Discorso pronunciato da Giovanni Scuderi il 22 settembre 1996 per il XX Anniversario della morte di Mao
Mao e l'imperialismo

 
 
Per capire la guerra all'Ucraina
Mentre è in corso la criminale aggressione russa all'Ucraina è utile rinfrescarsi le idee sull'imperialismo studiando la celebre opera di Lenin dal titolo "L'imperialismo fase suprema del capitalismo".
Nell'applicare quest'opera, il PMLI fa ogni sforzo per spiegare alle masse come si presenta l'imperialismo nelle nuove situazioni internazionali e qual è la relativa contraddizione principale del momento che determina il nemico da combattere.
Un documento fondamentale in tal senso è quello del Segretario generale e Maestro del PMLI compagno Giovanni Scuderi, che pubblichiamo di seguito. Si tratta del discorso che egli ha tenuto, a nome del CC del Partito, al Palazzo dei Congressi di Firenze il 22 settembre 1996 in occasione del 20° Anniversario della scomparsa di Mao. Il discorso, pubblicato per la prima volta sul n.36/1996 de "Il Bolscevico", ha per titolo "Mao e l'imperialismo".
Naturalmente esso riflette la situazione internazionale di allora, quando ancora era lontana l'emersione del socialimperialismo cinese e l'imperialismo russo era in crisi.
Il PMLI ha quindi lavorato per mettere in chiaro gli sviluppi successivi della situazione internazionale che ha visto inasprirsi le contraddizioni interimperialiste. L'ha fatto attraverso i Congressi nazionali, in particolare il 5° del dicembre 2008 e gli articoli de "Il Bolscevico". Un passaggio chiave sono stati l'intervento di Scuderi dal titolo "Appoggiamo lo Stato islamico contro la santa alleanza imperialista", il Rapporto del compagno Erne Guidi alla 5ª Sessione plenaria del 5° Cc del PMLI dal titolo "La situazione internazionale e la lotta antimperialista del PMLI”, entrambi dell'ottobre del 2015 (vedi "Il Bolscevico" n.38 del 2015), il discorso dello stesso compagno pronunciato a nome del CC del PMLI il 9 settembre 2018 dal titolo "Mao, l'imperialismo e la lotta per il socialismo” in occasione del 42° Anniversario della scomparsa di Mao.
Fino ad arrivare all'importantissimo Comunicato dell'Ufficio stampa del PMLI dal titolo "Isolare l'aggressore russo", emesso il 24 febbraio 2022 qualche ora dopo l'aggressione. Un comunicato con un alto contenuto ideologico, politico e strategico, un modello di analisi marxista-leninista dell'attuale situazione dell'imperialismo.
Non è infatti sufficiente conoscere l'imperialismo in generale e in termini teorici, se poi non si è capaci di fare un'analisi concreta di esso in riferimento alla realtà in corso e alle contraddizioni interimperialiste. Come dimostrano le posizione errate che circolano tra i comunisti e gli antimperialisti sulla guerra all'Ucraina.

 

 
Compagne e compagni,
amiche e amici, puntuali come ogni anno, siamo qui riuniti, su invito del Comitato centrale del PMLI, a nome del quale mi onoro di parlare, per commemorare Mao, grande Maestro del proletariato internazionale, dei popoli e delle nazioni oppressi.
A ciascuno di voi rivolgiamo un caloroso e rispettoso saluto e vi ringraziamo di essere venuti a questa importante manifestazione, in alcuni casi da molto lontano e affrontando grossi sacrifici economici, per rendere omaggio a Mao e per discutere il tema dell'imperialismo.
Mao è morto materialmente esattamente il 9 settembre di venti anni fa, ma è ancora vivo spiritualmente e vivrà in eterno nel cuore e nelle lotte del proletariato e dei popoli di tutto il mondo.
È per noi questa un'occasione per riaffermare e rafforzare pubblicamente il nostro amore, la nostra riconoscenza, la nostra gratitudine e la nostra fedeltà a Mao e agli altri Maestri del proletariato internazionale che l'hanno preceduto, Marx, Engels, Lenin e Stalin.
Noi siamo fieri e orgogliosi dei nostri cinque maestri; essi sono la nostra grande forza, l'arma della vittoria del proletariato. Più la borghesia, i suoi servi revisionisti, neorevisionisti e trotzkisti e i suoi scribacchini con alla testa quell'ipocrita e bugiardo di Enzo Biagi li attaccano, li calunniano e li vilipendono, più noi ci stringiamo attorno ad essi, alziamo ancora più in alto le loro rosse e invincibili bandiere e decuplichiamo i nostri sforzi per applicare il loro pensiero e i loro insegnamenti alla realtà del nostro Paese.
Ogni classe e ogni partito hanno i loro maestri. Le varie frazioni ex democristiane, compresa quelle di Prodi e Dini, hanno come maestri De Gasperi, Sturzo, Moro e Andreotti. Forza Italia di Berlusconi, oltre De Gasperi e Sturzo, ha Gioberti, Balbo, Rosmini, Cattaneo, Popper e Salvemini. Per pudicizia non possono aggiungere Mussolini e Craxi. D'Alema ha come maestri il laburista inglese Tony Blair e il socialdemocratico tedesco Oskar Lafontaine. Veltroni invece guarda a Clinton, mentre Bertinotti non fa che ripetere che i suoi maestri sono gli azionisti liberali, poi divenuti socialisti, Riccardo Lombardi e Vittorio Foa e i trotzkisti e opportunisti Pietro Ingrao e Rossana Rossanda.
Nessuno può dire io non ho maestri perché, coscienti o no, siamo tutti quanti soggetti a una determinata influenza. Nella società divisa in classi siamo costantemente sotto l'influenza o del proletariato o della borghesia. E nella società capitalista e imperialista è più facile essere sotto l'influenza della borghesia e dei suoi partiti che sotto l'influenza del proletariato e del suo Partito perché le idee dominanti, che si trovano nell'economia, nelle istituzioni, nella cultura, nella scuola e nell'università, nella morale, nell'arte, nelle scienze, nei mezzi di comunicazione di massa e ovunque, sono quelle della classe dominante borghese.
Riconoscere l'autorità dei Maestri del proletariato internazionale e accettarne l'influenza è perciò la condizione fondamentale per liberarsi dall'influenza della borghesia e per acquisire quella cultura, quelle conoscenze, quella mentalità, quegli strumenti e quella metodologia in grado di trasformare la propria concezione del mondo e di combattere il capitalismo, l'imperialismo e il colonialismo.
Influenza scaccia influenza. Bisogna solamente aprirsi al marxismo-leninismo. Così come fece Mao che non esitò un solo attimo a disfarsi dell'idealismo, della metafisica e del riformismo non appena scoprì "Il Manifesto del Partito comunista" di Marx ed Engels. Allora la sua vita subì una svolta di 180 gradi ed egli riuscì attraverso epiche battaglie contro i revisionisti di destra e di "sinistra" all'interno del Partito, a dare un corretto orientamento alla rivoluzione cinese e a indirizzarla verso il socialismo.
Oltre a Marx, Engels, Lenin, Stalin e Mao il proletariato non ha altri maestri. Fin qui non ne sono nati altri. Né ieri a Cuba e in Bolivia, né oggi in Perù e in Messico.
I Maestri del proletariato internazionale non si fanno per autoproclamazione, per particolari caratteri somatici e fisici, per certi abbigliamenti romantici e cinematografici e attraverso campagne pubblicitarie. Essi sono il prodotto della lotta di classe rivoluzionaria. Nascono, si affermano e vengono riconosciuti nella lotta di classe e diventano maestri di valore e di influenza internazionale solo quando le loro imprese, le loro vittorie, i loro insegnamenti hanno un carattere universale e apportano uno sviluppo effettivo sui piani teorico, ideologico e politico al marxismo-leninismo e all'esperienza del movimento operaio internazionale e dell'edificazione del socialismo.
Il Comitato centrale del PMLI ha scelto di trattare il tema dell'imperialismo in questa commemorazione di Mao poiché l'imperialismo è un problema ancora aperto e di viva attualità. E ciò indipendentemente del fatto che, all'infuori dei marxisti-leninisti, non ne parla più nessuno, o quasi. Persino la parola imperialismo è sparita dal vocabolario e dal linguaggio dei rinnegati del socialismo e del comunismo, degli "ultrasinistri" e di settori trotzkisti.
Nemmeno il barbuto che di recente ha dismesso gli abiti militari ha osato citarlo nel suo intervento all'ultima Assemblea generale dell'Onu, nonostante che Cuba sia oppressa dall'imperialismo americano. Bertinotti addirittura si compiace che "la stessa nozione di imperialismo... sia sottoposta a una torsione di revisione critica fortissima"(1).
