La Cina, la Russia e la guerra all'Ucraina

La banditesca invasione dell'Ucraina ordinata da Putin, con la brutale escalation di bombardamenti su obiettivi civili, il bagno di sangue tra la popolazione e i milioni di sfollati che sta provocando da quasi un mese, ha messo in difficoltà anche il socialimperialismo cinese, che non può permettersi di abbandonare la Russia, con la quale ha da tempo un consolidato “partenariato strategico”, ma non può neanche difendere la guerra del nuovo zar a qualunque costo. E ciò perché vede che questa guerra sta producendo un ricompattamento dell'Occidente, e segnatamente dell'Europa, con il suo avversario strategico, l'imperialismo americano; e che con le pesanti sanzioni inflitte alla Russia che sconvolgono le regole finanziarie e commerciali della globalizzazione, la sua strategia fondata sull'espansionismo economico e commerciale rischia di subire una seria battuta d'arresto.
Ecco perché la Cina sta tenendo nei confronti della guerra di Putin una posizione ambigua e attendista, in attesa dello sviluppo degli eventi prima di prendere una posizione più chiara. Gli Stati Uniti premono invece affinché chiarisca subito la sua posizione e cercano di stanarla facendo filtrare sui media filo occidentali (Financial Times , Wall Street Journal , ecc.) notizie di intelligence secondo cui la Russia avrebbe chiesto alla Cina aiuti militari e che questa sarebbe orientata a concederglieli. Notizia che Pechino ha dovuto affrettarsi a smentire recisamente alla stregua di una provocazione.
Così come ha dovuto smentire che fosse a conoscenza del piano di invasione dell'Ucraina, che Putin avrebbe rivelato a Xi Jimping nella sua visita a Pechino all'inaugurazione delle Olimpiadi invernali. O addirittura ne sarebbe stata informata in anticipo, come rivelato dal New York Times , dallo stesso governo americano che avrebbe “supplicato” un intervento di Pechino per scongiurare un piano dalle conseguenze catastrofiche: “Pura disinformazione”, rispondeva seccamente l'ambasciatore cinese negli USA, Quin Gang, secondo il quale “il conflitto tra Russia e Ucraina non giova alla Cina”, e “se la Cina avesse saputo della crisi imminente, avremmo fatto del nostro meglio per prevenirla”.
 

Ambiguità e attendismo sulla crisi ucraina
Lo stesso Xi, nell'incontro in video con Biden del 18 marzo che lo ammoniva a “stare dalla parte giusta della storia”, cioè a non aiutare Putin per non incorrere in “conseguenze non solo da parte americana ma mondiali”, respingeva le minacce al mittente ribattendogli che “spetta a chi ha messo il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”. Per poi ripetere la consueta solfa ipocrita sulle sanzioni “illegali” che “fanno solo soffrire la gente e innescano spirali gravi per l'economia globalizzata”, che “le relazioni tra Stati non debbono arrivare al confronto sul campo di battaglia”, che “dobbiamo condurre le relazioni Cina-USA sul giusto binario, farci carico delle nostre responsabilità di grandi Paesi per la pace e la tranquillità mondiale”, che “la crisi ucraina è qualcosa che la Cina non vorrebbe vedere”, e così via. Continuando cioè a mantenere la posizione di ambiguità e attendismo sulla crisi Ucraina.
La Cina non può permettersi di rompere con Putin, nonostante vi siano anche correnti filo occidentali che spingono in questa direzione, come si deduce dal saggio di Hu Wei, ricercatore e consigliere del governo cinese, subito censurato ma che sta continuando a girare sui social, secondo cui la guerra in Ucraina potrebbe portare al riarmo dell’Europa e a un coinvolgimento sempre maggiore nel campo occidentale di Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Australia. La Cina si troverebbe così isolata e circondata, e per evitarlo “deve tagliare i ponti il prima possibile” con Putin.
Ma essa non può permetterselo per molte ragioni. Dal 2013 ad oggi, cioè dalla prima crisi tra Russia e Ucraina, e con le prime sanzioni comminate dopo l'annessione della Crimea, sono stati sempre più fitti gli accordi che hanno rafforzato i legami politici, economici, commerciali, energetici e militari tra la Cina e la Russia, stabiliti in centinaia di protocolli firmati in ben 38 incontri fisici e telematici tra Xi e Putin e consolidati, anche se non in una vera e propria alleanza, in quella che essi stessi hanno definito una “partnership strategica globale di coordinazione per una nuova era”.
 

