Mentre la Commissione Bilancio respinge la proposta elaborata dai lavoratori della Gkn
La misura del governo Draghi sulle delocalizzazioni si rivela un bluff
Il collettivo di fabbrica Gkn la boccia. Conte la considera “una sintesi nel segno della responsabilità sociale delle imprese”

Alla fine la montagna ha partorito il topolino. La misura presa dal governo Draghi si è rivelata una vera e propria presa in giro per tutti coloro che speravano in un provvedimento anti-delocalizzazioni che in qualche modo fermasse le migliaia di licenziamenti causati da quelle aziende che in nome del massimo profitto, e indipendentemente dalla loro situazione produttiva e finanziaria, abbandonano il nostro Paese alla ricerca di stipendi e diritti dei lavoratori ridotti al minimo, bassa tassazione e massima libertà d'azione, compresa quella di inquinare.
Gli operai di Gkn, Whirlpool, Embraco, SaGa Cofee, Caterpillar e di tante altre aziende che vogliono chiudere, avevano sperato che vi fossero dei provvedimenti seri e con efficacia immediata che avrebbero avuto effetto anche sulle loro vertenze, come chiedevano gli stessi sindacati. Niente di tutto questo. Come ha bene evidenziato il Collettivo di fabbrica Gkn: “Non si tratta di una norma anti-delocalizzazioni, come propagandato dal Governo, ma per proceduralizzare le delocalizzazioni. Vorremmo essere chiari: questa norma avrebbe chiuso Gkn, imposto la soluzione di Melrose e non avrebbe reso possibile nemmeno l’articolo 28… inoltre non c’è nessun riferimento ai contributi pubblici presi da un’azienda, continuando con la tradizione dei bonus a pioggia e senza vincoli”.
Come, del resto, ribadisce la segretaria della Fiom Francesca ReDavid: “Rischia di essere un provvedimento che dà il via libera alle imprese che hanno deciso di delocalizzare. È infatti una mera proceduralizazzione che, tra l’altro, mette in discussione il diritto per i lavoratori di difendersi attraverso le normative contrattuali e il ricorso alla magistratura”. Paradossalmente, la mancanza di una chiara regolamentazione e limitazione delle delocalizzazioni finora lasciava un po' di spazio all'azione legale dei lavoratori e delle loro organizzazioni, specialmente quando supportate dalla mobilitazione operaia come avvenuto alla Gkn, appellandosi alla Costituzione e alla “responsabilità sociale dell'iniziativa privata”. Adesso si offre alle aziende una via d'uscita ben tracciata, lineare e senza “intoppi”.
La Cgil, tramite il segretario confederale Emilio Miceli, si è espressa in questi termini: “Prima di tutto è necessario chiamare le cose con il loro nome. Quella che si è messa in campo con gli emendamenti alla legge di Bilancio è un’ordinaria regolazione delle procedure di chiusura delle aziende. Affrontare veramente il problema delle delocalizzazioni avrebbe dovuto obbligare ad un ripensamento delle politiche industriali nel loro complesso… il dispositivo ha mancato anche l’obiettivo minimo di sospendere le procedure in corso. Voglio dire che è sorprendente come l’emendamento non modifichi nulla di ciò che succede nelle vertenze aziendali aperte. Il quadro delle sanzioni previste non è tale da scoraggiare una impresa di medie dimensioni che scelga di delocalizzare”.
Del resto lo stesso Governo, forse per pudore, non ha chiamato il provvedimento “anti-delocalizzazione” ma bensì “Disposizioni in materia di cessazione di attività produttiva”. Non si tratta nemmeno di un decreto, ma di un emendamento inserito direttamente nella Legge di bilancio 2022, che Lega, Forza Italia e IV hanno osteggiato fino all'ultimo, nonostante le innocue sanzioni contro le aziende e il fatto che il testo fosse stato elaborato in gran parte dallo staff del Ministro leghista dello Sviluppo Economico Giorgetti in collaborazione con quello del Lavoro, il Pd Andrea Orlando.
Un tema, quello delle delocalizzazioni, che il governo non aveva messo in agenda per sua spontanea volontà, ma in seguito all'annunciata chiusura della Gkn Driveline Firenze e al conseguente licenziamento di 500 persone che ha scatenato la reazione degli operai della fabbrica di Campi Bisenzio e la solidarietà di massa della popolazione di tutta la Piana fiorentina. Una mobilitazione così forte che è riuscita a organizzare imponenti manifestazioni fino a coinvolgere in un movimento nazionale contro i licenziamenti e contro lo strapotere delle multinazionali migliaia di lavoratrici e lavoratori, studenti, disoccupati, organizzazioni sindacali, politiche e sociali. Per questo il Collettivo di fabbrica Gkn, pur bocciando categoricamente il provvedimento governativo, può affermare che la loro lotta e i “Cinque mesi di assemblea permanente hanno posto in maniera irreversibile il dibattito di quale intervento statale e per fare cosa”.
