Primo Maggio per conquistare il potere politico da parte del proletariato e il socialismo

di Andrea Cammilli*
Due avvenimenti caratterizzano questo Primo Maggio 2022: la persistenza della pandemia a oltre due anni dalla scoperta del Covid e la guerra in Ucraina, iniziata con l'invasione russa del 24 febbraio. Due fattori che hanno impresso un'accelerazione alla crisi economica del capitalismo che affama e sfrutta milioni di persone in tutto il globo e acuito le contraddizioni tra i maggiori Paesi imperialistici fino al rischio di una nuova guerra mondiale. Occorre perciò riflettere per poi agire affinché siano scongiurati lutti, guerre, nuove e maggiori ingiustizie e disuguaglianze. Per noi marxisti-leninisti l'attuale situazione richiede il proletariato al potere e il socialismo.
 

Origine e scopi del 1 Maggio
La Giornata Internazionale dei lavoratori fu istituita nel 1889 a Parigi dallo storico Congresso di fondazione della Seconda Internazionale di cui Engels, il cofondatore del socialismo scientifico assieme a Marx, sarà dirigente e capo riconosciuto. All'ordine del giorno c'era la rivendicazione delle 8 ore di lavoro, inizialmente rivendicata dagli operai degli Stati Uniti. Un tema per certi versi ancora attuale perché questo orario, in Italia e nel mondo, in molti settori non è rispettato nemmeno ai giorni nostri.
Ben presto però questa data diventò una giornata in cui i lavoratori e le loro organizzazioni facevano un bilancio delle lotte e di quanto ottenuto. Questa ricorrenza, partendo da rivendicazioni concrete e immediate, mano a mano cominciò ad abbracciare temi più ampi: quale doveva essere il ruolo del proletariato, per quale tipo di società esso doveva battersi, qual era il modo più efficace per contrastare e abbattere il potere della borghesia. Da una lotta specifica dei lavoratori americani diventò l'occasione che vide la classe operaia organizzata di tutto il mondo manifestare per la propria emancipazione.
Noi marxisti-leninisti crediamo che ci sia tutt'oggi un estremo bisogno di tenere alta la bandiera rossa del Primo Maggio e il suo valore che storicamente ha sempre avuto per il movimento operaio: un momento di rivendicazione, di lotta e di convergenza sui temi di stretta attualità, e al tempo stesso un momento di riflessione e discussione sulle scelte strategiche necessarie al cambiamento radicale della società e al ribaltamento del ruolo subalterno dei lavoratori e di tutti gli sfruttati.
 

