norma costituzionale ci assicura di per sé del progresso democratico e sociale, se la forza organizzativa e consapevole delle masse lavoratrici non saprà dirigere tutto il paese sulla via di questo progresso e spezzare la resistenza della reazione”.
Da queste parole pronunciate dal compagno Togliatti nel 1948, sembra che egli conservasse ancora alcune concezioni marxiste-leniniste, poiché egli ammetteva che l’avvenire della politica e della Costituzione italiana era incerto e che la Costituzione italiana aveva doppio carattere e poteva essere utilizzata sia dalle forze reazionarie e conservatrici sia dalle forze progressive. Il compagno Togliatti allora sosteneva che chi poneva fiducia cieca nella Costituzione italiana commetteva “un serio errore politico e ingannava il popolo”.
Nel gennaio del 1955 il compagno Togliatti disse in un discorso: “È chiaro che noi abbiamo nella stessa nostra Costituzione le linee di un programma non soltanto politico ma economico e sociale, di ispirazione fondamentalmente socialista”(53).
In tal modo il Togliatti del 1955 si leva a contrastare il Togliatti del 1948.
Da allora in poi, il compagno Togliatti è andato in precipitoso declino e ha virtualmente deificato la Costituzione italiana.
Nel 1960 il compagno Togliatti dichiarò nel rapporto al nono Congresso del Partito comunista italiano: “Noi ci muoviamo sul terreno della Costituzione e ad essa rinviamo tutti coloro che ci chiedono che cosa mai faremmo al governo. Abbiamo scritto nella nostra Dichiarazione programmatica e ripetiamo che si possono compiere ‘nella piena legalità costituzionale le riforme di struttura necessarie per minare il potere dei gruppi monopolisti, difendere gli interessi di tutti i lavoratori contro le oligarchie economiche e finanziarie, escludere dal potere queste oligarchie e farvi accedere le classi lavoratrici’”.
Vale a dire, il compagno Togliatti chiese che la classe operaia e gli altri lavoratori italiani agissero su un piano pienamente conforme alla costituzione borghese e facessero leva su questa in modo da “minare il potere dei gruppi monopolisti”.
Al decimo congresso del Partito comunista italiano, nel 1962, il compagno Togliatti e altri compagni del Partito comunista italiano hanno riaffermato di essere “fermi” su questo punto. Essi hanno dichiarato che “la via italiana al socialismo passa attraverso l’edificazione del nuovo Stato delineato nella Costituzione e l’avvento alla sua direzione di nuove classi dirigenti”(6). Questa via è “rivendicare e imporre la trasformazione dello Stato alla luce della Costituzione, per conquistare al suo interno nuove posizioni di forza, per portare avanti la trasformazione socialista della società”(6) e significa “la formazione di un blocco sociale e politico capace di realizzare, nella legalità costituzionale, la trasformazione socialista dell’Italia”(6). Essi hanno anche dichiarato di “contestare la natura di classe e i fini di classe dello Stato, nell’accettazione piena e nella difesa del patto costituzionale, svolgendo un’azione ampia, articolata, che tende a spingerlo sulla via di una democrazia progressiva, capace di svilupparsi verso il socialismo”(6).
In breve, Togliatti e altri compagni intendono “realizzare il socialismo” nell’ambito della Costituzione borghese italiana, dimenticando completamente che sebbene nella Costituzione italiana ci siano alcuni articoli compilati in modo attraente, la borghesia monopolista può annullare questa costituzione ogniqualvolta lo trovi necessario e opportuno, finché avrà il controllo della macchina dello Stato e delle forze armate.
I marxisti-leninisti devono smascherare l’ipocrisia della Costituzione borghese e nello stesso tempo devono utilizzare quegli articoli delle costituzioni borghesi che possono essere usati come armi contro la borghesia. In generale, rifiutare di servirsi della costituzione borghese per condurre lotte legali quando è possibile, è un errore, quello che Lenin ha chiamato “estremismo, malattia infantile del comunismo” . Tuttavia, fare appello ai comunisti e al popolo perché ripongano cieca fiducia in una costituzione borghese, predicare che una costituzione borghese può dare al popolo il socialismo e considerare il rispetto, la difesa e l’applicazione integrale della costituzione come “il cardine di tutto il programma politico del partito”(42), non è più semplicemente “una malattia infantile”, ma, come diceva Lenin, significa essere caduti spiritualmente prigionieri del pregiudizio borghese.
 

Il “cretinismo parlamentare” contemporaneo
 
Anche il compagno Togliatti e alcuni altri compagni ammettono che la realizzazione del socialismo implica la lotta, che il socialismo deve essere realizzato attraverso la lotta. Ma essi limitano la lotta del popolo al quadro autorizzato dalla costituzione borghese e attribuiscono il ruolo principale al Parlamento.
Descrivendo come l’attuale Costituzione italiana venne al mondo, il compagno Togliatti disse: “Questo è dovuto al fatto che i comunisti, nel 1946, respinsero la via della rottura della legalità come via per tentare disperatamente di prendere il potere e scelsero invece la via della partecipazione ai lavori della costituente”(50).
Ecco come Togliatti giunse a fare della “via parlamentare” quella per la quale la classe operaia e gli altri lavoratori italiani avrebbero “avanzato verso il socialismo”. Da diversi anni Togliatti e altri compagni hanno ripetutamente sottolineato: “Oggi è stata formulata in modo generale la tesi della possibilità di un’avanzata verso il socialismo nelle forme della legalità democratica e anche parlamentare”, “questa tesi era la nostra del 1944-1946(51), […] è possibile utilizzare anche la via parlamentare per il passaggio al socialismo […]”.
Vorremmo discutere qui con il compagno Togliatti e altri compagni la questione se il passaggio al socialismo possa essere effettuato per via parlamentare.
La questione deve essere chiarita. Noi abbiamo sempre sostenuto che prendere parte alla lotta parlamentare è uno dei metodi della lotta legale che la classe operaia in certe condizioni deve utilizzare. Rifiutare di utilizzare la lotta parlamentare quando è necessaria e invece giocare alla rivoluzione o cianciarne, è qualcosa cui tutti i marxisti-leninisti si oppongono risolutamente. Su tale questione, noi ci siamo sempre attenuti completamente alla teoria di Lenin esposta nella sua opera Estremismo, malattia infantile del comunismo. Ma alcuni distorcono deliberatamente le nostre posizioni. Essi dicono che noi neghiamo la necessità delle lotte parlamentari in generale e neghiamo che lo sviluppo della rivoluzione è disuguale. Essi ci attribuiscono il punto di vista che un bel mattino avverranno improvvisamente in vari paesi le rivoluzioni popolari o affermano, come fa il compagno Togliatti nella sua risposta del 10 gennaio al nostro articolo, che noi vogliamo che i compagni italiani “si limitino a predicare e ad attendere il gran giorno della rivoluzione”. In questi ultimi tempi, questo tipo di distorsione degli argomenti dell’altra parte nella discussione è quasi diventato il trucco preferito dei sedicenti marxisti-leninisti nel trattare con i comunisti cinesi.
Ora noi poniamo la questione: quali sono le nostre divergenze con il compagno Togliatti e altri compagni sul giusto atteggiamento verso i parlamenti borghesi?
1. Noi sosteniamo che tutti i parlamenti borghesi hanno una natura di classe e servono da ornamento alla dittatura borghese. Come diceva Lenin: “Prendete qualsiasi paese parlamentare, dall’America alla Svizzera, dalla Francia all’Inghilterra, alla Norvegia, ecc. […] il vero affare di ‘Stato’ è attuato dietro le scene ed è condotto da ministeri, cancellerie e stati maggiori” (56). E “Quanto più potente è lo sviluppo della democrazia (borghese), tanto più la borsa e i banchieri assoggettano i parlamentari borghesi” (57).
2. Noi siamo per utilizzare la lotta parlamentare, ma siamo contro la diffusione dell’illusione del “cretinismo parlamentare”. Inoltre, proprio come ha detto Lenin, il partito della classe operaia “è favorevole a utilizzare la lotta parlamentare, a prendervi parte, ma esso denuncia implacabilmente il ‘cretinismo parlamentare’, ossia la fiducia nella lotta parlamentare come unica forma o come forma principale di lotta politica in ogni situazione” (58).
3. Noi siamo per utilizzare la piattaforma del parlamento borghese per denunciare le piaghe purulente nella società borghese. Il partito politico della classe operaia deve essere altamente vigilante e deve sempre mantenere la sua indipendenza politica considerato che la borghesia usa il parlamento come metodo per ingannarlo, corromperlo e anche comprarlo.
Sui tre punti or ora menzionati, Togliatti e altri compagni hanno completamente rigettato la posizione leninista. Considerando il parlamento al di sopra delle classi, essi senza alcuna valida ragione esagerano il ruolo del parlamento borghese e lo considerano la sola via per conseguire il socialismo in Italia.
Il compagno Togliatti e altri compagni sostengono che con una “legge onesta”, con “la formazione nel Parlamento di una maggioranza conforme alla volontà del popolo”, si potranno attuare “profonde riforme sociali”(55), “modificare gli attuali rapporti di produzione e quindi anche il regime della grande proprietà”(41).
Le cose stanno veramente così? No. Nelle condizioni in cui viene conservato l’apparato burocratico e militare dello Stato della borghesia, per il proletariato e per i suoi fedeli alleati ottenere la maggioranza parlamentare in una situazione normale
e in conformità con le leggi elettorali borghesi, è impossibile o se per caso succede, non ci si può assolutamente contare per la trasformazione socialista del paese. Dopo la Seconda guerra mondiale, i partiti comunisti e operai in molti paesi capitalisti avevano seggi in parlamento, in qualche caso molti seggi. In ogni caso, però, la borghesia ha usato varie misure per impedire ai comunisti di ottenere una maggioranza parlamentare: invalidando elezioni, sciogliendo parlamenti, rivedendo le leggi elettorali o la costituzione o mettendo fuori legge il partito comunista. Per un periodo abbastanza lungo dopo la Seconda guerra mondiale il Partito comunista francese ha avuto il maggior numero di voti popolari e la più grande rappresentanza parlamentare di qualsiasi altro partito nel paese, ma i capitalisti monopolisti francesi modificarono la legge elettorale e la costituzione stessa e tolsero così al Partito comunista francese molti seggi.
Può la classe operaia diventare classe dominante solo facendo assegnamento sui voti elettorali? La storia non ha visto nessuna classe oppressa diventare classe dominante con le elezioni. La borghesia loda la democrazia parlamentare e il sistema elettorale, ma non c’è alcun paese dove la borghesia abbia sostituito i signori feudali come classe dominante per mezzo del voto. A maggior ragione, è impossibile che il proletariato diventi classe dominante per mezzo delle elezioni. Come disse Lenin nel suo articolo Saluto ai comunisti italiani, francesi e tedeschi : “Solo i vili o gli sciocchi possono credere che il proletariato debba prima conquistare la maggioranza in elezioni condotte sotto il giogo della borghesia e sotto il giogo della schiavitù salariata, per conquistare poi il potere. Questo è il colmo della stupidità o dell’ipocrisia; questo equivale a sostituire la lotta di classe e la rivoluzione con le votazioni nel vecchio regime, con il vecchio potere” .
La storia ci dice che quando un partito operaio abbandona il suo programma rivoluzionario proletario, degenera in un’appendice della borghesia e si trasforma in un partito politico che è uno strumento della borghesia, la borghesia gli può permettere di avere una maggioranza parlamentare temporanea e di formare un governo. Questo è accaduto al Partito laburista britannico, nonché ai partiti socialdemocratici di parecchi paesi, dopo che essi avevano tradito i loro originali programmi rivoluzionari socialisti. Ma questa sorta di cose può solo mantenere e consolidare la dittatura della borghesia e non può alterare minimamente la posizione del proletariato quale classe oppressa e sfruttata. Il Partito laburista britannico è stato al potere tre volte a partire dal 1924, ma l’Inghilterra imperialista è ancora l’Inghilterra imperialista e, come prima, la classe operaia britannica non ha il potere. Vorremmo chiedere al compagno Togliatti se sta pensando di seguire le orme del Partito laburista britannico e dei partiti socialdemocratici di altri paesi.
Le tesi per il decimo Congresso del Partito comunista italiano dichiarano che al parlamento devono essere dati pieni poteri per formulare leggi e per dirigere e controllare le attività dell’esecutivo. Non sappiamo chi darà al parlamento i poteri che certi dirigenti del Partito comunista italiano desiderano gli siano dati. Glieli darà la borghesia o Togliatti e gli altri compagni? In realtà, i poteri a un parlamento borghese vengono conferiti dalla borghesia. Grandi o piccoli, questi gli sono conferiti secondo gli interessi della stessa borghesia. A prescindere dall’entità del potere che questa gli concede, il parlamento non potrà mai diventare il reale organo di potere dello Stato borghese. Il vero organo di potere, per mezzo del quale la borghesia governa sul popolo, è l’apparato burocratico e militare borghese e non il suo parlamento.
Se i comunisti abbandonano la strada della rivoluzione proletaria e della dittatura proletaria e ripongono tutte le loro speranze nella conquista della maggioranza nel parlamento borghese con il voto e aspettano che sia “dato” loro il potere di dirigere lo Stato, che differenza esiste tra la loro strada e la strada parlamentare di Kautsky? Kautsky disse: “Lo scopo della nostra lotta politica rimane, come è stato finora, la conquista del potere statale, ottenendo una maggioranza in parlamento e trasformando il parlamento in padrone del governo”(59). Lenin disse, criticando questa via kautskiana: “Questo non è altro che il più duro e il più volgare opportunismo” (56).
Parlando nel marzo del 1956 dell’utilizzo delle vie legali e parlamentari, il compagno Togliatti disse: “Quello che noi facciamo oggi, trent’anni fa non sarebbe stato né possibile né giusto, sarebbe stato puro opportunismo, come allora dicemmo che era”(50).
Per quale ragione si può affermare che quello che non era né possibile né giusto trent’anni fa è diventato oggi possibile e giusto? Per quale ragione si può affermare che quello che era puro opportunismo in passato è oggi improvvisamente diventato puro marxismo-leninismo? Le parole del compagno Togliatti sono in realtà il riconoscimento che la via da loro imboccata oggi è identica a quella seguita dagli opportunisti in passato.
Però quando altri posero in rilievo che essi stavano percorrendo la via parlamentare, il compagno Togliatti cambiò tono ed affermò, nel giugno 1956: “Vorrei correggere quei compagni i quali hanno detto, come se fosse senz’altro cosa pacifica, che la via italiana di sviluppo verso il socialismo vuol dire via parlamentare e niente più. Questo non è vero”(40). Egli ha poi detto: “Ridurre questa lotta alle competizioni elettorali per il parlamento e aspettare la conquista del 51 per cento sarebbe, oltre che ingenuo, illusorio”(7). Il compagno Togliatti pretende che quello che essi vogliono non è solo “un parlamento che funzioni” ma anche “un grande movimento popolare”(40). Esigere un “grande movimento popolare” è molto giusto. Naturalmente i marxisti-leninisti non possono che esserne contenti. D’altro canto occorre riconoscere che esiste attualmente in Italia un movimento di massa abbastanza vasto e che il Partito comunista italiano ha avuto qualche successo in questo campo. Il guaio è che il compagno Togliatti considera il movimento di massa solo entro il quadro parlamentare. Egli sostiene che il movimento di massa “può far sorgere dal paese quelle esigenze che poi possano essere soddisfatte da un parlamento in cui le forze popolari abbiano ottenuto una rappresentanza abbastanza forte”(7).
Le masse fanno sorgere le esigenze, poi il parlamento le soddisfa: tale è la formula del compagno Togliatti per il movimento di massa.
Il principio tattico fondamentale del marxismo-leninismo è il seguente: in tutti i movimenti di massa e anche nella lotta parlamentare è necessario mantenere l’indipendenza politica del proletariato, tracciare una linea di demarcazione tra il proletariato e la borghesia, combinare gli interessi immediati del movimento con i suoi interessi futuri e coordinare il movimento attuale con l’intero processo e l’obiettivo finale della lotta della classe operaia. Dimenticare o violare questo principio è cadere nel pantano del bernsteinismo e, in effetti, accettare la famigerata formula che “il movimento è tutto, l’obiettivo è nulla”. Noi vorremmo chiedere: che differenza c’è tra la formula del compagno Togliatti relativa al movimento di massa e la formula di Bernstein?
 

Il capitale monopolistico di Stato può diventare lo “strumento più efficace nel contrastare lo sviluppo monopolista”?
 
