Rivolta del popolo kazako per l'aumento del gas
Il dittatore Tokayev ristabilisce l'ordine con l'aiuto delle truppe dell'imperialismo russo. Il socialimperialismo cinese appoggia il regime reazionario, alleato fondamentale per controllare la Regione e per assicurare i suoi affari e la nuova "Via della Seta"

 
Il dittatore kazako Kassym-Jomart Tokayev ha pensato di affrontare la crisi economica amplificata dalla pandemia e dall'aumento del prezzo del petrolio con un taglio ai fondi di sostegno sociale che tra le altre portava a un raddoppio del prezzo del gas liquefatto, usato comunemente nei mezzi di trasporto. Non aveva messo nel conto che questo nuovo pesante tributo per le masse popolari, unito alle pesanti ristrutturazioni e ai licenziamenti degli operai, al malcontento per il dilagare della corruzione e a un accaparramento delle ricchezze del paese da parte di un ristretto pugno di borghesi poteva creare una potente miscela che ai primi di gennaio ha incendiato le piazze delle principali città del paese. Il bilancio della rivolta del popolo kazako, noto fino al momento in cui è calata la censura imposta dal governo, sarebbe di oltre 150 morti, migliaia di feriti e più di tremila manifestanti arrestati. Per fermare le proteste di quella che ha definito una folla di migliaia di "banditi" in piazza nella principale città del Paese, l’ex capitale Almaty, il dittatore Tokayev chiedeva l'intervento dell'esecito russo in base alle intese dell'alleanza militare della Csto, la Nato a guida russa. Il nuovo zar del Cremlino Putin non perdeva tempo e spediva 2 mila soldati per soffocare la protesta e spegnere sul nascere le fiamme di una nuova pericolosa crisi ai confini del suo impero.
La protesta contro l'aumento del prezzo del gas liquido è cominciata nella regione di Zhanaozen su iniziativa degli operai del settore petrolifero ma si è fin da subito allargata a richieste di annullamento delle ristrutturazioni, a sostanziosi aumenti salariali, il miglioramento delle condizioni di lavoro e la libertà di attività sindacale. Il 3 gennaio le rivendicazioni erano al centro dello sciopero generale della regione di Mangistau seguita a ruota dalla vicina regione di Atyrau. Il giorno seguente entravano in sciopero i lavoratori del settore petrolifero di Tengizchevroil, dove molte aziende sono controllate dalle multinazionali americane e dove nel dicembre dello scorso anno per le ristrutturazioni sono stati licenziati 40 mila lavoratori, e quelli delle regioni di Aktobe e di Kyzylorda. Lo sciopero si allargava a altri settori, a partire dai minatori di ArmelorMittal Temirtau nella regione di Karaganda e delle fonderie di rame e dei minatori della Kazakhmys Corporation; gran parte dei lavoratori dell'industria estrattiva del paese scendevano in sciopero chiedendo salari più alti, abbassamento dell'età pensionabile, diritto ai dare vita a sindacati indipendenti.
Gli scioperi e le manifestazioni dilagavano nelle città della regione di Almaty e nella stessa Almaty dove migliaia di manifestanti alzavano barricate e affrontavano tra il 4 e il 5 gennaio le cariche della polizia. Tokayev dichiarava lo stato di emergenza, destituiva il governo e ritirava il provvedimento sul prezzo del gas ma non fermava la rivolta, che invece si allargava alle regioni del Kazakistan settentrionale e orientale dove i manifestanto assaltavano le sedi delle amministrazioni regionali. E la prima fase della rivolta terminava solo dopo l'intervento delle forze speciali a Almaty tra il 5 e 6 gennaio e l'arrivo dei soldati russi nella capitale Nur-Sultan, la città che fino al 2019 si chiamava Astana e che cambiava nome in onore al precedente dittatore.
Fra le prime misure decise dal dittatore Tokaev c'è stata la destituzione di Nursultan Nazarbaev da capo del Consiglio nazionale per la sicurezza, da dove continuava a controllare il paese anche se aveva formalmente lasciato la presidenza nel 2019 dopo una dittatura personale e familiare di fatto esercitata per i primi trent’anni di indipendenza del paese, dopo la dissoluzione dell'Urss e negli anni precedenti sotto la carica di capo dell'allora partito revisionista. Il Kazakistan è il primo produttore di uranio al mondo e al decimo posto per il petrolio, è ricco di terre rare necessarie alle nuove tecnologie e negli anni più recenti è diventato il secondo paese del mondo sede di società che operano con una serie di facilitazioni nel settore delle criptovalute; Nazarbaev aveva spalancato le porte del paese agli interessi delle multinazionali americane e europee e stretto accordi con quelle di Cina e Russia a vantaggio esclusivo della borghesia nazionale. Dagli affari ai rapporti politici il Kazakistan di Nazarbaev è diventato un interlocutore amichevole per Usa e Ue, un alleato chiave della Russia che gestisce nel paese la base di lancio di Baykonur, fondamentale per il proprio programma spaziale e a Astana ha condotto le intese per la spartizione della Siria e una base importante lungo la Via della Seta cinese.
Gli imperialisti Usa e Ue hanno condannato la repressione delle proteste del dittatore Tokaev che nel frattempo metteva da parte il predecessore e chiedeva l'aiuto all'imperialismo russo subito concesso. Assieme all'intervento decisivo di Putin arrivava a Nur-sultan anche il sostengo di Xi Jinping e la promessa di aiuti economici che confermava l'appoggio del socialimperialismo cinese al regime reazionario kazako, un alleato fondamentale per controllare la Regione e per assicurare gli affari di Pechino lungo la nuova "Via della Seta".

12 gennaio 2022