Per finanziamento illecito e per corruzione
Chiesto il rinvio a giudizio di Renzi e alcuni membri della sua cricca
L'ex premier denuncia i pm

Il 9 febbraio la procura di Firenze ha chiuso l'inchiesta sui finanziamenti illeciti alla Fondazione Open, considerata la cassaforte della corrente politica di Matteo Renzi, e ha chiesto il rinvio a giudizio di 11 imputati e quattro società tutti accusati a vario titolo di finanziamento illecito ai partiti, corruzione, riciclaggio e traffico di influenze. Nell'inchiesta, condotta dal Pubblico ministero (Pm) Antonino Nastasi insieme al procuratore aggiunto Luca Turco e al procuratore capo di Firenze Giuseppe Creazzo, è coinvolto tutto il “Giglio magico” renziano a cominciare dallo stesso ex premier Renzi, l’ex ministra delle Riforme e attuale capogruppo di Italia viva alla Camera, Maria Elena Boschi, l’ex ministro dello Sport, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e attuale deputato del Pd Luca Lotti, l’avvocato Alberto Bianchi – già presidente di Open – e l’imprenditore Marco Carrai, considerato il “Verdini” di Italia Viva e di Renzi.
Richiesta di rinvio a giudizio anche a carico degli imprenditori Alfonso Toto, boss dell’omonimo gruppo di costruzioni e titolare di alcune importanti concessioni autostradali; Patrizio Donnini, vicinisssimo al Giglio magico, amministratore della Immobil Green srl nonché titolare dell'agenzia di comunicazione Dotmedia che per anni ha partecipato all’organizzazione della Leopolda; Riccardo Maestrelli, l’imprenditore con l’azienda più importante di frutta e verdura alla Mercafir di Firenze, nominato dal governo Renzi nel cda alla Cassa depositi e prestiti nel 2015 e elargitore del prestito di 700mila euro con cui Renzi acquistò la prestigiosa villa nella esclusiva collina di piazzale Michelangelo a Firenze; Carmine Ansalone e Giovanni Caruci, manager della British American Tobacco (Bat); e Pietro Di Lorenzo Pietro, imprenditore a capo della Irmb di Pomezia.
A giudizio anche le quattro società coinvolte: la Toto Costruzioni, la Immobil Green, la British American Tobacco Italia spa e la Irbm spa (già Irbm Science park spa).
Secondo la procura fiorentina la Fondazione Open ha agito come l’articolazione di un partito e tra il 2012 e il 2018 avrebbe ricevuto “in violazione della normativa” sul finanziamento ai partiti circa 3,5 milioni di euro, spesi almeno in parte per sostenere direttamente l’attività politica della corrente renziana del Pd.
L’udienza preliminare si terrà il 4 aprile prossimo.
Al centro dell’inchiesta ci sono i finanziamenti alla fondazione di Renzi per organizzare alcune edizioni della Leopolda e sostenere la scalata dell’ex premier alla segreteria del Pd e a Palazzo Chigi. Secondo l’accusa Open era diretta dallo stesso ex segretario del Pd. Il 19 ottobre scorso i Pm Luca Turco e Antonino Nastasi avevano inviato un avviso di conclusione indagini alle undici persone e alle quattro società imputate.
L’inchiesta è stata avviata nel settembre del 2019, quando la procura delegò alla Guardia di Finanza decine di perquisizioni ai finanziatori della stessa Open in varie città italiane.Nei faldoni dell'inchiesta ci sono le prove che dal 7 novembre 2014 all’11 luglio 2018 la Fondazione ha ricevuto 3.567.562 euro. La Guardia di Finanza ha compilato una lunga lista di finanziatori alcuni dei quali secondo l'accusa hanno corrotto Luca Lotti perché nella sua carica di segretario del Comitato Interministeriale per la programmazione economica li agevolasse nei rispettivi settori.
Secondo le informative agli atti dell’inchiesta, Renzi ha usufruito di “beni e servizi” del valore di 548.990 euro, pagati dalla fondazione tra il 2012 e il 2018: mezzo milione in sei anni e mezzo. Nell’elenco delle spese c’è di tutto: biglietti aerei, del treno, cellulari, ipad, abbonamenti telefonici, pranzi e “spuntini”, persino 7,5 euro di rimborso, motivati in nota spese nel gennaio del 2014 con “Auguri Natale Quirinale“. Molto inferiori le cifre usate da Open per Lotti e Boschi: quasi 27mila euro per il primo, 5.900 per la seconda.