In risposta a un editoriale del Quotidiano del popolo il compagno Luigi Longo, uno dei massimi dirigenti del Partito comunista italiano, ha scritto, il 4 gennaio 1963: “Il nostro decimo Congresso ha pure riaffermato con forza che un punto fermo in quella che noi chiamiamo via italiana al socialismo è il riconoscimento che già oggi, nelle attuali condizioni internazionali e nazionali e anche perdurando il regime capitalista, è possibile e necessario arrivare alla liquidazione dei monopoli e del loro potere economico e politico”.
Questi compagni credono che sia possibile, adottando i metodi da essi elaborati, cambiare i rapporti di produzione capitalisti esistenti attualmente in Italia e “il regime di grande proprietà” della borghesia monopolista italiana.
Le misure economiche delle “riforme di struttura” elaborate da Togliatti e da altri compagni consistono nel realizzare, per usare le loro parole, “la richiesta di determinate nazionalizzazioni, richiesta di una programmazione, richiesta di un intervento dello Stato per garantire uno sviluppo economico democratico e così via”(45) e nell’“ampliare l’intervento diretto dello Stato nella vita economica, attraverso la programmazione, attraverso la nazionalizzazione anche di interi settori produttivi, ecc.”(6).
Togliatti e altri compagni escogiteranno probabilmente ancora altre misure.
Naturalmente Togliatti e alcuni altri compagni hanno il diritto di pensare e dire ciò che vogliono, nessuno ha il diritto di intervenire, né noi desideriamo farlo. Ma poiché essi vogliono che gli altri pensino e parlino come loro, noi non possiamo non continuare la discussione sulle questioni da essi sollevate.
Cominciamo dunque dalla questione dell’intervento dello Stato nella vita economica. Fin dall’apparizione dello Stato, che si tratti dello Stato dei proprietari di schiavi, dei signori feudali o dei borghesi, qual è che non è intervenuto nella vita economica? Quando queste classi si trovano nella fase ascendente, il loro Stato può intervenire nella vita economica sotto una certa forma; quando esse si trovano nella fase discendente, questo intervento può assumere un’altra forma. Per quanto riguarda gli Stati della stessa natura, l’intervento statale nella vita economica può assumere forme ben diverse a seconda dei differenti paesi. Per il momento, non parliamo qui del modo d’intervento nella vita economica dello Stato schiavista, né di quello dello Stato feudale, ma solo di quello dello Stato borghese.
Le politiche seguite dallo Stato borghese, come la politica di conquiste coloniali, la politica di conquista dell’egemonia mondiale, la politica del libero scambio e quella del protezionismo, ecc., sono tutte altrettanti interventi nella vita economica, che lo Stato borghese pratica da molto tempo per difendere gli interessi della borghesia. Questo genere d’interventi ha esercitato un’importante funzione sullo sviluppo del capitalismo. Quindi l’intervento dello Stato nella vita economica non è assolutamente una novità apparsa ora in Italia.
Forse, ciò che il compagno Togliatti e altri compagni intendono per “intervento dello Stato nella vita economica” non è la politica summenzionata, praticata da lungo tempo dalla borghesia, ma principalmente la “nazionalizzazione”, come essi dicono.
Orbene, parliamo del problema della “nazionalizzazione”.
In realtà, dalla società schiavista in poi, gli Stati delle diverse specie hanno avuto tutti la propria diversa “economia nazionalizzata”. Lo Stato dei proprietari di schiavi aveva una sua economia nazionalizzata e così lo Stato dei signori feudali.
Lo Stato borghese ha avuto la sua economia nazionalizzata fin dal giorno della sua nascita. Si tratta dunque di conoscere la natura della nazionalizzazione e quale classe questa nazionalizzazione serve.
Un veterano comunista come il compagno Togliatti non ignora certamente ciò che Engels disse in L'evoluzione del socialismo dall'utopia alla scienza : “In ogni caso, sia con i trusts che senza di essi, il rappresentante ufficiale della società capitalista, lo Stato, dovrà alla fine assumere la direzione della produzione. La necessità della trasformazione in proprietà di Stato appare prima di tutto nei grandi organismi di comunicazione: poste, telegrafi e ferrovie”.
Engels ha dedicato una nota molto importante a questo passo: “Io dico ‘dovrà’, perché è solo nel caso in cui i mezzi di produzione e di comunicazione hanno realmente oltrepassato le forme di direzione delle società per azioni e in cui pertanto la statizzazione è diventata economicamente inevitabile, soltanto in questo caso essa significa un progresso economico, anche se è l’attuale Stato che la effettua; essa significa che si arriva a un nuovo stadio, preliminare alla presa di possesso di tutte le forze produttive da parte della società stessa. Ma si è visto recentemente, da quando Bismarck si è impegnato nella statalizzazione, apparire certo falso socialismo che persino, qua e là, è degenerato in una specie di servilismo e che proclama senz’altro socialiste tutte le statalizzazioni, anche quella di Bismarck. Evidentemente, se la statalizzazione del tabacco fosse socialista, Napoleone e Metternich sarebbero da annoverare fra i fondatori del socialismo. Se lo Stato belga, per ragioni politiche e finanziarie piuttosto ordinarie, ha costruito esso stesso le sue ferrovie principali; se Bismarck, senza alcuna necessità economica, ha statalizzato le principali linee ferroviarie della Prussia, semplicemente per poterle utilizzare meglio in caso di guerra, per fare degli impiegati ferroviari bestiame elettorale al servizio del governo e soprattutto per crearsi una nuova sorgente di rendita indipendente dalle decisioni del Parlamento: queste non sono affatto misure socialiste, dirette o indirette, coscienti o non coscienti. Altrimenti, sarebbero istituzioni socialiste la Regia società per il commercio marittimo, la Regia manifattura della porcellana e persino la sartoria di compagnia nell’esercito oppure la statalizzazione proposta, con la più grande serietà, verso gli anni ’30, sotto Federico Guglielmo III, da una gran canaglia: quella dei bordelli” .
Poi Engels mise l’accento sulla natura della cosiddetta “proprietà di Stato” nei paesi capitalisti. Egli disse: “Ma la trasformazione in società per azioni e in trusts o la trasformazione in proprietà di Stato non sopprime la natura capitalista delle forze produttive. Per la società per azioni e i trusts, ciò è evidente. Lo Stato moderno, a sua volta, non è che l’organizzazione che la società borghese si dà per mantenere le condizioni esterne generali del modo di produzione capitalista contro le usurpazioni sia degli operai che dei singoli capitalisti. Lo Stato moderno, qualunque ne sia la forma, è una macchina essenzialmente capitalista: lo Stato dei capitalisti, il capitalista collettivo ideale. Quanto più s’impossessa delle forze produttive e diventa anche concretamente il capitalista collettivo, tanti più cittadini sfrutta. Gli operai rimangono salariati, proletari. Il rapporto capitalista non è soppresso, al contrario è portato al suo culmine. Ma, arrivato al culmine, esso si rovescia. La proprietà di Stato delle forze produttive non è la soluzione del conflitto, ma essa rinchiude in sé il mezzo formale, il modo di avvicinarsi della soluzione” .
Engels scrisse tutto questo nell’epoca in cui il capitale monopolista cominciava ad apparire e in cui il capitalismo cominciava a passare dalla libera concorrenza al monopolio. Questi argomenti hanno perso la loro validità nel momento in cui il capitale monopolista ha assunto una posizione di completo predominio? È possibile dire che attualmente la nazionalizzazione nei paesi capitalisti ha trasformato e persino soppresso “la natura capitalista delle forze produttive”? È possibile dire che attualmente il capitalismo monopolistico di Stato creato con la nazionalizzazione capitalista o con altri mezzi, ha cessato di essere capitalismo? Forse non si può dire ciò di altri paesi, ma si può dire dell’Italia?
A questo punto non possiamo esimerci dal discutere la questione del capitalismo monopolistico di Stato in Italia.
La concentrazione del capitale genera il monopolio. Dall’inizio della Prima guerra mondiale, il capitalismo mondiale fece un passo avanti non solo in direzione del monopolio in generale, ma anche da quest’ultimo in direzione del monopolio di Stato. Dopo la Prima guerra mondiale, e in particolare dopo la crisi economica del mondo capitalista scoppiata nel 1929, il capitalismo monopolistico di Stato ebbe nuovi sviluppi in tutti i paesi imperialisti. Durante il periodo della Seconda guerra mondiale, la borghesia monopolista dei paesi imperialisti belligeranti di ambo le parti ha utilizzato al massimo il capitale monopolistico di Stato per trarre dalla guerra i maggiori profitti. Nel dopoguerra, il capitale monopolistico di Stato è diventato persino, in gradi differenti, la forza dominante nella vita economica di alcuni paesi imperialisti.
Rispetto agli altri paesi imperialisti, le fondamenta del capitalismo in Italia sono relativamente deboli. Già da molto tempo l’Italia ha imboccato la via del capitalismo di Stato, ai fini di concentrare le forze del capitale per trarre i massimi profitti e concorrere con il capitale monopolista internazionale, ampliare i mercati, ripartire le colonie. Il governo italiano fondò nel 1914 il Consorzio per la sovvenzione su valore dell’industria, per fornire crediti e sovvenzioni alle grandi banche e imprese industriali. Durante la dominazione fascista di Mussolini, gli organismi di Stato e le organizzazioni del capitale monopolista si fusero ulteriormente. Particolarmente durante la grande crisi del 1929-1933, il governo italiano acquistò, a prezzo pre-crisi, grandi quantità di azioni delle banche e delle imprese in via di fallimento, pose numerose banche e imprese sotto il controllo dello Stato, creò l’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), formando così una gigantesca organizzazione del capitale monopolistico di Stato. Dopo la Seconda guerra mondiale, il capitale monopolista italiano, incluso quello di Stato che era servito di base al regime fascista, non solo è rimasto intatto, ma si è sviluppato con ritmo più rapido. Attualmente in Italia, le imprese del capitale monopolistico di Stato e le imprese del capitale misto monopolista statale e privato costituiscono circa il 30 per cento dell’insieme dell’economia.
Quali conclusioni devono trarre i marxisti-leninisti dallo sviluppo del capitalismo monopolistico di Stato? È possibile dire che in Italia, come hanno affermato il compagno Togliatti e alcuni altri compagni del Partito comunista italiano, le imprese nazionalizzate, vale a dire il capitale monopolistico di Stato, potrebbero essere “contrastanti ai monopoli” ed “espressione delle masse popolari”(43) e “uno strumento più efficace nel contrastare lo sviluppo monopolista”(44)?
Nessun marxista-leninista potrà mai trarre tali conclusioni. Il capitalismo monopolistico di Stato è il capitalismo monopolista in cui sono fusi insieme il capitale monopolista e il potere dello Stato. Utilizzando appieno il potere dello Stato, esso accelera la concentrazione e l’accumulazione del capitale, intensifica lo sfruttamento dei lavoratori, accelera l’assorbimento delle piccole e medie imprese e l’annessione reciproca fra i vari gruppi monopolisti e per di più rafforza il capitale monopolista per la concorrenza e l’espansione sul piano internazionale. Sotto l’etichetta dell’“intervento dello Stato nella vita economica” e dell’“opposizione ai monopoli” e usando il nome dello “Stato” per ingannare, con abili metodi dissimulati, trasferisce enormi profitti nelle mani dei gruppi monopolisti.
Il capitale monopolistico di Stato serve la borghesia monopolista con i seguenti mezzi principali:
1. Il capitalismo monopolistico di Stato usa i fondi del tesoro e le tasse pagate dal popolo per proteggere i capitalisti contro i rischi nei loro investimenti, garantendo così grandi profitti ai gruppi monopolisti.
Ad esempio, lo Stato garantisce il capitale e paga gli interessi delle obbligazioni emesse per raccogliere fondi per l’IRI, la più grande organizzazione monopolista di Stato italiana. I portatori ricevono generalmente un alto interesse annuo che va dal 4.5 per cento all’8 per cento e per di più percepiscono dividendi quando le imprese fanno profitti.
2. Attraverso la legislazione e il bilancio preventivo dello Stato, una proporzione sostanziale del reddito nazionale viene ridistribuita in modo favorevole alle organizzazioni capitaliste monopoliste, assicurando ai vari gruppi monopolisti enormi profitti.
Ad esempio, nel 1955, le spese del governo italiano per acquisti e commesse presso i gruppi monopolisti costituiscono un terzo circa del bilancio dello Stato.
3. Attraverso forme alternate di acquisto e di vendita, lo Stato, in determinati momenti, rileva quelle imprese che sono in perdita o stanno fallendo o la cui nazionalizzazione gioverà particolarmente ai gruppi monopolisti e, in determinati momenti, vende ai gruppi monopolisti privati quelle che sono redditizie.
Ad esempio, secondo i dati forniti dall’economista italiano Gino Longo, dal 1920 al 1955, i governi italiani avvicendatisi, per acquistare le azioni delle banche e delle imprese in via di fallimento, hanno speso 1.647 miliardi di lire (valore del 1953), pari a più di metà del capitale nominale del 1955 di tutte le società per azioni italiane con capitale superiore ai 50 milioni di lire. D’altra parte, secondo dati incompleti, la sola IRI, dalla sua fondazione all’anno 1958, ha rivenduto alle organizzazioni monopoliste private azioni di imprese redditizie per un valore totale di 491 miliardi di lire (valore del 1953).
4. Usando l’autorità dello Stato il capitale monopolistico di Stato intensifica la concentrazione e l’accumulazione di capitale e accelera l’annessione di piccole e medie imprese da parte del capitale monopolista.
Ad esempio, dal 1948 al 1958 il totale del capitale nominale dei 10 gruppi monopolisti maggiori che controllavano i settori-chiave dell’economia nazionale italiana si è moltiplicato per 15. Il capitale nominale della Fiat è aumentato di 24 volte e quello dell’Italcementi di 39 volte. Le dieci società maggiori costituivano soltanto lo 0.04 per cento del numero totale delle società italiane per azioni, ma possedevano e controllavano direttamente il 64 per cento del totale del capitale azionario privato dell’Italia. Nello stesso tempo, il numero delle piccole e medie imprese fallite non cessava di aumentare.
5. Internazionalmente, il capitale monopolistico di Stato combatte furiosamente per conquistare mercati, facendo uso della forza dello Stato e dei suoi mezzi diplomatici e in questo modo serve alla borghesia monopolista italiana quale utile strumento per estendere la sua penetrazione neocolonialista.
Ad esempio nel solo periodo 1956-1961 l’ENI ha ottenuto il diritto di cercare ed estrarre o vendere il petrolio o di costruire oleodotti e raffinerie nei seguenti paesi: RAU, Iran, Libia, Marocco, Tunisia, Etiopia, Sudan, Giordania, India, Jugoslavia, Austria, Svizzera e altri. Esso ha conquistato così terreno nei mercati petroliferi internazionali per la borghesia monopolista italiana.
I fatti summenzionati dimostrano chiaramente che il monopolio statale e il monopolio privato sono in realtà due forme che si completano a vicenda perché la borghesia monopolista possa arraffare enormi profitti. Lo sviluppo del capitale monopolistico di Stato aggrava le contraddizioni proprie del sistema imperialista, non può assolutamente, come hanno affermato Togliatti e altri compagni, “limitare e spezzare il potere dei grandi gruppi monopolisti”(6) o trasformare le contraddizioni proprie del sistema imperialista.
In Italia fra alcune persone è diffusa l’opinione che il capitalismo italiano di oggi sia diverso dal capitalismo di 50 anni fa e che sia entrato in “una fase nuova”. Queste persone chiamano l’odierno capitalismo italiano “neocapitalismo”. Esse pretendono che con il cosiddetto “neocapitalismo” o nella “fase nuova” del capitalismo i principi fondamentali del marxismo-leninismo concernenti la lotta di classe, la rivoluzione socialista, la conquista del potere da parte del proletariato, la dittatura del proletariato e così via abbiano perso tutta la loro validità. A loro parere questo “neocapitalismo” può giocare un tal ruolo da utilizzare la “programmazione”, il “progresso tecnico”, la “piena occupazione”, lo “stato del benessere” e simili mezzi, oltre alle “alleanze internazionali” per risolvere, in seno allo stesso sistema capitalista, le contraddizioni fondamentali del capitalismo. In Italia, i primi a sostenere e propagare questa “teoria” sono stati il movimento cattolico e i socialriformisti. In effetti, è proprio in questa “teoria” che Togliatti e altri compagni hanno trovato una nuova base per la loro teoria delle “riforme di struttura”.
Togliatti e altri compagni sostengono che “i concetti di pianificazione e di programmazione economica considerati un tempo come una prerogativa socialista sono oggi sempre più largamente discussi e accettati”(7).
Secondo il compagno Togliatti: primo, l’economia nazionale può svilupparsi in modo pianificato non solo nei paesi socialisti, ma anche in regime capitalista; secondo, è possibile che nell’Italia capitalista siano accettate la pianificazione e la programmazione economica proprie del socialismo.
I marxisti-leninisti hanno sempre sostenuto che un paese capitalista trova necessario e possibile adottare una politica che in qualche modo regoli l’economia nazionale nell’interesse della borghesia presa nel suo insieme. Queste idee si trovano nelle summenzionate citazioni di Engels. All’epoca del capitale monopolista, la funzione regolatrice dello Stato capitalista si esercita essenzialmente nell’interesse della borghesia monopolista. Sebbene questa regolazione possa qualche volta anche sacrificare gli interessi di alcuni gruppi monopolisti, non danneggia mai, ma, al contrario, rappresenta gli interessi generali della borghesia monopolista.
Lenin ha giustamente affermato: “Uno degli errori più diffusi è l’affermazione riformista borghese, secondo la quale il capitalismo monopolista o il capitalismo monopolistico di Stato non sono già più capitalismo e possono esser chiamati 'socialismo di Stato' e così via. Naturalmente i trusts non hanno mai prodotto, non producono oggi e non possono produrre una pianificazione completa. Ma per quanto essi possano pianificare, per quanto i magnati del capitale calcolino in anticipo il volume della produzione su scala nazionale e persino internazionale, per quanto essi regolino questa produzione sistematicamente, noi rimaniamo tuttavia in regime capitalista, sia pure in una sua nuova fase, ma indubbiamente in regime capitalista” (56).
Tuttavia alcuni compagni del Partito comunista italiano sostengono che realizzando la “pianificazione” in Italia, paese dominato dalla borghesia monopolista, si possono risolvere le importanti questioni poste dalla storia italiana, inclusi i “problemi della libertà e dell’emancipazione (della classe operaia)”(6). Come è possibile un tale miracolo?
Il compagno Togliatti ha detto: “Il capitalismo monopolistico di Stato, che è l’aspetto odierno del regime capitalista in quasi tutti i più grandi paesi, è quella tappa, ha affermato Lenin, al di là della quale per andare avanti non vi è altro che il socialismo. Da questa necessità oggettiva bisogna però fare scaturire un movimento cosciente”(7).
Noi tutti sappiamo che Lenin ha detto: “[…] il capitalismo […] è avanzato dal capitalismo all’imperialismo, dai monopoli alla statizzazione. Tutto questo ha avvicinato la rivoluzione socialista e le ha creato condizioni oggettive favorevoli”(60). Lenin ha anche espresso la stessa idea in altre occasioni. Le idee di Lenin sono molto chiare: lo sviluppo del capitalismo monopolistico di Stato “deve costituire […] un argomento in favore della prossimità […] della rivoluzione socialista e non già un argomento per mostrarsi tolleranti verso la negazione di questa rivoluzione e verso l’abbellimento del capitalismo, cose di cui si occupano tutti i riformisti” (56). Parlando di “riforme di struttura” e “movimento cosciente”, il compagno Togliatti usa, esattamente come i riformisti, un linguaggio ambiguo per eludere il problema della rivoluzione socialista posto dal marxismo-leninismo e fa di tutto per abbellire il capitalismo italiano.
 