I neorevisionisti, i trotzkisti e gli "ultrasinistri", reggicoda del PRC, cianciano di un "nuovo imperialismo" e fanno delle astruse, cervellotiche e assurde elucubrazioni sulla cosiddetta "globalizzazione" del mercato capitalistico al solo scopo di revisionare la teoria di Lenin sull'imperialismo, difesa e sviluppata da Stalin e Mao, e di combattere la linea antimperialista marxista-leninista.
A questi politicanti antimarxisti-leninisti e intellettuali borghesi e piccoli borghesi da strapazzo non interessa assolutamente che il proletariato e le masse popolari e giovanili comprendano l'attuale situazione politica internazionale e nazionale e si slancino nella lotta antimperialista. Fanno un chiasso assordante e sollevano tanto fumo soltanto per mantenere il controllo della parte più avanzata, più rivoluzionaria e combattiva del proletariato e dei giovani affinché tutto rimanga come prima e l'imperialismo continui indisturbato a compiere i suoi crimini. È quindi quanto mai necessario rilanciare il nostro discorso sull'imperialismo, sulla base degli insegnamenti dei Maestri e riaffermando quali sono i nostri compiti per combattere e abbattere l'imperialismo.
 

Il ruolo di Mao nella lotta contro l'imperialismo
Mao ha svolto un ruolo fondamentale nella lotta dei popoli contro l'imperialismo sia sul piano ideologico che su quello politico. Egli ha difeso e sviluppato la teoria di Lenin sull'imperialismo e la linea antimperialista e internazionalista proletaria di Lenin e del suo successore Stalin.
Tre sono i suoi più grandi e storici contributi alla lotta antimperialista mondiale. Il primo è costituito dall'abbattimento dell'imperialismo, del capitalismo e del feudalesimo in Cina, attraverso la rivoluzione più lunga e complessa della storia, e dall'instaurazione del socialismo nel paese più grande e popolato del mondo. Per 27 anni, finché è stato vivo Mao, il proletariato e il popolo cinese sono stati i padroni del paese, hanno potuto godere i benefici del socialismo e sono stati l'esempio e la spalla di tutte le rivoluzioni e delle lotte rivoluzionarie e antimperialiste che si sono svolte in quel periodo.
Nel frattempo la teoria e la pratica del socialismo si è arricchita di una nuova e grandiosa esperienza, quella della �Grande rivoluzione culturale proletaria, elaborata e diretta personalmente da Mao negli ultimi 10 anni della sua vita, per impedire la restaurazione del capitalismo in Cina e per sviluppare l'edificazione del socialismo.
Con tutto ciò Mao ha dimostrato nella pratica che il marxismo-leninismo è una teoria attuale, viva, rivoluzionaria, vincente e in continuo sviluppo; che si può fare e vincere la rivoluzione in qualsiasi parte del mondo e qualunque siano le condizioni economiche e sociali; che il proletariato è capace non solo di distruggere il vecchio mondo ma anche di costruirne uno nuovo; che solo avendo alla testa un autentico Partito comunista e avvalendosi del marxismo-leninismo il proletariato può liberami del capitalismo e dell'imperialismo, conquistare il potere politico e mantenerlo ed edificare il socialismo; che il socialismo è superiore al capitalismo.
Finché è stato vivo Mao, la Repubblica popolare cinese è stata il bastione rosso della rivoluzione mondiale. La sua politica estera, elaborata ed ispirata da Mao, poggiava su tre gambe: sull'internazionalismo proletario per quanto concerne le relazioni di amicizia, di aiuto reciproco e di cooperazione tra i paesi socialisti e il sostegno della lotta rivoluzionaria dei popoli e delle nazioni oppressi; sulla coesistenza pacifica, sulla base dei cinque principi, - e cioè rispetto reciproco dell'integrità territoriale e della sovranità, mutua non aggressione, reciproca non interferenza negli affari interni, eguaglianza e interesse reciproci, coesistenza pacifica -, tra i paesi a differenti sistemi sociali; sulla lotta contro la politica di aggressione e di guerra dell'imperialismo.
Tra queste tre gambe, Mao mette soprattutto in risalto l'internazionalismo proletario che è il principio fondamentale della politica estera degli Stati socialisti e dei Partiti marxisti-leninisti. Circa la coesistenza pacifica, egli fa una chiarificazione fondamentale, e cioè che essa non si può attuare nei rapporti tra il proletariato e la borghesia nei paesi capitalisti e imperialisti, tra le nazioni e i popoli oppressi e i paesi oppressori, che la coesistenza pacifica non può essere la politica estera dei Partiti marxisti-leninisti, e che, in ogni caso, la lotta di classe e la lotta rivoluzionaria dei popoli non può essere subordinata alla politica di coesistenza pacifica dei paesi socialisti. Nel 1946 Mao rilevava che il compromesso su alcuni problemi tra l'Unione Sovietica di Stalin da una parte e gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Francia dall'altra, "non richiede che i popoli dei diversi paesi del mondo capitalista seguano l'esempio facendo compromessi nei propri paesi. I popoli di questi paesi continueranno a condurre lotte differenti a seconda delle differenti situazioni" (2).
L'internazionalismo proletario è sempre stato il principio guida della politica estera della Cina di Mao. Egli ripeteva spesso: "La Cina deve dare un contributo ancora più grande all'umanità... Il popolo cinese nelle relazioni internazionali deve eliminare lo sciovinismo di grande potenza, risolutamente, radicalmente, integralmente e totalmente" (3). Nella seguente direttiva data ai volontari cinesi andati in aiuto al popolo coreano aggredito dall'imperialismo americano, si ha un'idea concreta di quanto fossero alti e nobili i sentimenti internazionalisti proletari di Mao e quanto grande fosse il rispetto che egli nutriva e voleva che nutrisse il suo popolo verso gli altri popoli che soffrivano a causa dell'ingerenza, dell'oppressione e dell'aggressione dell'imperialismo. "I compagni cinesi - scriveva Mao il 19 gennaio 1951 - devono considerare la causa della Corea come la propria causa, i comandanti e i soldati devono essere educati a �prendere cura di ogni collina, di ogni fiume, di ogni filo d'erba e di ogni albero della Corea, a non toccare né un ago né un filo del popolo cercano, ad avere gli stessi punti di vista e lo stesso comportamento che abbiamo nel nostro paese” .
Quando muore Stalin, e l'Urss comincia a cambiare colore, tocca a Mao e alla sua Cina ereditarne il ruolo internazionale di avanguardia antimperialista e i doveri internazionalisti proletari mondiali. Ben presto la Cina di Mao entra nel cuore dei popoli e delle nazioni oppressi di tutto il mondo. Con la storica conferenza dei paesi afroasiatici, svoltasi a Bandung in Indonesia nell'aprile del 1955, la Cina di Mao diventa di fatto la guida e il porta bandiera del Terzo mondo, di cui difende strenuamente gli interessi in tutti i consessi internazionali cui partecipa.
Ovunque essa potesse parlare, anche all'Onu da quando nel '71 le viene restituito il seggio al Consiglio di sicurezza, sosteneva risolutamente e con forza che tutti i paesi, grandi e piccoli, forti e deboli, devono godere di uguali diritti nelle relazioni internazionali e che la loro integrità territoriale e la loro sovranità sono sacre e inviolabili. Inoltre si batteva per un nuovo ordine economico internazionale basato sullo sviluppo dell'economia nazionale dei paesi del Terzo mondo e sulla lotta contro le multinazionali.
Non c'era battaglia antimperialista che non vedesse la Cina di Mao schierarsi in prima fila e a fianco dei popoli del Terzo mondo. Si trattasse della riforma del sistema monetario mondiale o dell'estensione delle acque territoriali e zone di pesca a 200 miglia marine; del disarmo nucleare o della lotta contro l'inquinamento; del commercio o delle materie prime.
Tagliare gli artigli dell'imperialismo, ridurne lo spazio politico ed economico fino a chiuderlo del tutto, e aiutare i popoli del Terzo mondo a liberarsi dal dominio, dal saccheggio, dalla penetrazione e dal controllo finanziario ed economico dell'imperialismo cercando di renderli indipendenti anche economicamente, e al contempo fare avanzare la rivoluzione mondiale, questa era la politica estera della Cina di Mao.
A tal fine Mao aveva elaborato i seguenti 8 principi del governo cinese per l'aiuto economico agli altri paesi:
"1) Il governo cinese osserva costantemente il principio dell'eguaglianza e del vantaggio reciproco nell'accordare il suo aiuto a dei paesi stranieri. Non lo considera mai come un'elemosina fatta unilateralmente. A suo avviso, l'aiuto è sempre reciproco e utile alla cooperazione economica.
