Tutto dedicato alla sicurezza, alla legalità e alla videosorveglianza
Il protocollo Lamorgese non mette al primo posto lavoro e sviluppo per Napoli
La giunta Manfredi supina agli ordini del governo Draghi

Redazione di Napoli
Nelle stanze della Prefettura, alla presenza del sindaco di Napoli burattino di Draghi, Conte e De Luca, Gaetano Manfredi, del suo entourage e del prefetto Claudio Palomba, oltre che dei vertici delle “forze dell’ordine” territoriali, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese ha presentato, il 20 gennaio, l’accordo preconfezionato dall’esecutivo nazionale in camicia nera relativo alla “attuazione di una serie di iniziative organiche ed integrate di prevenzione sociale mirate alla riqualificazione del tessuto urbano, al recupero del degrado ambientale, ad animare le periferie contrastando i comportamenti devianti e contribuendo ad elevare i livelli di sicurezza e vivibilità”.
Il “piano Lamorgese per la sicurezza” è stato approvato nelle stanze chiuse del palazzo di piazza Plebiscito e senza che venisse coinvolta una delle organizzazioni sindacali, un Comitato territoriale od organizzazione delle masse (nonostante nell’incipit dell’accordo si faccia riferimento ad una non ben chiarita “sicurezza partecipata” con la società civile). In realtà la mancanza di lavoro, la vera piaga che attanaglia Napoli da decenni e che è la vera responsabile della tenuta in vita della camorra, non viene risolto, ma anzi un piano occupazionale viene relegato ad ancella della “sicurezza pubblica, della legalità, dell’aumento della videosorveglianza”. Infatti, la parola “lavoro” appare per la prima volta a pag. 4 dell’accordo ma come “tutela” nei luoghi dove si svolge: “il tema della sicurezza pubblica deve necessariamente accompagnarsi ad una maggiore affermazione della legalità da attuare anche attraverso una più incisiva ed integrata azione di vigilanza in materia di tutela del lavoro, con particolare riferimento alla prevenzione e al controllo della sicurezza sui luoghi di lavoro soprattutto in quegli ambiti, come ad esempio quello portuale, caratterizzato dalla compresenza di diversi e importanti poli produttivi, di un sistema di piccole e medie imprese nonché di diversi cantieri”. Nessun riferimento a un piano occupazionale, di sviluppo, di reindustrializzazione pianificata, mentre alla tutela del lavoratore viene anteposta quello dell’impresa, a tutto viene preferito il tema della sicurezza pubblica e della legalità.
Al primo posto, ancora, dovrebbe andare invece una panacea per il male endemico di Napoli che è la disoccupazione giovanile soprattutto nei quartieri popolari, non certo la realizzazione, ripetuta con una certa ossessione, di nuovi sistemi di videosorveglianza e video allarme ad integrazione degli impianti già esistenti adottando le tecnologie idonee a realizzare “il diretto collegamento con le sale operative delle Forze di Polizia e garantendo gli standard tecnologici/qualitativi richiesti dal Decreto Legge 14/2017 e di compatibilità con la rete del capoluogo campano”.
Il piano Lamorgese prevede la militarizzazione del territorio con il varo di specifici strumenti normativi quali i “Patti per l’attuazione della sicurezza urbana” e gli “Accordi per la sicurezza integrata” che potrebbero essere declinati tramite delle ordinanze comunali ad hoc, cui si aggiunge, afferma il protocollo, il varo addirittura di un Regolamento di Sicurezza Urbana da parte della giunta Manfredi, che introdurrà il repressivo “DASPO Urbano” secondo le stesse modalità neofasciste presenti nella famigerata legge n. 48 del 2017.
Il secondo tema trattato diffusamente nel protocollo è quello della casa e dei senzatetto e anche qui si deve sottolineare, ad onor del vero, che noi marxisti-leninisti non vedevamo un piano anche minimale per l’abitazione - come quello frettolosamente impresso nell’accordo - da decenni. Da tempo riteniamo che non solo la costruzione di nuovi appartamenti soprattutto per le famiglie povere e disagiate con prezzi popolari e la requisizione degli appartamenti sfitti o non assegnati dovrebbe essere la priorità delle istituzioni centrali e locali. I governi di “centro-sinistra” hanno lasciato, invece, sull’argomento solo macerie: su tutti l’esempio di un intero palazzone, quello di via Scarpetta nel quartiere di Ponticelli, dove in centinaia vivono in condizioni precarie dopo aver occupato da anni un vecchio presidio comunale con la municipalità e la ex giunta De Magistris incapaci di dare per dieci anni una risposta concreta alla situazione concreta.
