Eroica Resistenza dell'Ucraina per impedire all'armata neonazista del nuovo zar Putin di occupare tutto il Donbass
Mariupol non si arrende, bombardata di nuovo Kiev, strage a Leopoli. Putin decora la brigata di Bucha
Affondata la nave ammiraglia della Russia

 
Il secondo mese della guerra di aggressione dell'armata del nuovo zar Putin all'Ucraina si chiude con l'annuncio da parte del governatore ucraino della regione di Lugansk dell'inizio dell'attesa offensiva dell'esercito invasore: "Kreminna è caduta e ci sono combattimenti nelle cittadine di Rubizhne e Popasna. È un inferno. L'offensiva è iniziata". Dopo alcuni giorni di combattimenti meno intensi sembra essere iniziata quella che è stata definita la seconda fase dell'invasione russa diretta alla conquista della città di Mariupol e di tutto il Donbass, una volta fallita la prima che puntava anche sulla capitale e a chiudere in tempi brevi la partita col governo di Kiev. Ma anche nella seconda fase della guerra continua l'eroica Resistenza dell'Ucraina per impedire all'armata neonazista del nuovo zar Putin di realizzare i suoi piani con una criminale aggressione di stampo imperialista e nazista, simile a quelle di Hitler all'Urss di Stalin e di Bush all'Iraq.
"Abbiamo già resistito 50 giorni. 50 giorni di invasione russa, anche se gli occupanti ci avevano dato un massimo di cinque", aveva ricordato il presidente ucraino Volodymyr Zelensky nel videomessaggio nazionale del 14 aprile, "cinquanta giorni della nostra difesa sono un risultato. Un risultato di milioni di ucraini. Durante i 50 giorni di questa guerra, l'Ucraina è diventata un eroe per tutto il mondo libero. Per quelli che hanno il coraggio di chiamare le cose con il loro nome". Proprio quel giorno l'imperialismo russo aveva dovuto registrare una bruciante sconfitta con l'affondamento della sua nave ammiraglia della flotta del Mar Nero, l''incrociatore lanciamissili Moskva colpito da missili schierati a difesa della città di Odessa; missili ucraini o forniti dalla Nato e annunciati solo una settimana prima dal premier inglese Johnson in visita a Kiev.
Quale fosse la situazione sul campo secondo l'aggredita Ucraina lo spiegava sempre il presidente Zelensky nel messaggio del 16 aprile quando commentava che "se qualcuno dice: anno o anni, io rispondo: si può rendere la guerra molto più breve. Più e prima avremo tutte le armi che abbiamo richiesto, più forte sarà la nostra posizione e prima arriverà la pace. Quanto più e quanto prima avremo il sostegno finanziario che abbiamo richiesto, tanto prima ci sarà la pace. Prima il mondo democratico riconoscerà che l'embargo petrolifero contro la Russia e il blocco completo del suo settore bancario sono passi necessari verso la pace (vedi l'ambiguità della Ue che manda armi ma continua a comprare gas da Mosca e a finanziare l'aggressore, ndr), prima la guerra finirà".
Intanto la guerra continuava con scontri feroci a Mariupol, dove i russi riuscivano a espugnare la zona dell'acciaieria dell’Ilyich Steel Plant, uno dei centri della resistenza, e a stringere la morsa attorno a quello che sembra l'ultimo baluardo a difesa della città, l'area dell'acciaieria Azovstal dove sono trincerati uomini del reggimento Azov, combattenti stranieri, quel che resta della 36esima brigata di fanteria della Marina ucraina e almeno mille civili, secondo le notizie diffuse il 18 aprile dalle autorità comunali. Gli attacchi nelle regioni di Slobozhansky e di Donetsk erano definiti dallo stesso ministero della Difesa russo come preparatori dell'inizio dell'offensiva nell'est dell'Ucraina "per stabilire il controllo pieno dei territori di Donetsk e Lugansk e assicurare la loro stabilità"; ossia il pieno controllo degli aggressori imperialisti russi sulle due regioni, che assieme a quello sulla Crimea sembrano essere l'obiettivo minimo immediato dello zar Putin per presentare almeno un "successo" alla scadenza che si è dato per il 9 maggio, anniversario della vittoria nella seconda guerra mondiale. La pressione militare russa sulla parte nord-est dell'Ucraina era affidata al lancio di bombe e missili sulla capitale e fino alla città di Leopoli dove il 18 aprile sei civili sono rimasti uccisi e altri 8 feriti, tra cui un bambino.
Nelle regioni centrali di Izium e di Kharkiv si registrava invece la liberazione da parte dell'esercito ucrainio di diversi villaggi e la scoperta di nuovi inenarrabili crimini degli imperialisti russi.
Le autorità ucraine avevano recuperato nelle prime due settimane di aprile i corpi di 765 civili, tra cui 30 bambini, nell'area attorno alla capitale che erano state sotto l'occupazione russa, dichiarava il vice procuratore capo regionale, Oleh Tkalenko, che avvertiva di essere solo all'inizio di una indagine che avrebbe interessato le città più grandi come Borodianka, Hostomel, Irpin e Bucha tanto che aveva aperto inchieste su ben oltre 7 mila presunti crimini di guerra commessi dalle truppe russe in Ucraina, compresi centinaia di casi di violenze sessuali e dei cadeveri di 900 civili giustiziati a colpi di pistola atorno a Kiev.