2) Il governo cinese rispetta strettamente la sovranità e l'indipendenza dei paesi beneficiari nell'accordare il suo aiuto a questi paesi, non applicando alcuna condizione e non reclamando alcun privilegio.
3) Il governo cinese dà il suo aiuto economico sotto forma di prestito senza interesse o a basso interesse, o prolungherà, in caso di necessità, il termine del rimborso, al fine di alleggerire il più possibile lo sforzo dei paesi beneficiari.
4) Il governo cinese dà la sua assistenza a dei paesi stranieri con lo scopo di aiutare questi ultimi a impegnarsi di tappa in tappa nella via dello sviluppo economico indipendente contando sulle proprie forze, e non con lo scopo di renderli dipendenti dalla Cina.
5) I progetti di costruzione che figurano nell'aiuto accordato dal governo cinese ai paesi stranieri sono quelli che, nella misura del possibile, richiedono meno investimenti ma che danno più pronti risultati e questo per permettere ai paesi beneficiari di accrescere le loro entrate e di accumulare dei fondi.
6) Il governo cinese fornisce, al prezzo del mercato internazionale, i migliori equipaggiamenti e materiali della sua produzione. Nel caso in cui i vecchi equipaggiamenti e materiali non saranno conformi alle specificazioni e alla qualità convenute, il governo cinese provvederà a sue spese a sostituirli.
7) Il governo cinese, fornendo un'assistenza tecnica a dei paesi stranieri si adopera affinché il personale dei paesi beneficiari possa padroneggiare la tecnica facendola propria.
8) Gli esperti e il personale tecnico inviati dalla Cina per aiutare i paesi beneficiari a intraprendere l'edificazione condurranno una vita allo stesso livello degli esperti e del personale tecnico dei paesi in questione. Non è loro concesso di fare alcuna richiesta speciale, né di fruire di alcuna comodità particolare"(4).
Come è noto, soprattutto agli imperialisti americani che ne hanno subito direttamente le conseguenze, la linea di Mao ha dato un enorme e inestimabile aiuto politico, diplomatico, economico, materiale e in armi a tutti i popoli che combattevano per la libertà, l'indipendenza e la sovranità nazionali. In particolare ai popoli del Vietnam, della Cambogia, del Laos, della Palestina, dell'Algeria e del Congo. Specie durante la Grande rivoluzione culturale proletaria la Cina di Mao ha dato un multiforme appoggio alle lotte di liberazione nazionale dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina e ai movimenti rivoluzionari di massa in Europa occidentale, America del Nord, Canada, Giappone e Oceania.
"L'imperialismo americano è il vostro avversario, ma anche il nostro, e quello dei popoli di tutto il mondo... - affermava Mao durante una conversazione con i rappresentanti di alcuni Partiti comunisti dell'America Latina - Esso ha esteso i suoi tentacoli in tutto il mondo. È un imperialismo mondiale. È un esempio negativo per i popoli di tutto il mondo. Questi devono unirsi, aiutarsi l'un l'altro e recidere i suoi tentacoli ovunque si trovino. Ogni volta che ne viene reciso uno noi ci sentiamo un po' meglio" (5).
Il secondo più grande e storico contributo dato da Mao alla lotta antimperialista mondiale è costituito dallo smascheramento del revisionismo moderno e del socialimperialismo sovietico e dalla lotta contro di essi.
Perfettamente consapevole della verità espressa da Lenin, e cioè che "la lotta contro l'imperialismo, se non è indissolubilmente legata con la lotta contro l'opportunismo, è una frase vuota e falsa" (6), Mao ha condotto una lotta di principio contro il revisionismo moderno che aveva conquistato il potere nel PCUS, nell'Urss, in altri Partiti comunisti e Stati socialisti e dilagava nell'allora movimento comunista internazionale. E non era un'impresa facile dato l'enorme prestigio storico che godevano il Partito e lo Stato creati da Lenin e Stalin e gli altri partiti e Stati che erano caduti anch'essi nel revisionismo. Si trattava di una lotta titanica, ancora più complessa e difficile rispetto a quella condotta da Lenin contro gli antichi revisionisti all'inizio del secolo.
Tanto è vero che la lotta contro il revisionismo moderno - anche nella forma del neorevisionismo, come nel caso del PRC, - è tuttora aperta in quanto la stragrande maggioranza delle masse, e soprattutto le nuove generazioni, non hanno preso coscienza della natura e delle caratteristiche di tale devastante e corruttrice corrente borghese, anticomunista e controrivoluzionaria.
Solo studiando le opere di Mao dal '56 in poi, la maggioranza delle quali però non è stata ancora resa pubblica, si può capire che cosa è il revisionismo, cosa è accaduto nell'allora movimento comunista internazionale, dov'è l'origine della restaurazione del capitalismo nei paesi socialisti e della liquidazione dei Partiti comunisti storici, e cosa bisogna fare oggi per combattere il revisionismo e impedirgli di corrompere la coscienza rivoluzionaria ed antimperialista delle masse, di frenare la lotta di classe e di conquistare di nuovo il potere nel Partito del proletariato.
Mao lottando contro i revisionisti Krusciov, Breznev, Tito, Togliatti, Thorez, Gomulka, Nagy, Browder, Miyamoto, Dune e altri, ha arricchito enormemente la linea antimperialista marxista-leninista e ha salvaguardato e sviluppato i sacri principi dell'internazionalismo proletario.
Egli ha smascherato punto per punto la linea capitolazionista e collaborazionista di Krusciov nei confronti dell'imperialismo denunciando in particolare le "vie nazionali" pacifiche e parlamentari al socialismo, l'opportunismo sulla guerra e la pace, la distorsione del concetto di Lenin sulla coesistenza pacifica e la connivenza con l'imperialismo americano per imbrigliare e soffocare le guerre di liberazione nazionali.
Tempestivamente egli ha denunciato la restaurazione del capitalismo in Unione Sovietica. Fin dal discorso delle due spade, pronunciato il 15 novembre '56 nove mesi dopo il XX Congresso del PCUS, in cui affermava apertamente che Krusciov aveva "già gettata via" la spada di Stalin e che quella di Lenin era stata gettata "in misura notevole" (7).
Qualche anno dopo, nel '64, constatando che ormai il revisionismo si era totalmente impadronito dell'Urss, denuncia con forza che "la salita del revisioniamo al potere significa la salita della borghesia al potere" (8). Ed ancora: "L'Unione sovietica di oggi è sotto la dittatura della borghesia, una dittatura della grande borghesia, una dittatura di tipo fascista tedesco, una dittatura di tipo hitleriano" (9).
Dire ciò sembrava allora una follia, ma i fatti, in particolare l'invasione della Cecoslovacchia per opera di Breznev, successore di Krusciov, e la successiva azione di Gorbaciov e di Eltsin hanno drammaticamente dimostrato che si trattava di una pura verità. Ora è storicamente e praticamente provato dove porta il revisionismo. Una lezione che non si può e non si deve dimenticare.
Il terzo più grande e storico contributo dato da Mao alla lotta antimperialista mondiale è costituito dall'orientamento che egli ha dato ai popoli e ai movimenti rivoluzionari.
Mao ha compiuto notevoli sforzi teorici e politici affinché i marxisti-leninisti, i rivoluzionari e gli antimperialisti non deviassero nel revisionismo di destra o di "sinistra". Il che comportava nel primo caso capitolare di fronte all'imperialismo e rinunciare alla lotta armata, e nel secondo caso cadere nel guerriglismo trotzkista e guevarista staccato dalle masse e assolutamente impotente nei confronti dell'imperialismo.
I grandi concetti antimperialisti di Mao hanno ispirato e orientato, direttamente o indirettamente, le lotte dei popoli di tutto il globo, salvo quelle fallimentari influenzate dai revisionisti di destra e di "sinistra", che si sono svolte dagli anni '50 fino agli anni '70.
Fra questi concetti ricordiamo: "Il popolo, e solo il popolo, è la forza motrice che crea la storia del mondo" (10); "La guerra rivoluzionaria è la guerra delle masse ed è possibile condurla solo mobilitando le masse e facendo affidamento su di esse" (11); "Tutti i reazionari sono tigri di carta. In apparenza essi sono terribili, ma in realtà non sono poi così potenti. Guardando le cose in prospettiva, non i reazionari, ma il popolo è veramente potente" (12); "La bomba atomica è una tigre di carta... l'esito di una guerra è deciso dal popolo, non da una o due armi di nuovo tipo" (13); "Il potere politico nasce dalla canna del fucile" (14).
