L'eroica Resistenza dell'Ucraina blocca l'avanzata della armata neonazista del nuovo zar Putin
Le truppe russe lasciano terreni e cadaveri minati, fosse comuni, distruzioni. Genocidio a Bucha. A Enerhodar sparano contro un pacifico corteo. Il papa: "la guerra all'Ucraina è sacrilega"
Zelensky all'Onu: “Se avete solo parole vuote e non potete fare niente per noi”, allora “l’opzione è smantellare le Nazioni Unite”.

 
Una volta fallito l'obiettivo dello sfondamento del fronte orientale, l'accerchiamento e la conquista della capitale Kiev e l'insediamento di un governo fantoccio, la strategia dell'aggressore imperialista russo in Ucraina nel secondo mese di guerra in Ucraina è chiaramente orientata a riorganizzare le forze per concentrarle nell'attacco sulle città orientali e meridionali. Una strategia segnata dall'intensificazione dei bombardamenti lungo la costa del Mar Nero e da un relativo allentamento della pressione militare su Kiev dovuta alla controffensiva dell'esercito ucraino. L'eroica Resistenza dell'Ucraina ha bloccato l'avanzata dell'armata neonazista del nuovo zar Putin, costretta a cambiare i piani. E il ritiro delle truppe russe, o meglio la liberazione di una fascia di territorio occupato attorno alla capitale ridotto a un cumulo di macerie ha permesso di scoprire una serie di atti orrendi dell'armata zarista imperialista sulla popolazione, documentati a partire dalle tremende immagini di fosse comuni o di civili assassinati con un colpo alla testa e le mani legate dietro la schiena e abbandonati per le strade di Bucha, una cittadina di 30 mila abitanti dove alcuni morti sono stati ritrovati in una stanza usata per le torture. Un genocidio che non sembra limitato alla cittadina a una cinquantina di chilometri dalla capitale; stando alla denuncia del sindaco di Borodyanka, un'altra località nella cintura di Kiev, dove i corpi di circa 200 civili sono ancora sotto le macerie delle case distrutte nel primo attacco del 24 febbraio e il cui recupero è iniziato solo dopo che i militari russi se ne sono andati l'1 aprile. Il difensore civico ucraino Lyudmila Denisova ha denunciato anche il caso di bambini di meno di 10 anni uccisi con segni di stupro e tortura trovati nella città di Irpin.
Sono crimini di guerra del nuovo zar Putin che contengono un altrettanto criminale messaggio, una intimazione alla resa rivolta alla popolazione delle città meridionali che resistono all'aggressione e la cui conquista è il bersaglio principale del secondo mese di guerra. E che liquida almeno al momento le già flebili speranze di un qualche passo positivo nelle trattative in corso, di negoziati che comunque dovranno continuare per far finire la guerra, sosteneva il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, per far finire gli assassini, le torture e gli stupri degli occupanti.
Nel suo intervento del 5 aprile al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Zelensky ha denunciato che "centinaia di migliaia di ucraini sono stati deportati in Russia" e ricordato le atrocità a Bucha che "è solo uno degli esempi dei crimini di guerra russi. I militari russi e i loro comandanti devono essere processati per crimini di guerra. Serve un tribunale sul modello di Norimberga". E chiudeva l'intervento avvertendo: “Se avete solo parole vuote e non potete fare niente per noi”, allora “l’opzione è smantellare le Nazioni Unite”.
La procura generale ucraina che indaga sui casi di crimini di guerra degli occupanti comunicava il 3 aprile che erano almeno 410 i cadaveri ritrovati nelle città alla periferia settentrionale di Kiev dopo il ritiro delle truppe russe, sui quali gli investigatori stavano raccogliendo testimonianze e prove documentali come foto e video. Il ministro della Difesa russo respingeva le accuse, definiva foto e video dei falsi costruiti da Kiev e dai media occidentali come quelli sulla giovane partoriente in fuga dall'ospedale di Mariupol e arrivava fino a sostenere che si sarebbe trattato di una "provocazione" dell'esercito ucraino con l'obiettivo di far saltare i colloqui di pace. Le prime prove raccolte dalle organizzazioni umanitarie presenti sul posto smentivano la versione di comodo di Mosca e confermavano il genocidio di Bucha.