I Pm sono convinti che Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi erano “componenti del consiglio direttivo della Fondazione Open, riferibile a Renzi Matteo (e da lui diretta)”. E per questo all’ex premier viene contestato il reato di finanziamento illecito ai partiti come direttore “di fatto” della stessa fondazione. Renzi, Bianchi, Carrai, Lotti e Boschi sono indagati per l’ipotesi di reato di finanziamento illecito ai partiti perché “ricevevano, in violazione della normativa citata, i seguenti contributi di denaro che i finanziatori consegnavano alla Fondazione Open; somme utilizzate per sostenere l’attività politica di Renzi, Lotti e Boschi e della corrente renziana”.
Non a caso nei faldoni dell'inchiesta ci sono anche gli articoli e i post al veleno pubblicati in rete dalla cosiddetta “Bestia viola” ossia la struttura social del “Giglio magico” particolarmente attiva tra il 2016 e il 2018 nell'attaccare, screditare e distruggere la reputazione di avversari politici e giornalisti ostili e fare propaganda per Renzi.
Secondo gli inquirenti, il fatto che Open finanziasse la “Bestia viola” e che questa facesse propaganda per Renzi e i suoi sodali dimostra che la fondazione operava proprio come un'articolazione di partito ma senza rispettare gli stessi obblighi di trasparenza imposti ai partiti. Per questo motivo gli inquirenti sono molto interessati al verbale di scioglimento di Open e in particolare alla versione originaria in cui Bianchi mette nero su bianco che dopo la sconfitta al referendum del 2016, le politiche del 2018 e le dimissioni di Renzi da segretario del Pd, la fondazione ha esaurito le sue finalità. Per lo stesso motivo la Guardia di Finanza pone pure l’accetto sulla fretta manifestata dallo stesso presidente nel gennaio del 2019, quando comunicherà a Boschi e Lotti la necessità di concludere la liquidazione di Open prima dell’entrata in vigore della legge Spazzacorrotti.
Nell’inchiesta ci sono anche alcune accuse di corruzione che la procura rivolge a Lotti, Bianchi e a Giovanni Caucci e Gianluca Ansalone. La storia è quella “dell’emendamento morto“, per usare la frase dello stesso Lotti. La norma in questione era stata depositata alla legge di bilancio del 2017 e impegnava il governo ad aumentare le accise sul tabacco. L’emendamento saltò all’ultimo. Secondo la procura, in cambio la Bat ha donato a Open poco più di 253mila euro in totale negli anni 2014, 2015 e 2017. Ma ha anche affidato due incarichi di consulenza da 83mila euro a Bianchi. Quella fattura, però, per la procura è falsa come fittizia è – secondo l’accusa – la prestazione professionale dell’avvocato, che versò poi il ricavato, al netto delle imposte, alla fondazione. Bat ha anche nominato nel suo collegio sindacale Lorenzo Anichini, già tesoriere del Comitato Basta un Sì.
Un’altra accusa di corruzione riguarda la Toto costruzioni e l'allora ministro Lotti. A quest'ultimo i Pm contestano il fatto di essersi “ripetutamente adoperato, nel periodo temporale 2014-giugno 2018, affinché venissero approvate dal Parlamento disposizioni normative favorevoli al gruppo Toto”. Agli atti ci sono tutta una serie di chat – tra Lotti e Bianchi e tra quest’ultimo e Alfonso Toto – che secondo gli investigatori rappresentano “un chiaro collegamento tra l’attività di ‘promozione legislativa‘, di cui Lotti è stato il terminale ultimo, e le richieste avanzate da Toto”.
Tra le accuse contestate dalla procura ci sono anche due ipotesi di traffico d’influenze. Una è nei confronti di Donnini, accusato anche di finanziamento illecito, perché secondo gli inquirenti, sfruttando i suoi rapporti con Lotti si era fatto dare più di un milione di euro da Toto, tramite la società Renexia, che aveva acquistato una serie di sue società con un valore “notevolmente inferiore”. L’altra ipotesi di traffico di influenze è contestata a Bianchi e Di Lorenzo perché quest’ultimo ha versato 130mila euro alla fondazione Open – attraverso società e persone a lui riconducibili – e in cambio ha ottenuto l’erogazione di finanziamenti pubblici per la realizzazione di una tv scientifica da parte del Cncss, partecipato dalla sua Irbm, dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) e dall’Istituto superiore di Sanità (Iss). Il meccanismo, per gli inquirenti, era sempre lo stesso: i rapporti tra Bianchi e Lotti, che è stato anche segretario del Comitato Interministeriale per la programmazione economica, da cui passavano i finanziamenti per i progetti a cui Di Lorenzo era interessato.