Ed ancora: "I popoli e le nazioni oppresse non devono assolutamente riporre le loro speranze di liberazione nella 'ragionevolezza' dell'imperialismo e dei suoi lacchè. Solo rafforzando la loro unità e perseverando nella lotta essi potranno trionfare" (15); "I popoli oppressi devono contare anzitutto sulle loro forze, e soltanto in secondo luogo sull'aiuto internazionale" (16); "Un paese debole può vincere un paese forte, e un piccolo paese può vincere un grande paese. Se il popolo di un piccolo paese osa sollevarsi per la lotta, osa impugnare le armi e prende nelle mani il destino del proprio paese, sarà certamente In grado di conquistare, la vittoria sull'aggressione da parte di un grande paese. Questa è una legge della storia.
Popoli di tutto il mondo, unitevi per sconfiggere gli aggressori americani e tutti i loro lacchè!" (17).
Particolarmente importante è l'indicazione di Mao sul ruolo del Partito del proletariato nella lotta antimperialista. Egli ha detto: "Se si vuole fare la rivoluzione, ci deve essere un partito rivoluzionario. Senza un partito rivoluzionario, senza un partito che si basi sulla teoria rivoluzionaria marxista-leninista e sullo stile rivoluzionario marxista-leninista, è impossibile guidare la classe operaia e le larghe masse popolari a sconfiggere l'imperialismo e i suoi lacchè" (18).
Mao non ha mai mancato di far giungere la sua voce personale ai popoli in lotta attraverso colloqui con i loro dirigenti, messaggi e dichiarazioni estremamente incoraggianti, penetranti e illuminanti. Ricordiamo le dichiarazioni in appoggio agli afroamericani in lotta contro la discriminazione razziale (1963), al popolo di Panama in lotta contro l'imperialismo americano (1964), al popolo del Congo-Leopoldville contro l'aggressione americana (1964), al popolo domenicano in lotta contro l'aggressione armata americana (1965), agli afroamericani contro la repressione violenta (1968), al popolo cambogiano e agli altri popoli d'Indocina in lotta contro gli aggressori americani (1970).
In ogni congiuntura politica, Mao ha saputo indicare le contraddizioni fondamentali che esistevano nel mondo e il nemico principale a livello internazionale che bisognava combattere realizzando in ogni caso il più largo fronte unito possibile.
Dopo la seconda guerra mondiale, quando l'imperialismo americano spadroneggiava dappertutto, aggrediva i popoli dell'Asia, dell'Africa e dell'America Latina e fomentava la controrivoluzione nei paesi socialisti, Mao lo indicava come "II nemico comune dei popoli del mondo" (19).
Con la comparsa del socialimperialismo sovietico, avvenuta con l'aggressione dell'Urss alla Cecoslovacchia, individuava il nemico comune e principale di tutti i popoli nell'imperialismo americano e nel socialimperialismo sovietico. E quando si rese conto che queste due superpotenze si contendevano l'egemonia mondiale e preparavano una guerra mondiale, attraverso la splendida teoria dei tre mondi, elaborata nel 1974, incitava tutti i popoli del mondo e tutti gli altri paesi a coalizzarsi e a lottare assieme contro di esse.
 

L'imperialismo, oggi
L'imperialismo di oggi, dal punto di vista economico, è sostanzialmente lo stesso imperialismo dei tempi di Lenin, Stalin e Mao. Quest'ultimo, pur conoscendo gli sviluppi della terza rivoluzione industriale, che è iniziata dopo la seconda guerra mondiale, fra cui l'automazione adottata da Ford nell'aprile 1947 e l'automazione informatica, cioè con l'uso dei computer, introdotta nelle fabbriche Usa durante gli anni sessanta, negli ultimi anni della sua vita ha ripetuto più volte che siamo ancora nell'epoca dell'imperialismo e della rivoluzione proletaria.
Dicendo ciò egli ha voluto evidentemente confermare le tesi leniniste secondo le quali l'imperialismo è lo stadio supremo e ultimo del capitalismo, che esso è l'oppressore comune di tutti i popoli e che la rivoluzione proletaria è l'unica via per liberarsene.
Il capitalismo si trasforma in imperialismo a cavallo tra il secolo scorso e quello attuale. Lenin, nel 1916, nella sua celebre opera "L'imperialismo, fase suprema del capitalismo", il cui titolo è già una definizione dell'imperialismo, spiega che "l'imperialismo è lo stadio monopolistico del capitalismo... I suoi cinque principali contrassegni sono: 1) la concentrazione della produzione e del capitale, che ha raggiunto un grado talmente alto di sviluppo da creare i monopoli con funzione decisiva nella vita economica; 2) la fusione del capitale bancario col capitale industriale e il formarsi, sulla base di questo 'capitale finanziario', di un'oligarchia finanziaria; 3) la grande importanza acquistata dall'esportazione di capitale in confronto con l'esportazione di merci; 4) il sorgere di associazioni monopolistiche internazionali di capitalisti, che si ripartiscono il mondo; 5) la compiuta ripartizione della terra tra le più grandi potenze capitalistiche.
L'imperialismo è dunque il capitalismo giunto a quella fase di sviluppo in cui si è formato il dominio dei monopoli e del capitale finanziario, l'esportazione di capitale ha acquistato grande importanza, è cominciata la ripartizione del mondo tra i trust internazionali, ed è già compiuta la ripartizione dell'intera superficie terrestre tra i più grandi paesi capitalisti" (20).
Questa analisi di Lenin sull'imperialismo è tuttora valida e confermata dagli avvenimenti economici, finanziari, commerciali e politici accaduti da allora ad oggi nel mondo. I contrassegni dell'imperialismo sono sempre quei cinque, che anzi sono diventati più marcati ed evidenti in base allo sviluppo ineguale dei paesi imperialisti, alle contraddizioni interimperialistiche, al mutare della situazione politica e alle nuove alleanze economiche e commerciali anche a livello di Stato.
La cosiddetta "globalizzazione", cioè l'abbattimento delle barriere doganali e tariffarie, la liberazione dei mercati, la formazione di un mercato unico, sancita dall'accordo di Marrakech in Marocco sul commercio mondiale, non cancella nessuno dei cinque contrassegni dell'imperialismo, poiché la lotta per l'esportazione dei capitali e delle merci, per il dominio dei monopoli e per l'egemonia dei mercati non conosce soste e si esaspera sempre più.
Lo dimostra anche il fatto che nonostante l'accordo di Marrakech, firmato nell'aprile del 1994, a conclusione dell'Uruguay Round, dopo 8 anni di negoziati sulle tariffe e il commercio, e in vigore dal 1° gennaio del 1995, continuano ad esistere ed operare gli accordi economici e commerciali regionali e interregionali. Come l'accordo nord americano di libero scambio (Nafta) tra Stati Uniti, Canada e Messico; il trattato di Maastricht che coinvolge 15 paesi dell'Europa occidentale tra cui l'Italia; l'Associazione di cooperazione economica dell'area del Pacifico (Apec) composta da 18 paesi tra cui gli Usa, la Cina e il Giappone; l'Organizzazione di cooperazione economica (Oce) creata da Iran, Pakistan e Turchia, cui ora fanno parte il Kirghizistan e Tagikistan. Il Kazakistan vi partecipa come osservatore. Vi sono poi l'Area di libero scambio (Afta) creata dall'Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico (Asean); l'Associazione dì libero scambio europeo (Efta); il mercato comune del Sud America (Mercosur) costituito tra Argentina, Paraguay, Uruguay e Brasile; il mercato comune dei Caraibi (Caricom); il Patto Andino, un'unione doganale tra Bolivia, Colombia, Ecuador, Venezuela e Perù; il mercato comune del Medio Oriente e del Nord Africa, sponsorizzato dagli Usa e con l'interesse dell'Unione europea. Gli Stati Uniti nel dicembre del '95 hanno promosso il mercato unico delle Americhe tra tutti i paesi dell'America del Nord, del Centro e del Sud, tranne Cuba, che andrà in vigore entro il 2005.
L'organizzazione del lavoro nelle fabbriche capitalistiche non è più la stessa dei tempi di Lenin. Allora era in vigore il cosiddetto "fordismo", un'organizzazione del lavoro attuata per prima dallo stabilimento automobilistico di Ford a Detroit in Usa. Il "fordismo", che nasce attorno al 1914, è basato sul principio, elaborato dall'ingegnere Taylor, di affidare a ciascun operaio una sola operazione in una catena di montaggio, nel quadro di un'organizzazione aziendale a piramide gerarchica con netta separazione tra il lavoro intellettuale e il lavoro manuale.