Ricordiamo l'insegnamento del grande Lenin
 
Dalla serie di questioni che precedono, si può vedere che la “teoria delle riforme di struttura” avanzata dal compagno Togliatti e dagli altri compagni è in tutto e per tutto una totale revisione del marxismo-leninismo sulla questione fondamentale dello Stato e della rivoluzione.
Già nel 1956 il compagno Togliatti aveva apertamente innalzato la bandiera della totale revisione del marxismo-leninismo. Nel giugno di quell’anno, egli disse alla Sessione plenaria del Comitato centrale del Partito comunista italiano: “Prima Marx ed Engels e in seguito Lenin, nello sviluppare questa teoria (la teoria della dittatura del proletariato) affermano che l’apparato dello Stato borghese non può servire per costruire una società socialista. Questo apparato deve essere dalla classe operaia spezzato e distrutto, sostituito dall’apparato dello Stato proletario, cioè dello Stato diretto dalla classe operaia stessa. Questa non era la posizione originaria di Marx ed Engels: fu la posizione cui essi giunsero dopo l’esperienza della Comune di Parigi e fu particolarmente sviluppata da Lenin. Questa posizione rimane pienamente valida oggi? Ecco un tema di discussione. Quando noi, infatti, affermiamo che è possibile una via di avanzata verso il socialismo non solo sul terreno democratico, ma anche utilizzando le forme parlamentari, è evidente che correggiamo qualche cosa in questa posizione, tenendo conto delle trasformazioni che hanno avuto luogo e che si stanno ancora compiendo nel mondo”.
Qui, il compagno Togliatti si atteggia a storico del marxismo, distorcendo la storia del marxismo. Vediamo questi fatti.
Nel Manifesto del partito comunista scritto nel 1847 Marx ed Engels affermarono molto chiaramente che “il primo passo della rivoluzione operaia è l’elevazione del proletariato a classe dominante e la vittoria nella battaglia della democrazia” .
Come Lenin precisò: “Vediamo qui formulata una delle più notevoli e importanti idee del marxismo a proposito dello Stato, l’idea della ‘dittatura del proletariato’ (espressione che Marx ed Engels cominciano a usare dopo la Comune di Parigi)” (56).
Dopo aver fatto il bilancio delle esperienze del periodo 1848-1851, Marx pose la questione di spezzare la vecchia macchina dello Stato. Come Lenin disse: “Qui il problema è posto concretamente e la deduzione è estremamente precisa, ben definita, particolarmente tangibile: tutte le rivoluzioni anteriori non fecero che perfezionare la macchina dello Stato, mentre bisogna spezzarla e demolirla” . Lenin aggiunge che “questa deduzione è l’aspetto principale, essenziale della dottrina marxista sullo Stato” (56).
Basandosi sulle esperienze del periodo 1848-1851, Marx giunse alla conclusione che la rivoluzione del proletariato non procederà come le rivoluzioni precedenti a trasferire semplicemente la macchina burocratico-militare da un gruppo di persone a un altro. Marx non diede allora una risposta specifica alla questione di sapere con che cosa sostituire la macchina di Stato distrutta. Come Lenin disse: “Il compito avanzato da Marx non è fondato sulla base della deduzione logica, ma rigorosamente sulla base delle esperienze storiche. Prima del 1852 su questa questione specifica le esperienze non avevano ancora fornito esempi. Solo più tardi, nel 1871 la storia mise la questione all’ordine del giorno”(56). “La Comune è il primo tentativo della rivoluzione proletaria di spezzare la macchina dello Stato borghese; è la forma politica ‘finalmente scoperta’ che può e deve sostituire ciò che è stato infranto” (56).
Da ciò vediamo che infrangere la macchina dello Stato borghese e trovare con che cosa si può sostituirla sono due questioni, che Marx rispose prima a una e poi all’altra in relazione alle esperienze storiche di differenti periodi. Il compagno Togliatti dice che solo dopo l’esperienza della Comune di Parigi nel 1871 Marx ed Engels sostennero che l’apparato dello Stato borghese deve essere distrutto dal proletariato. Questo è un travisamento dei fatti della storia.
Come Kautsky, il compagno Togliatti crede nella “possibilità di prendere il potere senza distruggere la macchina dello Stato” (56). Egli sostiene che la macchina dello Stato borghese può essere conservata e gli obiettivi del proletariato possono essere realizzati facendo uso della macchina statale già pronta. A questo proposito, sarebbe bene che il compagno Togliatti notasse come Lenin ha ripetutamente confutato Kautsky. Lenin disse: “Kautsky o respinge completamente il passaggio del potere nelle mani della classe operaia o ammette che la classe operaia prenda in mano la vecchia macchina dello Stato borghese, ma egli non ammette in nessun modo che essa la spezzi e la demolisca e la sostituisca con una nuova macchina proletaria. Per quanto il ragionamento di Kautsky possa essere ‘interpretato’ e ‘spiegato’, la sua rottura con il marxismo e il suo schieramento con la borghesia in questi due casi è evidente” (57). Quando il compagno Togliatti si vanta che il loro programma è “un approfondimento e uno sviluppo del marxismo-leninismo”, si deve notare che la cosiddetta teoria delle riforme di struttura in realtà è stata inventata per primo da Kautsky. Nel suo opuscolo La rivoluzione sociale Kautsky disse: “È ovvio che noi non possiamo ottenere la supremazia nelle presenti condizioni. La rivoluzione stessa presuppone una lunga e approfondita lotta che, mentre procede, cambierà la nostra attuale struttura politica e sociale”. Risulta molto chiaro da ciò che Kautsky tentò già molto tempo fa di sostituire la teoria della rivoluzione proletaria con le “riforme di struttura” e che il compagno Togliatti ha semplicemente ereditato il suo orpello. Tuttavia se studiassimo attentamente i loro rispettivi punti di vista, noi potremmo constatare che il compagno Togliatti è andato ancora più lontano di Kautsky, poiché questi ammette: “Nelle presenti condizioni, noi non possiamo ottenere la supremazia”, mentre il compagno Togliatti sostiene che è possibile conseguire la supremazia precisamente “nelle attuali condizioni”.
Il compagno Togliatti e altri compagni sostengono che, per avanzare verso il socialismo, l’Italia ha bisogno di stabilire “un nuovo regime democratico” e nello stesso tempo formare “un nuovo blocco” o “un blocco di forze sociali e politiche dirigenti”(6) sotto la meravigliosa Costituzione italiana. Essi sostengono che è questo “nuovo blocco” il “portatore di una rivoluzione intellettuale e morale oltre che politica”(6) piuttosto che la classe operaia italiana. Nessuno sa che cosa sia in realtà questo “nuovo blocco storico” e come sarà formato. Talvolta Togliatti e gli altri compagni dicono che esso è “sotto la guida della classe operaia” e talvolta essi dicono che questo “nuovo blocco storico” stesso è un “blocco di forze dirigenti”. Insomma questo blocco è un’organizzazione di classe del proletariato o un’alleanza di varie classi? È sotto la guida della classe operaia oppure sotto la guida della borghesia o di qualche altra classe? Tutto questo solo il cielo lo sa. In ultima analisi, lo scopo della loro fantasiosa ed esclusiva formulazione è semplicemente quello di sottrarsi all’idea fondamentale del marxismo-leninismo della rivoluzione proletaria e della dittatura proletaria.
L’idea del compagno Togliatti è: in primo luogo, non c’è bisogno di spezzare la macchina dello Stato borghese; in secondo luogo, non c’è bisogno di instaurare una macchina dello Stato proletaria. Egli ripudia così l’esperienza della Comune di Parigi.
Dopo Marx ed Engels, Lenin delucidò ripetutamente l’esperienza della Comune di Parigi e ha sempre insistito che essa resta universalmente valida per il proletariato di tutti i paesi. Lenin non separò l’esperienza della rivoluzione russa da quella della Comune di Parigi, ma la considerò come una continuazione e uno sviluppo di questa. Egli vide nei Soviet “il tipo di Stato che si stava sviluppando dalla Comune di Parigi” (61) e sostenne che “la Comune di Parigi compì il primo epocale passo lungo questa via (la via di spezzare la vecchia macchina dello Stato); il governo dei soviet ha compiuto il secondo passo” (48).
Ripudiando l’esperienza della Comune di Parigi, il compagno Togliatti necessariamente contrappone direttamente le sue idee al marxismo-leninismo, ripudia nettamente l’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre e quella delle rivoluzioni popolari nei vari paesi dopo la Rivoluzione d’Ottobre; in questo modo, egli contrappone la sua cosiddetta “via italiana” alla via che è comune al proletariato internazionale.
Il compagno Togliatti ha detto che “non si pone oggi agli operai italiani il problema di fare ciò che è stato fatto in Russia”. Eccovi l’essenza della questione!
Gli Elementi per una dichiarazione programmatica del PCI , approvati all’ottavo Congresso del Partito comunista italiano nel 1956, affermano che “si è rivelata non possibile, nei primi anni dopo la Prima guerra mondiale, la conquista del potere nei modi che avevano portato alla vittoria nell’Unione Sovietica”. Eccovi ancora l’essenza della questione.
Riferendosi all’esperienza della rivoluzione cinese, il compagno Togliatti dice che nel periodo della lotta del popolo cinese per il potere dello Stato, il Partito comunista cinese ha applicato una linea politica che “non corrispondeva affatto alla linea strategica e tattica che venne seguita, per esempio, dai bolscevichi nel corso della rivoluzione dal marzo all’ottobre (1917)”(62). Questo è un travisamento della storia della rivoluzione cinese.
Nelle condizioni specifiche della Cina, la rivoluzione cinese ha i suoi tratti caratteristici. Comunque, come ha ripetutamente spiegato il compagno Mao Zedong, il principio sul quale la linea politica del nostro partito è stata formulata è la combinazione della verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione cinese. Noi abbiamo sempre ribadito che la rivoluzione cinese è la continuazione della grande Rivoluzione d’Ottobre e non vi è dubbio che essa è anche la continuazione della causa della Comune di Parigi. Per quanto riguarda la questione più fondamentale concernente la teoria dello Stato e della rivoluzione, cioè la questione di distruggere la vecchia macchina militare burocratica dello Stato e d’instaurare la macchina statale della dittatura del proletariato, l’esperienza fondamentale della rivoluzione cinese corrisponde a quella della Rivoluzione d’Ottobre e della Comune di Parigi. Come il compagno Mao Zedong disse nel 1949 nel suo famoso saggio Sulla dittatura democratica popolare : “Seguire la via dei russi: quella era la conclusione” . Per difendere la sua revisione dei principi fondamentali del marxismo-leninismo e le sue “correzioni” come lui e altri le chiamano, il compagno Togliatti dice che l’esperienza della rivoluzione cinese e l’esperienza della Rivoluzione d’Ottobre sono due cose differenti che “non corrispondevano affatto” l’una all’altra. Ma come può questo travisamento riuscire ad aiutare la teoria delle riforme di struttura del compagno Togliatti e di altri compagni?
La loro cosiddetta “teoria delle riforme di struttura” è la “teoria della pacifica transizione” o, per dirla con le loro parole, dell’“avanzata verso il socialismo nella democrazia e nella pace”. Tutta la loro teoria e tutto il loro programma sono pieni di lodi per la “pace tra le classi” nella società capitalista e non contengono assolutamente nulla circa “l’avanzata verso il socialismo”; c’è solo “pace” tra le classi e niente affatto “transizione” sociale.
Il marxismo-leninismo è la scienza della rivoluzione proletaria. Esso si sviluppa continuamente nella pratica rivoluzionaria e i suoi singoli principi e conclusioni devono essere sostituiti da nuovi principi e conclusioni adatti alle nuove condizioni storiche. Ma questo non implica che i principi fondamentali del marxismo-leninismo possono essere scartati e riveduti. La teoria marxista-leninista dello Stato e della rivoluzione non è assolutamente un singolo principio o conclusione, ma è un principio fondamentale derivato dal bilancio marxista-leninista dell’esperienza delle lotte del proletariato internazionale. Scartare e rivedere questo fondamentale principio è volgere completamente le spalle al marxismo-leninismo.
Qui noi vorremmo offrire umilmente al compagno Togliatti qualche sincero consiglio: non siate così arroganti da dichiarare che non farete ciò che fu fatto nella Rivoluzione russa d’Ottobre. Siate un po’ più modesti e ricordate quello che il grande Lenin insegnò nel 1920 “[…] su alcune questioni molto essenziali della rivoluzione proletaria, tutti i paesi dovranno inevitabilmente fare ciò che è stato fatto in Russia” (63). Sostenere i principi della strategia proletaria avanzati da Lenin e comprovati dalla vittoria della grande Rivoluzione d’Ottobre o essere contro di essi: questa è la fondamentale differenza tra i leninisti da una parte e i revisionisti moderni e i loro seguaci dall’altra.
 
6. Disprezzare il nemico strategicamente e considerarlo con serietà tatticamente
 

Un'analisi storica
 
Ultimamente, alcuni che si definiscono marxisti-leninisti sono di nuovo esplosi in clamorosa opposizione alla tesi dei comunisti cinesi secondo la quale l’imperialismo e tutti i reazionari sono tigri di carta. A momenti essi dicono che ciò equivale a “sottovalutare l’imperialismo e smobilitare le masse”, a momenti dicono che ciò è “disprezzare le forze del socialismo”. A momenti essi dicono che è “pseudorivoluzionaria” e a momenti dicono invece che “è basata sulla paura”. Essi
fanno a chi grida di più e a chi si adopera di più e cercano “gli ultimi di passare avanti e dimostrare che non sono rimasti indietro”. I loro argomenti sono pieni d’incoerenza, quasi discorsi sconnessi, senza alcun altro scopo che quello di demolire questa tesi. Eppure, tutti i loro argomenti soffrono di una fatale debolezza, non osano mai toccare con un minimo di serietà la conclusione scientifica di Lenin secondo la quale l’imperialismo è capitalismo parassitario, decadente e moribondo.
Al decimo Congresso del Partito comunista italiano, il compagno Togliatti lanciò per primo l’attacco dicendo che “è sbagliato […] l’affermare che l’imperialismo sia una semplice tigre di carta, che si possa rovesciare con una spallata”(7). Egli aggiunse: “Se (gli imperialisti) sono tigri di carta, perché tanto lavoro e tante lotte per combatterli?”(1). Se il compagno Togliatti fosse uno scolaretto delle scuole elementari, potrebbe ben ottenere la sufficienza se a una domanda sul significato di una frase, nella lezione di lingua rispondesse che la tigre di carta è una tigre fatta di carta. Ma non si può usare il filisteismo per esaminare le questioni storiche. Il compagno Togliatti che pretende di dare “un contributo positivo all’approfondimento e allo sviluppo della dottrina rivoluzionaria della classe operaia, il marxismo-leninismo” dà poi una risposta da scolaro a una questione teorica così seria. Esiste forse qualcosa di più assurdo e ridicolo?
La tesi del compagno Mao Zedong che “l’imperialismo e tutti i reazionari sono tigri di carta” è stata sempre molto chiara. Egli disse: “Per la lotta contro il nemico, nel corso di un lungo periodo ci siamo formati il concetto che strategicamente dobbiamo disprezzare tutti i nostri nemici, ma che tatticamente dobbiamo prenderli in considerazione. Questo significa anche che per quanto riguarda il tutto noi dobbiamo disprezzare il nemico, ma per quanto riguarda ciascuna singola questione concreta dobbiamo prenderlo in considerazione. Se per quanto riguarda il tutto, noi non disprezzassimo il nemico, commetteremmo l’errore di opportunismo. Marx ed Engels erano solo due persone. Tuttavia a quei tempi essi dichiararono che il capitalismo sarebbe stato rovesciato in tutto il mondo. Ma trattando problemi concreti e con nemici particolari, commetteremmo l’errore di avventurismo se non li prendessimo in seria considerazione” (64).
Chi fa orecchi da mercante alla verità è più sordo dei sordi. Chi ha mai detto che l’imperialismo può essere rovesciato con una spallata? Chi ha mai detto che non ci vogliono lavoro e lotte per combatterlo?
Qui vorremmo citare ancora il compagno Mao Zedong: “Come non c’è nessuna cosa al mondo che non abbia duplice natura (questa è la legge dell’unità degli opposti), così l’imperialismo e tutti i reazionari hanno anch’essi duplice natura: essi sono tigri vere e tigri di carta nello stesso tempo. Nel passato, le classi dei proprietari di schiavi, dei signori feudali e la borghesia, prima della loro conquista del potere e per qualche tempo dopo, erano vigorose, rivoluzionarie e progressiste; erano tigri vere. Ma col passare del tempo, dato che i loro antagonisti, la classe degli schiavi, la classe dei contadini e il proletariato, diventarono gradualmente più forti, lottarono contro di essi e diventarono sempre più formidabili, queste classi dominanti si trasformarono gradualmente nel loro opposto, diventarono reazionarie, diventarono arretrate, diventarono tigri di carta. Alla fine sono state o saranno rovesciate dal popolo. Le classi reazionarie, arretrate e decadenti, anche di fronte all’ultima lotta a oltranza con il popolo, conservano questa duplice natura. Da un lato, da vere tigri, divorano gli uomini, li divorano a milioni e a decine di milioni. La causa della lotta popolare attraversa un periodo di difficoltà e di sofferenze, le si presenta una strada piena di tortuosità. Il popolo cinese, nella lotta per eliminare in Cina il dominio dell’imperialismo, del feudalismo e del capitalismo burocratico, ha dovuto spendere più di cento anni e decine di milioni di vite, prima di arrivare alla vittoria del 1949. Guardate, queste non erano forse tigri vive, tigri di ferro, tigri vere? Ma alla fine esse sono diventate tigri di carta, tigri morte, tigri di soia quagliata. Questi sono fatti storici. C’è forse chi non li ha visti né li ha uditi? In verità, ce ne sono migliaia e decine di migliaia. Migliaia e decine di migliaia! Dunque, a esaminare l’imperialismo e tutti i reazionari nella loro sostanza, da un punto di vista a lunga scadenza e strategico, si deve considerarli per quello che sono in realtà: tigri di carta. Su questo, noi costruiamo il nostro pensiero strategico. D’altro canto, essi sono anche tigri vive, tigri di ferro, tigri vere e mangiano gli uomini. Su questo noi costruiamo il nostro pensiero tattico” (12).
Questo passo dimostra la duplice natura delle tre grandi classi sfruttatrici non solo nei diversi stadi del loro sviluppo storico, ma anche nella loro ultima lotta a oltranza con il popolo. Evidentemente, questa è un’analisi storica marxista-leninista.
 