Da qui è iniziata tutta la discussione nei partiti e nel governo, attraverso gli interventi della vice ministra dei 5 Stelle Alessandra Todde e il ministro Orlando, che per primi hanno invocato una legge anti-delocalizzazioni, ma “rispettosa delle aziende”. Sono stati subito stoppati dalla Confindustria che con Bonomi tuonava ripetutamente “è un decreto fortemente e ideologicamente anti-imprese”. Sul quotidiano degli industriali, Il Sole 24 ore , si sono sprecati gli articoli che sostenevano come qualsiasi misura di limitazione dell'azione padronale fosse anticostituzionale, contro il “libero mercato” e “la libertà”. Il tutto condito dalla teoria che una legge in questo senso avrebbe aggravato la situazione, perché le aziende sarebbero fuggite dall'Italia, che invece per attirarle dovrebbe lasciar loro il campo ancor più libero da regole, sanzioni e rispetto degli impegni. Ma quello che sta succedendo adesso, dove le multinazionali approfittano degli incentivi e degli aiuti di stato per poi andarsene alla prima occasione vantaggiosa lasciando dietro di sé il deserto non ha insegnato niente?
Naturalmente il banchiere massone Draghi che guida il governo ha fatto proprie le “indicazioni” di Bonomi e dei padroni, partorendo assieme ai partiti che lo sostengono questo provvedimento farsa. Un vero e proprio bluff che l'ex premier Conte ha avuto la faccia tosta di definirlo “una sintesi nel segno della responsabilità sociale delle imprese” quando persino un giornale che sostiene a spada tratta il governo come La Repubblica titolava: “sanzioni irrisorie per le multinazionali che delocalizzano”.
E vediamole quali sono queste sanzioni. Esse riguardano fabbriche con almeno 250 dipendenti (lo 0,1% del totale) e licenziamenti di almeno 50 unità non dovuti a squilibri economico-finanziari, e obbliga le aziende a comunicare in anticipo la chiusura alle istituzioni, e a presentare un piano che ne limiti l’impatto sociale. Senza il piano o in assenza dell’accordo sindacale, scattano le sanzioni: nel primo caso il raddoppio di quanto previsto dalla legge 92 (la “Fornero”) per i licenziamenti collettivi; nella seconda fattispecie, un 50% in più dello stesso contributo. La Cgil ha realizzato uno studio che conteggia la sanzione, che si basa sulla retribuzione della Naspi, l’indennità di disoccupazione. Attraverso un complesso ma attendibile calcolo la Cgil ci dice che l’applicazione della norma anti-delocalizzazioni costerebbe all'imprenditore complessivamente (contributo comunque dovuto in base alla legge sui licenziamenti collettivi più la nuova sanzione) 10.800 euro per ogni lavoratore nella prima fattispecie (inadempienza) e 8.100 nella seconda (mancato accordo sindacale) in caso di stipendio da 1.200 euro; 11.566 e 8.673 in caso di stipendio da 1.400 euro.
Moltiplicando queste cifre per 300 dipendenti (valore medio delle chiusure di stabilimenti avvenute fin qui in Italia) la sanzione complessiva oscillerebbe tra un massimo di 3,4 milioni a un minimo di 2,6 milioni. Parte dei quali le aziende sarebbero già tenute a pagarla oggi in base alle norme vigenti sui licenziamenti collettivi. Il che significa che l’aggravio netto sarebbe in realtà nell'ordine di centinaia di migliaia di euro. Il Collettivo di Fabbrica ha calcolato che la loro fabbrica avrebbe chiuso tranquillamente con un “aggravio” inferiore al milione di euro, quando la Gkn ha un fatturato di 10 miliardi di sterline (12 miliardi di euro) mentre ad esempio multinazionali come Caterpillar fatturano 41 miliardi di dollari e Whirlpool 19 ( che oltretutto in Italia ha beneficiato di 100 milioni di euro di fondi pubblici).
Ben più stringenti erano i vincoli e il controllo operaio della proposta di legge anti-delocalizzazioni elaborata dall'assemblea dei lavoratori Gkn con la consulenza e il sostegno di un gruppo di giuristi progressisti e solidali, che abbiamo già pubblicato sulle pagine de Il Bolscevico . Ha proposito, che fine ha fatto questa articolata proposta, denominata “Mantero” perché presentata dal parlamentare di Potere al Popolo Matteo Mantero? Ebbene, la Commissione Bilancio del governo ha bocciato l'emendamento, accettando invece quello Giorgetti-Orlando, dimostrando da che parte sta il governo Draghi: dalla parte dei padroni, del capitalismo,della grande finanza, dalla Ue imperialista e delle multinazionali.

12 gennaio 2022