Attualmente è in vigore il cosiddetto "postfordismo", un'organizzazione di lavoro ideata in Giappone negli anni '50, la quale sostituisce la catena di montaggio con i gruppi di lavoro in un quadro in cui gli operai, i lavoratori e i dirigenti vengono coinvolti collettivamente in tutti gli stadi della produzione, a cominciare dalla progettazione.
L'immissione massiccia nelle fabbriche e nelle aziende dell'informatica, della telematica, della robottizzazione e di ogni altra tecnologia utile ha indubbiamente sconvolto la vecchia organizzazione "fordista" del lavoro. Tuttavia, nella sostanza, essa ha lasciato inalterato il vecchio metodo di produzione capitalistico, già analizzato e denunciato da Marx all'epoca del capitalismo premonopolistico.
La "globalizzazione" e il "post-fordismo" non hanno quindi apportato sul piano economico elementi tali da poter affermare che siamo di fronte a un nuovo stadio del capitalismo, in una fase post-imperialista.
Grandi cambiamenti invece sono avvenuti sul piano politico, in questi ultimi venti anni che ci separano dalla morte di Mao. È cambiato il quadro internazionale per quanto concerne i rapporti di forza tra le potenze imperialiste, i principali protagonisti a livello di Stato per la lotta per l'egemonia mondiale, lo stato di avanzamento della lotta di classe all'interno dei paesi capitalisti e imperialisti e della rivoluzione mondiale. Si sono infatti disintegrati il socialimperialismo sovietico, il suo impero, il suo mercato, le sue colonie e le sue zone di influenza, mentre sono emerse prepotentemente le superpotenze europea e giapponese, il capitalismo ha conquistato tutti i paesi, anche quelli che nominalmente, ma fino a quando?, si professano socialisti. Nel frattempo è calato sensibilmente il vento della rivoluzione. Questa nuova situazione internazionale ha generato inedite e bestiali guerre interetniche.
L'imperialismo Usa è ancora il più forte e il più arrogante. Detta legge dappertutto. Ha persino messo sotto i piedi l'Onu che usa come un suo strumento. Anche se sul piano economico e commerciale le superpotenze europea e giapponese gli rosicchiano via via dei punti �non sono tuttora in grado di superarlo. Sono troppo più deboli sul piano militare, gradualmente però le distanze si avvicinano, almeno per quanto riguarda l'Unione europea.
Con l'appoggio del Vaticano, l'imperialismo americano si arroga il diritto di essere il capo del mondo. E lo fa valere a colpi di missili. L'attuale presidente degli Stati Uniti, Bill Clinton, cui guardano con tanta ammirazione Prodi e i venduti e rinnegati dirigenti del PDS, dopo aver dato l'ordine di bombardare il 3 settembre l'Irak ha dichiarato: "Abbiamo il dovere storico di guidare il mondo, di indicare la strada".
Il papa nero Wojtyla rivolgendosi proprio a costui durante la sua recente visita negli Usa lo ha praticamente investito di tale autorità dicendo: "Dopo gli eventi del 1989, il ruolo degli Stati Uniti (in corsivo nel testo) ha assunto una nuova preminenza (in corsivo nel testo). La vostra stessa influenza è allo stesso tempo politica, economica, militare e, in virtù dei vostri mezzi di comunicazione, sociale, culturale… Il vostro Paese si distingue sulla scena mondiale come modello di società democratica"(21).
Tuttavia, in conseguenza della legge dello sviluppo ineguale dei paesi imperialisti, rivelata da Lenin, gli Stati Uniti non potranno in eterno tenere in mano lo scettro di comando. Se non glielo tolgono prima i popoli, ci penseranno le altre superpotenze.
L'Unione europea (Ue) è stata costituita proprio per difendere e favorire i monopoli europei rispetto a quelli degli Usa e del Giappone e per creare una superpotenza economica, finanziaria, monetaria, militare e politica in grado di competere con le altre due superpotenze in tutti i campi per la ripartizione della terra, per l'egemonia mondiale, per la conquista dei mercati e delle fonti di materie prime.
Attualmente Stati Uniti, Ue e Giappone sono alleati per combattere i comuni nemici e per proteggere i comuni interessi in tutto il mondo. Al contempo però sono in rivalità tra di loro per difendere ciascuno i propri interessi particolari. Vedi il conflitto tra Ue e Stati Uniti provocato dalle leggi Helms-Burton e D'Amato che hanno introdotto sanzioni per le società anche non americane che operano rispettivamente a Cuba e in Iran e Libia.
Quando possono Ue e Stati Uniti si fanno le scarpe a vicenda contendendosi i rispettivi mercati. Dovunque è presente l'una sono presenti gli altri e viceversa. Di recente l'Ue ha firmato un accordo di libero scambio con il mercato comune del Sud America (Mercosur) e, spingendosi ancor più in Asia, ha stipulato un "partenariato globale Asia-Europa", mentre è presente in un accordo che associa Africa, Caraibi e pacifico.
Con l'accordo di Berlino del 3 giugno scorso dei ministri degli Esteri dei sedici paesi della Nato, l'Ue ha acquistato una maggiore autonomia militare dagli Stati Uniti, sia pure nel quadro dell'Alleanza Atlantica. Ora potrà condurre operazioni militari senza la partecipazione degli americani. Per questo sta rafforzando il suo braccio armato costituito dall'Unione dell'Europa occidentale (Ueo).
È evidente che da parte dell'imperialismo europeo è in corso un grosso sforzo, anche sul piano militare, per colmare le distanze che lo separano dall'imperialismo americano. Tra questi due imperialismi e con quello giapponese si svolge una competizione mondiale a tutto campo. Le guerre commerciali e le lotte per le fonti di materie prime, per i mercati, per l'esportazione dei capitali, per le zone di influenza, per i territori economici e strategici prima o poi sfoceranno inevitabilmente nelle guerre armate, nelle guerre imperialiste.
Nessun paese imperialista può sottrarsi alla legge economica fondamentale del capitalismo monopolistico; e questa legge spinge inesorabilmente l'imperialismo a macchiarsi dei più orrendi crimini.
Stalin ha spiegato qual è questa legge e quali sono le sue conseguenze. Egli ha detto: "I tratti principali e le esigenze della legge economica fondamentale del capitalismo contemporaneo potrebbe formularsi all'incirca in questo modo: realizzazione del massimo profitto capitalistico mediante lo sfruttamento, la rovina, e l'impoverimento della maggioranza della popolazione di un determinato paese, mediante l'asservimento e la spoliazione sistematica del popoli degli altri paesi, particolarmente dei paesi arretrati, e infine, mediante le guerre e la militarizzazione dell'economia nazionale, utilizzate per realizzare i profitti massimi... Non il profitto medio, e nemmeno il sovraprofitto, che di regola rappresenta solo una certa maggiorazione del profitto medio, ma precisamente il profitto massimo è il motore del capitalismo monopolistico. Precisamente la necessità di realizzare i profitti massimi spinge il capitalismo monopolistico a compiere passi arrischiati quali sono l'asservimento e la spoliazione sistematica delle colonie e degli altri paesi arretrati, la trasformazione di numerosi paesi indipendenti in paesi dipendenti, l'organizzazione di nuove guerre che costituiscono per i cavalieri dell'industria del capitalismo contemporaneo il migliore 'affare', che permette di ricavare i profitti massimi, e infine, i tentativi di conquistare il dominio economico mondiale" (22).
Naturalmente gli economisti borghesi non possono accettare questa analisi, non possono però non vedere, come fa Michel Albert, che siamo di fronte a una “guerra violenta, implacabile" (23) tra i paesi industriali più forti. Non si tratta di una guerra armata e non c'è un pericolo imminente che scoppi una guerra imperialista. Tuttavia bisogna vigilare ed essere pronti a qualsiasi evenienza, tenendo a mente, e agendo di conseguenza, l'indicazione di Mao, e cioè: "Per quanto riguarda il problema della guerra mondiale, non esistono che due possibilità: l'una è che la guerra susciti la rivoluzione, e l'altra è che la rivoluzione impedisca la guerra" (24). Certo è che noi marxisti-leninisti non accetteremo mai che l'Italia entri in una guerra imperialista o che si lanci in avventure militari, qualunque esse siano, e agiremo di conseguenza, come abbiamo fatto nel passato.
L'imperialismo italiano da tempo ha alzato la cresta. In particolare dai governi Craxi in poi. È afflitto da pruriti e velleità mussoliniani, anche per quanto riguarda la politica estera e militare. Non solo riguardo al presidenzialismo. Ha precise mire di grande potenza. Ricerca un ruolo europeo, mediterraneo e mondiale.