La linea di divisione tra rivoluzionari e riformisti
 
La storia ci insegna che tutti i rivoluzionari, inclusi naturalmente quelli borghesi, riescono a diventare rivoluzionari soprattutto perché osano disprezzare il nemico, osano lottare e osano conseguire la vittoria. Coloro che hanno paura del nemico e non osano lottare, non osano conseguire la vittoria, non possono che essere riformisti o capitolazionisti. Essi non possono certamente essere rivoluzionari.
Tutti i veri rivoluzionari nella storia hanno osato disprezzare i reazionari, disprezzare le classi reazionarie dominanti e disprezzare il nemico, perché nelle condizioni storiche del momento, il popolo cominciava a essere conscio della necessità di sostituire il vecchio sistema con uno nuovo, si era presentato di fronte ad esso un nuovo compito storico. Quando esiste la necessità di una trasformazione, essa diventa irresistibile e, volere o no, presto o tardi essa avrà luogo. Marx disse: “Non è la coscienza degli uomini che determina la loro esistenza, ma, al contrario, è la loro esistenza sociale che determina la coscienza” (65). La necessità di trasformazioni sociali risveglia la coscienza rivoluzionaria dell’uomo. Prima che le condizioni storiche generino la necessità di trasformazioni, nessuno può porre per forza il compito della rivoluzione o fare per forza la rivoluzione. Tuttavia, quando le condizioni storiche hanno generato la necessità di trasformazioni, allora possono apparire quei rivoluzionari e quei combattenti d’avanguardia del popolo che osano denunciare le classi reazionarie dominanti e considerarle tigri di carta. In ogni attività, questi rivoluzionari elevano sempre lo spirito combattivo del popolo e rintuzzano l’arroganza del nemico. Questa è una necessità storica, questa è la necessità della rivoluzione sociale. Per quanto riguarda il momento in cui scoppierà la rivoluzione e, se una volta scoppiata, essa trionferà rapidamente o passerà un lungo periodo di tempo prima che trionfi o se essa incontrerà numerose difficoltà, rovesci seri e perfino serie sconfitte, prima della vittoria finale e così via: tutto ciò dipende dai vari concreti fattori storici. Ma anche se incontrano gravi difficoltà, rovesci e sconfitte nel corso della rivoluzione, tutti i veri rivoluzionari oseranno ancora disprezzare il nemico e rimarranno fermi nella loro convinzione che la rivoluzione trionferà.
Dopo la sconfitta della rivoluzione cinese del 1927, il popolo cinese e il Partito comunista cinese si trovarono in condizioni di estrema difficoltà. In quel momento, il compagno Mao Zedong, da rivoluzionario proletario, ci indicò lo sviluppo futuro e la prospettiva della vittoria della rivoluzione cinese. Egli sostenne che sarebbe stato sbagliato e unilaterale esagerare inadeguatamente la forza soggettiva della rivoluzione e sminuire le forze controrivoluzionarie. Nello stesso tempo, egli pose in rilievo che sarebbe stato altresì errato e unilaterale esagerare le forze controrivoluzionarie e sottovalutare la forza potenziale della rivoluzione. Questa valutazione del compagno Mao Zedong venne confermata dallo sviluppo e dalla vittoria della rivoluzione cinese. Attualmente la situazione di tutto il mondo è assai favorevole ai popoli. È stupefacente che di fronte a questa situazione alcune persone concentrino i loro sforzi per attaccare sconsideratamente la tesi di disprezzare il nemico strategicamente, esagerino la forza dell’imperialismo, contribuiscano ad accrescere l’arroganza degli imperialisti e di tutti i reazionari e aiutino gli imperialisti a intimidire il popolo rivoluzionario. Invece di elevare lo spirito combattivo del popolo e di rintuzzare l’arroganza del nemico, essi stanno gonfiando l’arroganza del nemico e tentando di smorzare lo spirito combattivo del popolo.
Lenin disse: “Volete una rivoluzione? Allora dovete essere forti!” (66). Perché i rivoluzionari devono essere forti? Perché sono necessariamente forti? Perché i rivoluzionari rappresentano le nuove crescenti forze della società, perché essi hanno fiducia nelle forze del popolo e fanno delle potenti forze popolari il loro sostegno. I reazionari non possono che essere deboli e inevitabilmente sono tali perché essi sono divisi dal popolo. Per quanto forti possano apparire a un dato momento, essi sono sempre destinati a essere sconfitti. “Il metodo dialettico considera più importante non ciò che a un dato momento sembra essere durevole e tuttavia comincia già a perire, ma ciò che sta sorgendo e sviluppandosi, anche se a un dato momento può non sembrare durevole, perché il metodo dialettico considera invincibile soltanto quello che sta sorgendo e sviluppandosi” (67).
Perché Lenin ha più volte paragonato l’imperialismo a un “colosso dai piedi di argilla” e a uno “spauracchio”? Perché, in ultima analisi, Lenin si basava sulle leggi oggettive dello sviluppo sociale e credeva fermamente che le nascenti forze della società avrebbero sconfitto alla fine le forze decadenti della società e che le forze del popolo avrebbero alla fine trionfato sulle forze antipopolari. Non è forse così?
Noi vorremmo dire a quelli che tentano di demolire la tesi dei comunisti cinesi secondo la quale l’imperialismo e tutti i reazionari sono tigri di carta: voi dovreste prima di tutto demolire la tesi di Lenin. Perché non confutate direttamente la tesi di Lenin che l’imperialismo è un “colosso dai piedi di argilla” e uno “spauracchio”? Che cosa mostra ciò se non la vostra codardia di fronte alla verità?
Per ogni marxista-leninista di buon senso, sia la formulazione di Lenin che l’imperialismo è un “colosso dai piedi d’argilla” e uno “spauracchio” sia la formulazione dei comunisti cinesi che l’imperialismo e tutti i reazionari sono tigri di carta, sono due metafore perfettamente giuste. Tali metafore sono basate sulle leggi dello sviluppo sociale e vengono usate per spiegare l’essenza del problema in linguaggio popolare. I grandi marxisti-leninisti e molti scienziati e filosofi hanno sempre usato metafore nelle loro spiegazioni e ve ne sono molte anche assai profonde e precise.
Mentre sono costretti a professare a parole l’accordo con le metafore usate da Lenin per descrivere la natura dell’imperialismo, alcune persone scelgono proprio la metafora usata dai comunisti cinesi per opporvisi. Perché? Perché s’invischiano così in questo problema? Perché fare un tale baccano proprio in questo momento? Qui oltre alla loro estrema povertà ideologica, c’è naturalmente anche un loro proposito. Qual è dunque questo proposito?
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, la forza del campo socialista si è notevolmente accresciuta. In vaste zone dell’Asia, dell’Africa e dell’America latina le rivoluzioni contro gli imperialisti e i loro lacchè sono andate avanzando. Le multiformi contraddizioni inconciliabili dei paesi imperialisti, sia interne sia esterne, minacciano costantemente, come un vulcano, il trono del dominio del capitale monopolista.
I paesi imperialisti stanno intensificando la corsa agli armamenti e fanno tutto quanto è in loro potere per militarizzare la loro economia nazionale. Tutto ciò sta conducendo l’imperialismo in un vicolo cieco. I trusts di cervelli degli imperialisti hanno prodotto un piano dopo l’altro per salvare i loro padroni dal destino che hanno di fronte o che avranno di fronte, ma non sono stati capaci di trovare per l’imperialismo una sicura via d’uscita dalla sua situazione intricata e senza rimedio. In questa situazione internazionale, alcune persone, sebbene si autodefiniscano marxisti-leninisti, hanno in realtà la testa confusa e hanno sostituito la fredda ragione con una sorta di melanconia “fine secolo”. Essi non hanno alcuna intenzione di guidare il popolo di ogni paese a liberarsi dai disastri creati dall’imperialismo, essi non credono che il popolo di ogni paese possa eliminare questi disastri e costruirsi una vita nuova. Si direbbe che queste persone sono più preoccupate per il destino dell’imperialismo e di tutti i reazionari che per il destino del socialismo e del popolo di ogni paese. Lo scopo del loro esaltare ed esagerare la forza del nemico e di battere la grancassa per l’imperialismo in questo modo, oggi, non è di opporsi all’“avventurismo”, ma semplicemente d’impedire ai popoli e alle nazioni oppresse di fare la rivoluzione. La loro cosiddetta “opposizione all’avventurismo” è soltanto un pretesto per raggiungere il loro scopo di opporsi alla rivoluzione.
Parlando dei partiti liberali nella Duma russa (il parlamento zarista) nel 1906, Lenin disse: “I partiti liberali della Duma sostengono solo in maniera inadeguata e timida le aspirazioni del popolo; si preoccupano più di attenuare e infiacchire la lotta rivoluzionaria in atto che non di abbattere il nemico del popolo” (68).
Oggi troviamo nei ranghi del movimento operaio proprio liberali come quelli cui si riferiva Lenin, vale a dire liberali borghesi. Essi sono più preoccupati di attenuare e indebolire le lotte rivoluzionarie dei popoli e delle nazioni oppresse, che stanno sviluppandosi su larga scala, che di liquidare gli imperialisti e gli altri nemici del popolo. Naturalmente è difficile che tali persone comprendano la tesi secondo la quale i marxisti-leninisti strategicamente devono disprezzare il nemico.
 

Grandi esempi
 
Dopo aver furiosamente ingiuriato l’affermazione dei comunisti cinesi “disprezzare il nemico sul piano strategico”, certi eroi inveiscono non meno furiosamente contro l’asserzione “prendere il nemico in seria considerazione sul piano tattico”. Questi eroi pretendono che la formulazione “disprezzare il nemico sul piano strategico e prenderlo in seria considerazione su quello tattico” sarebbe “un atteggiamento a due facce”, “contrario al marxismo-leninismo”. A quanto sembra, essi ammettono ancora, in apparenza, che la strategia è diversa dalla tattica e che la tattica deve servire l’obiettivo strategico, ma in realtà negano proprio la differenza tra la strategia e la tattica e confondono totalmente il concetto di strategia con quello di tattica. Invece di subordinare la tattica alla strategia, subordinano la strategia alla tattica. Essi si perdono nelle lotte quotidiane e, nelle lotte specifiche, o fanno infinite concessioni al nemico commettendo l’errore di capitolazionismo o agiscono alla leggera cadendo nell’errore di avventurismo. In ultima analisi, il loro scopo è di liquidare i principi strategici dei marxisti-leninisti rivoluzionari e gli obiettivi strategici di tutti i comunisti.
Come abbiamo già detto più sopra, tutti i rivoluzionari della storia sono diventati rivoluzionari soprattutto perché hanno osato disprezzare il nemico, hanno osato lottare, hanno osato conseguire la vittoria. Vorremmo aggiungere qui che, similmente, tutti i rivoluzionari che hanno avuto successo, lo hanno avuto non solo perché hanno osato disprezzare il nemico, ma anche perché hanno saputo prenderlo in seria considerazione e adottare un atteggiamento prudente in ogni questione particolare e in ogni lotta specifica. In generale un rivoluzionario, specialmente un rivoluzionario proletario, se non è capace di agire in questo modo, non potrà guidare con successo la rivoluzione nel suo sviluppo, ma commetterà l’errore di avventurismo, apportando così danni o perfino sconfitte alla rivoluzione.
Durante la loro vita di lotte per la causa proletaria, Marx, Engels e Lenin hanno sempre disprezzato il nemico sul piano strategico e l’hanno preso in seria considerazione su quello tattico. Partendo dalle condizioni concrete, essi hanno
sempre condotto la lotta su due fronti, contro l’opportunismo di destra, il capitolazionismo e contro l’avventurismo “di sinistra”. A questo proposito, essi ci hanno dato grandi esempi.
È noto a tutti che Marx ed Engels hanno concluso il Manifesto del partito comunista con questo passaggio: “I comunisti sdegnano di nascondere le loro opinioni e le loro intenzioni. Essi dichiarano apertamente che i loro obiettivi non possono essere raggiunti che con l’abbattimento violento di ogni ordinamento sociale esistente. Tremino pure le classi dominanti davanti a una rivoluzione comunista. I proletari non hanno nulla da perdere in essa fuorché le loro catene e hanno un mondo da guadagnare” .
Quanto è detto qui è sempre stato il principio e l’obiettivo della strategia generale di tutto il movimento comunista internazionale. Anche nel Ma n if e sto del partito c o m unista Marx ed Engels hanno, tuttavia, valutato con grande prudenza le diverse condizioni in cui si trovavano i comunisti dei vari paesi. Essi non hanno mai fissato alcuna formula rigida e stereotipata per imporla ai comunisti di tutti i paesi, perché i marxisti hanno sempre considerato che i comunisti di ogni paese devono, sulla base delle condizioni nazionali, determinare i compiti specifici strategici e tattici del proprio paese nelle diverse fasi storiche. Marx ed Engels ebbero una parte diretta nelle lotte rivoluzionarie di massa del periodo 1848-1849. Essi considerarono la rivoluzione democratica borghese di allora come preludio alla rivoluzione socialista del proletariato e nello stesso tempo si opposero all’avanzare come immediata la parola d’ordine: “Per una repubblica degli operai”. Tale era la loro strategia concreta in quell’epoca. D’altro canto, essi contrastarono anche il tentativo di provocare la rivoluzione in Germania con la forza armata dall’esterno, ritenendo che ciò sarebbe stato “giocare alla rivoluzione”. Marx ed Engels sostenevano che gli operai tedeschi residenti all’estero avrebbero dovuto rimpatriare “uno a uno” per lanciarsi nella lotta rivoluzionaria di massa nel paese.
In altre parole, la posizione e il modo d’agire di Marx ed Engels a quel tempo per quanto concerne i problemi di tattica concreta differivano sostanzialmente da quelli degli avventuristi “di sinistra”. Per quanto riguarda le questioni di lotta specifica, Marx ed Engels cercavano sempre di partire da una base solida.
Nella primavera del 1850, dopo la sconfitta della rivoluzione del 1848-1849, Marx ed Engels calcolavano, a fronte della situazione dell’epoca, che una nuova rivoluzione era vicina. Ma in estate, Marx ed Engels si accorsero che la ripresa immediata della rivoluzione non era più possibile. Certe persone allora, a dispetto delle possibilità oggettive, sostituirono lo sviluppo pratico della rivoluzione con un frasario rivoluzionario, nel tentativo infondato di creare una “rivoluzione artificiale”. Esse dissero agli operai che dovevano conquistare immediatamente il potere o diversamente andarsi a coricare e dormire sodo. Marx ed Engels si opposero risolutamente a un tale avventurismo. Come affermò Lenin: “Quando l’epoca delle rivoluzioni del 1848-1849 fu terminata, Marx si oppose a tutti i tentativi di giocare alla rivoluzione (lotta contro Shapper e Willich) e insistette sulla necessità di saper lavorare nella nuova fase che preparava, in modo apparentemente ‘pacifico’, nuove rivoluzioni” (69).
Qualche mese prima dell’insurrezione della Comune di Parigi, e precisamente nel mese di settembre del 1870, Marx mise in guardia il proletariato francese contro una insurrezione intempestiva. Ma quando gli operai furono costretti a insorgere nel marzo del 1871, Marx salutò con grande entusiasmo il portentoso eroismo degli operai della Comune di Parigi. In una lettera a L. Kugelmann, scrisse: “Quale elasticità, quale iniziativa storica, quale capacità di sacrificio in questi parigini! Dopo sei mesi di fame e di rovina, causate dal tradimento interno più ancora che dal nemico esterno, essi si sollevano nonostante siano di fronte ancora alle baionette prussiane, come se non ci fosse mai stata una guerra tra la Francia e la Germania e come se il nemico non fosse ancora alle porte di Parigi! La storia non conosce altri esempi di tale grandezza! Se saranno sconfitti la colpa sarà solo del loro ‘buon carattere’” .
Guardate come Marx lodava gli operai della Comune di Parigi per il loro eroico disprezzo del nemico! Marx valutava la Comune di Parigi proprio alla luce dell’obiettivo generale strategico del movimento comunista internazionale e disse della lotta della Comune di Parigi che “la storia non conosce altri esempi di tale grandezza” .
Sebbene la Comune di Parigi abbia commesso parecchi errori dopo l’insurrezione, (non marciò immediatamente su Versailles controrivoluzionaria, il Comitato centrale abbandonò troppo presto il potere) e sebbene la Comune di Parigi sia stata sconfitta, il vessillo della rivoluzione proletaria innalzato dalla Comune sarà per sempre glorioso.
Marx scrisse ne La Guerra civile in Francia : “La Parigi operaia, con la sua Comune, sarà celebrata per sempre quale gloriosa messaggera di una società nuova. Il ricordo dei suoi martiri è custodito per sempre nel grande cuore della classe operaia. I suoi sterminatori la storia li ha già inchiodati per sempre alla gogna e tutte le preghiere dei loro preti non riusciranno a riscattarli” .
In commemorazione del ventunesimo anniversario della Comune di Parigi, Engels scrisse: “Ciò che fa la grandezza storica della Comune è il suo carattere altamente internazionalista. È stata una sfida che essa ha lanciato arditamente a ogni sorta di espressione di sciovinismo borghese. Il proletariato di tutti i paesi l’ha ben compreso” (70).
Ma oggi il nostro compagno Togliatti sembra credere che l’alta valutazione di Marx ed Engels della Comune di Parigi, che è di significato universale per la causa rivoluzionaria del proletariato internazionale, non merita più di essere menzionata.
Dopo la sconfitta della Comune di Parigi, gli operai parigini, come indicò Engels, ebbero bisogno di una lunga tregua per riprendere forza. Ma, senza tener conto delle circostanze, i blanquisti erano per un nuovo sollevamento. Questo tentativo avventurista fu aspramente criticato da Engels.
Durante il periodo dello sviluppo pacifico del capitalismo in Europa e in America, Marx ed Engels continuarono la loro lotta su due fronti in seno al movimento operaio. Da un lato essi condannarono severamente il parlare a vuoto della rivoluzione ed esortarono a utilizzare la “legalità borghese” per lottare contro la borghesia; dall’altro criticarono severamente, e davvero ancor più severamente, le idee opportuniste dominanti allora nei partiti socialdemocratici, perché questi opportunisti avevano perduto tutta la fermezza rivoluzionaria proletaria, si limitavano alle lotte legali e mancava loro la determinazione a ricorrere anche ai mezzi illegali nella lotta contro la borghesia.
Ciò dimostra che Marx ed Engels si attenevano saldamente ai principi strategici della rivoluzione proletaria in qualsiasi momento, incluso il periodo dello sviluppo pacifico e che essi adottavano prudentemente tattiche flessibili a seconda delle specifiche condizioni di ogni determinato periodo.
Da grande marxista, quando entrò nell’arena storica della lotta proletaria rivoluzionaria Lenin formulò in modo straordinariamente chiaro il problema della strategia rivoluzionaria del proletariato russo. Nelle conclusioni della sua prima famosa opera Chi sono gli amici del popolo e come lottano contro i socialdemocratici? , egli disse: “Quando i rappresentanti avanzati di questa classe (la classe operaia) avranno assimilato le idee del socialismo scientifico, l’idea del ruolo storico dell’operaio russo; quando queste idee saranno largamente diffuse e quando fra gli operai saranno formate organizzazioni solide per trasformare l’attuale guerra economica, condotta sporadicamente, in una lotta di classe cosciente, allora l’operaio russo, sorgendo alla testa di tutti gli elementi democratici, abbatterà l’assolutismo e condurrà il proletariato russo (a fianco del proletariato di tutti i paesi) per la via diritta di una lotta politica aperta, alla vittoriosa rivoluzione comunista!” .
Il principio strategico formulato da Lenin è sempre restato la guida generale per l’avanguardia del proletariato russo e per il popolo russo in tutta la loro lotta per l’emancipazione.
Lenin si attenne sempre strettamente a questo principio strategico. È per questo che egli ha condotto lotte inconciliabili contro i populisti, contro “i marxisti legali”, contro gli economisti, contro i menscevichi, contro gli opportunisti e i revisionisti della Seconda Internazionale, contro Trotzki e contro Bukharin.
Nel 1902, nell’elaborazione del programma del Partito operaio socialdemocratico russo, sorsero gravi divergenze tra Lenin e Plekhanov intorno ai principi strategici del proletariato. Lenin insistette perché nel programma del partito fosse inclusa la dittatura del proletariato e perché vi fosse chiaramente definito il ruolo dirigente della classe operaia nella rivoluzione.
Durante la rivoluzione del 1905, Lenin scrisse il libro Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica in cui si riflette lo spirito eroico del proletariato russo che aveva osato guidare la lotta e combattere per la vittoria. Lenin avanzò una teoria completa del ruolo dirigente del proletariato nella rivoluzione democratica e dell’alleanza operai-contadini sotto la direzione della classe operaia, sviluppando così la teoria marxista sulla trasformazione della rivoluzione democratica borghese in rivoluzione socialista.
Durante la Prima guerra mondiale Lenin portò la concezione strategica del proletariato a un livello più elevato in Il fallimento della Seconda Internazionale , L'imperialismo, fase suprema del capitalismo e altri classici marxisti della massima importanza. Egli sostenne che l’imperialismo è la vigilia della rivoluzione socialista proletaria e che è possibile per la rivoluzione proletaria riportare la vittoria prima in un solo paese o in pochi paesi. Questi concetti strategici spianarono la strada al trionfo della grande Rivoluzione d’Ottobre.
Ci sono molti altri esempi simili.
Per quanto riguarda le specifiche questioni tattiche, Lenin determinava sempre l’azione del proletariato secondo il variare delle condizioni. Per esempio, in quali condizioni il partito politico del proletariato deve partecipare al parlamento e in quali deve boicottarlo; in quali condizioni esso deve formare la tale o la tal altra alleanza, in quali condizioni deve fare i necessari compromessi e in quali respingerli; in quali circostanze deve condurre lotte legali e in quali lotte illegali e come deve combinare queste due forme di lotta in modo flessibile; quando deve attaccare e quando battere in ritirata o avanzare a zig-zag e così via. Questi problemi Lenin li delucidò profondamente e sistematicamente nell’opera L'estremismo, malattia infantile del comunismo.
Lenin vi affermò giustamente: “[…] Primo, che la classe rivoluzionaria, per assolvere il suo compito, deve sapersi impadronire di tutte le forme e di tutti gli aspetti, senza nessuna eccezione, dell’attività sociale […]; secondo, che la classe rivoluzionaria deve tenersi pronta a sostituire nel modo più rapido e improvviso una forma con un’altra” .
Parlando delle varie forme di lotta, Lenin disse ancora che tutti i comunisti devono indagare, analizzare, esplorare, valutare e afferrare le caratteristiche e peculiarità nazionali del proprio paese quando prendono concrete misure per assolvere il compito internazionale generale di sopraffare l’opportunismo e il dogmatismo “di sinistra” nel movimento operaio, di rovesciare la borghesia e di instaurare la dittatura del proletariato. Non tener conto, nella lotta, delle caratteristiche nazionali del proprio paese sarebbe del tutto sbagliato.
Alla luce delle idee di Lenin si può vedere che tutte le tattiche concrete del partito proletario hanno lo scopo di organizzare le masse a milioni, mobilitare alleati su vasta scala e isolare al massimo i nemici del popolo, gli imperialisti e i loro lacchè al fine di raggiungere l’obiettivo generale strategico dell’emancipazione del proletariato e del popolo. Per dirla con le parole dello stesso Lenin: “[…] le forme della lotta possono cambiare e cambiano costantemente per cause diverse, relativamente particolari e temporanee, mentre l’essenza della lotta, il suo contenuto di classe, non può assolutamente cambiare finché esistono le classi” (71).
 