I motivi per cui Xi non può mollare Putin
Sui piani economico e commerciale i piatti forti di tali accordi sono le forniture russe di petrolio e di gas, di cui la Cina ha sempre più bisogno per sostenere il suo frenetico sviluppo economico, con la costruzione negli anni di due gasdotti dalla Siberia per decine di miliardi di metri cubi all'anno, la costruzione delle infrastrutture in territorio russo per la faraonica “Nuova via della seta”, gli investimenti cinesi per la costruzione della rete 5G in Russia e altri grandi progetti industriali, anche di tipo militare. Sul piano politico tali accordi hanno portato ad una progressiva identità di vedute e di prese di posizione sui rispettivi interessi geopolitici e sull'affrontare uniti le sfide poste dal concorrente imperialismo americano e i suoi alleati.
Per la Russia imperialista di Putin che sogna di ricostruire l'impero zarista, la quale nel frattempo si era fatta militarmente le ossa in Siria, in Libia e in Centro Africa, con questi accordi si trattava di uscire dalla posizione di isolamento e rilanciarsi sulla scena internazionale come superpotenza rinata. Quanto al socialimperialismo cinese del nuovo imperatore Xi, è stato spinto a stringere un legame sempre più stretto con la Russia non solo dalla fame inesauribile di energia per le sue industrie ma anche dalla politica protezionistica e ostile di Trump. Politica che Biden non ha cambiato ma anzi rafforzato con gli accordi militari QUAD e AUKUS con Gran Bretagna, India, Giappone e Australia per stringere una cintura militare davanti alla Cina e sbarrarle l'accesso alla regione strategica dell'Indo-Pacifico. A ciò va aggiunto che la Cina ha un confine di oltre 4 mila chilometri con la Russia, e non può non vedere come un incubo lo scenario di una caduta del regime di Putin e l'avvento di un governo filo occidentale che in futuro possa minacciarla anche da Nord.
 

Tra Cina e Russia un'“amicizia senza limiti”
Tutte queste considerazioni e scelte geopolitiche sono state sistematizzate nella “Dichiarazione congiunta della Repubblica popolare cinese e della Federazione russa sulle relazioni internazionali e lo sviluppo sostenibile globale nella nuova era” che Putin e Xi hanno firmato a Pechino il 4 febbraio, a solo 20 giorni dall'aggressione russa all'Ucraina. In questo documento i due partner imperialisti, appellandosi ipocritamente alla “democrazia come valore comune di tutta l'umanità”, ai principi di “sovranità e sicurezza di tutti i paesi”, alla “non ingerenza negli affari interni dei paesi sovrani” e così via, teorizzano un nuovo ordine mondiale multipolare da affermare scalzando l'attuale ordine unipolare fondato sull'egemonia occidentale con al centro l'imperialismo USA e la supremazia del dollaro.
A questo proposito essi ribadiscono la loro convergenza su tutte le grandi questioni geopolitico-militari di rispettivo interesse, da Taiwan, all'Indo-Pacifico, alla difesa dell'“ordine internazionale del dopoguerra” e - pur senza nominare l'Ucraina - all'espansione della NATO ad Est, sottolineando che “rafforzeranno il coordinamento in politica estera” e “lavoreranno insieme per la governance globale”. E se anche non compare mai la parola alleanza, le due parti fanno capire che la loro partnership è talmente stretta e a tutto campo da proclamare che “non c'è limite all'amicizia tra i due paesi, non c'è uno spazio ristretto alla cooperazione”.
 