L'attuale presidente del consiglio Romano Prodi al recente vertice del G7 di Lione ha dichiarato che l'Italia deve guadagnare "un ruolo di responsabilità precisa nelle relazioni internazionali" ed ha aggiunto che "nel Mediterraneo c'è bisogno dell'Italia". In ciò trovando l'appoggio degli Stati Uniti, il cui ambasciatore a Roma, Reginald Bartholomew, ha dichiarato a "La Repubblica" del 4 luglio scorso che "l'intesa tra Italia e Stati Uniti rappresenta la spina dorsale per garantire la stabilità e la sicurezza di quest'area del mondo. L'Italia ha un ruolo capitale da svolgere per la sua posizione geostrategica, innanzitutto, ma anche per la sua forza, il suo potenziale economico e per i suoi buoni rapporti. Per contare di più però occorre ridurre il gap fra aspirazioni e risorse, fra ambizioni e investimenti militari".
Di ciò il governo anticomunista del DC Prodi è perfettamente consapevole, tanto è vero che sta preparando un nuovo modello di difesa basato sull'esercito professionale, da sempre cavallo di battaglia dei fascisti e dei guerrafondai, e proiettato al di fuori dei confini nazionali per difendere gli "interessi vitali" dell'imperialismo italiano.
Tutto quello che sta facendo questo governo lo fa proprio per rendere più forte e più competitivo l'imperialismo italiano. Da qui la fretta e l'ossessione di entrare in Europa nei tempi stabiliti dal trattato di Maastricht, senza curarsi delle terribili conseguenze sociali. Da qui le privatizzazioni delle aziende pubbliche, lo smantellamento "dolce" dello "Stato sociale", le stangate finanziarie, le "gabbie salariali" al Sud e la flessibilità salariale. Da qui il cambiamento della forma del governo e dello Stato, che vedrà la cancellazione formale della vigente Costituzione antifascista e della repubblica democratico borghese e il passaggio legale alla seconda repubblica presidenzialista, neofascista e federalista.
Non saranno il fascismo e il presidenzialismo di Mussolini, ma i caratteri, i contenuti e gli scopi di quelli odierni sono sempre quelli di allora. Non sarà il federalismo dell'avventuriero fascista, secessionista e razzista Bassi, ma il risultato di dividere l'Italia tra regioni ricche e povere e di mandare alla deriva il Sud è stato raggiunto lo stesso.
Bossi è una creatura mostruosa dell'imperialismo italiano che l'ha foraggiato, vezzeggiato, accreditato e protetto. In particolare D'Alema, segretario nazionale del PDS, che tempo fa dichiarò che "la Lega Nord è una costola della sinistra". Le responsabilità degli atti secessionisti consumati domenica scorsa da Bossi sul Po sono interamente da ascriversi al governo Prodi che non ha mosso un dito per impedirglieli.
Noi siamo risolutamente contro la secessione della cosiddetta “Padania” e qualsiasi forma di federalismo, e altrettanto contro il patriottismo e il nazionalismo fascisti di Fini e Bassolino. Noi siamo per l'Italia unita, rossa e socialista.
L'imperialismo non vuol dire solo sfruttamento, oppressione, disuguaglianze sociali, territoriali, di sesso, ingiustizie sociali, ma anche miseria, fame, disoccupazione, discriminazioni razziali, emigrazione di massa, devastazione dell'ambiente e inquinamento.
Nel mondo, a causa dell'imperialismo, i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri. Secondo un recente Rapporto sullo sviluppo umano per il 1996, pubblicato da "Il programma per lo sviluppo dell'Onu", "il mondo è diventato più polarizzato economicamente sia tra paesi che all'interno dei paesi stessi". L'amministratore del Programma, Gustave Speth, così scrive nel Rapporto: "Se la tendenza continuerà, le differenze economiche tra paesi industriali e in via di sviluppo non potranno più essere definite ingiuste bensì disumane".
Infatti un miliardo e mezzo di persone, cioè un quarto della popolazione mondiale, sono diventate più povere negli ultimi trenta anni. Nel 1960 il 20% della popolazione più ricca lo era trenta volte più di quella povera, oggi lo è sessanta volte di più. 358 magnati che esistono nel mondo dispongono insieme di un patrimonio superiore a quello di paesi in cui vive il 45% della popolazione mondiale, ossia due miliardi e 300 mila persone. Un miliardo e trecentomila persone vivono con mille e cinquecento lire al giorno, mentre oltre 3 miliardi, cioè più della metà della popolazione mondiale, vivono con tremila lire al giorno. Le donne rappresentano il 70% del totale dei poveri.
In Europa vi sono 55 milioni di poveri, in Italia 6 milioni e 696 mila, pari all'11,9% della popolazione italiana. Essi "vivono" con 571.500 lire al mese. Il 68% delle famiglie povere è concentrato nel Sud. Un milione e duecento mila bambini (da 0 a 14 anni), di cui 953 mila al Sud, vivono in povertà. Altrettanti sono gli anziani poveri. L'1% della popolazione possiede il 31% del reddito nazionale. 31 mila sono i miliardari italiani, con in testa Berlusconi, Agnelli, Benetton, Ferrero.
Intanto cresce il divario tra i paesi ricchi e poveri. Dei 23 mila miliardi di dollari di prodotto interno lordo mondiale, 18 sono appannaggio dei paesi industrializzati e solo 5 dei paesi "in via di sviluppo" dove vive l'80% della popolazione mondiale.
Tutto ciò, secondo il Rapporto dell'Onu, è in gran parte conseguenza della ristrutturazione capitalistica dell'ultimo decennio che ha portato alla "mondializzazione dei mercati".
Su 2,8 miliardi di persone attive nel mondo ci sono 120 milioni di disoccupati ufficiali e altri 800 milioni sottoccupati, di cui circa 300 milioni che lavorano a nero, circa il 30% della forza lavoro, ovvero quasi 1 su tre. 34 milioni di questi disoccupati risiedono nei 24 paesi più industrializzati, di cui quasi 20 milioni nell'Ue e 2 milioni e 816 mila in Italia a cui vanno aggiunti 3 milioni e 299 mila persone che hanno abbandonato per sfiducia la ricerca di occupazione.
Secondo le stime dell'Organizzazione mondiale del lavoro il numero dei ragazzi tra i 5 e i 15 anni che vengono supersfruttati nel mondo oscilla tra i 100 e 200 milioni. Essi lavorano come schiavi 10-12 ore al giorno con salari da fame e in ambienti insalubri.
Centinaia di migliaia di emigrati dal Terzo mondo e dai paesi dell'Est europeo vivono come bestie nei paesi capitalisti e imperialisti compresa l'Italia. Questo stato di cose è assolutamente intollerabile e inaccettabile. Noi siamo contro ogni discriminazione e repressione razziale e chiediamo per gli immigrati gli stessi diritti sociali, civili e politici degli italiani, che le frontiere dell'Italia e dell'Ue siano aperte e che sia cancellato "il reato di clandestinità".
Mao ha detto: "L'odioso sistema colonialista e imperialista è cominciato con l'asservimento e la tratta dei negri, sparirà con la completa emancipazione dei popoli di razza nera" (25).
 

Lotta contro l'imperialismo
Per tutti i mali che ha fatto fin qui e per quelli che inevitabilmente farà nel presente e nel futuro, in Italia e nel mondo, l'imperialismo va combattuto senza pietà e va spazzato via dappertutto. Ma come?
Non certo facendo affidamento sull'Onu, sia pure riformata. Perché, come ha detto l'Ufficio politico del PMLI nel documento del 7 Novembre 1995, "l'Onu, questa Onu, non risponde più all'esigenza della sua costituzione, ha cambiato carattere, ha ormai fatto il suo tempo e va sciolta. Bisogna finirla una volta per tutte col culto di questa Organizzazione che non è affatto qualcosa di sacro, una 'necessità storica' come dicono gli imperialisti. Essa è, e lo diventerà in maggiore misura dopo la 'riforma', un'alleanza e una organizzazione imperialista a cui ci si può benissimo opporre e da cui nell'immediato occorre ritirarsi...
È giunto il momento di farla finita con questa organizzazione imperialista. Occorre una nuova Organizzazione mondiale, senza membri permanenti e privilegiati, senza diritti di veto, con uguali diritti e doveri, fondata sui principi del rispetto reciproco per la sovranità e l'integrità territoriali, di non aggressione, di non ingerenza nei rispettivi affari interni, di uguaglianza e di reciproco vantaggio". Già Mao, nel 1955, aveva prospettato la possibilità di costituire "un'Onu dei popoli, con sede forse a Shangai, o in qualche posto in Europa, forse anche a New York, se allora gli elementi bellicisti americani saranno stato spazzati via" (26).