La concezione strategica e tattica dei comunisti cinesi
 
Sulla base delle idee di Marx, Engels e Lenin, i comunisti cinesi hanno formulato la strategia e la tattica della rivoluzione cinese nella sua pratica concreta.
Il compagno Mao Zedong ha delineato la concezione strategica e tattica dei comunisti cinesi nel seguente passo: “L’imperialismo nel mondo intero e il dominio della cricca di Chiang Kai-shek in Cina sono già marci e non hanno avvenire. Noi abbiamo ragione di disprezzarli e siamo fiduciosi e certi di sconfiggere tutti i nemici interni ed esterni del popolo cinese. Ma in ogni situazione particolare, in ogni lotta specifica (militare, politica, economica o ideologica) noi non dobbiamo assolutamente disprezzare il nemico, al contrario dobbiamo prenderlo sul serio e concentrare tutte le nostre forze nella lotta per riportare la vittoria. Mentre noi poniamo correttamente in rilievo che strategicamente, per quanto riguarda il tutto, dobbiamo disprezzare il nemico, non dobbiamo mai disprezzarlo in alcuna situazione particolare, in alcuna questione specifica. Se dal punto di vista del tutto noi sopravvalutiamo la forza del nemico e di conseguenza non osiamo rovesciarlo e vincerlo, commetteremo l’errore di opportunismo di destra. Se per quanto riguarda ogni situazione particolare e ogni questione specifica noi non agiamo con prudenza, non studiamo accuratamente e perfezioniamo l’arte della lotta, non concentriamo tutte le forze nella battaglia e non facciamo attenzione a conquistare tutti gli alleati che devono essere conquistati (contadini medi, piccoli artigiani indipendenti e commercianti, la media borghesia, studenti, insegnanti, professori e intellettuali in generale, semplici impiegati governativi, professionisti e nobiltà illuminata) commetteremo l’errore di opportunismo ‘di sinistra’” (72).
Qui il compagno Mao Zedong espone con grande chiarezza e senza alcun equivoco la questione della lotta del proletariato per quanto riguarda il tutto, cioè la questione della strategia; egli espone con grande chiarezza e senza alcun equivoco anche la questione della lotta del proletariato per quanto riguarda ciascuna situazione particolare, ciascuna questione specifica, cioè la questione della tattica.
Perché dal punto di vista globale, della strategia, possiamo disprezzare il nemico? Perché gli imperialisti e tutti i reazionari sono marci, non hanno avvenire e possono essere abbattuti. Se non si vede questo punto, non si oserà condurre la lotta rivoluzionaria, si perderà la fiducia nella rivoluzione e si disorienterà il popolo. Perché dal punto di vista delle lotte specifiche, della tattica, non dobbiamo assolutamente disprezzare il nemico, ma dobbiamo prenderlo seriamente? Perché gli imperialisti e i reazionari controllano ancora l’apparato del potere, hanno ancora tutte le forze armate e possono ancora ingannare il popolo. Per rovesciare il dominio degli imperialisti e dei reazionari il proletariato e le larghe masse popolari devono passare per lotte aspre e tortuose. Il trono del dominio degli imperialisti e dei reazionari non potrà cadere automaticamente.
Se un partito rivoluzionario rinuncia all’obiettivo strategico di rovesciare il vecchio sistema, non crede che il nemico possa essere abbattuto e che si possa vincere, allora esso non condurrà la lotta rivoluzionaria. Un partito rivoluzionario non potrà ottenere la vittoria che si ripromette, se si limita a proclamare l’obiettivo rivoluzionario, non affronta seriamente, prudentemente il nemico nel corso della lotta rivoluzionaria, non accumula e accresce gradualmente le forze rivoluzionarie, ma fa un parlare a vuoto della rivoluzione o tira colpi alla cieca. Ciò vale tanto più per i partiti proletari. Se un partito proletario prende seriamente il nemico in ogni questione specifica della lotta rivoluzionaria e sa lottare contro il nemico, attenendosi ai principi strategici del proletariato, come ha detto il compagno Mao Zedong, “con l’andar del tempo, noi conquisteremo la superiorità nell’insieme” (73) anche se la forza del proletariato si trova all’inizio in stato d’inferiorità. In altre parole, se, nelle questioni di tattica, di lotta specifica, il nemico viene preso seriamente e si compie ogni sforzo per ottenere la vittoria in ogni lotta specifica, la vittoria della rivoluzione potrà essere accelerata e non sarà ritardata né rinviata.
Prendendo tatticamente in piena considerazione il nemico e ottenendo la vittoria nelle lotte specifiche, un partito proletario può mettere in grado le masse in numero sempre crescente d’imparare dalla propria esperienza che il nemico può essere abbattuto e che il nostro disprezzo per il nemico è fondato e giustificato. In Cina ci sono questi detti: le grandi imprese del mondo sono realizzate a partire dalle piccole; un enorme albero cresce da minuscole radici; un edificio a nove piani all’inizio è un mucchio di terra; un viaggio di mille li comincia da un primo passo. Lo stesso principio vale per i popoli rivoluzionari che vogliono rovesciare i reazionari. Vale a dire che i popoli rivoluzionari possono raggiungere l’obiettivo finale di abbattere i reazionari soltanto conducendo numerose lotte specifiche a una a una e sforzandosi per ognuna di strappare la vittoria.
Nella sua opera Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina , il compagno Mao Zedong ha detto: “La nostra strategia è uno contro dieci; la nostra tattica è dieci contro uno. Questa è una delle leggi fondamentali che ci assicurano la vittoria sul nemico” . Egli ha aggiunto: “In pochi vinceremo i molti: noi dichiariamo ciò alle forze che dominano su tutta la Cina. In molti sconfiggeremo i pochi: questo noi lo diciamo a ciascuna forza separata sul campo di battaglia” . Qui si tratta di principi della lotta militare, ma questi principi sono applicabili anche alla lotta politica. Nella storia tutti i rivoluzionari, inclusi i rivoluzionari borghesi, all’inizio sono sempre in minoranza e le forze che essi dirigono sono sempre relativamente deboli e piccole. Se, strategicamente, essi non hanno l’animo di “in pochi sconfiggere i molti” e di “battersi uno contro dieci” nella lotta contro il nemico, essi potranno soltanto rimanere in una situazione di debolezza e impotenza e nell’incapacità di fare qualsiasi cosa e così non potranno conquistare alla fine la maggioranza. D’altro canto se, tatticamente nella lotta specifica, i rivoluzionari non sanno organizzare le masse, unire tutti gli alleati possibili, trarre vantaggio dalle contraddizioni che esistono oggettivamente fra i nemici e se non sanno applicare il metodo di “in molti sconfiggere i pochi” e di “battersi in dieci contro uno” nella lotta, se non sanno compiere tutti i preparativi necessari nelle lotte specifiche, essi non potranno riportare la vittoria in ogni lotta specifica, né assommare le piccole vittorie a formare le grandi, ma al contrario correranno il pericolo di essere schiacciati a uno a uno dal nemico e di dissipare le forze rivoluzionarie.
 

Uno specchio
 
Per concludere sulla questione della relazione fra strategia e tattica, è vitale che il partito del proletariato rivolga la massima attenzione all’obiettivo finale dell’emancipazione dei lavoratori e che possegga il coraggio e la convinzione necessari a sopraffare il nemico. Non deve lasciarsi assorbire a tal punto da interessi e vittorie secondari e immediati da perdere di vista l’obiettivo finale e non deve mai perdere la fiducia nel trionfo della rivoluzione popolare, semplicemente a causa della temporanea e apparente forza del nemico. Nello stesso tempo il partito del proletariato deve rivolgere seria attenzione alle minime lotte quotidiane, anche se sembra che non ne valga la pena. In ogni lotta specifica si deve preparare adeguatamente, lavorare bene per unire le masse, studiare e perfezionare l’arte della lotta e fare di tutto per poter vincere, così che le masse ricevano costantemente educazione e ispirazione. Il partito proletario deve prendere piena cognizione del fatto che un gran numero di lotte specifiche, incluse quelle più piccole, si possono fondere e sviluppare in una forza che scuoterà il vecchio sistema.
Dunque è chiaro che la strategia e la tattica sono diverse l’una dall’altra e allo stesso tempo sono unite. Questo è precisamente il metodo dialettico con cui i marxisti-leninisti esaminano le questioni. Alcune persone dicono che “disprezzare sul piano strategico il nemico e prenderlo seriamente sul piano tattico” è “filosofia scolastica” e “atteggiamento ambiguo”. Quale sia poi la loro “filosofia”, quale sia poi il loro “atteggiamento semplice”, noi non lo sappiamo.
Nel suo scritto Sulla nostra rivoluzione , Lenin disse quanto segue di questi eroi dell’opportunismo: “Tutti si dicono marxisti, ma essi intendono il marxismo in maniera quanto mai pedantesca. Essi non hanno compreso niente di ciò che è decisivo nel marxismo, ossia la sua dialettica rivoluzionaria” (74).
Nello stesso scritto, Lenin disse ancora: “Tutta la loro condotta li tradisce quali riformisti codardi che hanno paura di compiere un passo lontano dalla borghesia e che hanno ancora più paura di rompere con essa. Ma allo stesso tempo essi mascherano la loro codardia con la più sfrenata retorica e millanteria” .
Coloro che attaccano il Partito comunista cinese leggano accuratamente questi due passi di Lenin! Essi possono veramente servire da specchio politico per certe persone.
 
7. Una lotta su due fronti
 

Il revisionismo moderno è il principale pericolo nel movimento operaio internazionale

 
Il Partito comunista italiano è un grande partito nel mondo capitalista attuale. Durante gli anni bui del dominio fascista, esso condusse un’eroica lotta. Il Partito comunista italiano ha una gloriosa tradizione di lotta. Durante la Seconda guerra mondiale diresse il popolo italiano nell’eroica insurrezione armata e nella guerra partigiana contro il fascismo. Le forze armate popolari arrestarono Mussolini e condannarono quel mostro fascista a morte.
Per i suoi meriti nella lotta militante, il Partito comunista italiano ha conquistato la simpatia e l’appoggio del popolo italiano. Ciò è più che naturale.
Dopo la Seconda guerra mondiale il capitalismo italiano è entrato in un periodo di sviluppo pacifico nel quale il Partito comunista italiano ha fatto molto lavoro, utilizzando la lotta legale. Le condizioni della lotta legale hanno un ruolo positivo per le attività del partito della classe operaia; ma se il partito della classe operaia mancasse di vigilanza e fermezza rivoluzionaria nella sua lotta legale, tali condizioni potrebbero avere un effetto contrario e negativo. Marx, Engels e Lenin hanno costantemente messo in guardia il proletariato a questo riguardo.
Perché, dopo la Seconda guerra mondiale, il revisionismo è stato riconosciuto quale principale pericolo nel movimento operaio internazionale? Perché, in primo luogo, storicamente abbiamo le lezioni delle molteplici esperienze di lotta legale offerte da molti paesi; in secondo luogo, nella realtà del mondo attuale, esistono le condizioni per alimentare l’opportunismo e il revisionismo; in terzo luogo nella realtà è già apparso il moderno revisionismo, rappresentato dalla cricca di Tito.
Giudicando da molte delle tesi del compagno Togliatti e di alcuni altri compagni, noi possiamo francamente dire che un pericolo di questo genere esiste anche in seno al Partito comunista italiano.
Alcuni compagni del Partito comunista francese hanno scritto una serie di articoli in questi ultimi tempi per attaccare i rivoluzionari marxisti-leninisti e per attaccare i comunisti cinesi. I loro punti di vista su alcuni problemi fondamentali relativi al movimento comunista internazionale e quelli avanzati dal compagno Togliatti e dagli altri compagni sono press’a poco due copie della stessa edizione. Non solo, recentemente sono apparse insieme alcune persone nei ranghi del movimento comunista internazionale che, proprio come li descrisse Lenin, “appartengono tutti alla stessa famiglia, si lodano reciprocamente, imparano l’uno dall’altro e insieme levano le armi contro il marxismo ‘dogmatico’” (75). Questo è uno strano fenomeno; ma se si conosce un po’ di marxismo-leninismo e si analizza questo fenomeno, si può capire che esso non è affatto casuale.
Il revisionismo moderno non solo appare in certi paesi capitalisti, ma può apparire anche nei paesi socialisti. La cricca di Tito ha levato per prima la bandiera revisionista e ha fatto gradualmente cambiare il carattere un tempo socialista della Jugoslavia. La cricca di Tito non solo è diventata da molto tempo politicamente complice degli imperialisti degli Stati Uniti e di altri imperialisti, ma economicamente essa ha fatto della Jugoslavia un’appendice dell’imperialismo statunitense, trasformando a poco a poco la sua economia in una “economia liberalizzata” come dicono gli imperialisti.
Al decimo Congresso del Partito comunista russo, nel maggio del 1921, Lenin disse: “Milyukov aveva ragione. Egli tiene molto sobriamente conto del grado di sviluppo politico e dice che i gradini a forma di socialisti-rivoluzionari e menscevichi sono necessari per il ritorno al capitalismo. La borghesia ha bisogno di questi gradini e chiunque non lo capisca è stupido” (76).
Queste parole di Lenin suonano così bene che sembrano profetiche di ciò che avrebbe fatto la cricca di Tito, decine di anni più tardi. Perché il revisionismo moderno può apparire anche nei paesi socialisti? A questo proposito la Dichiarazione di Mosca del 1957 ha affermato che “l’esistenza dell’influenza borghese è la sorgente interna del revisionismo mentre la resa alla pressione imperialista è la sua sorgente esterna”.
La Dichiarazione di Mosca del 1960 ha riaffermato questa importante tesi della Dichiarazione di Mosca del 1957, che il principale pericolo nel movimento comunista internazionale è il revisionismo e nello stesso tempo ha condannato la versione jugoslava dell’opportunismo internazionale. La dichiarazione molto giustamente pone in evidenza che “i dirigenti della Lega dei comunisti jugoslavi, dopo aver tradito il marxismo-leninismo e averlo dichiarato superato, hanno contrapposto alla Dichiarazione di Mosca del 1957 il loro programma revisionista e antileninista; hanno posto la Lega dei comunisti jugoslavi contro l’intero movimento comunista internazionale, hanno tagliato fuori dal campo socialista il loro paese, l’hanno reso dipendente dai cosiddetti ‘aiuti’ degli imperialisti americani e di altri imperialisti e hanno così esposto il popolo jugoslavo al rischio di perdere le conquiste rivoluzionarie ottenute attraverso una lotta eroica. I revisionisti jugoslavi svolgono un’opera sovvertitrice contro il campo socialista e contro il movimento comunista mondiale. Col pretesto di una politica non allineata, essi s’impegnano in attività che pregiudicano l’unità di tutte le forze e di tutti i paesi amanti della pace”.
Inoltre, la Dichiarazione di Mosca del 1960 pone in rilievo che “l’ulteriore smascheramento dei dirigenti revisionisti jugoslavi e la lotta attiva per preservare il movimento comunista e il movimento operaio dalle idee antileniniste dei revisionisti jugoslavi rimangono compito essenziale dei partiti marxisti-leninisti”.
Questo solenne documento è stato firmato dai rappresentanti di ottantuno partiti, ivi compresi i partiti italiano e francese e i partiti di tutti i paesi socialisti. Ma l’inchiostro di queste firme non era ancora asciutto che alcuni dirigenti di un partito si affrettarono a fraternizzare con la cricca di Tito.
Il compagno Togliatti ha apertamente dichiarato che la posizione presa dalla Dichirazione di Mosca del 1960 nei confronti della cricca di Tito è “sbagliata” e ha detto che “l’inveire contro la cricca di Tito non ci fa fare nessun passo in avanti, ce ne fa fare anzi molti all’indietro”(77). Alcuni hanno anche detto che “i comunisti jugoslavi hanno compiuto passi verso il riavvicinamento e l’unità con tutto il movimento comunista mondiale”, che la posizione della cricca di Tito e la loro “coincidono e si riavvicinano” su una serie di problemi internazionali di primaria importanza. I loro atti sono in contrasto con i loro impegni. Essi considerano la prima e la seconda Dichiarazione di Mosca come vuoti documenti formali. Per giustificare se stessi calpestano senza scrupoli la seconda Dichiarazione di Mosca e invece di considerare il revisionismo come il principale pericolo nel movimento comunista e operaio internazionale attuale, essi dicono che “il pericolo del dogmatismo e del settarismo è diventato, nel recente periodo, il pericolo essenziale per il movimento comunista e operaio internazionale”(78). Di recente al sesto Congresso del Partito socialista unificato della Germania, quando il delegato del Partito comunista cinese si attenne alla seconda Dichiarazione di Mosca e condannò nel suo saluto il revisionismo della cricca di Tito, fu trattato in modo estremamente rude, mentre il delegato della cricca di Tito al congresso ha ricevuto una frenetica ovazione. Può essere ciò chiamato “costante rispetto della linea comunemente concordata dal movimento comunista internazionale”? Tutti sanno che questa azione, che rattrista coloro che sono dei nostri e rallegra il nemico, fu accuratamente predisposta.
Il risultato di tutto ciò è stato che il prezzo sul mercato della cricca di Tito è improvvisamente decuplicato. Lo scopo di coloro che hanno fatto ciò è di fare della cricca di Tito il loro “centro ideologico”. Essi stanno cercando di sostituire il marxismo-leninismo con il moderno revisionismo rappresentato dalla cricca di Tito e di sostituire la prima e la seconda Dichiarazione di Mosca con il programma revisionista della cricca di Tito o con qualcos’altro.
Alcuni dicono frequentemente che noi dovremmo “sincronizzare i nostri orologi”. Orbene, ci sono due orologi: uno è il marxismo-leninismo e la prima e la seconda Dichiarazione di Mosca , l’altro è il revisionismo moderno quale è rappresentato dalla cricca di Tito. Qual è dunque l’orologio tipo: l’orologio del marxismo-leninismo e della prima e seconda Dichiarazione di Mosca o quello del revisionismo moderno?
Ci sono alcuni che non solo non vorrebbero che ci opponessimo al revisionismo moderno, ma non vorrebbero neanche che menzionassimo il vecchio revisionismo della Seconda Internazionale, mentre essi, dal canto loro, continuano a ripetere tutti compiaciuti le tesi dei vecchi revisionisti. Scrivendo sul proudhonismo nella prefazione alla seconda edizione del Problema degli alloggi, Engels disse: “Chiunque si occupi un po’ dettagliatamente di socialismo moderno, deve prendere conoscenza anche delle posizioni superate del movimento”. Egli riteneva che finché nella società esistono le condizioni che le producono, queste posizioni o le tendenze che da esse emanano riappariranno inevitabilmente di tanto in tanto. “Se più tardi questa tendenza assume una forma più ferma e contorni chiaramente definiti […] dovrà ritornare al suo predecessore per la formulazione del suo programma” . Poiché stiamo lottando contro il revisionismo moderno, dobbiamo naturalmente studiare i suoi predecessori, le lezioni della storia e come i revisionisti moderni sono ritornati ai loro predecessori. Non è così che dovremmo fare? Perché questo sarebbe “un paragone storico completamente inammissibile”? Viola forse qualche tabù?
Poiché essi ripetono le tesi di vecchi revisionisti quali Bernstein e Kautsky e usano i loro punti di vista, metodi e linguaggio per attaccare e calunniare tutti i marxisti-leninisti e i comunisti cinesi, essi non hanno alcuna ragione di proibirci di rispondere loro con le critiche di Lenin ai vecchi revisionisti.
Lenin disse: “Esattamente così i bernsteiniani sono andati ripetendo a sazietà di essere i soli a comprendere i veri bisogni del proletariato e i compiti dell’accrescere le sue forze, il compito di approfondire tutto il lavoro nel preparare gli elementi della nuova società e i compiti della propaganda e dell’agitazione. Bernstein dice: noi esigiamo un franco riconoscimento di ciò che è, consacrando in tal modo il ‘movimento’ senza ‘scopo finale’, consacrando la sola tattica difensiva, predicando la tattica del timore ‘che la borghesia non si allontani’. Così i bernsteiniani hanno levato alte grida contro il ‘giacobinismo’ dei socialdemocratici rivoluzionari, contro i ‘pubblicisti’ che non comprendono l’‘iniziativa operaia’, ecc. […] In realtà, com’è noto a tutti, i socialdemocratici rivoluzionari non hanno mai neanche pensato di abbandonare il lavoro quotidiano, minuto, la raccolta delle forze, ecc. […] Essi esigevano soltanto una chiara coscienza dello scopo finale, un’idea chiara dei compiti rivoluzionari; volevano elevare gli strati semiproletari e semipiccoloborghesi al livello rivoluzionario del proletariato, non abbassare quest’ultimo sino al livello di considerazioni opportuniste quali: ‘che la borghesia non si ritiri’. L’espressione forse più saliente di questo dissenso tra l’ala opportunista intellettuale e quella rivoluzionaria proletaria del partito è la domanda: Dürfen wir siegen? Oseremo vincere? Ci è permesso vincere? Non è pericoloso per noi vincere?
Dovremmo noi vincere? Questa domanda così strana a prima vista, fu comunque posta e doveva essere posta, perché gli opportunisti temevano la vittoria, ne agitavano lo spauracchio davanti al proletariato, profetizzando i guai che ne sarebbero derivati e deridendo le parole d’ordine che facevano direttamente appello alla vittoria” (79).
Le parole di Lenin, citate qui da noi, possono spiegare molto bene il ritorno del bernsteismo in nuove condizioni storiche e anche la sostanza delle divergenze tra i marxisti-leninisti e i revisionisti moderni.
 