Ben venga “la realizzazione di interventi di accoglienza e di prevenzione sociale e sanitaria a favore di persone senza fissa dimora o in condizione di marcata marginalità socio-economica”, come recita l’art. 5, cui si deve aggiungere però anche il contenimento degli sfratti. Ancora una volta non è al primo posto la questione casa e non si capisce con quali soldi si vogliano realizzare tutte queste cose, atteso il bilancio in rosso delle casse comunali lasciato da De Magistris. Anche in questo caso l’accordo prevede che le istituzioni si facciano carico - assieme alle organizzazioni sindacali, chiamate per la prima volta nel protocollo, ma non presenti né alla costituzione né alla sottoscrizione dello stesso - affinché “vengano individuati alloggi sfitti da indirizzare a soluzioni di emergenza abitativa; sia promosso il recupero di strutture pubbliche - anche oggetto di confisca alla criminalità organizzata - da riqualificare e destinare a graduatorie specifiche derivanti da sfratto per morosità incolpevole”. E si completa questa parte iniziale del protocollo Lamorgese con la concessione in affitto alle famiglie povere di case a canone ridotto rispetto a quello di mercato, “a cittadini che si trovano in una situazione di disagio economico nonché a valutare la possibilità di erogare forme di finanziamento al Comune per soggetti bisognosi”. In questo senso sembra avviarsi l’art. 9, ossia “misure a tutela del patrimonio immobiliare anche confiscato alla criminalità organizzata” dove c’è il richiamo a tutte le istituzioni locali ad assicurare “la manutenzione costante del proprio patrimonio immobiliare, nonché il risanamento di quei luoghi in stato di degrado ed abbandono”.
Il progetto allarga le proprie maglie a progetti finalizzati a creare centri dedicati alle vittime di violenza (donne e bambini) e case rifugio; nidi e micronidi; alla riduzione del disagio abitativo; strutture diurne o residenziali, centri per alloggio/inclusione sociale delle persone che vivono in condizioni di esclusione; riqualificazione di spazi pubblici; utilizzo di beni per fini istituzionali.
L’art. 11 tratta dell’“attuale situazione di crisi economica ed occupazionale”, auspica un “tavolo anticrisi a collaborazione interistituzionale e di confronto con la società civile” presso la prefettura “con funzione propositiva e di indirizzo, coadiuvato da gruppi di lavoro tematici (lavoro, disagio sociale, accesso al credito e al microcredito di imprese e famiglie)”. Non vi è un piano di occupazione e sviluppo bensì si richiedono “appositi accordi e intese con organizzazioni, fondazioni ed imprese operanti nel Terzo settore, al fine di valorizzare i contributi e i progetti di quegli operatori economici che, nell'esercizio della propria attività economica e sociale, abbiano l’obiettivo di realizzare anche iniziative di sviluppo territoriale”, ossia le aziende.
Gli articoli successivi sono dedicati a misure in favore degli anziani e di contrasto alla violenza sulle donne, ma in quest’ultimo caso non si parla esplicitamente di aumento dei centri antiviolenza, assolutamente insufficienti e di case rifugio, quasi inesistenti sul territorio né di qual è l’apporto economico al progetto, lasciato al caso.
Non può essere condiviso l’art. 16 intitolato “interventi in favore dei giovani: contrasto alla dispersione e abbandono scolastico, al disagio e alla devianza minorile”, tenuto conto che la soluzione preferita dall’accordo sarebbe quello di destinare milioni di euro (almeno 3) alla legalità e “inclusione sociale” dei minorenni, e, per contrastare la devianza minorile, vi sarebbe “la presa in carico di 300 minori tra i 6 e i 18 anni, a grave rischio di emarginazione sociale e criminalità, attraverso il contrasto della dispersione scolastica e l’avviamento di un percorso di inclusione, che comprende anche la formazione professionale”. Non si capisce perché in numero così ristretto a fronte delle migliaia di giovani in situazione disagiata né quale sia il criterio di scelta; ancora una volta non sono il lavoro e la formazione per l’occupazione la scelta prioritaria.
L’art. 17 si occupa dei migranti con un importo già stanziato “di circa 1.499.984 euro, relativo al recupero funzionale e al riuso degli immobili confiscati alla criminalità organizzata siti in vico VI Duchesca n. 12 e via Vittorio Emanuele III n.13 per l’attivazione di un Centro per l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati regolari e di un Centro per l’accoglienza delle donne vittime di tratta”. Staremo a vedere, di certo nulla si dice su uno specifico piano occupazionale.
