Nuovo voto di fiducia al governo atlantista di Draghi
Col Decreto Ucraina il senato approva l'invio di nuovi uomini e mezzi alla Nato e armi a Kiev
Confermato l'aumento delle spese militari italiane da qui al 2028. Opportunismo di Conte e dei 5 Stelle. Pieno appoggio di PD, Lega, Forza Italia, Italia Viva e Liberi e Uguali. 35 contrari e 72 deputati non si presentano al voto. Draghi telefona a Putin

 
Come ampiamente previsto, il 31 marzo l'aula del Senato ha dato il via libera al voto di fiducia sul nuovo decreto “Ucraina”. 214 i sì dei deputati di tutte le forze che sostengono Draghi e il suo governo, e 35 i no, senza astenuti in aula. Tuttavia va sottolineato che la fiducia passa con un grande numero di assenti (72) dai banchi del Senato; al voto infatti, in definitiva, hanno partecipato solo 249 senatori su 321.
Il provvedimento va ad aggiungersi ai testi approvati il 25 febbraio che ha disposto l’aumento del contingente italiano delle truppe NATO dislocate nei paesi confinanti all’Ucraina, a quello del 28 contenente altre disposizioni in tema di accoglienza profughi e per la sicurezza del sistema nazionale del gas naturale, e all'ultimo in ordine di tempo approvato lo scorso 18 marzo 2022 dal titolo “Misure urgenti per contrastare gli effetti economici e umanitari della crisi ucraina”, che riguarda una serie di disposizioni volte ad attenuare gli effetti della guerra in corso sulla nostra economia quali la rimodulazione delle accise sui carburanti e consistenti sgravi fiscali per le aziende energivore e di gestione sotto forma di crediti d'imposta per calmierare in una qualche misura l'aumento dei costi in bolletta.
Un provvedimento sbilanciato, come nelle corde di un governo borghese rappresentante non del popolo ma del grande capitale, sulla tutela degli interessi delle grandi compagnie energetiche, più che sulla necessità effettiva di ridurre drasticamente i pagamenti delle famiglie che da decenni vedono solo aumenti, più o meno repentini, delle bollette di gas e energia elettrica. Non è necessaria la guerra dunque per far lievitare i costi; è sufficiente il mercato capitalistico e tutto ciò che vi sta dietro, anche se i fatti dicono che l'aggressione russa all'Ucraina ha fatto sobbalzare le borse e anche le quotazioni dei beni energetici, spingendo i loro prezzi alle stelle.
Quest'ultimo provvedimento però dispone soprattutto l'invio di equipaggiamenti a Kiev e altri contributi militari alla Nato, e il governo atlantista del banchiere massone Draghi nella serata del 30 marzo aveva posto l'ennesima fiducia, blindando sostanzialmente il testo votato anche dall'opposizione di Fratelli d'Italia in prima lettura alla Camera.
 

