Lo rileva l'Istat
Il 20% dei lavoratori è precario

I dati registrati dall'Istituto nazionale di Statistica negli ultimi anni sono quasi sempre negativi per i lavoratori e anche quando all'apparenza non lo sono, spesso nascondono dinamiche negative. Un caso emblematico è rappresentato dagli ultimi dati sull'occupazione diffusi a maggio.
La relazione di commento ai dati sottolinea come in generale vi siano segni positivi, a partire dal mese di marzo (l'ultimo rilevato) rispetto a febbraio, con un +0,4%, pari a 81mila unità. Rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, cioè marzo 2021, il numero di occupati aumenta del 3,6% (+804mila unità). In questa maniera il tasso di occupazione più elevato del 2,3% raggiunge e supera i numeri del 2017. Dobbiamo in ogni caso considerare come il raffronto si riferisce a un periodo in cui la pandemia ha passato la sua fase più acuta.
Se guardiamo i grafici pubblicati dall'Istat possiamo vedere come nel 2020 c'è stato un crollo occupazionale e negli anni 2021 e inizio 2022 c'è stato solo un parziale recupero, ancora tutto da completare a causa delle forti tensioni internazionali dovute alla guerra in Ucraina. Ma non dobbiamo neppure pensare che si sia ristabilita la situazione precedente perché le nuove assunzioni nell'ultimo anno sono, in oltre la metà dei casi, contratti a tempo determinato. Prosegue quindi le deregolamentazione del mercato del lavoro, con la riduzione dei rapporti di lavoro indeterminato a favore di quelli precari.
“Può apparire una buona notizia la crescita, anche se lenta, dell’occupazione, ma nasconde un dato gravissimo per il nostro mercato del lavoro: i contratti a termine registrano un nuovo record”, ha commentato in una nota la segretaria confederale della Cgil Tania Scacchetti. ”Pur in presenza di un calo dell’indice di disoccupazione e di inattività -sottolinea- il dato più eclatante è che la ripresa dell’occupazione si fonda sostanzialmente sull’esplosione dei contratti a termine, oramai quasi il 20% dei contratti di lavoro dipendente, segno che non sono più uno strumento per affrontare esigenze temporanee e limitate, ma una caratteristica strutturale”.
I numeri parlano chiaro: su un totale di poco più di 23 milioni di occupati 18 di essi sono lavoratori dipendenti e tra questi 3milioni e 160 mila sono precari, di cui 400mila aumentati solo nell'ultimo anno. Inoltre dobbiamo considerare l’occupazione autonoma che nei due anni di pandemia ha avuto una perdita pesante, pari a 215mila posti di lavoro. Dati che vanno comunque presi con le molle, e per difetto, perché i lavoratori assunti dopo l'entrata in vigore del Jobs Act sono in ogni caso licenziabili anche senza giusta causa mentre il contratto di apprendistato è in sostanza a tempo determinato per un limite massimo di 3 anni dopo di ché il lavoratore può essere rispedito a casa.
L'Italia, dopo decenni di controriforme si ritrova con un mercato del lavoro che permette ai padroni la più ampia libertà di manovra, come in poche altre parti del mondo industrializzato. Adesso quasi tutti i partiti pongono l'attenzione sui salari bassi, salario minimo, contratti pirata, ma fino ad ora sono stati gli alfieri della “flessibilità”, della politica dei redditi, del contenimento del “costo del lavoro”, della subordinazione dei lavoratori alle esigenze aziendali.
Questa espansione del precariato serve a sfruttare al massimo i lavoratori, impiegandoli solo quando è strettamente necessario, tutto questo nel nome della competitività “al ribasso” del capitalismo italiano sulla pelle degli operai. Con la complicità di Cgil-Cisl-Uil, governo e padroni hanno puntato tutto sulla compressione dei salari, sul taglio ai servizi pubblici, sulle liberalizzazioni e privatizzazioni.
Una politica che non ha portato risultati nemmeno dal punto di vista dell'economia capitalistica perché, se da una parte abbiamo assistito all'impoverimento dei lavoratori e delle masse popolari, dall'altro l'Italia rimane agli ultimi posti per quanto riguarda il tasso di occupazione, in particolare di quella giovanile e femminile, il potere d'acquisto dei salari, l'aumento del Pil, mentre è in prima fila per intervenire militarmente sugli scenari mondiali. Una situazione che ci fa tornare in mente le parole di Lenin sull' ”l'imperialismo straccione” italiano di un secolo fa, un modo per evidenziare il paradosso di un paese che vuole essere protagonista globale nonostante all'interno mostri ampie sacche di arretratezza rispetto alle maggiori economie mondiali.

11 maggio 2022