Come ha sostenuto il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba “il massacro è stato deliberato. I russi mirano ad eliminare il maggior numero possibile di ucraini. Dobbiamo fermarli e cacciarli via” e ha chiesto “subito nuove devastanti sanzioni del G7: embargo su petrolio, gas e carbone; chiudere tutti i porti alle navi e alle merci russe; scollegare tutte le banche russe da Swift”, anzitutto alla Gazprombank quella che serve ai pagamenti del gas russo che continuana arrivare in Europa, dalla Germania all'Italia, alla Polonia, all'Austria e che finanzia la guerra del nuovo zar Putin.
Sono strepiti a vuoto buoni solo a conquistare i titoli dei giornali le condanne espresse a una voce dal segretario generale dell’Onu Antonio Guterres alla presidente della commissione Ue Ursula Von der Leyen, ai capi di Stato e di governo dei maggiori paesi della Ue, Draghi compreso, completati dal capolavoro di ipocrisia diplomatica del ministro degli Esteri italiano Luigi Di Maio che il 3 aprile dichiarava che “la guerra russa va fermata” e aggiungeva “non escludiamo” che, alla luce dei fatti di Bucha, “nelle prossime ore possa esserci un dibattito sul tema dell’import di idrocarburi dalla Russia”, come tra l'altro se non fosse che se ne parla, a vuoto, da almeno un mese. I paesi imperialisti europei, allineati al capofila occidentale americano che segue i propri obiettivi egemonici mondiali nella sua guerra contro il nuovo zar Putin sulla testa dello stesso popolo ucraino, hanno finora seguito la linea di inviare armi alla resistenza ucraina e di sbandierare sanzioni economiche di peso relativo mentre il blocco totale delle importazioni dalla Russia era certamente più efficace per costringere Putin alla trattativa.
Invece quanto pesino le sanzioni alla Russia lo hanno stimato gli istituti economici che ragionano di cadute tra il 10 e il 20% del pil ma sul lungo periodo, nell'immediato invece risulta che al 31 marzo il valore del rublo recuperava sul dollaro e tornava ai livelli di prima della guerra in barba alle ridicole sanzioni occidentali sulle esportazioni e sui sistemi finanziari del paese.
"La pace è più preziosa dei diamanti e delle navi russe nei vostri porti", dichiarava il presidente Zelensky nei collegamenti video con il parlamento belga e quello olandese invitandoli ancora una volta a "essere disponibili a bloccare le esportazioni di energia della Russia, in modo da non dare miliardi (a Mosca, ndr) per la guerra". Ma mentre attivisti di Greenpeace provenienti da Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia e Russia cercavano di bloccare in mare il trasbordo di 100.000 tonnellate di petrolio tra una petroliera russa a una danese il primo ministro danese Mette Frederiksen dichiarava questa settimana che la Danimarca è pronta a inviare un battaglione di 800 militari negli Stati baltici su richiesta della Nato. Armi all'Ucraina e soldi per il petrolio alla Russia.
L'1 aprile il presidente turco Recep Tayyip Erdogan che si è ritagliato un ruolo di mediatore grazie ai buoni rapporti con i due paesi, alleato di Mosca in Siria e fornitore del progetto dei droni armati che l'esercito ucraino usa contro le colonne corazzate russe, dichiarava che grazie a un "positivo avvicinamento" nei colloqui tra le parti a Istanbul avrebbe potuto annunciare a breve la data per l'incontro tra Putin e Zelensky. Dal fronte arrivavano comunque notizie di una guerra a tutto campo con pur sempre maggiori difficoltà degli aggressori zaristi imperialisti russi, dalla distruzione di serbatoi in un deposito di carburante nella regione russa di Belgorod, durante una incursione di elicotteri rivelata da Mosca ma non rivendicata da Kiev, alla liberazione di 11 villaggi nella regione meridionale di Kherson e a nord del sito nucleare di Chernobyl. Attorno a Kiev le forze russe si stavano ritirando dal villaggio di Hostomel e da altre cittadine pur continuando a bombardare con continuità criminale le case di Irpin e Makariv; a Chernihiv le cannonate russe erano dirette su un ospedale. Il 2 aprile i soldati russi sparavano sugli abitanti che protestavano contro l'occupazione nella città di Enerhodar, nella provincia di Zaporizhzhia, e arrestavano un numero imprecisato di manifestanti.