Nel corso delle indagini più volte Renzi ha attaccato la procura di Firenze per l’indagine Open. Ma ora che è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio e l'incubo del processo si fa sempre più concreto, il boss di Italia viva cerca di buttare la palla in tribuna e, come il suo maestro Berlusconi, si scaglia con particolare veemenza contro la magistratura. In una nota diffusa immediatamente dopo la notifica degli avvisi giudiziari, Renzi attacca frontalmente anche sul piano personale tutti i pubblici ministeri che si sono occupati dell’indagine Open: “È utile ricordare – si legge nella nota diffusa dall'ufficio stampa di Iv - che la richiesta è stata firmata dal Procuratore Creazzo, sanzionato per molestie sessuali dal Csm; dal procuratore aggiunto Turco, che volle l’arresto dei genitori di Renzi poi annullato dal Tribunale della Libertà e dal Procuratore Nastasi, accusato da un ufficiale dell’Arma dei Carabinieri di aver inquinato la scena criminis nell’ambito della morte del dirigente Mps David Rossi. Questi sono gli accusatori”.
Renzi si riferisce alla perdita di due mesi di anzianità inflitta nel dicembre scorso dal Consiglio superiore della magistratura al procuratore Creazzo, accusato dalla Pm di Palermo Alessia Sinatra di averla molestata sessualmente nel 2015 in un hotel romano durante un’iniziativa della loro corrente, Unicost. Su Nastasi, invece, Renzi rilancia le accuse – tutte da dimostrare – del colonnello Pasquale Aglieco che ha sostenuto di aver visto Nastasi rispondere al cellulare di David Rossi, subito dopo che il manager Mps era precipitato dalla finestra del suo ufficio. I fatti risalgono al 2013, le accuse di Aglieco però sono arrivate solo nove anni dopo e soltanto davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Rossi.
Renzi addirittura si ritiene vittima di un “processo mediatico”, un “abuso” e una “barbarie” e annuncia di aver già denunciato i Pm che hanno osato indagarlo alla procura di Genova, competente sui colleghi fiorentini, per violazione dell’articolo 68 della Costituzione, che vieta di perquisire i parlamentari. “Il senatore Renzi – si legge nella nota dell’ufficio stampa – ha provveduto a firmare una formale denuncia penale nei confronti dei magistrati Creazzo, Turco, Nastasi. L’atto firmato dal senatore sarà trasmesso alla Procura di Genova, competente sui colleghi fiorentini, per violazione del’articolo 68 Costituzione, della legge 140/2003 e dell’articolo 323 del codice penale. Renzi ha chiesto di essere ascoltato dai Pm genovesi riservandosi di produrre materiale atto a corroborare la denuncia penale contro Creazzo, Turco, Nastasi”.
Un'accusa a dir poco ridicola: prima di tutto perché, all’epoca dei fatti contestati Renzi non era ancora stato eletto al Senato, in secondo luogo perché i messaggi e le chat agli atti dell’inchiesta Open sono contenuti nei cellulari sequestrati ad altri indagati e non quindi al senatore d’Italia viva. Immediata la risposta dell'Associazione nazionale magistrati (Anm) secondo cui: “Le parole del senatore della Repubblica Matteo Renzi travalicano i confini della legittima critica e mirano a delegittimare agli occhi della pubblica opinione i magistrati che si occupano del procedimento a suo carico... I Pm che hanno chiesto il processo hanno adempiuto il loro dovere, hanno formulato una ipotesi di accusa che dovrà essere vagliata, nel rispetto delle garanzie della difesa, entro il processo, e non è tollerabile che siano screditati sul piano personale soltanto per aver esercitato il loro ruolo”.
I Pm conclude l'Anm: “sono stati tacciati di non avere la necessaria credibilità personale in ragione di vicende, peraltro oggetto di accertamenti non definitivi o ancora tutte da verificare, che nulla hanno a che fare con il merito dei fatti che gli sono contestati”.

23 febbraio 2022