Cosa prevede il Decreto Ucraina
Il Decreto autorizza, sulla carta fino al 30 settembre 2022, la partecipazione di personale militare italiano al potenziamento di dispositivi della NATO sul fianco Est dell’Alleanza nell'ambito della forza ad elevata prontezza denominata Very High Readiness Joint Task Force (VJTF).
Uno “strumento” introdotto dalla NATO nel 2014 e costituito da cinquemila militari di diversa nazionalità e specializzati in diversi ambiti, in particolare marittimo e aereo che dovrebbe essere capace di essere schierata in qualsiasi parte del mondo nell'arco di un paio di giorni dalla richiesta d'intervento, e di arrivare a pieno organico entro 5 giorni. Secondo Governo e Senato, l’Italia è disposta a offrire a questa armata di pronto intervento ben 1.278 uomini, oltre ad altri per un totale di 1.350 che dovrebbero occuparsi di logistica. Ma non finisce qui, perché prevede anche l’impiego di 77 mezzi terrestri e 5 mezzi aerei e 2 unità navali operative nel secondo semestre del 2022 il tutto per una spesa militare pari a euro 86.129.645.
Il testo inoltre conferma l'invio a titolo gratuito, di mezzi e materiali di equipaggiamento militari alle autorità governative dell’Ucraina; non è certo sapere di quali armamenti si tratta poiché la lista dei mezzi e dei materiali rimane segreta, oggetto di un decreto interministeriale del ministro della Difesa, di concerto con i ministri degli Affari esteri e dell’Economia.
Oltre alla possibilità per i giornalisti che vogliono recarsi nelle zone di guerra di acquistare, dopo l’autorizzazione del questore, giubbotti antiproiettile e elmetti per esigenze di autodifesa, il decreto si sofferma di nuovo sulla questione energetica disponendo il riempimento degli stoccaggi di gas, autorizzando già in anticipo l’eventuale adozione di misure straordinarie per sopperire alla possibile mancanza di risorse anche per effetto della disputa con Putin sulla valuta di pagamento delle fatture di approvvigionamento di gas russo e petrolio i rubli, quale potrebbe essere la necessità di ridurre il consumo di gas delle centrali elettriche oggi attive, andando a massimizzare la produzione da altre fonti fossili maggiormente inquinanti come carbone e olio combustibile, aprendo anche al ripristino di centrali di questo genere adesso disattive e ignorando così totalmente l'emergenz climatica.
Si autorizzano poi 10 milioni di stanziamenti aggiuntivi finalizzati “al rafforzamento della funzionalità e dei dispositivi di sicurezza delle sedi diplomatiche italiane, del personale e per la tutela di interessi e cittadini italiani all’estero”, includendo anche una spesa di 2 milioni di euro per l’invio di militari dell’Arma dei carabinieri a tutela degli uffici all’estero maggiormente esposti.
Nel decreto si parla anche di profughi attraverso “il rafforzamento della rete di accoglienza degli stranieri” con 54 milioni per l'anno 2022 destinati all’attivazione, alla locazione e alla gestione dei centri di trattenimento e di accoglienza e di aiuti ai soli studenti di nazionalità ucraina iscritti alle università anche non statali, ai dottorandi, dei ricercatori e dei professori, sempre rigorosamente ucraini, l'apertura di un fondo di 1 milione di euro per l’anno 2022.
 

L'opportunismo 5 Stelle sull'invio delle armi e sulle spese militari
Nei giorni precedenti al voto i media di regime hanno enfatizzato lo scontro, più formale che sostanziale, fra il leader pentastellato Giuseppe Conte e Mario Draghi in relazione al recepimento nel decreto dell'ODG presentato dai fascisti di Fratelli d'Italia sull'aumento al 2% del PIL delle spese militari al 2024. Una grande ammucchiata intorno al governo Draghi che il partito della Meloni ha giustificato in nome dell'”unità nazionale” guerrafondaia e atlantista, sostenuta peraltro da tutti i partiti parlamentari, a parte alcuni deputati del gruppo Misto, di Alternativa e Italexit.
L'aumento delle spese militari è un tema divisivo nelle file del M5S, attraversato da malumori e contrapposizione sull’atteggiamento da tenere nei confronti della guerra in Ucraina, e non solo a causa della proposta di Nicola Grimaldi che ha dichiarato di voler invitare in parlamento dopo Zelensky anche Putin, oppure al voto contrario alla fiducia il capogruppo della commissione Esteri Vito Petrocelli e dei tanti astenuti.
Deciso a mantenere la leadership del Movimento, Conte ha più volte affermato la necessità di “caratterizzarlo” – pur sempre all'interno della coalizione pro-Draghi – in quello che lui definisce il “fronte progressista”, soprattutto perché il residuato della sua base elettorale è anch'esso diviso su questo importantissimo tema. Un argomento delicato quindi poiché su di esso avrebbe potuto aprirsi anche una crisi di governo che nessuno però era disposto ad alimentare, né dentro, né fuori dalla maggioranza che lo sostiene.
Il no all'aumento delle spese militari di Conte era giustificato dalla necessità prioritaria di impedire che gli effetti della guerra impoveriscano ancor di più le famiglie italiane e di risolvere questi problemi prima di qualsiasi impegno bellicista. Un no dissoltosi ben presto e sostituito con poco o nulla di fatto, quando si sono semplicemente accordati col dilazionamento dell'impegno non in due anni ma in qualcuno in più, come ricorda il ministro Guerini che spalma gli stessi investimenti al 2028.
Chiariscono bene la vicenda le parole di Maria Domenica Castellone, vicepresidente del gruppo parlamentare 5 Stelle, che nel dibattito al Senato vuota il sacco affermando: “Non abbiamo mai messo in discussione la nostra fiducia al governo o la certezza che l’Europa e la Nato vadano sempre difese e rafforzate”; confermando nei fatti e nonostante la “telenovela” di Conte, la posizione atlantista del movimento.
Gli unici a dirsi “scontenti”, ma anche in questo caso solo a parole giacché hanno ottenuto l'invio degli armamenti a Kiev insieme all'aumento delle spese militari, sono i fascisti di Fratelli d'Italia che, se da un lato lamentano l'imposizione della fiducia per scavalcare il loro ordine del giorno in linea con Draghi, dall'altro usano per fini elettoralistici il loro no alla fiducia.
 