Le notizie delle decine di cadaveri trovati per le strade di Bucha davano una nuova terribile immagine degli sviluppi dell'aggressione delle armate del nuovo zar Putin all'Ucraina.
Secondo il portavoce di Amnesty International Italia, Riccardo Noury, "le immagini, le testimonianze dei giornalisti arrivati a Bucha ci dicono che è il peggiore dei crimini di guerra commessi nei primi 40 giorni del conflitto russo-ucraino" ed era quindi "fondamentale una rapida inchiesta internazionale indipendente che accerti le responsabilità e che vada poi a ingrossare la mole già notevole di prove di possibili crimini di guerra russi che sono all'esame del procuratore del Tribunale penale internazionale".
Prove raccolte anche da Amnesty International e diffuse l'1 aprile per condannare gli assedi dell’esercito russo in Ucraina, gli attacchi incessanti e indiscriminati contro aree densamente popolate che stanno uccidendo la popolazione civile in diverse città. Le testimonianze raccolte denunciano le tattiche d’assedio russe, fra cui gli attacchi indiscriminati illegali, l’interruzione dei servizi fondamentali, i tagli alle comunicazioni, la distruzione delle infrastrutture civili e le restrizioni all’accesso a medicine e assistenza sanitaria. Tattiche che accompagnano gli attacchi militari con in alcuni casi l'uso di armi proibite dalle leggi internazionali. Sferrare attacchi indiscriminati che uccidono o feriscono civili costituisce un crimine di guerra, ribadiva l'organizzazione umanitaria che ha già raccolto prove di attacchi indiscriminati contro la popolazione civile ucraina a Kharkiv, nell'oblast di Sumy, a Chernihiv e durante gli assedi di Kharkiv, Izium e Mariupol.
Poco prima erano state le Nazioni Unite a annunciare l'esistenza di prove sull'uso di armi "illegali" delle forze russe contro le zone abitate da civili in almeno 24 casi. Armi come quelle al fosforo impiegate, secondo le denuce ucraine, contro varie città nella regione del Donetsk e di Lugansk. Bombe a grappolo sono state lanciate dagli aggressori russi in varie occasioni a Mariupol, Kharkhiv, Mykolaiv e nelle regioni di Odessa e di Kherson in base alle prove raccolte nelle indagini della procuratrice Iryna Venediktova. Le mine antiuomo sono state disseminate dall'esercito invasore lungo tutto il fronte della guerra (e persino sotto i cadaveri, secondo una denuncia ucraina), a partire dalle zone liberate attorno a Kiev dove è iniziata la bonifica, e quelle galleggianti sono state usate nel Mar Nero e nel Mar d'Azov per paralizzare i trasporti commerciali.
Questa guerra iniziata alle ore 4 del 24 febbraio e fino al 2 aprile, in base al rapporto dell'Ufficio dell'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (Ohchr) avrebbe registrato il bilancio di 1.417 morti e 2.038 feriti. Un bilancio ufficiale che continua a essere sottostimato e per nulla credibile. I profughi fuggiti dal paese sono oltre 4 milioni, gli sfollati interni sono 6,5 milioni, il 90% dei quali donne e bambini.
Sono le cifre ufficiali di una guerra condannata nuovamente da papa Francesco che il 3 aprile chiudendo il saluto al termine della preghiera dell’Angelus nella città di Floriana, presso la Valletta a Malta, ha invitato i 20 mila fedeli presenti a pregare "per la pace, pensando alla tragedia umanitaria della martoriata Ucraina, ancora sotto i bombardamenti di questa guerra sacrilega”.

6 aprile 2022