L'armata neonazista del nuovo zar Putin cacciata da Kharkiv abbandona i cadaveri dei suoi soldati. Missile ipersonico su Odessa. Bombardato un ospedale a Severodonetsk
I ministri della difesa USA e Russia si parlano per la tregua in Ucraina
Zelensky: "Non accettiamo compromessi sulla nostra indipendenza"

 
La cronaca dell'83esimo giorno della guerra di aggressione dell'armata neonazista del nuovo zar Putin all'Ucraina si apriva con la notizia diffusa dai media ucraini del più massiccio attacco missilistico contro la città di Leopoli nell'Ucraina occidentale, a soli 70 chilometri dal confine con la Polonia e uno dei canali di transito delle armi che arrivano all'esercito di Kiev; con l'annuncio delle autorità locali della regione della capitale del pieno rispristino delle forniture di acqua e del bombardamento ucraino sul villaggio russo di Alekseeva, nella confinante regione di Kursk.
La successione delle notizie registra la fase attuale della guerra, con gli invasori russi che colpiscono da lontano coi missili ma sono in ritirata sul fronte nordorientale, incalzati dall'esercito ucraino che dopo aver liberato l'area attorno alla capitale li ha cacciati anche da Kharkiv, può lanciare la controffensiva su Izyum ed è in grado di colpire oltre confine. Due foto possono fissare questa situazione: quella del 14 maggio della montagna di cadaveri dei soldati russi ammucchiata nei vagoni frigo di un treno alla periferia di Kiev, cadaveri che Mosca non vuole riprendersi per nascondere le sue perdite e che l'armata di Putin ha abbandonato una volta fallito l'attacco alle città del nord, Kiev e Kharkiv anzitutto che sono state pesantemente colpite ma non conquistate; la seconda foto è quella della squadra di soldati ucraini della 127ma brigata della Difesa territoriale schierata il 16 maggio al posto di confine a Ruska Lozova, sopra Kharkiv, appena liberato.
La quantità di armi forniti dai paesi occidentali all'esercito ucraino, dagli oltre diecimila missili anti-tank d'ultima generazione ai quasi duemila Stinger contraerei americani, dai droni Bayraktar della Turchia ai pezzi d'artiglieria calibro 155 millimetri accompagnati da radar speciali che individuano le postazioni degli obici russi, hanno prima aiutato la Resistenza ucraina a fermare l'invasione e poi l'hanno messa in condizioni di contrattaccare. L'armata neonazista del nuovo zar Putin è stata cacciata oltre confine sul fronte nordorientale; resta in piedi l'offensiva nella regione del Donbass e su Odessa che al momento comunque segna il passo anche per le difficoltà nel rimpiazzare le pesanti perdite in uomini e mezzi finora subite dai 105 i battaglioni schierati in Ucraina. Il bilancio aggiornato al 14 maggio del ministero della difesa di Kiev contava 27.200 i soldati russi che sono stati uccisi e 1.218 i tank distrutti dall'inizio dell'invasione.
L'esercito invasore russo attacca sul fronte sud da lontano, con aerei e missili, a Odessa come a Severodonetsk nella regione di Luhansk. Il 10 maggio aerei e navi di Mosca lanciavano almeno una decina di missili da crociera su due alberghi, un centro commerciale e un deposito a Odessa. Alcuni di questi missili erano i Kinzhal, i missili balistici ipersonici che per la seconda volta vengono impiegati nella guerra dopo il lancio di esordio lo scorso 19 marzo contro un deposito di munizioni sotterraneo a Delyatyn, nella regione di Ivano-Frankovsk, non lontano dal confine con la Romania. Sono uno dei fiori all'occhiello del rinnovato arsenale missilistico di Putin, lanciati sulle città dell'Ucraina aggredita come fossero un campo di prova e esibiti come i nuovi strumenti bellici di Mosca ben più efficaci dei vecchi carri armati distrutti a decine dalla resistenza ucraina. Come gli oltre 70 mezzi corazzati e i relativi equipaggi distrutti nel fallito tentativo del 15 maggio di attraversare il fiume Siverskiy Donets per circondare l'area metropolitana di Severodonetsk, nella regione di Luhansk.
Proprio nella città di Severodonetsk l'artiglieria russa colpiva lo stesso giorno con intensi bombardmenti alcune case, un impianto chimico, una scuola e persino un ospedale; il responsabile dell'amministrazione militare regionale ucraina denunciava l'attacco sulla stuttura sanitaria che era rimasta comunque funzionante per curare anche la decina di feriti causati dalle bombe.