Non si combatte certo l'imperialismo facendo la "sinistra" della Nato, dell'Ue e dell'Ueo in quanto si tratta di alleanze imperialiste assolutamente irriformabili, nemiche di tutti i popoli, compresi quelli dei paesi che le compongono.
Non si combatte certo l'imperialismo col cosiddetto "diritto-dovere di ingerenza umanitaria" escogitata dagli imperialisti, da papa Wojtyla e dai loro servi per coprire i crimini, i malaffari e il dominio dell'imperialismo nel mondo. Per noi tale diritto-dovere è la riproposizione sotto un nuovo camuffamento della politica delle cannoniere e del colonialismo, e costituisce una palese violazione del diritto internazionale e della sovranità e dell'indipendenza nazionale.
Non si combatte certo l'imperialismo col riformismo comunque denominato e mascherato, con teorie tipo "sviluppo sostenibile", "sviluppo equilibrato del pianeta", con “l'assistenza umanitaria", con l'istituzione di un "corpo civile di pace" costituito da volontari civili, con il volontariato, con il cosiddetto "terzo settore", cioè dell'economia del presunto non-mercato (no profit), con la nonviolenza, la resistenza passiva, il boicottaggio e il pacifismo che non mettono in discussione nemmeno l'esistenza stessa dell'imperialismo.
Non si combatte certo l'imperialismo con il terrorismo e nemmeno col guerriglismo avventurista staccati dalle masse. Anzi queste azioni "ultrasinistre" individuali e di piccolo gruppo, come dimostrano la storia e l'esperienza quotidiana, rafforzano l'imperialismo, gli forniscono alibi di vittima e giustificano le sue rappresaglie e le sue misure antiterroristiche. Senza considerare i gravissimi danni che creano nella coscienza politica delle masse che vengono defraudate ed esonerate dalla lotta antimperialista.
Non si combatte infine contro l'imperialismo in nome dell'umanità per una battaglia esclusivamente contro il neoliberismo ed escludendo esplicitamente la questione del potere politico.
L'umanità, vale a dire il genere umano, è il complesso di tutti gli esseri umani, quindi anche degli imperialisti e dei governanti che praticano il neoliberismo. Essa non pone distinzione tra le classi e tra i paesi che opprimono e i paesi oppressi. Mettere perciò al centro della propria lotta politica l'umanità, vuol dire impantanarsi nell'interclassismo, nel solidarismo cattolico e nel riformismo, vuol dire in ultima analisi fare lo stesso discorso degli imperialisti, del papa e della chiesa cattolica.
Combattere il neoliberismo non è poi la stessa cosa che combattere l'imperialismo, in quanto quest'ultimo è un sistema economico, statale e sociale mentre il neoliberismo è solo una politica economica dell'imperialismo. Attaccare perciò il neoliberismo senza attaccare l'imperialismo vuol dire deviare la lotta di liberazione dei popoli sul piano dell'economicismo e dell'anarco-sindacalismo. Inoltre non rivendicando il potere politico si lascia all'imperialismo piena libertà d'azione.
L'imperialismo si combatte con gli stessi principi, finalità, alleanze, metodi, armi che ci hanno insegnato i Maestri del proletariato internazionale. Lo si deve combattere per abbatterlo e distruggerlo. Per questo l'ultimo atto, presentandosi le condizioni soggettive e oggettive, non può che essere la lotta armata dei popoli, secondo le particolari situazioni. Nei paesi capitalisti e imperialisti, come l'Italia, la lotta armata consiste nell'insurrezione proletaria per il socialismo.
Noi siamo perfettamente d'accordo con Mao quando dice: "Il marxismo è duro, senza pietà, quello che vuole è annientare l'imperialismo, il feudalesimo, il capitalismo e anche la piccola produzione. In questo campo è meglio non essere troppo indulgenti. Alcuni nostri compagni sono troppo benevoli, non duri, in altre parole, non totalmente marxisti… Il nostro scopo è di estirpare il capitalismo, di estirparlo in tutto il globo, di farlo diventare un oggetto storico. Tutto quello che appare nel corso della storia dovrà sempre essere eliminato. Non c'è cosa o fenomeno nel mondo che non sia prodotto dalla storia, alla vita succede sempre la morte. Il capitalismo è un prodotto della storia, deve, dunque, morire, c'è un ottimo posto sottoterra per 'dormire' che Io aspetta" (27).
La lotta all'imperialismo è e deve essere universale, ma il compito di abbatterlo nei singoli paesi spetta ai popoli di quei paesi, quando maturano le condizioni, indipendentemente dal fatto che altri popoli facciano altrettanto nello stesso momento.
La nostra lotta contro l'imperialismo passa inevitabilmente dalla lotta contro il governo Prodi perché è esso che attualmente regge le sorti dell'imperialismo italiano. L'atteggiamento che si ha verso di esso è la cartina di tornasole che distingue gli autentici antimperialisti dai falsi antimperialisti.
Dobbiamo bombardarlo senza alcuna soluzione di continuità con tutte le armi ideologiche, politiche, sindacali, giornalistiche di cui disponiamo. Dobbiamo denunciare con forza i suoi inganni e i suoi atti di politica economica, sociale, estera, militare, istituzionale e culturale.
Questo governo non merita alcuna fiducia da parte degli sfruttati e degli oppressi coscienti. Il nostro popolo è stufo di fare sacrifici senza che nulla cambi, e non tollererà una finanziaria di lacrime e sangue con nuovi tagli alle pensioni e alla sanità.
Prodi non può dire - come ha detto ieri a "La Stampa" di Agnelli - che "l'Italia che sta emergendo in questa inchiesta non è la nostra Italia. È un residuo di quella vecchia. Una impurità". Perché il gravissimo scandalo delle ferrovie, che lambisce anche il governo, se non altro per la sua inettitudine e incapacità a ripulire lo Stato e le aziende pubbliche dai corrotti e dai ladri, non è il lascito di un passato ormai morto e sepolto ma il frutto velenoso del sistema economico capitalistico e imperialistico che produce inevitabilmente e costantemente corruzione con la quale compra, addomestica e sottomette governanti, politicanti, parlamentari, istituzioni, funzionari e manager statali, scrittori, giornalisti e tutto ciò che gli serve per perpetuarsi.
Se non si spazzano via perciò questo putrido, corrotto e corruttore sistema e i suoi governi e le sue istituzioni non potremo mai porre fine alla corruzione e all'immoralità pubblica.
Dobbiamo difendere strenuamente gli interessi delle masse e dare tutto il nostro appoggio alle lotte dei lavoratori, dei disoccupati, degli sfrattati, degli studenti, degli immigrati.
Noi siamo al fianco dei metalmeccanici che il 27 di questo mese scenderanno in piazza per il rinnovo del contratto di lavoro. Chiediamo che lo Stato e il governo concentrino la loro massima attenzione e le loro maggiori iniziative per lo sviluppo economico e sociale del Mezzogiorno. Questo non ha bisogno di diventare la "Florida d'Italia" ma di avere industrializzazione a livello delle regioni del Nord, senza però cementificazione e inquinamento. Per tutti i disoccupati chiediamo un lavoro stabile e a salario pieno. Noi siamo con gli studenti contro il numero chiuso nelle Università. Vogliamo che le scuole e le università siano gratuite, pubbliche e governate dagli studenti.
Mentre lottiamo contro l'imperialismo italiano e il suo governo, attenendoci fermamente all'internazionalismo proletario, noi dobbiamo appoggiare tutti gli autentici movimenti di liberazione nazionale e tutti i paesi che lottano veramente contro l'imperialismo, qualunque siano i dirigenti degli uni e degli altri, finanche fossero borghesi, nazionalisti, religiosi, anticomunisti.
Noi appoggiamo le lotte dei popoli filippino, palestinese, kurdo, ceceno, di Timor orientale, indonesiano, algerino, dell'Irlanda del Nord e di tutti gli altri popoli in lotta contro l'imperialismo, il colonialismo, il neocolonialismo e il razzismo. Così come appoggiamo le lotte dei lavoratori tedeschi e francesi e di altri paesi contro la politica di austerità e di sacrifici dei rispettivi governanti imperialisti. Condanniamo fermamente i bombardamenti missilistici Usa in Irak. Noi siamo solidali con i Partiti, Organizzazioni e gruppi autenticamente marxisti-leninisti di tutto il mondo.