Tutti uniti per il rafforzamento della Nato
Mentre il vertice pentastellato si arrampica sugli specchi per giustificare il voltafaccio sull'invio delle armi sotto l'egida di UE e Nato, il PD calza orgoglioso l'elmetto e attraverso il senatore Alessandro Alfieri esprime il convinto sostegno del suo partito avvertendo: “Sul rispetto degli impegni con la Nato si misura la credibilità del nostro Paese. Usciamo dalle caricature”. Anche Faraone di Italia Viva si dice assolutamente favorevole, assieme a Forza Italia, o Liberi e Uguali che definiscono il decreto guerrafondaio e in palese conflitto con lo stesso art.11 della Costituzione borghese del '48 al quale tutti si appellano all'occorrenza “La risposta giusta davanti ad un'aggressione imperialista”, per bocca della senatrice Loredana De Petris.
Massimiliano Romeo della Lega appoggia e rilancia, sostenendo: “L'Ucraina ha il diritto dovere di difendersi e il governo Italiano ha il dovere di prestare aiuto al popolo ucraino. Aiuti militari compresi anche rispettando il patto Atlantico. Bisogna rispettare gli accordi internazionali perché è necessaria una difesa europea, soprattutto per gli attacchi futuri”.
Insomma, nonostante gli opportunismi e i giochetti che da sempre contraddistinguono i politicanti borghesi di destra e di “sinistra”, Draghi incassa l'ennesima fiducia e “tira dritto” nel nome dell'atlantismo interventista e guerrafondaio, sostenuto dalla quasi totalità dei partiti parlamentari e anche dalla finta opposizione dei fascisti di Fratelli d'Italia.
 

La telefonata di Draghi a Putin
Nel frattempo il presidente del consiglio italiano Draghi il 30 marzo ha telefonato a Putin; una conversazione di un'ora, la prima dall'inizio della guerra, nella quale i due leader hanno parlato di un possibile cessate il fuoco immediato che il presidente russo avrebbe definito ancora “non maturo”, pur dicendosi favorevole all'apertura del corridoio umanitario a Mariupol.
Secondo quanto dichiarato da Draghi alla stampa, Putin avrebbe parlato di “piccoli passi avanti nei negoziati", nonostante egli consideri ancora lontano un possibile incontro diretto con Zelensky; il che lo farebbe rimanere “molto cauto” e molto scettico su una rapida conclusione del conflitto.
Uno dei motivi che hanno spinto Draghi a telefonare a Putin è stato senz'altro la questione delle forniture di gas e i relativi pagamenti in valuta; infatti anche questa domanda è stata posta al leader del Cremlino, il quale avrebbe risposto che “i contratti esistenti rimangono in vigore e che le aziende europee continueranno a pagare in euro o in dollari”. Per Draghi sarebbe stata una concessione nei riguardi dell’Europa: “La conversione in rubli – ha detto - è un fatto interno alla federazione russa, questo ho capito”. Eppure, poche ore dopo la telefonata, Mosca ha dato istruzioni alla GazpromBank di provvedere alle annunciate operazioni di cambio, smentendo di fatto l'ostentata sicurezza del banchiere massone a capo del governo tricolore.

6 aprile 2022