Biden mette in linea anche il G7 nella guerra a Putin
Zelensky avverte che "gli ucraini pagano con la vita le sanzioni "deboli'"

 
Messe a punto col vertice Nato le questioni militari per rispondere alla guerra di aggressione della Russia in Ucraina, il presidente americano Biden completava il giro diplomatico in Europa con la veloce riunione del G7, utile a tenere in cordata anche il Giappone, e la partecipazione al consiglio Ue, prima di chiudere con la significativa tappa nella Polonia dell'alleato di ferro Morawiecki, a un tiro di schioppo dalle armate di Putin. Ci stiamo coordinando con il G7 e l'Unione Europea anche in materia di sicurezza alimentare, nonché di sicurezza energetica, dichiarava Biden anticipando quelli che per l'imperialismo americano erano i temi principali dei due successivi appuntamenti.
Riuniti a Bruxelles il 24 marzo sotto la presidenza di turno tedesca i leader dei sette maggiori paesi industrializzati, il G7 composto da Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Regno Unito e Stati Uniti che per alcuni anni si era trasformato in G8 con la Russia, cacciata nel 2014 per l'annessione della Crimea, approvavano una dichiarazione che nella parte politica è una copia in carta carbone di quella Nato. Citavano inoltre la risoluzione di condanna dell'aggressione militare della Russia all'Ucraina approvata a larga maggioranza dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 2 marzo scorso e appoggiavano il procuratore della Corte penale internazionale nella raccolta delle prove dei crimini di guerra di Putin, come aveva sponsorizzato Biden dall'alto della sua esperienza dei crimini di guerra dell'imperialismo americano fino agli ultimi recenti in Afghanistan.
La parte centrale della dichiarazione riguardava il richiamo alla piena attuazione delle misure economiche e finanziarie sanzionatorie decise verso la Russia, che vedono ancora i soci del G7 solidali a parole ma ognuno intento a difendere i propri interessi imperialisti. Così come non sembrano avere grandi successi i richiami indirizzati a altri governi di adottare le stesse sanzioni e comunque di non boicottarle avallando scappatoie che possano "rappresentare un rifugio sicuro per la Russia, sia in Cina che in qualsiasi altro paese".
La dipendenza dalle fonti energetiche russe è un vero cappio al collo che paesi come la Germania ma anche l'Italia si sono messe da sole seguendo la logica capitalista del massimo profitto e si ritrovano a bussare alle porte del cartello dei paesi dell'Opec per uscire da questa dipendenza.
Dai paesi che sono tra i maggiori inquinatori del mondo arrivava persino una dichiarazione di impegno per "raggiungere gli obiettivi dell'accordo di Parigi e del patto sul clima di Glasgow e a limitare l'aumento delle temperature globali a 1,5°C, accelerando la riduzione della nostra dipendenza dai combustibili fossili e la nostra transizione all'energia pulita". Intanto pensano a ricorrere alle fonti energetiche dei cobustibili fossili dagli Usa e altri paesi alleati, altro che transizione.
L'aiuto degli alleati d'oltreoceano è previsto anche per superare le difficoltà di approvigionamento alimentari. I paesi del G7 affermano di voler prevenire la crisi della sicurezza alimentare globale e dei paesi più vulnerabili in particolare nel Medio Oriente e l'Africa ma in realtà pensano alle proprie scorte di generi alimentari. Gli Usa e il Canada che sono tra i maggiori produttori di grano al mondo sono pronti anche a soccorrere i partner in difficoltà di approvviginamento o meglio a soppiantare le forniture russe e sostituire momentaneamente quelle ucraine come hanno spiegato funzionari americani nella conferenza stampa che anticipava l'esito dei lavori. E che ha spiegato con maggiore chierezza del pletorico comunicato ufficiale quali siano gli effetti delle sanzioni al momento.
Un segnale sull'efficacia dell'embargo era venuto nelle scorse settimane dallo stesso Putin che aveva accusato le conseguenze delle sanzioni senza precedenti alla Russia e minacciato ritorsioni. Vari istituti di ricerca hanno stimato che in Russia sta maturando una crescita dell'inflazione oltre il 10% dovuta al deprezzamento del rublo e una riduzione della produzione nel settore privato fino al 15% per il 2022, in seguito anche all'abbandono del paese da parte di più di 400 aziende straniere. La Russia era l'undicesima economia più grande del mondo e rischia di crollare oltre la ventesima posizione.
Quanto queste stime siano affidabili o meno potremo verificarlo solo a suo tempo.
Possiamo però dire che purtroppo la Russia di Putin non è del tutto isolata come continua a dipingerla la propaganda imperialista occidentale, uguale e opposta a quella imperialista degli aggressori russi. Ha alleati di non poco conto tra le altre quattro potenze economiche dei paesi emergenti che o sono sostanzialmente solidali come la Cina o non partecipano comunque alle sanzioni come l'India, il Sudafrica e il Brasile di Bolsonaro. All'ipotesi di cacciare la Russia dal G20 si è opposta l'Indonesia, si sono sfilati dal pieno sostegno al fronte occidentale due alleati mediorientali di peso degli Usa come l'Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, per non parlare della "neutralità" di Turchia e Israele che usano le relazioni con Mosca a vantaggio delle loro ambizioni egemoniche locali.
Altra cosa certa è che i maggiori paesi imperialisti usano l'arma delle sanzioni in maniera opportunistica, fino al punto che non metta in pericolo gli affari e non come sarebbe necessario al centro dell'iniziativa di supporto alla resistenza del popolo ucraino per fermare l'aggressore. E quindi diventa un'arma spuntata.
Lo ha denunciato lo stesso presidente ucraino Volodymyr Zelensky in un video diffuso il 29 marzo: "l'Ucraina non può e non sarà d'accordo con la posizione di sanzioni passive di alcune entità nei confronti della Russia. Non dovrebbero esserci pacchetti di sanzioni 'sospese', nel senso che se le truppe russe fanno qualcosa, allora ci sarà una risposta. Il nostro obiettivo è che funzionino come previsto. Nessuno ha il diritto di usare la vita degli ucraini per risparmiare entrate in Russia o entrate comuni con la Russia".

30 marzo 2022