Le condizioni delle masse
La crisi economica capitalistica imperversa quasi ininterrottamente dal 2008. Su quella che è stata definita “la più grande crisi del secolo”, seconda solo alla “grande depressione” del 1929, si è innestata la pandemia da Covid-19. In un tempo relativamente breve le condizioni dei lavoratori e delle masse popolari sono drasticamente peggiorate. Draghi e i suoi predecessori hanno reagito pensando anzitutto a preservare il profitto capitalistico con poteri e leggi “straordinarie”. Il tema della guerra ha oscurato tutto il resto ma non dobbiamo dimenticare che lo “stato di emergenza” per il Covid è decaduto solo il 31 marzo ed è stato rinnovato fino alla fine del 2022 stavolta con la motivazione della “crisi internazionale in atto”. In ogni caso Draghi continua ancora a governare con poteri fuori dalla normale prassi costituzionale borghese.
Quando questo esecutivo si è costituito con il sostegno e i voti della destra e della “sinistra” borghese, i marxisti-leninisti lo hanno subito bollato come il governo “del capitalismo, della grande finanza e della UE imperialista”, d'impronta fortemente atlantista. Un giudizio fulminante ampiamente confermato dalla politica interna e internazionale portata avanti da Draghi in poco più di un anno dal suo insediamento.
Sia la manovra economica della legge di Bilancio che l'elaborazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ne sono stati esempio lampante. Anziché tentare di ridurre le disuguaglianze e indirizzare gli investimenti pubblici nei settori chiave della vita sociale si sono concentrati i fondi sulle grandi imprese e si è legiferato in favore delle privatizzazioni e degli sgravi fiscali ai capitalisti. Dall'altra parte si sono stretti i cordoni della borsa nei confronti degli “ammortizzatori sociali” e si è abbandonato qualsiasi blocco dei licenziamenti attuato all'inizio della pandemia.
Le promesse di rilanciare la sanità pubblica rendendola efficiente e del riconoscimento del lavoro degli operatori sanitari non sono state mantenute. Anziché essere sostenuta, dalla Lombardia alla Toscana alla Sicilia, la sanità è sempre più privatizzata e subisce i tagli dei governi nazionali e locali, con organici sottodimensionati, attese interminabili, ticket e balzelli. La sanità, assieme a scuola e trasporti pubblici, rimane ai margini degli interventi governativi.
Si calcola che dall'inizio del Covid in Italia si siano persi un milione di posti di lavoro, solo in piccola parte recuperati e quasi tutti con i contratti a tempo determinato e precari, la disoccupazione femminile, già altissima, è aumentata rispetto a quella maschile, nel 2021 il 50% delle famiglie italiane ha rinunciato alle cure mediche per motivi economici. Mentre 14 nuovi italiani entrano nella lista degli uomini più ricchi del mondo (dati della rivista Forbes) un milione di persone sono scivolate in stato di povertà nel nostro Paese.
A questo si deve aggiungere il carovita alle stelle. A gennaio 2022 l'inflazione annua è arrivata al 4,8% e a marzo al 6,5%, un dato che non si verificava dal 1996 ai tempi della lira. I beni di prima necessità sono aumentati oltre il 10% mentre il rincaro delle bollette si aggira attorno al 40% per il gas e al 30% per l'elettricità. I carburanti sono aumentati a dismisura e gli interventi del governo per calmierare i prezzi sono deboli e temporanei. Prezzi che adesso sono schizzati in alto ma che erano in salita già prima dell'aggressione di Putin all'Ucraina.
Questo non ha impedito al governo del banchiere massone Draghi di aumentare le spese militari fino al 2% del Pil come richiesto dalla Nato, ma anche per soddisfare le esigenze dell'imperialismo italiano che vuole essere sempre più protagonista nello scontro tra gli imperialismi dell'Ovest e dell'Est, come ci dimostra l'invio di materiale bellico “letale” in Ucraina, ostacolato dai coraggiosi operai portuali e aeroportuali di Genova e di Pisa a cui va tutta la solidarietà del PMLI. In questa città toscana il governo vuole addirittura costruire una nuova base militare con i fondi del PNRR mentre dichiara che non ci sono i soldi per scuole, servizi pubblici e pensioni. Anche papa Bergoglio si è indignato per questa rincorsa bellicista gridando “L'aumento della spesa per le armi al 2% è una pazzia, mi sono vergognato”, censurato da molti giornali e dal Tg1 della Rai.
 