Alle accuse di crimini di guerra Putin rispondeva con la vergognosa assegnazione di una onorificenza alla brigata che aveva occupato Bucha "per l’eroismo, la perseveranza e il coraggio nelle operazioni di combattimento". Sterminatori della popolazione civile, ecco gli eroi secondo Putin.
Il sindaco di Cernihiv segnalava la distruzione del 70% della città e almeno 700 morti tra militari e civili, dei quali oltre un centinaio non identificati. Nelle regioni di Chernihiv e di Kiev tra l'altro sono state ritrovate tante trappole mortali lasciate dagli occupanti russi, come quelle che hanno ucciso cinque bambini a Trostianets, nella regione di Sumy, dalle mine antiuomo alle granate lasciate nel cestello della lavatrice o nell’armadietto degli attrezzi documentate dalle foto diffuse dal ministero degli Interni ucraino che già aveva denunciato di aver trovato ordigni esplosivi persino addosso ai cadaveri per colpire i soccorritori.
I crimini degli occupanti russi continuavano il 18 aprile con le uccisioni dei civili in fuga da Kreminna, nella regione di Luhansk, o nel villaggio di Borovoy nella regione di Kharkiv.
Un gruppo per i diritti umani della Crimea ha denunciato inoltre che gli occupanti russi avrebbero tolto alle famiglie e portato via con la forza da Mariupol circa 150 bambini per trasferirli nella parte del Donetsk filorussa. Sono circa 5 mila i bambini deportati dalla regione di Mariupol nella parte della Russia, denunciava il presidente Zelensky il 18 aprile.
L'occupante russo mentre riorganizzava le truppe per la seconda fase dell'aggressione, incassava l'appoggio della Cina che "continua a rafforzare il coordinamento strategico con la Russia", ricordava il 19 aprile il ministero degli Esteri di Pechino, e minacciava una serie di "contromisure" alle iniziative della cordata imperialista avversaria, dalla possibile nuclearizzazione del Baltico in caso di adesione alla Nato di Svezia e Finlandia, che ai primi di aprile hanno partecipato alle esercitazioni del'Alleanza atlantica nel nord della Norvegia definite da Mosca una attività militare nell'Artico che "aumenta il rischio incidenti" mentre il presidente della commissione per gli affari internazionali della Duma, Leonid Slutsky, intimava a Usa e Gran Bretagna di interrompere "le consegne di armi all'Ucraina che possono avere conseguenze deplorevoli per il mondo intero". Conseguenze che il principale canale televisivo russo chiamava "Terza Guerra Mondiale", quella che già sarebbe in corso "contro le infrastrutture della Nato, se non contro la Nato stessa". Spacciandosi da aggredito e non da aggressore quale è, l'imperialismo russo tenta di rovesciare la frittata e legittimare una possibile reazione militare anche contro i paesi della Nato che armano la resistenza ucraina, Italia inclusa col governo Draghi che si appresta ad approvare un nuovo decreto interministeriale per finanziare il secondo pacchetto di aiuti militari a Kiev e confermare quella posizione di prima fila tra i paesi imperialisti chiamati a far parte del gruppo di Paesi garanti della futura sicurezza dell'Ucraina, e degli affari della sua ricostruzione, anche se fornendo armi all'Ucraina, di fatto è entrato in guerra con la Russia, esponendo il popolo italiano a pericolose ritorsioni militari.
Non sono certo le ridicole sanzioni a preoccupare la Russia, almeno per ora, comprese quelle annunciate nell’ultimo pacchetto di sanzioni decise dall’Unione Europea che ha vietato l’ingresso nei porti degli Stati membri alle navi e ai panfili di bandiera russa a partire dal 17 aprile 2022. Un divieto non totale, pieno di eccezioni: dalle risorse energetiche a alcuni metalli, a prodotti farmaceutici, agricoli e alimentari, fertilizzanti e combustibile nucleare per usi civili; tanto da risultare più simbolico che reale.
Un serio e efficace embargo energetico della Ue è bloccato anzitutto da Germania e Ungheria, soprattutto dal cancelliere tedesco Olaf Scholz che ha ereditato dalla Mekel ma anche dai predecessori socialdemocratici una dipendenza determinante dal gas russo. Il 15 aprile da Berlino il vice cancelliere Habeck dichiarava che "non possiamo lasciare l'Ucraina da sola nella guerra. Sta anche lottando per noi. L'Ucraina non deve perdere, Putin non deve vincere. Il popolo in Ucraina sta combattendo con coraggio e sacrificio. È nostro dovere sostenerlo con le armi". E nel contempo riarmare la Germania e finanziare l'aggressore russo coi soldi del gas.
Una delle rare voci che registriamo contro i pericoli di un riarmo generalizzato, di una preparazione dei paesi imperialisti a nuovi interventi militari e a partecipare a una guerra mondiale tra le superpotenze, che si staglia sullo sfondo dello scenario internazionale, è ancora una volta quella del papa che il 17 aprile aveva invocato la "pace per la martoriata Ucraina, così duramente provata dalla violenza e dalla distruzione della guerra crudele e insensata in cui è stata trascinata. (...) Si scelga la pace. Si smetta di mostrare i muscoli mentre la gente soffre. Non abituiamoci alla guerra, impegniamoci tutti a chiedere a gran voce la pace, dai balconi e per le strade!". Una pace invocata anche per altre situazioni che non dobbiamo dimenticare, indicava papa Francesco, dal Medio Oriente a Gerusalemme alla Libia, pace per i popoli del Libano, della Siria e dell'Iraq e "per lo Yemen che soffre per un conflitto da tutti dimenticato con continue vittime".


20 aprile 2022