La lotta antimperialista, dovunque nel mondo, ha bisogno della direzione della classe operaia. Lo sottolinea Mao con queste parole: "Tutta la storia della rivoluzione dimostra che, senza la direzione della classe operaia, la rivoluzione fallisce, mentre con la direzione della classe operaia, essa trionfa. Nell'epoca dell'imperialismo nessun'altra classe in nessun paese può condurre una vera rivoluzione alla vittoria" (28).
Noi chiediamo alla classe operaia italiana di risvegliarsi, di scrollarsi di dosso il revisionismo, il neorevisionismo, il riformiamo, il parlamentarismo e di assumere risolutamente e fino in fondo questo suo ruolo nella lotta antimperialista. Naturalmente quando noi parliamo della classe operaia pensiamo anche alle operaie e alle lavoratrici la cui influenza e il cui apporto alla lotta di classe è molto grande. "La condizione economica delle lavoratrici - rileva Mao -, il fatto che esse soffrano particolarmente dell'oppressione provano non solo che le donne hanno bisogno urgente della rivoluzione, ma anche che esse costituiscono una forza decisiva per la vittoria della rivoluzione" (29).
Il nostro invito è rivolto specialmente ai giovani di ambo i sessi - operai, lavoratori, disoccupati, studenti - perché essi sono i primi ad avvertire l'arrivo dell'uragano rivoluzionario e sono anche capaci di provocarlo e perché, come dice Mao, "La causa rivoluzionaria non può vincere se non ci sono i giovani" (30).
Se la classe operaia, le masse lavoratrici, popolari, femminili e giovanili si risveglieranno, nulla potrà l'imperialismo italiano contro di esse. Allora le tenebre si squarceranno e all'orizzonte comincerà a rispuntare il sole rosso del socialismo.
Chiunque voglia partecipare a questo lavoro di risveglio rivoluzionario anticapitalista e antimperialista e vuole combattere davvero l'imperialismo non ha che da prendere posto nel PMLI e sotto le sue bandiere e quelle dei Maestri. Non ci sono nel nostro Paese altre alternative politiche e organizzative antimperialiste. O con il PMLI e il socialismo, o con qualsiasi altro partito e l'imperialismo. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti quelli che ci conoscono che la sinistra siamo noi, soltanto noi marxisti-leninisti italiani. Altri possono essere la sinistra, ma non proletaria, non rivoluzionaria, non marxista-leninista, bensì la sinistra dell'imperialismo e del regime neofascista.
L'imperialismo mondiale è oggi divenuto più prepotente e aggressivo. Non bisogna però credere che esso sia invincibile e che possa in eterno spadroneggiare impunemente dappertutto e fare il buono e il cattivo tempo. È pur sempre una tigre di carta che può essere trafitta e abbattuta dai popoli. In questo secolo l'imperialismo ha subito sconfitte cocenti, altre e più gravi potrebbe collezionarne nel XXI secolo, ormai alle soglie.
La storia non è finita. Il popolo continua ad essere la forza motrice che crea la storia del mondo. La rivoluzione progredisce attraverso una serie di vicissitudini, aspre lotte anche al suo interno, prove, vittorie e sconfitte, restaurazioni e controrestaurazioni, flussi e riflussi, mai in modo lineare, ma alla fine è destinata a trionfare. È vero quanto dice Mao: "La via è tortuosa, l'avvenire è radioso" (31).
Se noi continueremo ad aver fiducia nel marxismo-leninismo-pensiero di Mao, nel socialismo, nel Partito, nelle masse e in noi stessi saremo capaci di tingere di rosso l'avvenire del nostro amato popolo.
Masse proletarie e popolari italiane, unitevi attorno al PMLI, osate abbattere l'imperialismo e realizzare il socialismo, e l'avvenire sarà vostro!
Viva l'internazionalismo proletario!
Gloria eterna a Mao!
Lottiamo per l'Italia unita, rossa e socialista!
Coi Maestri vinceremo!
 
 
NOTE
1 - Bertinotti, Intervento al convegno sulla mondializzazione capitalistica, tenutosi a Firenze il 18 novembre 1995
2 - Mao, Alcuni giudizi sull'attuale situazione internazionale, Aprile 1946, opere scelte, vol. 4°, p. 84
3 - Mao, In memoria del dottor Sun Zhongshan, 12 novembre 1956, opere scelte, vol. 5°, Edizioni Einaudi, p. 441
4 - Zhou Enlai, Discorso di Mogadiscio del 3 febbraio 1964 in Chou En lai, Internazionalismo e rivoluzione, Edizione Moizzi, pp. 109-110
5 - Mao, Una conversazione con i rappresentanti di alcuni partiti comunisti latino-americani, pubblicata col titolo "Alcune esperienze storiche del nostro Partito", 25 settembre 1956, opere scelte, vol. 5°, Edizioni Einaudi, p. 432
6 - Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, tra il gennaio e il giugno 1916, opere complete, vol. 22°, p. 301
7 - Mao, Discorso alla II Sessione plenaria CC del PCC, 15 novembre 1956, opere scelte, vol. 5°, Edizioni Einaudi, p. 454
8 - Mao, Una conversazione dell'agosto 1964
9 - Mao, Una conversazione dell'11 maggio 1964
10 - Mao, Sul governo di coalizione, 24 aprile 1945, opere scelte, vol. 3°, p. 213
11 - Mao, Preoccuparsi del benessere delle masse, fare attenzione ai metodi di lavoro, 27 gennaio 1934, opere scelte, vol. 1°, p.157
12 - Mao, Intervista con la giornalista americana Anna Louise Strong, Agosto 1946, opere scelte, vol. 4°, p. 97
13 - Mao, Ibidem, p. 96
14 - Mao, Problemi della guerra e della strategia, 6 novembre 1938, opere scelte, vol. 2°, p. 233
15 - Mao, Dichiarazione contro l'aggressione del Vietnam del Sud e i massacri della popolazione sud-vietnamita da parte della cricca Stati Uniti-Ngo Dinh Diem, 29 agosto 1963
16 - Mao, Colloquio con alcuni amici africani, 8 agosto 1963
17 - Mao, Dichiarazione del 20 maggio 1970 dal titolo "Popoli di tutto il mondo, unitevi per sconfiggere gli aggressori americani e tutti i loro lacchè!"
18 - Mao, Forze rivoluzionarie di tutto il mondo unitevi, per combattere l'aggressione imperialista!, novembre 1948, opere scelte, vol. 4°, p. 292
19 - Mao, Dichiarazione in appoggio del popolo del Congo-Leopoldville contro l'aggressione degli Stati Uniti, 28 novembre 1964
20 - Lenin, L'imperialismo, fase suprema del capitalismo, tra il gennaio e il giugno 1916, opere complete, vol. 22°, pp. 265-266
21 - Wojtyla, Discorso pronunciato davanti a Clinton appena giunto in visita negli Usa nell'ottobre '95, in "L'Osservatore romano" del 6 ottobre 1995
22 - Stalin, Problemi economici del socialismo nell'Urss, 21 aprile 1952-28 settembre 1952, Edizioni Rinascita, pp. 52-53
23 - Albert, Capitalismo contro capitalismo, 1993, citato da Valerio Castronovo in Le rivoluzioni del capitalismo, 1995, p. 124
24 - Mao, Citato nel rapporto al IX Congresso nazionale del PCC, tenutosi il 1-24 aprile 1969
25 - Mao, Dichiarazione in appoggio agli afro-americani nella loro giusta lotta contro la discriminazione razziale praticata dall'imperialismo americano, 8 agosto 1963
26 - Mao, Conversazione con l'ambasciatore Carl-Johan (Cay) Sundstrom, primo ambasciatore finlandese in Cina, durante l'accettazione delle credenziali, 28 gennaio 1955
27 - Mao, Il dibattito sulla cooperazione agricola e l'odierna lotta di classe, 11 ottobre 1955, opere scelte, Edizioni Einaudi, vol. 5°, p. 252
28 - Mao, Sulla dittatura democratica popolare, 30 giugno 1949, opere scelte, vol. 4°, pp. 433-434
29 - Mao, Citato nell'articolo Sotto la direzione del presidente Mao noi donne abbiamo preso la via dell'emancipazione, 12 ottobre 1977
30 - Mao, Nell'attività della Lega della gioventù bisogna tener conto delle caratteristiche dei giovani, 30 giugno 1953, opere scelte, vol. 5°, Edizioni Einaudi, p. 104
31 - Mao, Sui dieci grandi rapporti, 25 aprile 1956, opere scelte, Edizioni Einaudi, vol. 5° p. 385