Le battaglie sindacali prioritarie
Risulta evidente l'urgenza di una mobilitazione generalizzata dei lavoratori e delle masse popolari. I sindacati dovrebbero essere in prima fila ad organizzarla invece i più grandi di essi, ci riferiamo a Cgil, Cisl e Uil, pur con delle differenziazioni, sono sostanzialmente allineati al governo Draghi. Partendo dalle questioni legate alla gestione capitalistica della pandemia. Noi non neghiamo la necessità dei vaccini o dell'applicazione di norme preventive contro la diffusione del virus (distanziamento, mascherine) ma non possiamo accettare che i lavoratori stiano a casa in quarantena o perché non hanno il green pass senza salario e che debbano pagarsi i tamponi.
Si deve sviluppare anzitutto la lotta per il lavoro, contro il precariato e la miriade di contratti con bassa o nessuna tutela, contro le delocalizzazioni che permettono alle grandi aziende e alle multinazionali d'incassare denaro pubblico e poi fuggire dove il guadagno è maggiore, per la riduzione dell'orario a pari salario, per la salute e la sicurezza sui posti di lavoro in un Paese con migliaia di infortuni l'anno e dove ogni giorno muoiono tre lavoratori sull'altare del profitto capitalistico.
Le priorità sono anche i salari, drammaticamente fermi: tra i maggiori Paesi europei l'Italia è l'unico dove gli stipendi sono più bassi di 30 anni fa pur lavorando mediamente più ore. È necessario abolire la legge Fornero che ha portato ad un'età pensionabile tra le più alte al mondo e con assegni tra i più bassi, eliminare il Jobs Act che ha cancellato l'articolo 18 e liberalizzato il “mercato del lavoro”. È indispensabile reintrodurre un automatismo sul tipo della vecchia scala mobile per far fronte al costante aumento del costo della vita. Si devono eliminare gli stage e l'alternanza scuola lavoro che offrono gratis ai padroni la manodopera dei giovani, così come ogni disparità di genere sui luoghi di lavoro e qualsiasi discriminazione per i migranti.
È necessario sviluppare la lotta di classe su temi più generali e di ampio respiro come la sanità, contrastando il welfare sanitario aziendale anziché favorirlo indebolendo il sistema pubblico già al collasso per i tagli alla spesa decisi dai governi locali e nazionali, che la pandemia ha messo a nudo in modo drammatico. Rivendicare investimenti sul trasporto pubblico di massa anziché gettare fondi in grandi opere e TAV. Contrastare in tutti i modi le nuove privatizzazioni e disuguaglianze regionali battendosi contro il decreto “concorrenza” e l'autonomia differenziata.
 

Unità d'azione sindacale, l'esperienza dei lavoratori Gkn e la prospettiva di un unico sindacato
Le dirigenze dei sindacati confederali da tempo hanno abbandonato la lotta di classe sostituendola con la concertazione con il governo e la collaborazione con i padroni smuovendosi, in qualche misura, solo quando sono state messe sotto pressione dai lavoratori. Rimanendo in tempi recenti pensiamo agli scioperi spontanei per ottenere misure di sicurezza contro il Covid sui posti di lavoro che hanno costretto Cgil-Cisl-Uil a fare qualcosa. Non c'illudiamo che la loro linea subisca un cambiamento.
In questi ultimi due anni di governo, prima il Conte II e poi l'esecutivo guidato da Draghi, a livello sindacale i soli a praticare un’opposizione coerente e senza sconti sono stati i sindacati di base, assieme ad alcune Rsu e spezzoni di Cgil. Ammirevole è stato l'impegno di queste organizzazioni in difesa dei lavoratori che spesso sono finite nel mirino della repressione governativa e padronale: dalle denunce e aggressioni ai sindacalisti e attivisti del SiCobas (Texprint, FedEx, ecc.) alla provocatoria perquisizione poliziesca alla sede nazionale dell'USB di poche settimane fa.
Lo sciopero generale dell'11 ottobre 2021, che il PMLI ha salutato con gioia, è stata la prima mobilitazione di massa da parte del mondo del lavoro contro il governo Draghi, lasciando sperare in una unità delle tante sigle del sindacalismo di base che lo avevano organizzato. Questo e altri tentativi di trovare una stabile unità d'azione sindacale non hanno avuto un seguito e presto sono riemerse le divisioni, le frammentazioni e il settarismo. Questo non è più accettabile, specie in questa situazione economica e sociale, dove l'unità tra le svariate sigle del sindacalismo di base e la sinistra della Cgil non è più rinviabile.
L'esperienza dei lavoratori della Gkn dovrebbe essere d'insegnamento. Questa lotta ha dato un forte segnale di risveglio della classe operaia diventando un esempio per tutti i lavoratori in lotta contro i licenziamenti e in difesa dei loro diritti. Ci ha indicato che la strada da seguire è quella della convergenza e dell'unità, con un modello avanzato di conduzione delle lotte sindacali che non bada a quale sigla appartengono i lavoratori, che pratica la democrazia diretta, che valorizza pienamente l’Assemblea generale, che coinvolge la Fiom, la CGIL e i sindacati di base, associazioni importanti come l’Anpi e del mondo cattolico, movimenti, intellettuali, cantanti, istituzioni locali e partiti, senza discriminazioni a sinistra.
Da questo si deve partire ma in prospettiva è necessario giungere ad un unico sindacato delle lavoratrici e dei lavoratori, delle pensionate e dei pensionati che nasca sulle ceneri dei sindacati cogestionari, istituzionalizzati e neocorporativi Cgil-Cisl-Uil e della galassia sempre più frantumata dei sindacati di base. Un sindacato sganciato dai legami istituzionali e partitici, dagli inciuci con il padronato sulla pelle di chi lavora, che respinga il “patto sociale” partendo esclusivamente dalla difesa degli interessi dei lavoratori, che appoggi e organizzi le lotte per la difesa dei diritti e dei posti di lavoro, basato sulla democrazia diretta e sul potere sindacale e contrattuale delle Assemblee generali dei lavoratori e dei pensionati.
 

