Accertate le responsabilità di P2, fascisti e servizi segreti ma non dei mandanti politici della strage
Condannato all'ergastolo per la strage di Bologna il fascista di Avanguardia Nazionale Bellini
Condannati un carabiniere che depistò le indagini e un immobiliarista legato ai servizi segreti

Il 6 aprile, con la condanna in primo grado all'ergastolo dell'ex militante di Avanguardia nazionale Paolo Bellini, la Corte di assise di Bologna ha aggiunto un'altra pagina alla faticosissima ricostruzione dei responsabili della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980 che fece 85 morti e 200 feriti.
Questo almeno per quanto riguarda il primo livello, quello degli esecutori materiali, e il secondo livello, quello degli apparati dello Stato che li aiutarono a organizzare l'attentato e li protessero dalle inchieste della magistratura depistando le indagini, visto che insieme a Bellini, condannato come autore materiale della strage, è stato condannato per depistaggio anche l'ex capitano dei carabinieri del nucleo informativo di Genova, Piergiorgio Segatel, e Domenico Catracchia, immobiliarista legato ai servizi segreti, per false informazioni e reticenza; mentre un altro imputato per depistaggio, l'ex generale capo del Sisde di Padova Quintino Spella, è deceduto prima del processo. Non è stato invece ancora toccato, o solo appena sfiorato, il terzo livello, quello dei mandanti politici, annidati allora ai vertici della DC, del PSI e del MSI.
Ladro, truffatore, killer per conto della 'ndrangheta, informatore dei carabinieri e perfino implicato nella trattativa Stato-mafia del 1992-93, oltreché militante dell'eversione nera, Bellini era già stato indagato nel 1983 ma se l'era cavata grazie ad un falso alibi fornito dalla sua allora moglie, Maurizia Bonini, che all'epoca era ignara della sua doppia vita e confermò che all'ora dell'attentato se ne stava andando in vacanza con tutta la famiglia. Bellini era invece presente alla stazione di Bologna poco prima della strage, come dimostra un video girato da un turista svizzero. Lo ha riconosciuto nel filmato la sua ex moglie, che ha ammesso di aver mentito agli inquirenti perché convinta dall'allora marito di essere innocente e che lo volessero incastrare: “Ho sbagliato, chiedo scusa a tutti, Paolo ha ingannato tutti, me per prima”, ha detto in aula.
 

Il filo nero che lega tutte le stragi fasciste
Bellini è il quinto esecutore materiale condannato per la strage, dopo i terroristi fascisti dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar) Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, Luigi Ciavardini di Terza posizione e Gilberto Cavallini, anch'egli appartenente ai Nar. I primi due condannati all'ergastolo già in prima istanza nel 1988, sentenza confermata in Cassazione nel 1995, insieme ai generali del servizio segreto militare Pietro Musumeci e Giuseppe Belmonte, per aver cercato di depistare le indagini su una fantomatica “pista internazionale”. Ciavardini è stato condannato in via definitiva a 30 anni nel 2007, e Cavallini è stato condannato reo confesso in primo grado all'ergastolo a gennaio 2020 per aver offerto supporto nella strage.
Tutta la galassia del terrorismo nero fu dunque coinvolta nella strage di Bologna, compreso anche Ordine nuovo, l'organizzazione responsabile delle bombe di piazza Fontana a Milano e di piazza della Loggia a Brescia, dal momento che uno dei suoi capi, Massimiliano Fachini, circa un mese prima della strage confidò ad una sua amica che “a Bologna sarebbe successo qualcosa di grosso”. C'è quindi uno stesso filo nero che lega tutte queste stragi fasciste che si inquadravano nella cosiddetta “strategia della tensione”, concepita ad alto livello dagli ambienti militari della Nato e dell'organizzazione segreta Gladio, dalla DC e dal MSI, per stroncare possibili sbocchi rivoluzionari del movimento studentesco del '68 e dell'“autunno caldo” operaio e finanche per impedire una vittoria elettorale del PCI revisionista.
In particolare a ispirare e finanziare gli stragisti neri di Bologna fu la Loggia massonica golpista P2 di Licio Gelli, per creare il clima favorevole all'attuazione del suo “Piano di rinascita democratica”, che doveva sostituire la repubblica parlamentare con la repubblica presidenziale. Cosa che poi è avvenuta di fatto e con altri mezzi negli anni successivi con la demolizione pezzo per pezzo della Costituzione antifascista del 1948 e l'insaturazione surrettizia dell'attuale regime capitalista neofascista. Un disegno individuato e denunciato subito dopo la strage dal PMLI con un Comunicato dell'Ufficio politico dal titolo “Fermare la belva fascista”, in cui si denunciava la sua matrice golpista e neofascista e i suoi mandanti “annidati fin dentro ai vertici dello Stato, dei servizi segreti, del governo, delle istituzioni dei circoli finanziari ed economici e dei partiti borghesi a cominciare dalla DC e MSI”.
 