“La nostra teoria non è un dogma, ma una guida per l'azione”
 
Alcuni che si autodefiniscono “marxisti-leninisti creativi” dicono che non è più necessario ripetere i principi fondamentali enunciati da Marx e Lenin, poiché i tempi sono cambiati e le condizioni sono diverse. Essi fanno obiezione al nostro citare dai classici marxisti-leninisti per spiegare i problemi e biasimano questa pratica come “dogmatismo”.
È un espediente molto comodo abbandonare il marxismo-leninismo con il pretesto di liberarsi dalle catene dei “dogmi”. Molto tempo fa Lenin denunciò questo espediente degli opportunisti, dicendo: “‘Dogma’, che comoda paroletta! Basta alterare lievemente la teoria dell’avversario, nascondere questa alterazione con lo spauracchio del ‘dogma’ e il gioco è fatto!” (80).
Sappiamo tutti che l’epoca in cui visse e lottò Lenin era ben diversa da quella di Marx ed Engels. Lenin ha sviluppato, sotto tutti gli aspetti, il marxismo, portandolo a un nuovo stadio, quello del leninismo. Alla luce della situazione e delle caratteristiche nuove del suo tempo, Lenin scrisse numerose importanti opere che hanno arricchito considerevolmente il patrimonio teorico del marxismo e le idee sulla strategia e sulla tattica della rivoluzione proletaria e lanciò linee di condotta e compiti nuovi per il movimento operaio internazionale. Per difendere i principi fondamentali del marxismo e opporsi agli opportunisti e ai revisionisti che lo deformavano e alteravano, Lenin, nei suoi scritti, ha citato in abbondanza e a più riprese dalle opere di Marx ed Engels. Ad esempio, in Stato e rivoluzione in particolare, grande opera d’importanza capitale per la teoria marxista, Lenin non ha risparmiato citazioni. Egli scrisse proprio nel primo capitolo: “[…] dato che le deformazioni del marxismo si sono diffuse in modo inaudito, compito nostro è, innanzitutto, ristabilire la vera dottrina di Marx sullo Stato. Dovremo a tale fine fare lunghe citazioni prese dalle opere stesse di Marx e di Engels. Queste lunghe citazioni appesantiranno naturalmente la trattazione e non contribuiranno per nulla a renderla popolare. Ma è assolutamente impossibile farne a meno. Tutti i passi fondamentali di Marx e di Engels sullo Stato devono essere riportati in maniera quanto più possibile completa, perché il lettore possa farsi un’idea personale dell’insieme delle concezioni dei fondatori del socialismo scientifico, dello sviluppo di queste concezioni e anche per dimostrare con le prove alla mano e porre in evidenza che il kautskismo attualmente dominante le ha snaturate” .
Si può così vedere che Lenin ha citato abbondantemente da Marx ed Engels in un momento in cui il marxismo veniva alterato in modo oltraggioso. Oggi, quando è il leninismo ad essere alterato in modo oltraggioso, tutti i marxisti-leninisti rivoluzionari non possono fare a meno di citare Lenin. La ragione è che così facendo possiamo mettere in luce il contrasto stridente che esiste fra la verità del marxismo-leninismo e le assurdità del revisionismo e dell’opportunismo.
Ne risulta che citare dalla letteratura marxista-leninista non è affatto un “crimine” come certe persone pretendono. La questione è quando sia o no necessario citare, come citare e se le citazioni siano o no corrette.
Alcuni eludono deliberatamente i temi che noi vogliamo sostenere citando dalla letteratura marxista-leninista: costoro non osano neanche pubblicare le nostre citazioni e si limitano ad accusarci di procedere “a suon di citazioni”(81).
L’organo del Partito comunista francese, L’Humanitè , si è spinto tanto lontano da accusare il Partito comunista cinese di essere di quelli che “snaturano il marxismo-leninismo al punto da conservarne soltanto formule irrigidite, si arrogano il diritto di essere i grandi sacerdoti incaricati di enunciarne i dogmi”(82). Che cosa significa questo linguaggio aspro che essi usano con predilezione per attaccarci? Esso rispecchia semplicemente il loro stato d’animo e sentimento: la grande ripugnanza che provano alla sola vista delle parole di Marx, Engels e Lenin. Coloro che rimproverano gli altri di essere i sacerdoti del marxismo-leninismo fanno i sacerdoti dell’antimarxismo-leninismo e dell’ideologia borghese.
Mentre ci attaccano violentemente perché citiamo dalla letteratura del marxismo-leninismo per spiegare le fondamentali verità marxiste-leniniste, alcune persone ripetono costantemente quello che è in sostanza il linguaggio di Bernstein, di Kautsky e di Tito, dai quali essi hanno preso in prestito molte delle loro idee fondamentali.
Ci sono anche quelli che attaccano violentemente ciò che chiamano “dogmatismo” e tuttavia si dilettano di dogmi biblici. Le loro teste sono piene di Bibbia e cose simili, ma non contengono neanche l’ombra del marxismo-leninismo.
Lenin ripeteva costantemente questa frase di Marx ed Engels: “La nostra teoria non è un dogma, ma una guida per l’azione” . A coloro che sostengono attualmente che noi siamo “dogmatici”, diciamo schiettamente: il Partito comunista cinese ha una ricca esperienza di lotta contro il dogmatismo. Oltre vent’anni fa, sotto la guida del compagno Mao Zedong, conducemmo con successo una lotta eccezionale contro il dogmatismo e da allora abbiamo sempre fatto attenzione alle lotte di questo genere. I veri marxisti-leninisti non si adagiano sui libri, ma devono sapersi servire del metodo marxista-leninista per analizzare, tanto sul piano nazionale che internazionale, l’ambiente, la situazione e le condizioni concrete del momento, studiare le diverse esperienze della lotta pratica e stabilire il programma d’azione. Il compagno Mao Zedong ci ricorda costantemente che dobbiamo prestare attenzione al ben noto detto di Lenin: “L’essenza stessa, l’anima viva del marxismo, è l’analisi concreta della concreta situazione” (83). Criticando i dogmatici nei nostri ranghi, il compagno Mao Zedong li chiamava “scansafatiche che respingono ogni lavoro minuzioso di ricerca sulle cose concrete” (84).
In un discorso del 1942, Per il giusto stile di lavoro del partito , il compagno Mao Zedong criticò con acutezza il dogmatismo in questi termini: “Ancora oggi non pochi sono tra di noi coloro che considerano le singole formule tratte dalle opere marxiste-leniniste come un toccasana miracoloso bell’e pronto che, una volta acquisito, può facilmente guarire qualsiasi malattia. Essi mostrano un’ignoranza puerile e noi dobbiamo condurre una campagna per illuminarli. Sono proprio gli ignoranti come loro che considerano il marxismo-leninismo come un dogma religioso. A costoro bisogna dire schiettamente: il tuo dogma non serve a niente. Marx, Engels, Lenin e Stalin hanno affermato ripetutamente che la nostra teoria non è un dogma, ma una guida per l’azione. Ma tale gente preferisce dimenticare tale affermazione che è della più grande, della massima importanza. I comunisti cinesi potranno affermare di avere realizzato l’unione della teoria con la pratica soltanto quando saranno ben capaci di applicare la posizione, il punto di vista e il metodo marxisti-leninisti e gli insegnamenti di Lenin e Stalin alla rivoluzione cinese e quando, inoltre, attraverso un serio studio della realtà storica e rivoluzionaria della Cina, creeranno opere teoriche che rispondano alle esigenze della Cina nelle diverse sfere. Chiacchierare soltanto dell’unione della teoria con la pratica, senza in realtà fare nulla in questo senso, non serve a nulla, anche se si continua a chiacchierare per un secolo. Per contrastare l’atteggiamento soggettivista, unilaterale verso i problemi, dobbiamo demolire la soggettività e l’unilateralità dei dogmatici” .
Coloro che stanno ora vigorosamente ingiuriando il dogmatismo, non hanno assolutamente idea di che cosa esso realmente sia, per non parlare di come combatterlo. Essi continuano a proclamare che i tempi e le condizioni sono cambiate e che si deve “sviluppare il marxismo-leninismo creativamente”, ma in realtà essi stanno usando il pragmatismo borghese per rivedere il marxismo-leninismo. Essi sono completamente incapaci di afferrare l’essenza del mutamento dei tempi e delle condizioni, di comprendere le contraddizioni nel mondo contemporaneo o di indicare il centro focale di queste contraddizioni. Essi non possono afferrare le leggi dello sviluppo delle cose che esistono oggettivamente e vacillano avanti e indietro, cadendo ora nel capitolazionismo ora nell’avventurismo. Si piegano al corso degli eventi e dimenticano gli interessi fondamentali del proletariato e ciò è una caratteristica sia del loro pensiero sia delle loro azioni. Così essi non hanno una politica fondata sui principi, spesso non riescono a distinguere tra il nemico, noi stessi e i nostri amici e rovesciano persino la relazione tra i tre, trattando i nemici come se fossero dei nostri e trattando i nostri come se fossero nemici.
Lenin disse che “il filisteo non è mai guidato da una visione del mondo definita, da principi di partito. Egli nuota sempre secondo la corrente, obbedendo ciecamente all’umore del momento” (85). Orbene, queste persone non fanno esattamente lo stesso?
 

Integrazione della verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione nel proprio paese
 
Oltre vent’anni fa, il compagno Mao Zedong formulò in seno al nostro partito la famosa tesi dell’integrazione della verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione cinese. Questa è un compendio delle esperienze del Partito comunista cinese nella lunga lotta su due fronti: la lotta contro l’opportunismo di destra e contro l’opportunismo “di sinistra”.
Questa tesi dell’integrazione della verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione del proprio paese ha due aspetti: da un lato è necessario in ogni momento attenersi alla verità universale del marxismo-leninismo altrimenti si commetterà l’errore di opportunismo di destra o di revisionismo; dall’altro lato è necessario partire sempre dalla realtà, mantenere uno stretto contatto con le masse, fare costantemente il bilancio delle esperienze delle loro lotte ed esaminare il proprio lavoro alla luce delle esperienze pratiche, altrimenti si commetterà l’errore di dogmatismo.
Perché è necessario persistere nella verità universale del marxismo-leninismo? Perché è necessario attenersi ai principi fondamentali del marxismo-leninismo? Lenin disse: “La dottrina di Marx è onnipotente, perché è vera. Essa è completa e armoniosa. Essa dà all’uomo una concezione integrale del mondo inconciliabile con ogni superstizione, reazione e difesa dell’oppressione borghese” (86).
La verità universale del marxismo-leninismo o, in altre parole, i principi fondamentali del marxismo-leninismo, non sono prodotti dell’immaginazione o fantasie soggettive, ma conclusioni scientifiche tratte dalle esperienze dell’umanità nella sua intera storia di lotta e dalle esperienze delle lotte del proletariato internazionale.
Da Bernstein in poi i revisionisti e gli opportunisti di ogni genere hanno usato il pretesto dei cosiddetti nuovi cambiamenti e nuove situazioni, per affermare che la verità universale del marxismo è superata. Ma per oltre cento anni tutti gli avvenimenti nel mondo hanno incessantemente provato che la verità universale del marxismo-leninismo è valida dappertutto. Questa verità universale è applicabile non soltanto all’occidente, ma anche all’oriente; è stata confermata non soltanto dalla grande Rivoluzione d’Ottobre, ma anche dalla rivoluzione cinese e da tutte le rivoluzioni vittoriose in altri paesi; è stata confermata non soltanto dall’intera storia dei movimenti operai dei paesi capitalisti d’Europa e d’America, ma anche dalle grandi lotte rivoluzionarie che si stanno sviluppando nei vari paesi dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina.
Nel 1913 Lenin scrisse nel suo articolo Il destino storico della dottrina di Karl Marx che, dopo l’apparizione del marxismo, ogni periodo storico del mondo “gli ha portato nuove conferme e nuovi trionfi. Ma un trionfo ancora più grande attende il marxismo, quale dottrina del proletariato, nel periodo storico che segue ora” .
Nel 1922, Lenin scrisse ancora nel suo articolo Sul ruolo del materialismo militante : “[…] Marx […] ha applicato (la dialettica) con tale successo che attualmente, ogni giorno, il risveglio di nuove classi alla vita e alla lotta in oriente (Giappone, India e Cina), vale a dire il risveglio di centinaia di milioni di esseri umani che formano la maggior parte della popolazione del globo e che, per la loro passività storica e per il loro storico torpore sono state fino a oggi la causa della stasi e del marasma di numerosi paesi avanzati d’Europa, ogni giorno il risveglio alla vita di nuovi popoli e di nuove classi è una nuova conferma del marxismo” .
Gli eventi storici degli ultimi decenni hanno ulteriormente confermato queste conclusioni di Lenin.
La Dichiarazione di Mosca del 1957 fa il bilancio delle esperienze storiche e formula le leggi principali applicabili a ogni paese che avanza sulla via del socialismo. La prima di queste leggi generali formulate nella Dichiarazione di Mosca è: “Direzione delle masse lavoratrici da parte della classe operaia, il cui nucleo è costituito dal partito marxista-leninista, nell’attuazione della rivoluzione proletaria in una forma o nell’altra e nell’instaurazione della dittatura del proletariato, in una forma o nell’altra”. La cosiddetta “via italiana al socialismo” di Togliatti e di altri compagni è precisamente l’abbandono di questo principio che è il più fondamentale, il principio della rivoluzione proletaria e della dittatura del proletariato e la negazione di questa legge che è la più fondamentale, riaffermata dalla Dichiarazione di Mosca.
Coloro che si oppongono alla verità universale e ai principi fondamentali del marxismo-leninismo, si oppongono inevitabilmente all’integrale concezione del mondo marxista-leninista e “minano le sue basi teoriche fondamentali: la dialettica, la dottrina dell’evoluzione storica, multiforme e piena di contraddizioni”.(87).
La Dichiarazione di Mosca a proposito della concezione del mondo marxista-leninista dice: “Base teorica del marxismo-leninismo è il materialismo dialettico. Questa concezione del mondo rispecchia la legge generale dello sviluppo della natura, della società e del pensiero umano. Essa è applicabile al passato, al presente e al futuro. Al materialismo dialettico si contrappongono la metafisica e l’idealismo. Se nell’esame dei problemi un partito politico marxista non parte dalla dialettica e dal materialismo, ne conseguono manifestazioni di unilateralità e di soggettivismo, la stagnazione del pensiero umano, il distacco dalla vita e la perdita della capacità di fornire un’adeguata analisi delle cose e dei fenomeni, errori revisionisti e dogmatici ed errori politici. L’applicazione del materialismo dialettico nel lavoro pratico, l’educazione dei quadri di partito e delle larghe masse nello spirito del marxismo-leninismo sono compiti attuali per i partiti comunisti e operai”.
Oggi ci sono persone che disprezzano completamente questa importantissima tesi della Dichiarazione di Mosca e si mettono contro la concezione del mondo marxista-leninista. Essi detestano assolutamente la dialettica materialista e la chiamano dialettica della “doppia contabilità” e “filosofia scolastica”. Essi agiscono alla stessa maniera dei vecchi revisionisti che “trattavano Hegel da ‘cane morto’ e mentre predicavano l’idealismo, un idealismo mille volte più meschino e banale di quello di Hegel, alzavano sprezzantemente le spalle alla dialettica”88. È molto chiaro che queste persone attaccano la dialettica materialista allo scopo di smerciare il loro revisionismo moderno.
Naturalmente, la concezione del mondo marxista-leninista si oppone non soltanto al revisionismo ma anche al dogmatismo.
Attenendoci alla verità universale del marxismo-leninismo, noi dobbiamo opporci al dogmatismo, perché il dogmatismo si distacca dalla pratica concreta della rivoluzione e considera il marxismo-leninismo come una formula rigida.
Il marxismo-leninismo è pieno di vitalità e invincibile proprio perché è nato e si è sviluppato nella pratica rivoluzionaria e perché si arricchisce incessantemente delle nuove esperienze conquistate nella nuova pratica della rivoluzione.
Lenin diceva spesso che il marxismo unisce il massimo rigore scientifico con lo spirito rivoluzionario. Egli disse: “Il marxismo differisce da tutte le altre teorie socialiste in quanto rappresenta una notevole combinazione della piena lucidità scientifica nell’analisi della situazione oggettiva e dell’evoluzione oggettiva con il più determinato riconoscimento dell’importanza dell’energia, della creatività e dell’iniziativa rivoluzionarie delle masse e anche, naturalmente, degli individui, gruppi, organizzazioni e partiti che sanno scoprire e realizzare il contatto con tali classi” (89).
In quello scritto Lenin spiegò in termini esatti che dobbiamo attenerci alla verità universale del marxismo e allo stesso tempo opporci al dogmatismo che si distacca dalla pratica rivoluzionaria e dalle masse popolari.
La spiegazione del compagno Mao Zedong sul rapporto tra la necessità di attenersi alla verità universale del marxismo-leninismo e quella di combattere il dogmatismo è completamente conforme al punto di vista di Lenin. Discutendo la questione della conoscenza, il compagno Mao Zedong si è espresso in questi termini: “Se si considera la continuità del movimento nel processo della conoscenza umana, si osserva che esso si estende sempre gradualmente dalla conoscenza del particolare alla conoscenza del generale. Gli uomini conoscono dapprima l’essenza particolare di molti fenomeni diversi e solo in seguito possono passare alla generalizzazione, alla conoscenza dell’essenza generale dei fenomeni. Soltanto dopo aver conosciuto questa essenza generale, guidati da questa conoscenza e indagando in seguito le diverse cose concrete, che non sono ancora state studiate o lo sono state superficialmente e cogliendone l’essenza particolare, è possibile completare, arricchire e sviluppare la conoscenza di una data essenza generale, evitando che tale conoscenza si trasformi in qualcosa di arido e fossilizzato” (84).
L’errore del dogmatismo consiste nel fatto che esso cerca di trasformare la verità universale del marxismo-leninismo, vale a dire i principi fondamentali del marxismo-leninismo, in qualcosa di arido e di fossilizzato.
I dogmatici deformano in un’altra maniera il marxismo-leninismo. Distaccandosi dalla realtà, essi immaginano formule astratte e vuote e impongono alle masse le esperienze straniere che essi prendono meccanicamente. Così essi limitano le lotte delle masse e impediscono loro di ottenere i risultati dovuti. Non tenendo conto del tempo, del luogo e della condizione, essi si aggrappano ostinatamente a una sola forma di lotta senza comprendere che i movimenti rivoluzionari delle masse popolari in ogni paese hanno forme molto complesse, che si devono contemporaneamente adottare le diverse forme necessarie che si completano a vicenda e che, quando la situazione cambia, si devono sostituire vecchie forme con nuove forme o utilizzare ancora le vecchie forme dando loro un nuovo contenuto. Essi pertanto si distaccano molto spesso dalle masse e dai potenziali alleati, cadendo così nell’errore di settarismo e molto spesso agiscono anche avventatamente, commettendo così l’errore di avventurismo. Se un organismo dirigente di un partito commette l’errore di dogmatismo, diventa incapace di afferrare le leggi del movimento pratico della rivoluzione, resterà inevitabilmente inerte sul piano teorico e commetterà ogni sorta di errori sul piano tattico. Un tale partito non potrà assolutamente portare il movimento rivoluzionario del proprio paese al trionfo.
Combattendo il dogmatismo in seno al nostro partito e mettendo l’accento sulla combinazione della verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione cinese, il compagno Mao Zedong ha sottolineato che l’atteggiamento marxista-leninista consiste nell’utilizzare la teoria e i metodi del marxismo-leninismo per procedere a indagini e a studi sistematici e minuziosi della situazione circostante. Egli ha detto: “Con questo atteggiamento si studia la teoria del marxismo-leninismo con un obiettivo ben preciso, cioè combinare la teoria del marxismo-leninismo con la pratica della rivoluzione cinese e trovare in questa teoria la posizione, il punto di vista e il metodo con cui risolvere le questioni teoriche e pratiche della rivoluzione cinese. Questa è la teoria del tiro con l’arco. Il ‘bersaglio’ è la rivoluzione cinese e la ‘freccia’ è il marxismo-leninismo. Noi comunisti cinesi siamo andati cercando questa ‘freccia’ perché vogliamo colpire il ‘bersaglio’ della rivoluzione cinese e della rivoluzione dell’oriente. Un tale atteggiamento significa ricercare la verità nei fatti. I ‘fatti’ sono tutte le cose e i fenomeni che esistono oggettivamente; la ‘verità’ è il loro nesso intrinseco, cioè la legge che li governa; ‘ricercare’ vuol dire studiare. Noi dobbiamo procedere dalla situazione reale che esiste all’interno e fuori del paese, della regione, della provincia, del distretto e trarne, come nostra guida per l’azione, le leggi che le sono proprie e non immaginarie, dobbiamo cioè trovare negli avvenimenti che si succedono intorno a noi il loro nesso intrinseco. Per fare questo ci dobbiamo basare non sulla nostra immaginazione soggettiva, non sull’euforia del momento, non sulla lettera morta di un libro, ma sui fatti oggettivamente esistenti; dobbiamo prendere conoscenza con cura del materiale e, ispirandoci ai principi generali del marxismo-leninismo, trarne conclusioni giuste” (90).
La storia del Partito comunista cinese e la storia della vittoria della rivoluzione cinese sono la storia della combinazione, ogni giorno più stretta, della verità universale del marxismo-leninismo con la pratica concreta della rivoluzione cinese. Senza questa combinazione la vittoria della rivoluzione cinese sarebbe stata inconcepibile.
 

