Certificato dall'Istat
Al Sud lavora una donna su tre
900 mila donne under 34 non studiano né lavorano

 
È notizia di questi giorni il dato allarmante della disoccupazione femminile al Sud, rilevato dal Centro studi di Confcommercio e certificato dall'Istat: il tasso di occupazione delle donne nella fascia di età tra i 15 e i 64 anni al Sud "è precipitato al 33%", diminuendo al 28-29% in Campania e Sicilia, contro la media del 59,2% al Centro-Nord e del 63% nell'Ue, cioè 30 punti indietro al resto dell'Italia e dell'Europa.
In altre parole al Sud lavora una donna su tre, meno della metà delle donne emiliane e romagnole e delle toscane, per fare un esempio. E questo da sempre, basta pensare che nel 2000, il tasso di occupazione femminile del Meridione era poco sopra il 28%, cioè in 22 anni è cresciuto solo del 5%.
La maggior parte delle donne del Sud che lavorano hanno un contratto part-time, e quasi sempre lo hanno dovuto accettare per sopperire alla mancanza di servizi per le lavoratrici madri come gli asili nido: il rapporto tra posti disponibili nei nido e bambini tra 0 e 3 anni è al 25,5% (in alcune zone del nostro Meridione scende al 6%) contro l'obiettivo europeo del 33%.
La Svimez nel suo recente Rapporto annuale ha acceso i riflettori su un altro dato allarmante che riguarda 900 mila ragazze del Sud sotto i 34 anni (Neet) che non studiano, non lavorano e non cercano lavoro e che non frequentano nessun corso di formazione. Esse rappresentano il 40%, un tasso altissimo se paragonato al 18% in media dell'Ue e al 21% del Nord.
Le giovani del Sud abbandonano la scuola e i corsi di formazione nel 15% dei casi, contro il 9% delle coetanee del Nord. Anche per le laureate la situazione non è rosea: 5 laureate su 10 al Sud trovano lavoro a tre anni dalla laurea contro un 7 su 10 di quelle del Centro-Nord.
E se perdono il lavoro le donne del Sud non lo ritrovano o ci mettono molto tempo. 13% contro 4% del resto del Paese è il tasso di disoccupazione di lunga durata per le masse femminili nel Meridione.
Questa è la drammatica situazione dell'occupazione femminile del nostro martoriato Sud, e non sarà certo sanata dai 50 milioni di euro annui a decorrere dal 2023 stanziati nella legge di bilancio approvata recentemente dal parlamento a colpi di fiducia del governo dell'ultraliberista Draghi per incrementare il “Fondo per il sostegno della parità salariale di genere”, istituito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali in maniera generica, senza un minimo accenno o provvedimento specifico per incrementare l'occupazione femminile al Sud. Peraltro cercando demagogicamente di “certificare” una “parità di genere” che sappiamo bene non potrà minimamente essere conquistata senza distruggere la cultura, la morale e la concezione dominante borghesi e con esse il sistema capitalista, causa delle discriminazioni fra donna e uomo non solo nel lavoro ma anche nell'ambito familiare e sociale.
Per noi marxisti-leninisti le due leve fondamentali dell'emancipazione delle donne sono il lavoro e la socializzazione del lavoro domestico, e i dati dell'occupazione femminile al Sud ci danno la drammatica conferma di quanto l'esistenza e la funzionalità dei servizi sociali essenziali, come gli asilo nido, siano un fattore determinante per permettere alle donne di lavorare.
Pertanto, e l'imminente giornata internazionale delle donne dell'8 Marzo sarà senz'altro un'occasione preziosa per portare nelle piazze le nostre rivendicazioni, non smetteremo mai di batterci con tutte le nostre forze per un lavoro vero che deve essere a tempo pieno, a salario intero e sindacalmente tutelato per tutte le donne. Siamo contrari all'obbligo del lavoro a distanza che si sta rivelando appannaggio esclusivo delle donne murandole vive nelle case, senza più confini fra lavoro e riposo, fra lavoro retribuito e lavoro familiare e domestico, che le ghettizza e le isola socialmente, sindacalmente e politicamente. Il lavoro a distanza finisce per rappresentare la riedizione, in chiave moderna e tecnologica, del lavoro a domicilio che per decenni ha usato il capitalismo per supersfruttare la forza-lavoro femminile pur continuando a schiavizzarle nel lavoro domestico e familiare a tempo pieno. Occorre mettere fine alla politica dei bonus e dei voucher che riflettono una concezione privatistica e familista del Welfare e rivendicare al contrario la costruzione di una fitta rete di servizi sociali, sanitari e scolastici pubblici in tutto il territorio nazionale, a partire dal Mezzogiorno. Occorre richiedere l’abrogazione della “riforma Fornero” e delle controriforme delle pensioni che l'hanno preceduta, ripristinando un sistema pensionistico pubblico, universale, unificato, a ripartizione, e istituendo la pensione a 60 anni per gli uomini e 55 per le donne. Occorre combattere la povertà delle donne respingendo l’elemosina del “Reddito di cittadinanza” rivendicando anzitutto il lavoro per tutte e tutti, l’aumento dei salari e delle pensioni, il lavoro per le disoccupate e le inoccupate, l’eliminazione della precarietà e la gratuità dei servizi sociali, sanitari e assistenziali pubblici.
Sono battaglie strategiche che non potranno essere vinte completamente fermo restando il sistema capitalistico ma che avranno bisogno della conquista del socialismo e del potere politico da parte del proletariato per realizzarsi pienamente e stabilmente.

23 febbraio 2022