La tenacia dell'Associazione dei familiari delle vittime
In questo processo, il tredicesimo a ben 42 anni dall'attentato, durato 67 udienze e 400 ore, avrebbero dovuto comparire infatti anche Licio Gelli, il suo braccio destro Umberto Ortolani, già condannato per il crac del Banco Ambrosiano, il potentissimo (e onnipresente in tutte le più oscure vicende di quella stagione) capo dell’ufficio Affari riservati del Viminale, Federico Umberto D’Amato, e il direttore de “Il Borghese” e senatore del MSI, Mario Tedeschi. Tutti piduisti ma tutti ormai deceduti da anni. E' proprio partendo da un biglietto sequestrato a Gelli al suo arresto in Svizzera nel 1982, classificato nell'archivio di Stato di Milano come il “Documento Bologna”, che gli inquirenti della Procura generale bolognese sono riusciti a ricostruire il flusso di denaro dalla P2 agli esecutori della strage e ai loro protettori negli apparati dello Stato.
Il processo è nato grazie al lavoro di ricerca e alla tenacia dall’Associazione dei familiari delle vittime, lavoro che avevano raccolto in un dossier praticamente ignorato dalla Procura ordinaria di Bologna, che nel marzo del 2017 aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo dell'inchiesta sui mandanti rimasto “contro ignoti”.
Nell'ottobre 2019, il giorno dopo la decisione del Gup di rinviare a giudizio l’ex Nar Gilberto Cavallini, la Procura generale di Bologna ha avocato a sé il fascicolo e grazie al meticoloso lavoro degli investigatori è riuscita a ricostruire tutti i passaggi di denaro attraverso cui Licio Gelli e Ortolani finanziarono i Nar per compiere la strage.
E' stato appurato tra l'altro che il 30 luglio 1980 a Roma erano presenti sia Fioravanti e Mambro che Licio Gelli, e che dal 20 al 30 luglio Gelli aveva anticipato al suo prestanome e cassiere, Marco Ceruti, 1 milione di lire per i due terroristi, in attesa dei milioni che dovevano arrivare dal Banco Ambrosiano del piduista Roberto Calvi per finanziare l'intera operazione. Di questi soldi 850 mila dollari andarono a “zafferano” (Federico Umberto D'Amato) e 20 mila a Mario Tedeschi. Al processo hanno testimoniato anche due detenuti che hanno riferito le confidenze ricevute, prima di morire, dal fratello di Bellini, Guido, secondo cui la bomba “l'ha portata Paolo, che ha incassato 100 milioni”.
Il processo ha appurato inoltre che Domenico Catracchia, referente di una società immobiliare legata ai servizi segreti, gestiva il rifugio romano di via Gradoli in cui si erano nascosti Fioravanti e la Mambro: la stessa palazzina in cui nel 1978 era situato il primo covo in cui le sedicenti “Brigate rosse” avevano tenuto prigioniero il presidente della DC Aldo Moro, a dimostrazione di come terrorismo nero e sedicente “rosso” fossero entrambi manovrati alternativamente dai servizi segreti per un medesimo disegno reazionario e golpista.
 

Riconfermata la matrice fascista e piduista della strage
Anche se non ha scalfito il terzo livello dei mandanti politici della strage, questo processo ha avuto comunque il merito di appurare e ribadire al di là di ogni dubbio la sua matrice fascista e piduista. Un fatto per nulla scontato, se si pensa che fin dai giorni successivi all'attentato si è tentato in mille modi di intorbidare le acque e deviare l'attenzione verso le piste più fantasiose, come quella “palestinese” che ogni tanto viene ritirata fuori, anche recentemente. Ricordiamo tra l'altro che quando Fioravanti, Mambro e gli altri imputati condannati nel 1988 furono assolti da una scandalosa e provocatoria sentenza di appello del 1990, il MSI si precipitò a chiedere la cancellazione della scritta “Strage Fascista” dalla lapide commemorativa posta alla stazione di Bologna; che l'allora presidente del Consiglio Andreotti si dichiarò d'accordo e che l'allora presidente della Repubblica (e capo dei “gladiatori” golpisti) Cossiga chiese ufficialmente scusa al MSI a nome della nazione.
E ricordiamo anche che nel 1994, dopo il 2° processo di appello ordinato dalla Cassazione per una serie di manifeste incongruenze, che confermò invece l'impianto accusatorio del processo di 1° grado, venne fondato a Roma nella sede dell'Arci un Comitato in difesa di Fioravanti e Mambro denominato “E se fossero innocenti?”, a cui aderirono numerosi intellettuali e parlamentari di diversi partiti della destra e della “sinistra” borghesi, tra cui radicali come Mimmo Pinto, Marco Taradash e Giovanni Negri, l'ex Lotta Continua e senatore dei Verdi, poi del PD, Luigi Manconi, il dirigente Rai craxiano Giovanni Minoli, la senatrice di Rifondazione Ersilia Salvato, il senatore fascista di AN Giulio Maceratini, il senatore berlusconiano Elio Vito, l'allora ex direttore del TG3 e futuro presidente Rai, Sandro Curzi, l'ex terrorista di Prima Linea e attualmente nel Partito radicale, Sergio D'Elia e molti altri.
Fioravanti e Mambro continuano a professarsi innocenti e sono attualmente in libertà dopo vari sconti di pena, e ancora c'è chi continua a dargli credito e a negare la matrice fascista della strage; e a riproporre la pista “internazionale” puntando ad una revisione della sentenza in appello. Come dimostra la rimessione alla Procura, decisa dalla Corte, della posizione di sei testimoni, tra cui tre poliziotti della Scientifica che avevano tentato depistaggi anche durante il processo: avevano contraffatto una vecchia intercettazione cambiando la parola “aviere” (riferibile a Bellini) in “corriere”, per indirizzare la Corte verso la falsa pista della bomba trasportata da un agente dei servizi palestinesi esplosa accidentalmente durante il transito alla stazione di Bologna.


20 aprile 2022