Principi ed elasticità
 
“Una politica basata sui principi è la sola politica corretta”: questo è un noto precetto di Lenin. Se il marxismo ha potuto sconfiggere correnti ideologiche opportuniste di tutte le sfumature e diventare predominante nel movimento operaio internazionale, è precisamente perché Marx ed Engels hanno perseverato in una politica basata sui principi. Se il leninismo ha potuto continuare a sconfiggere tutte le varie correnti ideologiche revisioniste e opportuniste, guidare la Rivoluzione d’Ottobre alla vittoria e diventare predominante nel movimento operaio internazionale nella nuova era, è precisamente perché Lenin e poi Stalin hanno portato avanti la causa di Marx ed Engels, hanno perseverato in una politica basata sui principi.
Che cosa significa una politica basata sui principi? Significa che ogni politica che noi avanziamo e decidiamo deve essere basata sulla posizione di classe del proletariato, sugli interessi fondamentali del proletariato, sulla teoria del marxismo-leninismo e sul punto di vista fondamentale del marxismo-leninismo. Il partito del proletariato non deve limitare la sua attenzione agli interessi immediati, oscillare al vento e abbandonare gli interessi fondamentali. Esso non deve semplicemente sottomettersi al corso immediato degli eventi, approvando o difendendo una cosa oggi e un’altra domani e mercanteggiando principi come se fossero merci. In altre parole, il partito del proletariato deve mantenere la propria indipendenza politica, distinguersi, ideologicamente e politicamente, da tutte le altre classi e dai loro partiti rispettivi; distinguersi non soltanto dalla classe dei proprietari terrieri e dalla borghesia, ma anche dalla piccola borghesia. In seno al partito i marxisti-leninisti devono distinguersi dagli opportunisti di destra o “di sinistra” che riflettono ogni specie di ideologia non proletaria.
Solo ieri alcune persone apposero le loro firme alla prima e alla seconda Dichiarazione di Mosca esprimendo approvazione dei fondamentali principi rivoluzionari fissati in questi due documenti e tuttavia oggi essi stanno calpestando tali principi. Avevano appena firmato la seconda Dichiarazione di Mosca e approvato la conclusione che i dirigenti della Lega dei comunisti jugoslavi hanno tradito il marxismo-leninismo, che già avevano operato un voltafaccia e trattavano i traditori seguaci di Tito come amati fratelli. Essi concordarono con la conclusione della seconda Dic h i a r azio n e d i Mosc a che “l’imperialismo degli Stati Uniti è il principale baluardo della reazione mondiale e un gendarme internazionale che è diventato il nemico dei popoli del mondo intero” e tuttavia subito dopo sostenevano che il destino dell’umanità dipendeva dalla “cooperazione”, dalla “fiducia” e dall’“accordo” tra i capi delle due potenze, gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. Essi concordarono con il principio che guida le relazioni tra partiti e paesi fratelli fissato nella prima e seconda Dichiarazione di Mosca e tuttavia subito dopo abbandonarono questi principi e al loro congresso di partito condannarono pubblicamente e arbitrariamente un altro partito e un altro paese fratello. Anche se parlano fluentemente di non permettere mai che divergenze ideologiche tra i partiti fratelli si estendano al campo economico e alle relazioni di Stato, queste persone hanno sconsideratamente stracciato numerosi contratti economici e tecnici tra paesi fratelli e sono persino giunti a troncare virtualmente le relazioni diplomatiche con un paese fratello. Essi concordarono con la conclusione della prima e della seconda Dichiarazione di Mosca che il revisionismo è il principale pericolo nel movimento operaio internazionale e tuttavia subito dopo cominciarono a diffondere largamente l’idea che “il dogmatismo è il principale pericolo”. E così via e così via. C’è qualche principio in queste loro azioni? Su che genere di principi è basata la loro politica?
Mentre si attiene alla politica basata sui principi, il partito del proletariato deve anche agire con una certa elasticità. Nella lotta rivoluzionaria è sbagliato negare la necessità di agire secondo le circostanze o respingere vie indirette di avanzata. La differenza tra i marxisti-leninisti da una parte e gli opportunisti e i revisionisti dall’altra è questa: i marxisti-leninisti sono per l’elasticità nel realizzare una politica basata sui principi, mentre gli opportunisti e i revisionisti praticano un’elasticità che è in realtà l’abbandono dei principi politici.
L’elasticità basata sui principi non è opportunismo. Al contrario si rischierà di cadere nell’errore di opportunismo se non si sa esercitare la necessaria elasticità e agire secondo l’opportunità del momento, alla luce delle condizioni specifiche e sulla base della perseveranza nei principi e si arrecheranno così perdite ingiustificabili alla lotta rivoluzionaria.
Il compromesso è una questione importante nell’esercizio dell’elasticità.
I marxisti-leninisti l’affrontano nel modo seguente: essi non respingono mai alcun necessario compromesso che serva gli interessi della rivoluzione, vale a dire compromesso basato sui principi, ma essi non tollereranno mai un compromesso che equivalga a un tradimento, vale a dire un compromesso senza principi.
Lenin disse molto bene: “Non è senza ragione che Marx ed Engels sono considerati i fondatori del socialismo scientifico. Essi erano nemici spietati di tutti i parolai. Essi insegnavano che i problemi del socialismo (ivi compresi quelli della tattica socialista) devono essere posti in maniera scientifica. Negli anni settanta dell’ultimo secolo, quando Engels dovette analizzare il manifesto rivoluzionario dei blanquisti francesi, reduci dalla Comune, egli disse loro chiaro e tondo che la loro dichiarazione vanagloriosa ‘nessun compromesso’ era una frase vuota. È impossibile giurare di essere contro tutti i compromessi. Ciò che conta è di sapere, attraverso tutti i compromessi, che talvolta la necessità impone, per la forza delle circostanze, anche al partito più rivoluzionario della classe più rivoluzionaria, mantenere, rafforzare, sviluppare le tattiche, l’organizzazione e la coscienza rivoluzionarie, la fermezza e la preparazione della classe operaia e della sua avanguardia organizzata, il partito comunista” (91).
Come può un partito marxista-leninista che ricerca coscientemente la verità partendo dai fatti, respingere indiscriminatamente tutti i compromessi? L’editoriale Leninismo e revisionismo moderno pubblicato nel primo numero del 1963 di Bandiera rossa dice tra l’altro: “Nel corso della nostra lunga lotta rivoluzionaria, noi comunisti cinesi abbiamo raggiunto compromessi in molte occasioni con i nostri nemici interni ed esterni. Per esempio, scendemmo a compromesso con la cricca reazionaria di Chiang Kai-shek. Scendemmo anche a compromesso con gli imperialisti degli Stati Uniti nella lotta per aiutare la Corea a resistere contro l’aggressione statunitense e così via”.
E più avanti: “È precisamente in conformità agli insegnamenti di Lenin che noi comunisti cinesi distinguiamo tra le differenti specie di compromessi. Noi siamo a favore dei compromessi che sono nell’interesse della causa del popolo e della pace mondiale e siamo contro i compromessi che hanno natura di tradimento. È perfettamente chiaro che coloro che sono colpevoli ora di avventurismo, ora di capitolazionismo, sono proprio loro quelli la cui ideologia è il trotzkismo o una variante del trotzkismo”.
Come è noto, Trotzki giocò un ruolo dei più vergognosi nei negoziati per il trattato di Brest-Litovsk e in tutta la storia della rivoluzione russa e dell’edificazione sovietica. Egli era contro Lenin e contro il leninismo su tutti i problemi essenziali. Egli negava che la rivoluzione e l’edificazione socialista potessero trionfare prima in un solo paese. Nei problemi della strategia e della tattica rivoluzionaria, la sua totale mancanza di principi si traduceva ora in avventurismo “di sinistra”, ora in capitolazionismo di destra. Nel caso del trattato di Brest-Litovsk, egli dapprima spinse ciecamente per una politica avventurista; in seguito contravvenne alle direttive di Lenin rifiutando di firmare il trattato ai negoziati di Brest-Litovsk e nello stesso tempo fece la proditoria dichiarazione alla parte tedesca che la Repubblica sovietica si accingeva a cessare la guerra e a smobilitare l’esercito. Ciò accrebbe l’arroganza dell’aggressore e la Germania pose condizioni ancora più onerose. Tale fu il trotzkismo nel caso del trattato di Brest-Litovsk.
Ora alcune persone hanno arbitrariamente paragonato gli avvenimenti cubani a quelli del trattato di Brest-Litovsk, sebbene le due cose siano di natura completamente differente e hanno tratto un’antologia storica in cui si fanno simili a Lenin e tacciano di trotzkisti coloro che si sono opposti al sacrificio della sovranità di un altro paese. Ciò è assurdo al massimo.
Lenin aveva perfettamente ragione di volere che fosse firmato il trattato di Brest-Litovsk. Lo scopo di Lenin era di guadagnare tempo per consolidare la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre. Nel 1936 nel suo opuscolo Problemi strategici della guerra rivoluzionaria in Cina , il compagno Mao Zedong criticò energicamente l’errore di opportunismo “di sinistra”. Parlando del trattato di pace di Brest-Litovsk, egli disse: “Se dopo la Rivoluzione d’Ottobre i bolscevichi russi avessero accettato il punto di vista dei ‘comunisti di sinistra’ e avessero respinto il trattato di pace con la Germania, il potere sovietico, appena nato, sarebbe stato in pericolo di perire prematuramente ”.
Gli eventi hanno confermato la previsione di Lenin e la firma del trattato di Brest-Litovsk si dimostrò un compromesso rivoluzionario.
Che dire degli avvenimenti di Cuba? Si tratta di una storia completamente differente. Negli avvenimenti di Cuba, il popolo cubano e i suoi dirigenti erano decisi a lottare fino alla morte per difendere la sovranità della loro patria; essi hanno mostrato un grande eroismo e un elevato attaccamento ai principi. Essi non hanno commesso l’errore di avventurismo e neanche l’errore di capitolazionismo. Ma durante gli avvenimenti cubani alcune persone hanno dapprima commesso l’errore di avventurismo e poi hanno commesso l’errore di capitolazionismo, volendo che il popolo cubano accettasse i termini umilianti dell’accordo USA-URSS che avrebbero significato il sacrificio della sovranità del proprio paese. Queste persone hanno cercato di coprirsi, usando l’esempio della conclusione, da parte di Lenin, del trattato di Brest-Litovsk, ma ciò è risultato essere un goffo gioco di prestigio, poiché nella realtà essi si sono scoperti ancor più chiaramente.
A proposito del rapporto tra principi ed elasticità, il compagno Liu Shao-chi, basandosi sull’esperienza della rivoluzione cinese, spiegò il problema nella maniera seguente, al settimo Congresso del Partito comunista cinese: “La nostra elasticità è stabilita su principi determinati. La pseudo-elasticità priva di principi, la concessione e il compromesso che vanno al di là dei principi, l’ambiguità e la confusione sulle questioni di principio, sono tutti sbagliati. I principi del partito sono il criterio e la misura per tutti i cambiamenti nella politica e nella tattica. I principi del partito sono il criterio e la misura dell’elasticità. Per esempio uno dei nostri principi immutabili è lottare per il maggior interesse della maggior parte della popolazione; questo principio immutabile è il criterio e la misura con cui giudicare la correttezza di ogni cambiamento nella nostra politica e nella nostra tattica. Tutti i cambiamenti conformi a questo principio sono giusti, mentre sono sbagliati tutti i cambiamenti che non sono conformi a questo principio”.
Tale è il nostro punto di vista sul rapporto tra principi ed elasticità e noi crediamo che questo sia un punto di vista marxista-leninista.
 
