Giornata di mobilitazione nazionale
Sciopero dei lavoratori Tim contro i licenziamenti e lo smembramento del gruppo
Manifestazioni in tutta Italia

Il 23 febbraio i lavoratori della Tim hanno scioperato in tutta Italia per difendere il proprio posto di lavoro messo in discussione dalla cosiddetta “operazione spezzatino” che intende cedere interi asset del gruppo, ovvero dividere i vari settori dell'azienda di telecomunicazioni per mettere sul mercato quelli più appetibili. Uno scorporo che piace ai grandi investitori finanziari che intravedono dei nuovi e lauti guadagni, ma per quanto riguarda i lavoratori si prospetta all'orizzonte una perdita occupazionale che i sindacati stimano attorno alle 8mila unità.
Quella di Tim è un'altra vicenda emblematica dei danni provocati dalle privatizzazioni parziali o totali, portate avanti ininterrottamente negli ultimi decenni da tutti i governi, con quelli di “centrosinistra” che spesso hanno superato quelli di centrodestra per liberismo economico. Tra i principali artefici il democristiano Prodi e il banchiere massone Draghi: Alfa Romeo, Eni, Enel, Autostrade, Snam, Poste Italiane e tanti altri “gioielli di famiglia”, come venivano chiamate le aziende di proprietà dello Stato generalmente collocate in settori considerati strategici come quelli dei trasporti, energia e comunicazioni.
Queste aziende, soprattutto quelle totalmente privatizzate, sono state svendute a prezzi stracciati a pescecani che spesso le hanno rivendute ad altri privati a prezzi più che decuplicati, oppure ricavandone facili guadagni sfruttando la loro posizione di monopolio ma al tempo stesso licenziando migliaia di lavoratori e lasciando le strutture in condizioni fatiscenti; emblematica al riguardo la concessione di Autostrade alla famiglia Benetton.
Lo stesso è avvenuto per Tim, ex Telecom e un tempo gestore unico della telefonia nel nostro Paese. Dopo varie peripezie e passaggi di proprietà, le quote azionarie pubbliche di Cassa depositi e prestiti (controllata dal Ministero dell'economia) sono ridotte sotto il 10%. Dopo i grandi guadagni che sono andati nelle tasche dei capitalisti, i bilanci sono cambiati in rosso, e come al solito si cerca di privatizzare i profitti e scaricare sulla collettività le perdite.
L'attuale Amministratore Delegato (AD) Pietro Labriola punta a rilanciare i ricavi, che si prevede cresceranno soprattutto in Brasile e nell’area dei grandi clienti, e a “ristrutturare i costi”. A tale scopo intende separare la società dei servizi, fissi e mobili, il cloud di Noovle, l’Ict di Olivetti, la cyber sicurezza di Telsy, le reti mobili e le torri di Inwit in una ServiceCo, che si staccherebbe dalla Netco, colonna dorsale di Tim dove invece resterà la maggior parte del debito e del personale, nonché la rete primaria e secondaria di Fibercop e i cavi sottomarini di Sparkle.
Insomma, si tratta di un'operazione finanziaria per ridurre il debito derivante da una scellerata privatizzazione all’insegna del saccheggio di un patrimonio pubblico. Un'operazione che non ha niente a che vedere con piani industriali, ma che serve a soddisfare gli azionisti dopo le perdite degli ultimi anni, senza curarsi minimamente dei lavoratori. Una vera e propria provocazione che, nonostante le rassicurazioni dell'AD Labriola, mette a rischio migliaia di posti di lavoro proprio in un momento dove Tim si candida a fagocitare una grossa fetta della torta messa a disposizione dal PNRR.
Un pericolo ben compreso dai lavoratori Tim che il 23 febbraio hanno scioperato e manifestato in massa. Cgil-Cisl-Uil hanno comunicato un'adesione del 70% mentre in tutte le regioni si sono svolti presidi con tanti manifestanti in piazza. A Roma centinaia di lavoratori hanno protestato davanti al Ministero dello Sviluppo Economico. Molto partecipata anche l'iniziativa di Firenze, dove ai lavoratori Tim si sono uniti quelli di altre aziende di telecomunicazioni, una delegazione è stata ricevuta dal presidente della Toscana Giani e poi dal prefetto.
A Milano la manifestazione si è svolta svolta davanti a Palazzo Lombardia, anche a Bologna l'iniziativa ha avuto luogo davanti la sede della Regione. Tanti lavoratori anche a Palermo, Napoli, Bari e Torino , ma in tutti i capoluoghi di regione ci sono stati dei combattivi e partecipati presidi e le persone scese in piazza sono state migliaia, ben consapevoli dell'importanza della posta in gioco.
Tim è la più grande azienda italiana per numero di dipendenti, 42mila, che con l'indotto raddoppiano. Fabrizio Solari, segretario della Slc Cgil ha denunciato: “L’Italia sta per perdere l’unica azienda in grado di giocare un ruolo anche in campo europeo. Il governo si sta assumendo una responsabilità storica. Si distrugge valore, si rischiano migliaia di esuberi e si fa perdere al paese l’occasione di modernizzarsi tagliando fuori milioni di italiani dal diritto alla connettività veloce. Non c’è che dire, un vero capolavoro”.
Con lo scorporo di Tim si mette a rischio l'intera filiera delle telecomunicazioni, ed oltre a perdere un intero settore strategico dell'economia si metterebbero a rischio 40mila posti si lavoro. Per questo i sindacati confederali annunciano che “Un prossimo appuntamento potrebbe essere la mobilitazione di tutto il settore delle tlc, telco, call center, appalti di rete e fornitori di apparati per difendere il futuro occupazionale di tutti".
Intanto due giorni dopo le manifestazioni organizzate da Cgil, Cisl e Uil, il 25 febbraio, si è svolta a Roma, davanti la sede di Cassa depositi e prestiti, il presidio di Cobas, Usb e altri sindacati di base per chiedere che il governo garantisca il mantenimento di un unica azienda e dei livelli occupazionali, oltre allo sviluppo tecnologico del Paese.

9 marzo 2022