Il governo centrale concederà 1 miliardo e 121 milioni in 20 anni al Comune per ridurre il debito di 5 miliardi di euro ma pone la città sotto la “tutela” del governo
“Il Patto per Napoli” lo pagheranno le masse napoletane attraverso tasse e privatizzazioni
In cambio saranno aumentate le tasse, svenduto il patrimonio pubblico, privatizzati i servizi e le municipalizzate
DRAGHI SONORAMENTE CONTESTATO AL RIONE SANITà E DAVANTI AL MUNICIPIO

Martedì 29 marzo il capo del governo, il banchiere massone e guerrafondaio Draghi è giunto nel capoluogo partenopeo per la firma del cosiddetto “Patto per Napoli”. Forse pensava che la popolazione lo accogliesse con i guanti bianchi perché, stando a quanto propagandato dai maggiori mezzi d'informazione, avrebbe portato in dono un sacco di soldi per risollevare le sorti della città e invece, come vedremo più avanti, è stato sonoramente contestato durante tutta la sua permanenza a Napoli.
 

Bilanci in rosso: Napoli ha 5 miliardi di debiti
Prima è bene capire, almeno a grandi linee, in che cosa consiste questo accordo firmato da Draghi e dal neopodestà Gaetano Manfredi, eletto con i voti di PD e 5 Stelle, o se si preferisce, dal “centro-sinistra”. Non si tratta di una legge specifica per Napoli come spesso è stata definita, ma rientra nella legge 234 del 30 dicembre 2021, che all’articolo 1 riconosce ai comuni sede di capoluogo di città metropolitana, con disavanzo pro capite superiore a 700 euro, un contributo per gli anni 2022-2042, di 2.670 milioni di euro, da ripartire in proporzione all’onere connesso al ripiano annuale del disavanzo e alle quote di ammortamento dei debiti finanziari al 31 dicembre 2021. Interesserà anche Torino, Reggio Calabria e Palermo.
È vero che a Napoli toccherà più del 40% del totale ma dobbiamo considerare che stiamo parlando della “capitale” del Mezzogiorno, terzo comune italiano per abitanti e seconda area metropolitana del Paese dopo quella di Milano. Riguardo al dissesto finanziario il capoluogo campano non è secondo a nessuno, con un debito stratosferico che sfiora i 5 miliardi di euro. Per ridurre questo disavanzo il Comune di Napoli sarà destinatario di un contributo complessivo a fondo perduto di 1 miliardo e 231 milioni di euro, erogato in quote annue fino al 2042. L’erogazione della quota annuale avverrà entro il 31 marzo di ogni anno.
 

Le responsabilità dei governi locali e nazionali
Riguardo al debito contratto i giornali scrivono che questo è causato in gran parte da tasse, multe e canoni non riscossi dal Municipio negli anni scorsi, e da debiti con le banche. Ma sarebbe fin troppo riduttivo circoscriverlo alla mancata riscossione dei tributi. Ci sono vecchi conti in sospeso come i debiti contratti con il terremoto dell'80 verso il consorzio per la ricostruzione, l'uso disinvolto di strumenti finanziari accesi in passato come i derivati , inefficienze organizzative, l'abuso dell’anticipazione di tesoreria, la pratica dei debiti fuori bilancio, scarsa attenzione alla gestione dei flussi finanziari.
Le amministrazioni comunali di qualsiasi colore che si sono succedute hanno quindi grandi responsabilità, compresa quella “arancione” di De Magistris, che non solo ha continuato sulla strada dei suoi predecessori, ma non ha alleggerito neppure di un grammo le pesantissime e precarie condizioni di vita delle masse popolari partenopee. Ha una notevole faccia tosta ad intervenire in questi giorni sul dibattito attorno al “Patto per Napoli” per rivendicare di “aver portato Napoli ai vertici culturali e turistici mondiali”(?) senza i soldi che adesso sono stati concessi alla giunta Manfredi.
Senza dimenticare le responsabilità dello Stato centrale che negli ultimi 20 anni ha stretto i cordoni della borsa verso le amministrazioni locali e Napoli in particolare che adesso è strutturalmente impossibilitata ad assicurare ai suoi cittadini i servizi essenziali. Il frutto anche di una economia debole e precaria perché non ci possiamo dimenticare, ad esempio, che mentre Milano ha un reddito medio imponibile pro capite pari a 32.330 euro, quello di Napoli si attesta a 19.757 euro. È un cane che si morde la coda: meno risorse, più vincoli alla spesa, di conseguenza più tagli, maggiore impoverimento, meno tributi.
In questo scenario è impossibile risanare finanziariamente l'amministrazione, non basta certo l'immissione temporanea di denaro, che tra l'altro, come vedremo più avanti, costerà caro alle masse popolari partenopee, né con finanziamenti a pioggia, né tanto meno con ulteriori tagli ai servizi pubblici, oramai ridotti al lumicino e sempre più in mano ai privati. Senza un vero piano di sviluppo economico e industriale, con interventi mirati a favore del lavoro, con l'assorbimento della massa dei disoccupati e dei lavoratori precari e a nero in occupati stabili non si ridurrà quel gap economico e infrastrutturale che Napoli e il Mezzogiorno hanno nei confronti del resto del Paese.
 