 
8. Proletari di tutti i paesi, unitevi!
 
“Proletari di tutti i paesi, unitevi!”, il grande appello lanciato da Marx ed Engels oltre cento anni fa, rimarrà sempre il principio guida che il proletariato internazionale deve osservare.
Il Partito comunista cinese sostiene costantemente l’unità del movimento comunista internazionale, la salvaguardia della quale esso considera suo sacro dovere. Noi abbiamo riaffermato la nostra posizione su tale questione nell’editoriale del Quotidiano del popolo del 27 gennaio 1963: “I ranghi del movimento comunista internazionale devono essere uniti o no? Ci deve essere unità vera o falsa? Su quale base ci deve essere unità? Ci dev’essere unità sulla base della prima e della seconda Dichiarazione di Mosca o ‘unità’ sulla base del programma revisionista jugoslavo o su qualche altra base? In altre parole devono essere appianate le divergenze e rafforzata l’unità o si devono allargare le divergenze e creare una scissione?”.
“I comunisti cinesi, tutti i marxisti-leninisti e tutta l’umanità progressista del mondo desiderano unanimemente sostenere l’unità e contrastare una scissione, richiedere una vera unità e opporsi a una falsa unità, difendere le comuni fondamenta dell’unità del movimento comunista internazionale e opporsi alle attività che minano tali fondamenta e sostenere e rafforzare l’unità del campo socialista e del movimento comunista internazionale sulla base della prima e della seconda Dichiarazione di Mosca ”.
Questa è la ferma, incrollabile posizione del Partito comunista cinese sulla questione dell’unità del movimento comunista internazionale.
Dopo aver lanciato e organizzato una serie di assurdi attacchi contro il Partito comunista cinese e altri partiti fratelli, alcune persone hanno improvvisamente cominciato a intonare la canzone dell’“unità”. Ma ciò che essi chiamano “unità” consiste nel concedersi il permesso di insultare altri, senza permettere agli altri di ragionare con loro. Con “far cessare le polemiche aperte”, essi vogliono dire permesso a se stessi di attaccare gli altri a loro piacimento, mentre agli altri è proibito dare qualsiasi risposta necessaria. Mentre parlano di unità essi continuano a insidiare l’unità; mentre parlano di fare cessare le polemiche aperte, continuano i loro attacchi aperti. Per di più dicono con tono minaccioso che se quelli che loro attaccano non tengono la bocca chiusa diventerà “imperativo continuare e perfino intensificare una lotta decisa contro di essi”.
Ma con la cricca di Tito queste persone vogliono realmente l’unità. Il loro desiderio è l’unità con la cricca di Tito, non l’unità del movimento comunista internazionale. Essi desiderano l’unità basata sul revisionismo moderno qual è rappresentato dalla cricca di Tito o l’unità basata sul bastone di comando di certe persone, ma non l’unità basata sul marxismo-leninismo e sulla prima e seconda Dichiarazione di Mosca . Perciò in pratica la loro “unità” non è che uno pseudonimo di scissione. Usando l’unità come cortina fumogena, essi tentano di nascondere le loro reali attività scissioniste.
Il revisionismo rappresenta gli interessi dell’aristocrazia operaia e anche quelli della borghesia reazionaria. Le correnti ideologiche revisioniste vanno contro gli interessi del proletariato, delle masse popolari e di tutti i popoli oppressi. Dai tempi di Bernstein a oggi il marxismo-leninismo è stato ripetutamente assalito dalle correnti ideologiche del revisionismo e dell’opportunismo che hanno fatto gran rumore ciascuna a suo tempo. Ma la storia ha confermato che il marxismo-leninismo rappresenta il più vasto interesse della maggior parte del popolo ed è invincibile. Tutti i revisionisti e gli opportunisti che hanno sfidato il marxismo-leninismo rivoluzionario sono crollati, uno dopo l’altro, davanti alla verità e sono stati respinti dalle masse popolari. Bernstein fallì e così anche Kautsky, Plekhanov, Trotzki, Bukharin, Chen Tu-hsiu, Browder e tutti gli altri. Coloro che stanno lanciando oggi nuovi attacchi contro il marxismo-leninismo rivoluzionario, sono anch’essi prepotenti e arroganti, tuttavia, se essi continuano a restare sordi ai consigli e persistono nella direzione sbagliata, si può dire con certezza che la loro fine non potrà essere migliore di quella subita dai vecchi revisionisti e opportunisti.
Alcune persone lavorano freneticamente a creare una scissione, ricorrendo a molti espedienti disonesti, diffondendo voci e calunnie e seminando discordie. Ma la stragrande maggioranza del popolo nel mondo vuole l’unità del movimento comunista internazionale e si oppone a una scissione. Le attività di certe persone per creare una frattura, attaccare il Partito comunista cinese e altri partiti fratelli, insidiare l’unità del campo socialista e del movimento comunista internazionale, vanno contro il desiderio della stragrande maggioranza della popolazione mondiale e quindi sono estremamente impopolari. La gente può vedere chiaramente la loro tattica di falsa unità e di reale scissione. Storicamente nessuno scissionista, traditore del marxismo-leninismo, ha mai fatto una bella fine. Noi abbiamo già consigliato a coloro che stanno lavorando a una scissione di “tirare le redini sull’orlo del precipizio”, ma alcune persone non vogliono ancora accettare i nostri consigli. Essi credono di non essere ancora sull’orlo e non sono disposti a tirare le redini. A quanto pare, essi sono grandemente interessati a continuare le loro attività scissioniste. Continuino dunque, dato che lo vogliono. Essi saranno giudicati dalle masse e dalla storia.
Qualcosa di molto interessante sta accadendo su vasta scala nel movimento comunista internazionale. Che cos’è questo interessante fenomeno? I prodi guerrieri che pretendono di possedere la totalità della verità marxista-leninista hanno una paura mortale degli articoli scritti in risposta ai loro attacchi dai cosiddetti “dogmatici”, “settari”, “scissionisti”, “nazionalisti” e “trotzkisti” che essi hanno così vigorosamente condannato. Essi non osano pubblicare questi articoli nei loro giornali e nelle loro riviste. Codardi come topi, sono spaventati da morire. Essi non osano lasciare che il popolo dei loro paesi legga i nostri articoli di replica ai loro e hanno cercato d’imporre un embargo totale. Essi stanno persino usando potenti stazioni per disturbare le nostre trasmissioni e impedire al loro popolo di ascoltarle. Cari amici e compagni che pretendete di possedere tutta la verità, poiché siete proprio certi che i nostri articoli sono sbagliati, perché non pubblicate tutti questi articoli errati e poi li confutate punto per punto, così da inculcare odio tra il vostro popolo contro le “eresie” che chiamate “dogmatismo”, “settarismo” e “antimarxismo-leninismo”? Perché non avete il coraggio di fare questo? Perché un tale rigoroso embargo? Voi avete paura della verità. L’enorme spettro che voi chiamate “dogmatismo”, che è il vero marxismo-leninismo, si aggira per il mondo e vi minaccia. Voi non avete fiducia nel popolo e il popolo non ha fiducia in voi. Voi siete divisi dalle masse. Ecco perché avete paura della verità e portate la vostra paura a un tale assurdo limite. Amici, compagni, se siete abbastanza uomini, fatevi avanti! Che ognuna delle parti in causa pubblichi tutti gli articoli in cui è criticata dall’altra parte e che il popolo dei nostri paesi e di tutto il mondo pensi e giudichi chi ha ragione e chi ha torto. Questo è quello che noi stiamo facendo e speriamo che voi vogliate seguire il nostro esempio. Noi non abbiamo paura di pubblicare tutto di voi, integralmente. Noi pubblichiamo tutti i “capolavori” in cui voi ci ingiuriate. Poi, in risposta, li confutiamo punto per punto o confutiamo i punti principali. Talvolta pubblichiamo i vostri articoli senza una parola di risposta, lasciando che i lettori giudichino da se stessi. Ciò non è forse equo e ragionevole? Voi, signori revisionisti moderni, osate fare lo stesso? Se siete abbastanza uomini, lo farete. Ma avendo la coscienza sporca e difendendo una causa ingiusta, essendo di sembiante fiero ma di cuore fiacco, in apparenza forti come tori e in sostanza timidi come topi, voi non oserete. Noi siamo certi che voi non oserete. Non è così? Per cortesia, rispondete!
Il Partito comunista cinese crede che esista una via per appianare le divergenze.
È la via indicata dalla prima e dalla seconda Dichiarazione di Mosca.
Prima di terminare, vorremmo citare una delle importanti conclusioni della prima Dichiarazione di Mosca : “Dopo essersi scambiati le loro opinioni, i partecipanti alla conferenza sono giunti alla conclusione che nelle condizioni attuali, oltre agli incontri di dirigenti e allo scambio d’informazioni su base bilaterale, è opportuno tenere, a seconda della necessità, conferenze più rappresentative di partiti comunisti e operai per discutere i problemi di attualità, per scambiare esperienze, per studiare i reciproci punti di vista e atteggiamenti e coordinare l’azione per la lotta comune per i comuni obiettivi: la pace, la democrazia e il socialismo”.
Noi vorremmo anche citare alcuni paragrafi della seconda Dichiarazione di Mosca concernenti i principi fondamentali che guidano le relazioni tra partiti fratelli. “Nel momento in cui la reazione imperialista raccoglie le sue forze per combattereil comunismo è particolarmente indispensabile cementare con tutte le forze l’unità del movimento comunista mondiale. L’unità e la coesione raddoppiano le forze del nostro movimento e costituiscono una sicura garanzia che la grande causa del comunismo avanzerà vittoriosa e che tutti gli attacchi dei nemici saranno efficacemente respinti.
I comunisti di tutto il mondo sono uniti dalla grande dottrina del marxismo-leninismo e dalla lotta comune per la sua applicazione.
Gli interessi del movimento comunista richiedono il rispetto solidale da parte di ogni partito comunista delle valutazioni e delle conclusioni che riguardano i compiti generali della lotta contro l’imperialismo, per la pace, la democrazia e il socialismo, elaborate in comune dai partiti fratelli nelle loro conferenze.
Gli interessi della causa della classe operaia richiedono una compattezza sempre maggiore delle file di ogni partito comunista e della grande schiera dei comunisti di tutti i paesi, l’unità di volontà e di azione. È supremo dovere internazionalista di ogni partito marxista-leninista aver cura di consolidare senza posa l’unità del movimento comunista internazionale.
La difesa risoluta dell’unità del movimento comunista internazionale, sulla base dei principi del marxismo-leninismo e dell’internazionalismo proletario e l’inammissibilità di qualsiasi azione che possa minare questa unità costituiscono condizioni imprescindibili per la vittoria nella lotta per l’indipendenza nazionale, la democrazia e la pace, per una soluzione positiva dei compiti della rivoluzione socialista, della costruzione del socialismo e del comunismo. La violazione di questi principi condurrebbe all’indebolimento delle forze del comunismo.
Tutti i partiti marxisti-leninisti sono indipendenti, godono di uguali diritti, elaborano la loro politica partendo dalle concrete condizioni dei loro paesi e, ispirandosi ai principi del marxismo-leninismo, si prestano appoggio reciproco. Per il successo della causa della classe operaia in ogni paese è indispensabile la solidarietà internazionale di tutti i partiti marxisti-leninisti. Ogni partito è responsabile di fronte alla classe operaia, ai lavoratori del proprio paese e di fronte a tutto il movimento operaio e comunista internazionale.
I partiti comunisti e operai convocano, quando ciò sia necessario, conferenze per la discussione di problemi d’attualità, per scambi di esperienze, per prendere conoscenza delle opinioni e delle posizioni reciproche, per elaborare una linea comune mediante la consultazione e il coordinamento della propria attività nella lotta per gli obiettivi comuni.
Quando, in questo o quel partito, sorgono problemi che riguardano l’attività di un altro partito fratello, la sua direzione si rivolge alla direzione dell’altro partito e, in caso di necessità, si convocano incontri e consultazioni.
L’esperienza e i risultati degli incontri dei rappresentanti dei partiti comunisti che hanno avuto luogo negli ultimi anni e soprattutto i risultati delle due maggiori conferenze, quella del novembre 1957 e la presente, dimostrano che nelle condizioni attuali, queste conferenze costituiscono una forma efficace per lo scambio reciproco di opinioni e di esperienze, per l’arricchimento, attraverso un impegno collettivo, della teoria marxista-leninista e per elaborare posizioni unitarie nella lotta per gli obiettivi comuni”. Dopo l’incidente di oltre un anno fa, quando un partito al suo congresso attaccò pubblicamente un altro partito fratello, noi abbiamo molte volte fatto appello per una soluzione delle divergenze tra i partiti fratelli conforme ai principi e alle procedure fissati nella prima e nella seconda Dichiarazione di Mosca . Abbiamo posto più volte in evidenza che attacchi pubblici e unilaterali contro qualsiasi partito fratello non contribuiscono alla soluzione dei problemi e non contribuiscono all’unità. Abbiamo costantemente sostenuto che i partiti fratelli che hanno dispute o divergenze devono cessare il dibattito pubblico e ritornare alla via delle consultazioni tra partiti e che, in particolare, il partito che per primo ha lanciato l’attacco deve prendere l’iniziativa. La nostra opinione rimane oggi la stessa.
Nell’aprile del 1962 il Comitato centrale del Partito comunista cinese dichiarò al partito fratello interessato che noi appoggiamo sinceramente la proposta, fatta da parecchi partiti fratelli, di convocare una conferenza dei rappresentanti dei partiti comunisti e operai di tutti i paesi per discutere i problemi di comune interesse.
Allora, dicemmo che la convocazione di una conferenza dei partiti fratelli e il successo di tale riunione sarebbe dipeso dal preliminare superamento di molte difficoltà e ostacoli e dalla realizzazione di una gran mole di lavoro preparatorio.
Allora esprimemmo la speranza che i partiti fratelli e i paesi fratelli che avevano divergenze volessero, d’allora in poi, compiere passi, anche piccoli, per contribuire a migliorare le relazioni e ristabilire l’unità, così da migliorare l’atmosfera e preparare le condizioni per la convocazione e il successo di tale conferenza.
Allora proponemmo che i partiti fratelli interessati cessassero di lanciare attacchi pubblici.
Allora sostenemmo che per alcuni partiti fratelli condurre queste conversazioni bilaterali o multilaterali era necessario per scambiare opinioni e che ciò avrebbe anche contribuito al successo di una tale conferenza.
Le opinioni che ponemmo davanti al partito interessato nell’aprile del 1962 sono del tutto ragionevoli e sono pienamente conformi al contenuto della prima e della seconda Dichiarazione di Mosca concernenti la soluzione delle divergenze tra i partiti fratelli. Noi abbiamo ripetutamente espresso tali opinioni e ora le esprimiamo di nuovo.
Recentemente i dirigenti di alcuni partiti hanno dichiarato di accettare entro alcuni limiti i nostri punti di vista. Se la loro dichiarazione è sincera e se i fatti concordano con le parole, sarà certamente una buona cosa. È ciò che noi abbiamo sempre sperato.
Noi sosteniamo che i ranghi del movimento comunista internazionale si devono unire ed essi certamente si uniranno!
 
Proclamiamo insieme: Proletari di tutti i paesi, unitevi! Nazioni e popoli oppressi, unitevi! Marxisti-leninisti, unitevi!
 
 
 
NOTE
1. P. Togliatti, Riconduciamo la discussioni nei suoi termini reali, in l’Unità , 10 gennaio 1963.
2. L. Longo, La questione del potere, in l’Unità , 16 gennaio 1963.
3. Per questo testo e il successivo vedasi nel vol. 13 delle Opere di Mao Zedong .
4. E. Kardelj, Discorso all'Assemblea della Repubblica popolare federale di Jugoslavia , in Borba, 8 dicembre 1956.
5. V.I. Lenin, Che cosa non si deve imitare nel movimento operaio tedesco, in Opere , vol. 20.
6. Tesi per il decimo Congresso del Partito comunista italiano , (1962).
7. P. Togliatti, Unità delle classi lavoratrici per avanzare verso il socialismo nella democrazia e nella pace , Rapporto al decimo Congresso del PCI (2 dicembre 1962).
8. P. Togliatti, Oggi è possibile evitare la guerra , discorso alla sessione plenaria del Comitato centrale del PCI (21 luglio 1960).
9. V.I. Lenin, La nostra situazione interna ed esterna e i compiti del partito, in Opere , vol. 31.
10. V.I. Lenin, Decima conferenza panrussa del Partito comunista (bolscevico) russo , in Opere , vol. 32.
11. V.I. Lenin, A proposito della parola d’ordine degli Stati Uniti d’Europa , in Opere , vol. 21.
12. Mao Zedong, Intervista con la giornalista americana Anna Louise Strong , in Opere di Mao Zedong , vol. 10.
13. V.I. Lenin, Rapporto al secondo Congresso panrusso delle organizzazioni comuniste dei popoli d'oriente , in Opere , vol. 30.
14. V.I. Lenin, Sulla nostra rivoluzione , in Opere , vol. 33.
15. V.I. Lenin, Sulla politica interna ed estera della repubblica , in Opere , vol. 33.
16. J.V. Stalin, Principi del leninismo .
17. K. Marx, Lettera a S. Meyer e A. Vogt .
18. V.I. Lenin, Discorso all'assemblea degli attivisti del PC(b)R , in Opere , vol. 31.
19. V.I. Lenin, Il secondo Congresso dell'Internazionale Comunista , in Opere , vol. 31.
20. V.I. Lenin, Chi sono gli amici del popolo e come lottano contro il socialdemocratici , in Opere , vol. 1.
21. Vedasi Opere di Mao Zedong, vol. 4.
22. Vedasi Opere di Mao Zedong , vol. 6.
23. V.I. Lenin, L'esercito rivoluzionario e la guerra rivoluzionaria, in Opere , vol. 8.
24. V.I. Lenin, Il socialismo e la guerra , in Opere , vol. 21.
25. Intervento della delegazione del PCI alla Conferenza degli 81 partiti comunisti e operai (1960).
26. V.I. Lenin, Guerra e rivoluzione , in Opere , vol. 24.
27. V.I. Lenin, Rapporto sul lavoro nelle zone rurali , in Opere, vol. 24.
28. K. Kautsky, Lo Stato nazionale, lo Stato imperialista e la Lega degli Stati .
29. V.I. Lenin, La questione della pace , in Opere , vol. 21.
30. V.I. Lenin, Bilancio della settimana del partito a Mosca e i nostri compiti , in Opere , vol. 30.
31. V.I. Lenin, Discorso alla conferenza allargata degli operai e dei soldati russi del quartiere Rogozhky-Simonovsky nel maggio del 1920 , in Opere , vol. 31.
32. Mao Zedong, La situazione e la nostra politica dopo la vittoria nella Guerra di resistenza contro il Giappone , in Opere di Mao Zedong , vol. 9.
33. J.V. Stalin, Intervista con M.A. Werth, corrispondente del Sunday Times , 25 settembre 1946.
34. Risoluzione politica del decimo Congresso del PCI , (1962).
35. T. Zhivkov, Pace, problema cruciale dell'ora , in Problemi della pace e del socialismo , n. 8, 1960.
36. Infondate polemiche dei comunisti cinesi , in l’Unità , 31 dicembre 1962.
37. Mao Zedong, Alcuni giudizi sull'attuale situazione internazionale , in Opere di Mao Zedong , vol. 10.
38. V.I. Lenin, Pacifismo borghese e pacifismo socialista , in Opere , vol. 23.
39. P. Togliatti, La via italiana al socialismo , rapporto alla sessione plenaria del Comitato centrale del PCI nel giugno del 1956.
40. P. Togliatti, Rapporto alla sessione plenaria del Comitato centrale del PCI , (giugno 1956).
41. Tesi politiche approvate dal nono Congresso del PCI.
42. Elementi per una dichiarazione programmatica del PCI (approvata dall’ottavo Congresso del PCI nel dicembre del 1956).
43. A. Pesenti, Si tratta della struttura o della sovrastruttura , in Rinascita , 19 maggio 1962.
44. A. Pesenti, Forme dirette e indirette dell'intervento statale , in Rinascita , 9 giugno 1962.
45. P. Togliatti, Intervento alla sessione plenaria del Comitato centrale del PCI , (aprile 1962).
46. V.I. Lenin, Rapporto sulla guerra e sulla pace , in Opere , vol. 27.
47. V.I. Lenin, Ancora sui sindacati, l'attuale situazione e gli errori di Trotzki e di Bukharin , in Opere , vol. 32.
48. V.I. Lenin, Il primo Congresso dell'Internazionale Comunista , in Opere , vol. 28.
49. Dichiarazione di Mosca del 1957.
50. P. Togliatti, Rapporto alla sessione plenaria del Comitato centrale del PCI , (marzo 1956).
51. P. Togliatti, Per una via italiana al socialismo, per un governo democratico della classe operaia , rapporto all’ottavo Congresso del PCI (dicembre 1956).
52. K. Marx, F. Engels, La costituzione della repubblica francese approvata il 4 novembre 1848.
53. P. Togliatti, La lotta dei comunisti per la libertà, la pace e il socialismo , rapporto alla quarta Conferenza nazionale del PCI (gennaio 1955).
54. V.I. Lenin, Come i socialisti rivoluzionari fanno il bilancio dei risultati della rivoluzione , in Opere, vol. 15.
55. P. Togliatti, Il parlamento e la lotta per il socialismo , in Pravda , 7 marzo 1954.
56. V.I. Lenin, Stato e rivoluzione , in Opere , vol. 25.
57. V.I. Lenin, La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky , in Opere , vol. 28.
58. V.I. Lenin, Relazione sul Congresso di unificazione del POSDR , in Opere, vol. 10.
59. K. Kautsky, Tattica nuova (1912).
60. V.I. Lenin, Rapporto sul momento attuale , in Opere , vol. 24.
61. V.I. Lenin, I compiti del proletariato nella nostra rivoluzione , in Opere , vol. 24.
62. P. Togliatti, Discorso conclusivo al decimo Congresso del PCI .
63. V.I. Lenin, L'estremismo, malattia infantile del comunismo , in Opere , vol. 31.
64. Mao Zedong, Conferenza di Mosca: terzo discorso , in Opere di Mao Zedong , vol. 15.
65. K. Marx, Prefazione a “Per la critica dell'economia politica” .
66. V.I. Lenin, Niente falsità! La nostra forza sta nell'affermare la verità! , in Opere , vol. 9.
67. J.V. Stalin, Problemi del leninismo (Materialismo dialettico e materialismo storico) .
68. V.I. Lenin, Risoluzione del comitato di S. Pietroburgo del POSDR sull'atteggiamento verso la Duma di Stato , in Opere , vol. 10.
69. V.I. Lenin, Karl Marx , in Opere , vol. 21.
70. F. Engels, In commemorazione del 21° anniversario della Comune di Parigi .
71. V.I. Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo , in Opere , vol. 22.
72. Mao Zedong, Alcuni problemi importanti della politica attuale del Partito , in Opere di Mao Zedong , vol. 10.
73. Mao Zedong, La situazione attuale e i nostri compiti , in Opere di Mao Zedong , vol. 10.
74. V.I. Lenin, Sulla nostra rivoluzione , in Opere , vol. 33.
75. V.I. Lenin, Che fare? in Opere, vol. 5.
76. V.I. Lenin, Decima conferenza del PCR(b) di tutta la Russia , in Opere, vol. 32.
77. P. Togliatti, A proposito della critica alla “cricca di Tito” , in Rinascita , 13 ottobre 1962.
78. Risoluzione del Comitato centrale del Partito comunista francese, approvata il 14 dicembre 1962.
79. V.I. Lenin, Due tattiche della socialdemocrazia nella rivoluzione democratica , in Opere , vol. 9.
80. V.I. Lenin, Avventurismo rivoluzionario , in Opere , vol. 6.
81. In che epoca viviamo? , in France nouvelle, 16 gennaio 1963.
82. La nostra unità e la nostra disciplina , in L’Humanité , 16 gennaio 1963.
83. V.I. Lenin, Il comunismo , in Opere , vol. 31.
84. Mao Zedong, Sulla contraddizione , in Opere di Mao Zedong , vol. 5.
85. V.I. Lenin, La situazione politica e i compiti del momento , in Opere , vol. 11.
86. V.I. Lenin, Le tre fonti e le tre componenti del marxismo , in Opere , vol. 19.
87. V.I. Lenin, Alcuni aspetti dello sviluppo storico del marxismo , in Opere , vol. 17.
88. V.I. Lenin, Marxismo e revisionismo , in Opere , vol. 19.
89. V.I. Lenin, Contro il boicottaggio , in Opere , vol. 13.
90. Mao Zedong, Riformiamo il nostro studio , in Opere di Mao Zedong , vol. 8.
91. V.I. Lenin, A proposito dei compromessi , in Opere , vol. 30.

30 dicembre 2021