Le ragioni che frenano l'appoggio cinese a Putin
Tale era lo stato delle relazioni tra i due imperialismi, quello neo zarista di Putin e quello socialimperialista di Xi, alla vigilia del 24 febbraio. Ma l'aggressione russa all'Ucraina e l'inaspettata resistenza che la sta rallentando, lo schiacciamento dell'Europa sulla NATO e gli USA, le sanzioni senza precedenti alla Russia e i loro pesanti contraccolpi sull'economia globalizzata, il discredito e l'isolamento internazionale di Putin, hanno cambiato notevolmente la situazione internazionale anche per gli interessi cinesi. Anche a non dar credito alle loro dichiarazioni di non essere stati informati preventivamente, i cinesi appaiono effettivamente spiazzati e irritati per un attacco così vasto, violento e sanguinoso all'Ucraina, di cui è primo partner commerciale e che considera un crocevia importante della Nuova via della Seta per penetrare nel cuore industriale e commerciale dell'Europa. Tanto che hanno dovuto rimpatriare in fretta e furia oltre seimila loro connazionali, tra tecnici, imprenditori e studenti che operavano in quel paese.
Secondo la maggior parte degli analisti occidentali la Cina avrebbe tutto da guadagnare da questa guerra, perché se Putin vince essa si avvantaggerà dell'indebolimento degli USA, e se perde la Russia diventerà un suo “satellite petrolchimico”, e quindi non farà niente per frenare il nuovo zar e indurlo a trattare. In realtà, come abbiamo già detto, Xi non può permettersi di mollare il suo “grande amico e collega”, ma neanche sostenere la sua guerra a tutti i costi, che per il nuovo imperatore cinese rischiano di essere troppo alti. Non foss'altro che per il rischio politico di aver scommesso su un cavallo perdente a pochi mesi dal XX Congresso del PCC che si terrà in autunno. Inoltre la Cina considera la proclamazione dell'indipendenza delle due repubbliche del Donbass un precedente pericoloso anche per la propria stabilità interna.
Ma quello che più spaventa il governo di Pechino sono senza dubbio le conseguenze delle sanzioni sul commercio mondiale, che rischiano di frenare la crescita della prima potenza manifatturiera, in un momento in cui ancora sconta gli effetti della crisi pandemica (le stime di crescita al 5,5% sono le più basse degli ultimi 30 anni), ed anzi vede anche una nuova fiammata dell'epidemia di covid-19. Il fatto è che se è vero che l'interscambio commerciale con la Russia è significativamente aumentato del 50% dalle prime sanzioni dopo l'annessione della Crimea, e Xi e Putin hanno affermato di volerlo aumentare a 250 miliardi di dollari entro il 2024, e che le forniture di gas dalla Siberia arriveranno nei prossimi 30 anni a 400 miliardi, è vero anche che per adesso tutto ciò vale meno del 2,5% del commercio totale di Pechino, che nel 2021 ha superato i 6.050 miliardi di dollari. E l'interscambio con gli USA e la UE valgono un quarto del totale, dieci volte gli scambi con Mosca.
 

Il difficile equilibrismo del socialimperialismo cinese
Pechino non è certo disposta a sacrificare tutto ciò per assecondare la megalomania di Putin, e si spiega così il fatto che per quanto la Cina si sia opposta all'Onu alla risoluzione di condanna di Mosca capeggiando il gruppo dei 35 paesi che si sono astenuti, e per quanto ripeta ad ogni piè sospinto che le sanzioni sono illegali e controproducenti per far cessare la guerra all'Ucraina, in realtà le stia rispettando di fatto per non essere tagliata fuori dall'economia globalizzata, al pari della Russia che sta rischiando il tracollo. Né può fare molto per aiutarla con le sue banche ad aggirare l'esclusione dal circuito internazionale Swift dei pagamenti, perché il suo circuito in yuan, per quanto in crescita (proprio in questi giorni l'Arabia saudita starebbe per accettare il pagamento in yuan per il suo petrolio) è ancora troppo piccolo con le sue 11.500 transazioni giornaliere rispetto ai 40 milioni della rete occidentale basata sul dollaro e sull'euro.
Per il momento il socialimperialismo cinese, per quanto si stia armando a ritmo accelerato, pensa di avere ancora molto margine di espansione economica e commerciale prima di arrivare a scontrarsi direttamente con il rivale americano per disputarsi l'egemonia del mondo, che comunque avverrà prima o poi, e perciò vede con apprensione il rischio di essere trascinato troppo prematuramente in un conflitto con gli USA e i suoi alleati. Per questo smentisce di voler inviare armi a Putin e preferisce mettere l'accento sugli aiuti umanitari all'Ucraina, pur continuando, a parole, a giustificare il nuovo zar e sostenere le sue ragioni. E forse anche lavorando sottotraccia per favorire una soluzione negoziata che spenga l'incendio appiccato incautamente dal suo partner prima che vada troppo oltre. Possibilmente lasciandogli una via d'uscita per salvare la faccia e la loro partnership strategica.


23 marzo 2022