Comune sotto “tutela” del governo
Questo “Patto per Napoli” non solo non è risolutivo, ma non si tratta nemmeno di un regalo, né di un intervento di solidarietà per risollevare le sorti della città. Quello firmato in pompa magna dal presidente del Consiglio Draghi e dal sindaco Manfredi nelle sale del Maschio Angioino è un vero e proprio commissariamento che toglierà ogni autonomia economica e politica all'amministrazione locale che per ottenere i versamenti annuali, dovrà rispettare i vincoli imposti dal governo centrale, che chiede in cambio specifiche garanzie. La verifica dell’attuazione dell’accordo sarà effettuata, a partire dal 2023, ogni sei mesi dal Ministero dell’Interno.
Il Patto prevede che le finanze comunali devono coprire con risorse proprie un quarto del finanziamento statale, il che significa che per ogni 100 milioni di euro stanziati dallo Stato, il comune dovrà trovare risorse locali per 25 milioni di euro. Per questo sono state previste una serie di misure che partiranno dal 2023. Tra queste l’assegnazione della riscossione coattiva a società specializzate, iscritte nell’apposito Albo dei soggetti abilitati alla gestione delle attività di liquidazione e di accertamento dei tributi e quelle di riscossione dei tributi e di altre entrate.
 

Il “Patto” lo pagheranno le masse popolari
Tra le tasse più esose che colpiranno i napoletani ci sarà l’incremento dell’addizionale comunale all’IRPEF di 0,1% dal 2023 e di un ulteriore 0,1% dal 2024. Già adesso è al massimo consentito ma sarà applicata una deroga per sforare quanto previsto dalla legge. Questo permetterà di raschiare dalle casse di ogni cittadino con reddito medio basso un centinaio di euro l'anno. Poi ci sarà l'introduzione di una tassa aeroportuale che prevede il pagamento di due euro per chi s'imbarcherà allo scalo di Capodichino. Prevista anche una riduzione dei fitti passivi perché le morosità non riguardano solo il pagamento di multe o tasse dei rifiuti, ma spesso riguardano enti come Università, caserme ed altre istituzioni che occupano edifici di proprietà comunale senza versare un centesimo.
Un discorso a parte merita la gestione del patrimonio comunale. Il sindaco Manfredi afferma che l'aiuto dello Stato eviterà la sua privatizzazione, altrimenti inevitabile con il fallimento. Ma questo non è assolutamente vero perché, seppur non ci sia ancora molto di definito, nel Patto per Napoli si parla già di “valorizzazione e alienazione del patrimonio pubblico, attraverso il piano definito con la società Invimit” e della dismissione, entro il 2022, della rete del gas di proprietà del Comune e di svendita delle aziende partecipate.
In conclusione possiamo dire che si tratta del solito provvedimento tampone, pagato a caro prezzo dalle masse popolari partenopee che non risolverà nemmeno parzialmente nessuno dei problemi che affliggono la città, ma che invece porterà a nuove tasse, tagli ai servizi e privatizzazioni, e al prevalere ancora più marcato delle logiche del profitto, dell'impresa e del mercato. Ne sono consapevoli tanti napoletani, i sindacati di base, i movimenti e le associazioni che si battono per il lavoro, la dignità e il riscatto dei quartieri più emarginati, contro la trasformazione del Comune e degli enti pubblici in aziende private, che hanno organizzato una serie di proteste in città.
 

Proteste e contestazioni
La mattina del 29 marzo in Piazza Municipio l'USB e altri sindacati di base hanno organizzato un presidio contro l'arrivo di Draghi e la firma del “Patto per Napoli”, contro l'aumento delle spese militari. Erano presenti anche i disoccupati del “Movimento di lotta 7 novembre”, le tute blu della Whirlpool e attivisti di alcuni partiti. In piazza anche il Coordinamento contro il green pass e gli studenti no pass. Erano ben visibili cartelli con scritte “No alla guerra” e “No alle armi” e uno striscione “No armi, si lavoro”, poi rimosso dalla polizia. I manifestanti, costantemente “controllati” dalla “forze dell'ordine”, dopo un breve corteo hanno attuato anche il blocco del traffico.
Un'altra protesta, forse anche più inaspettata, c'è stata al rione Sanità. Quando Draghi, accompagnato dal sindaco Manfredi e dal Governatore della Campania De Luca, è uscito dalla Basilica di Santa Maria ha subito una dura contestazione dalla folla rumorosa e arrabbiata che lo ha accolto con un “Vai via! No alla guerra!”. I disoccupati organizzati e il comitato che si batte contro la chiusura dell'ospedale San Gennaro innalzavano lo striscione: “Zero soldi agli arsenali, più fondi agli ospedali. Draghi vattene!”. In prima fila le donne del rione. Cori e urla anche contro De Luca e Manfredi: “Qui le strade sono pulite solo per lui”, in riferimento a Draghi mentre nel resto dell'anno il quartiere vive abbandonato e nel degrado.

6 aprile 2022