L'imperialismo russo deve prendere atto che l'aggressione all'Ucraina non è andata secondo i suoi piani ma ancora non recede dal proposito di prendersene almeno alcuni pezzi in una guerra che al momento non mostra quale potrebbe essere la sua fine. Intanto deve incassare i primi passi formali dell'adesione di Finlandia e Svezia alla Nato, ossia il rafforzamento dell'alleanza militare imperialista a guida Usa fino ai suoi confini. Che la reazione del Cremlino sia quella delle generiche minacce sulle contromisure che saranno adottate ventilate dal portavoce Peskov o l'indifferenza mostrata dal ministro degli Esteri, Serghei Lavrov, secondo il quale l'adesione di Finlandia e Svezia alla Nato non farà nessuna grande differenza per la Russia in quanto da tempo i due Paesi partecipano alle esercitazioni militari dell'Alleanza, non cambia la sostanza del fatto che la mossa di Putin contro la Nato è fallita.
La guerra potrebbe essere lunga ma intanto ci potrebbe essere un cessate il fuoco e questo è stato certamente uno degli argomenti della telefonata tra il segretario della Difesa statunitense Lloyd Austin e il ministro della Difesa russo Sergej Shoigu del 13 maggio, la prima da quando la Russia ha lanciato l'invasione dell'Ucraina e dato il via alla guerra che continua a chiamare "operazione militare speciale". Secondo autorevoli fonti Usa, Austin avrebbe chiesto il cessate il fuoco e non il ritiro delle truppe russe dai territori occupati, ossia una pausa dei combattimenti sulla attuale linea del fronte da definire tra il capo degli Stati Maggiori Riuniti Mark Milley e il collega russo Gerasimov.
L’urgenza di arrivare ad un cessate il fuoco era stato l'argomento al centro anche del colloquio del 10 maggio tra il rieletto presidente francese Emmanuel Macron e il presidente cinese Xi Jinping, l'alleato strategico di Putin, che secondo il comunicato dell'Eliseo hanno parlato della "situazione drammatica di fronte alla quale si trovano i civili a causa dell’aggressione russa", hanno "ricordato il loro impegno per il rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità dell’Ucraina" e si sono impegnati a "sostenere Russia e Ucraina per ripristinare la pace attraverso il dialogo", a andare avanti cioè sull'ipotesi negoziale.
Quali sono i termini sui quali è possibile aprire un negoziato, e prioritariamente sul cessate il fuoco, li ha ripetuti l'unico titolare della trattativa per conto del paese aggredito, il presidente dell'Ucraina Volodymyr Zelensky il 12 maggio alla trasmissione Porta a Porta del canale televisivo italiano Rai 1. Dove ha ribadito che per primo deve essere salvaguardato il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale dell'Ucraina; la Russia di Putin le ha violate e "devono essere ripristinate", ossia "ritirate le vostre truppe dalla nostra terra. Non ci sono nostre truppe sul territorio della Federazione Russa. Ritirate le vostre truppe dalle nostre case, dai nostri villaggi". "Tuttavia, nei negoziati siamo pronti a dire uscite almeno dal territorio che avete occupato a partire dal 24 febbraio. Sì, in alcuni dei nostri territori temporaneamente occupati, purtroppo continuate a rimanere. Ma questo è il primo passo chiaro per parlare di qualcosa. Facciamolo", ha dichiarato Zelensky. Quanto alla Crimea "non ho mai parlato di riconoscerne l’indipendenza, non lo faremo mai, ma la lasciamo da parte se ostacola la pace". In ogni caso la ricerca di una via di uscita alla guerra non vuol dire "cercare una via d’uscita per la Russia. Putin voleva qualche risultato, ma proporre a noi di cedere qualcosa per salvargli la faccia non è corretto da parte di alcuni leader", in altre parole "non accettiamo compromessi sulla nostra indipendenza".
Chiariva il ministro degli Esteri dell'Ucraina, Dmytro Kuleba in una intervista del 12 maggio che "le condizioni per i negoziati vengono stabilite dal campo di battaglia, non viceversa. Al momento ci sentiamo più sicuri sul versante degli scontri armati, quindi assumiamo una posizione più dura nei negoziati. Se la situazione sul campo di battaglia dovesse capovolgersi sarebbe la Russia a trovarsi in una posizione migliore", come era stata nella parte iniziale dell'aggressione.
Registriamo infine la dichiarazione del 13 maggio del segretario di Stato della Santa Sede, il cardinale Pietro Parolin, sull'invio delle armi in Ucraina accettato dal Vaticano se risponde al "diritto alla difesa armata in caso di aggressione, questo lo afferma anche il Catechismo, a determinate condizioni. Soprattutto quella della proporzionalità, poi il fatto che la risposta non produca maggiori danni di quelli dell'aggressione. In questo contesto si parla di 'guerra giusta'". "Il problema dell'invio di armi si colloca all'interno di questo quadro", precisava il primo ministro di papa Bergoglio, "capisco che nel concreto sia più difficile determinarlo, però bisogna avere alcuni parametri chiari per affrontarlo nella maniera più giusta e moderata possibile".


18 maggio 2022