Sulla stessa falsariga ci sono iniziative - finalmente! - a favore della comunità rom con censimento e destinazione di alloggi abitativi, favorendo il dialogo mai esistito. L’art. 19 sembra andare in direzione accettabile e per la prima volta dobbiamo sottolineare favorevolmente - per ora sempre sulla carta - la realizzazione di interventi in favore delle comunità rom ed in particolare alla riattivazione di un complesso edilizio sito in via delle Industrie. Va detto che il progetto è assolutamente insufficiente - sarebbero coinvolte soltanto 80 famiglie - e non è chiaro in che modo si avvierà “il superamento dei campi”.
L’art. 18 è dedicato agli “homeless” che hanno il loro presidio fisso presso la stazione centrale ferroviaria di Napoli: uno spettacolo indegno con i senzatetto destinati a patire il freddo peggiore, fino ai casi di morte. Non possiamo concordare con il piano di recupero che è completamente demandato sulle spalle della giunta Manfredi che dal suo insediamento non ha ancora proseguito nell’attività di censimento delle strutture napoletane che erogano servizi per tale tipologia di soggetti fragili cui certo non basta la distribuzione di pasti in strada, servizio mensa, accoglienza notturna, servizio doccia, guardaroba, sportello di ascolto e orientamento, assistenza legale, assistenza psicologica, assistenza sanitaria, ma quella della loro completa risocializzazione, con azzeramento dei soggetti relegati a questa condizione di degrado che invece sta aumentando in maniera esponenziale nelle grandi città. Speriamo di non vedere più le vergognose file a piazza Mercato per un pasto, per ore sotto la pioggia o il sole cocente.
Da rigettare la parte forse più repressiva e cieca dell’accordo, quella relativa alla “Napoli di notte” e, in particolar modo, ciò che riguarda i locali nuovi e non, i Bed and breakfast , gli airbnb aperti da poco e a conduzione prevalentemente familiare che hanno rappresentato in questi ultimi anni un argine per sopportare la crisi economica dovuta al coronavirus. La movida napoletana che si sviluppa nell’arco che va dalle 9 della sera fino alle prime luci dell’alba ha dato luogo alla spontanea iniziativa di aprire decine di piccole imprese familiari, soprattutto nella zona che va da via Salvator Rosa fino a Chiaia e in cui si riversano migliaia di giovani, soprattutto studenti e studentesse medi e universitari che animano la città, soprattutto nel lungomare. Invece di aprire musei, monumenti e la cultura anche di notte per permettere a chi lavora di fruire la città, sembra, invece, che l’accordo voglia solo indirizzare a stroncare i fenomeni legati all’uso di alcol, le risse, con presidi territoriali delle “forze dell’ordine” fino a paventare la chiusura anticipata (a mezzanotte?) dei locali medesimi, il che stroncherebbe sul nascere la piccola economia. Tra l’altro il recupero delle tradizioni culturali e culinarie napoletane ha tenuto lontano dalla criminalità proprio coloro che hanno creduto nella forza della piccola impresa, quasi sempre a base familiare, e che vede i propri introiti materializzarsi nelle ore serali, dopo l’orario di chiusura di fabbriche e uffici, soprattutto il fine settimana. Il che contrasta anche con la perenne visione delle istituzioni nazionali e locali di Napoli come la “città vetrina” come voleva il rinnegato del comunismo e amico dei fascisti Bassolino, di espulsione dal centro cittadino delle masse per far posto ai grandi alberghi, ristoranti lussuosi, locali chic, soprattutto nella zona del lungomare di via Caracciolo, tutti proni ad una “turistificazione” del centro. Questa parte dell’accordo va in direzione opposta rispetto al potenziamento del trasporto pubblico, soprattutto come collegamento con le periferie; all’apertura il fine settimana della metropolitana centrale e collinare anche la sera fino a far giungere la stessa a ricoprire il suo funzionamento 24 ore su 24; la costruzione dei bagni pubblici anche attraverso la valorizzazione e la riapertura dei sottopassaggi che vanno liberati dall’incredibile immondizia che li invade (basta segnalare quelli a ridosso di piazza Trieste e Trento e della stazione centrale).
In definitiva l’accordo Lamorgese va rigettato in toto tanto nella parte della sicurezza e militarizzazione del territorio quanto nella parte carente di un piano di occupazione e sviluppo votato alla nuova industrializzazione del territorio che possa ridare ossigeno alla città cominciando con l’assunzione di giovani e non. Certi termini, ormai ben conosciuti da noi marxisti-leninisti, risultano vuoti, ridondanti e sterili per rilanciare Napoli: “burocrazia zero”, “semplificazione amministrativa”, “microcredito”. Tutte locuzioni fuorvianti - richiamate più volte all’art. 25 del protocollo - e che già si sono rilevate insufficienti per il contrasto ai clan e al rilancio del lavoro all’ombra del Vesuvio.

16 febbraio 2022