Proletariato al potere, socialismo
Il combattivo Collettivo di fabbrica che guida la lotta dei lavoratori ex-Gkn ha giustamente sottolineato che per ottenere risultati su larga scala, che vadano oltre lo scongiurare i licenziamenti in una o alcune fabbriche occorre cambiare i rapporti di forza, e la classe operaia deve essere classe dirigente. Ma occorre avere la consapevolezza, aggiungiamo noi, che il proletariato è classe dirigente solo se ha in mano il potere politico totalmente, non parzialmente e in minoranza quando fa parte di un governo borghese. Il proletariato deve dirigere tutto ma non lo può fare senza il potere politico che può avere nel socialismo.
Con questo vogliamo dire che la questione non può essere risolta nel capitalismo perché questo sistema economico e sociale è modellato per soddisfare le esigenze della borghesia e perpetuarne il potere. Nell'immediato dobbiamo cacciare quanto prima il governo del banchiere massone Draghi e intensificare la lotta di classe per risolvere i problemi immediati dei lavoratori e delle masse popolari. Ma, come ci indica il Segretario generale del PMLI Giovanni Scuderi nel suo Editoriale per il 45° Anniversario della fondazione del nostro Partito: “Per prevenire il coinvolgimento dell'Italia in imprese militari imperialiste e nella guerra mondiale e per dare alle masse benessere, lavoro, pace, libertà e democrazia, bisogna risolvere la questione di fondo, che è quella di cambiare società abbattendo il capitalismo, la classe dominante borghese e il suo Stato, sostituendoli con il socialismo, il proletariato al potere e lo Stato proletario socialista”.
Il PMLI ha posto la questione fin dalla sua nascita e ha intensificato negli ultimi tempi gli appelli ai partiti che si dichiarano per il socialismo e a tutti gli anticapitalisti, per concordare una linea comune contro il governo Draghi e per elaborare assieme un progetto comune per una nuova società, perché la storia dell'Italia e degli altri Paesi ci ha sempre confermato che senza questo radicale mutamento il proletariato può ottenere delle vittorie parziali, degli avanzamenti che presto o tardi possono essere annullati perché le leve del potere politico rimangono saldamente nelle mani della borghesia.
Chiudiamo ancora con le parole del compagno Scuderi: “Il grande, storico e combattivo corteo con alla testa le operaie e gli operai ex Gkn che si è svolto a Firenze il 26 marzo ha dimostrato che le forze a sinistra del PD, architrave del capitalismo e dell'imperialismo italiani, hanno voglia di combattere e di cambiare la società, si apra allora una grande discussione pubblica senza pregiudizi e settarismi per stabilire cosa fare, come organizzarsi e dove si vuole andare. Il PMLI propone: Uniamoci sulla via dell'Ottobre verso il socialismo e il potere politico del proletariato”.
Viva il Primo Maggio, la classe operaia, le lavoratrici e i lavoratori.
Uniamoci contro il governo Draghi e il capitalismo.
Per il proletariato al potere e il socialismo.
 
* Responsabile della Commissione per il lavoro di massa del CC del PMLI
 

27 aprile 2022